Ad Aosta proprio sotto le festività era esplosa l’ennesima moda importata e di cui, secondo il vicequestore Schiavone, si poteva in tutta tranquillità fare a meno: i canti natalizi eseguiti da cori eterogenei di anziani sgretolati, bambini, adolescenti brufolosi, donne dimenticate dal tempo, uomini senza più scopi, tutti armati di candele e di una campanella per avvertire l’inizio del solenne concerto. Insieme ad Halloween, coi suoi orrendi usi, come dolcetto o scherzetto e travestimenti di un horror da cartolibreria, ai diciottesimi, quelle feste di compleanno che tendevano a somigliare a matrimoni con tanto di vestiti comprati per l’occasione, smoking e fotografie, era venuto il turno dei cori: sassoni, celtici, scandinavi o qualunque fosse la popolazione nordica ad averli creati.
«Ma perché scusa, tu pensi che Babbo Natale è una roba italiana?» gli aveva detto al telefono Furio.
«Prima della guerra chi l’aveva mai sentito? A Roma c’era la befana e basta. L’hanno portato gli americani co’ ’sta stronzata delle renne, la slitta, il Polo, gli elfi. Che cazzo so’ gli elfi? Hai mai sentito parla’ di elfi non dico a Roma, ma che ne so? a Milano? a Latina? Babbo Natale se l’è inventato la Coca-Cola. Hai visto che c’ha gli stessi colori?».
«Senti un po’, ma lì a Roma c’avete gente che canta pe’ strada?».
«No. C’avemo i pensionati co’ le candele che dicono le novene...».
Natale, il periodo delle luminarie accese per strada, dei panettoni esposti nei supermercati, della gente coi pacchetti in mano e dei canti natalizi per strada. Una bella rottura per Rocco Schiavone, siamo all’ottavo livello della sua personale classifica. Dunque non un bel momento, anche perché le ferite della passata inchiesta che ha coinvolto Sandra Bucellato, la giornalista rapita per chiedere un riscatto alla famiglia (Il passato è un morto senza cadavere), si fanno ancora sentire.
Era andato ogni giorno in ospedale. quando Sandra non era su questa terra, si limitava a guardarla, ogni tanto le parlava. Quando aveva ripreso conoscenza, le aveva portati libri e giornali. Li lasciava alla suora che poi glieli avrebbe consegnati, lui non s'era mai fatto vedere. Sandra stava cobn Fabio, non poteva e non doveva intromettersi.
Rocco non ha ancora capito se abbia veramente amato Sandra: forse amore no, ma qualcosa che gli si avvicina lo dove aver sentito, se ogni giorno è andata a trovarla in ospedale. E ora che l’ha vista uscire, abbracciata al nuovo fidanzato, cosa prova Rocco? Certo un sospiro di sollievo, ma c’è quella punturina dentro..
Nel frattempo la squadra di Rocco è coinvolta in una rapina, di quelle che si vedono nei film americani: i rapinatori hanno tenuti come ostaggi i clienti dentro la banca, tra cui lo stesso Casella, e chiedono un aereo pronto al decollo per scappare.
Rocco riesce a strappare una concessione, far uscire degli ostaggi dalla banca, quelli messi peggio: un’anziana signora che spaventata se ne torna a casa e due ragazzi, lei col problema della puntura di insulina.
Dietro la porta blindata si apriva un piccolo corridoio e finalmente, dopo l'ennesima grata, c'erano le cassette di sicurezza. Erano tutte chiuse, tranne una, la 57.
Una
volta entrati dentro la sorpresa: i ladri erano gli stessi ostaggi
liberati “ma si può cadere in un trucco così scemo” sbotta il
Questore Costa.
Persone che fingono di essere altro, indossando
una maschera, celandosi “sotto mentite spoglie”: sarà un tema
che tornerà spesso in questo romanzo, ultimo della serie di Antonio
Manzini con Rocco Schiavone, più di cinquecento pagine e mai un calo
di tensione, mai la sensazione di una parola di troppo.
Come mai Rocco si è fatto fregare in quel modo dai rapinatori? È distratto? O inizia a prendere sottogamba il suo lavoro? Non mi interessa più farlo bene, meglio lasciar scivolare la sua vita lungo per piano inclinato dove ti muovi per inerzia, non per tua volontà.
La fine della relazione con Sandra, Marina, l’amata moglie che gli appare più da tempo.
