8 marzo, festa delle donne, giornata delle mimose vendute agli angoli delle strade e, spesso, regalate alle mogli/compagne per consuetudine.
Quest'anno per la prima volta, a mia memoria, anche giornata di sciopero nazionale: treni e metropolitane ferme per protestare contro le discriminazioni, contro le violenze, contro i soprusi.
Finché non esisterà altro strumento per protestare, lo sciopero sarà l'unico mezzo per creare "disagi" che servano a lanciare un segnale alle persone: ci siamo anche noi, coi nostri problemi, a casa e al lavoro, tutti i giorni.
Lunedì sera Presa diretta parlava della vita di inferno che vivono i disabili in Italia e anche dei loro familiari: le cure, le medicine, le sedute di fisioterapia per la Sla, il Parkinson, sono sempre più spesso a carico delle famiglie (specie dopo i tagli ai fondi sociali da parte dello Stato). E quando si parla di famiglie si intende quasi sempre di donne.
Donne che non possono lavorare, che devono sacrificare il loro tempo senza che nessuno riconosca questo loro lavoro.
All'estero, in molti paesi più civili del nostro, questo lavoro è riconosciuto dalla legge ed ha un nome "care giver".
Ma noi siamo il paese delle lettere di licenziamento in bianco, del precariato, del welfare familiare.
Dove fare dei figli diventa un lusso per chi ha alle spalle una famiglia.
Così, tutto ad un tratto, scopriamo che in Italia si fanno sempre meno figli, siamo tornati ai tempi della guerra.
Una guerra contro le fasce deboli e, dunque, anche contro le donne.
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