Vedeva la sua vita come uno scivolo, seguitava a slittarci sopra ma non per volontà, per inerzia.
Ma
no, quale inerzia, nonostante la sua squadra sia quella che è, si
buttano a capofitto nell’indagine per risalire ai rapinatori e
soprattutto ai tanti perché? Come mai hanno aperto solo una
cassetta? Come mai hanno lasciato quel lucchetto, un lucchetto
famoso, uno di quelli che non si aprono facilmente, con tanto di
brevetto?
È un messaggio al proprietario della cassetta? O a
qualcun altro?
Come mai una rapina per un bottino così magro?
Forse le cose non stanno come sembra. Forse anche questa rapina è una maschera che nasconde altro.
Alla Questura arriva la denuncia di una scomparsa, si tratta di un chimico che lavora in una azienda farmaceutica di cui la ex moglie non sa più nulla.
Un caso a cui dedicare poche attenzioni se non fosse per le pressioni del Questore (e della politica) per ritrovare questa persona, Aldo Pavan, uno che, a sentire i colleghi, le poche persone che frequentava, faceva una vita normale, senza scheletri negli armadi.
O forse anche questa vita era una maschera per nascondere qualcosa?
Infine, la rottura del decimo livello, l’omicidio sotto Natale, con le strade infestate dai cori dei e col freddo cane che sta facendo. Un uomo è stato trovato, per un fortuito caso, sul fondo di un lago a 1300 metri.
Non è un incidente: chi l’ha ucciso voleva assicurarsi del risultato, avendogli legato le caviglie con dei pesi. Nessun documento, certamente, come nessun altro segno di riconoscimento. Persino le scarpe.
Chi era il morto? Cosa ci faceva in quel luogo di montagna? La squadra di Rocco, con l’aggiunta anche dell’ispettrice Caterina Rispoli, si mette a lavorare su tutte le piste. Alcune labili. Quasi infinitesimali, se non fosse per le intuizioni di Michela Gambino della scientifica.
E anche per questa seconda indagine, Rocco si ritroverà di fronte ad una nuova maschera, questa volta non per nascondere il volto di una persona.
«Chissà che mi credevo. Che mi dovevo tenere alla larga, che stare con te era un errore? E invece sai una cosa?».
«Dimmela».
«Non sono mai riuscito ad ammetterlo, neanche a me stesso, che qualcosa che somigliava all'amore io l'ho sentita.»
Cinquecento e passa pagine dove si alternano le due indagini, con le amare considerazioni di Rocco, sul suo essere sempre solo, col suo dolore che è diventato come una compagna. O forse è un alibi per non lanciarsi verso nuove storie, verso un nuovo amore?
No, l’amore vero - si dice Rocco – arriva una sola volta nella vita. Per qualcuno molto sfortunato, mai.
Forse
anche Rocco sta indossando una maschera, anche lui vive una sua vita
“sotto mentite spoglie”, dove parla da solo pensando a Marina,
crogiolandosi nel suo dolore..
O forse, come si raccontano
Federico e Michele Deruta, viviamo tutti sotto mentite spoglie:
«.. gli artisti in realtà mostravano nel ritratto la parte oscura, quella brutta che vogliamo nascondere, e se la vediamo di fronte a noi all'improvviso, la rifiutiamo».
I piatti fumavano, Michele ascoltava aggiungendo un po' di parmigiano.
«Io, tu, i tuoi colleghi, i delinquenti, tutti vogliamo mostrare la parte più bella. Solo i pazzi e i depressi se ne fregano, per il resto viviamo tutti sotto mentite spoglie».
Una cosa è certa: Rocco ha dato una sua impronta alla squadra, soprattutto per quanto riguarda il dover rispettare le regole. I suoi metodi – spicci? Bruschi? – oramai sono stati assimilati dai suoi uomini, come l’ispettore Antonio Scipioni (e perfino gli irreprensibili Michela Gambino e Alberto Fumagalli)
Era diventato uomo avvicinandosi ai metodi Schiavone? O soltanto aveva cominciato a capite che la vita non era fatta di bianchi e di neri, ma poteva avere molti altri colori?
Buona lettura!
PS: la poesia di D'Intino
Lu core mio è nu martelle, batte forte fino a le stelle, batte forte 'nse ferma maje, a Rosaria mia l'amo proprio assaje.
La scheda del libro sul sito di Sellerio

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