22 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – il fondo monetario in Ucraina, la vendita di San Siro, i fondi del pnrr per la sanità, l’omicidio di Giulio Regeni e i viaggi di Eni, il protagonismo di Mori in antimafia

I 18 milioni di euro in arrivo per la sanità, dai fondi del pnrr, salveranno solo le mura degli ospedali o anche i pazienti?

Dopo la sanità, un servizio sulla fu Scala del calcio, lo stadio di San Siro, ex Meazza, che oggi rischia di essere abbattuto per lasciare spazio all’ennesima speculazione edilizia camuffata dal progetto per il nuovo stadio.

Poi un servizio su come il Fondo monetario sta aiutando l’Ucraina e un aggiornamento sulla morte del ricercatore Giulio Regeni.

Come il fondo monetario aiuta l’Ucraina

In che modo il fondo monetario sta aiutando l’Ucraina, ancora da prima della guerra che sta sostenendo dopo l’invasione dell’esercito russo?

Nel 2018 FMI ha concesso un prestito da 3,9 miliardi di dollari in cambio della liberalizzazione esplicita delle terre agricoli cedute dallo stato alle grandi multinazionali del settore agricolo.

Campi che oggi sono rovinati dalle “big pharm” che fanno un uso intenso dei prodotti chimici: Report ha racconto le proteste dei piccoli agricoltori che si trovano schiacciati da questi giganti, come Vitaly Konfederat che nel passato è stato ufficiale di una brigata di assalto e che in guerra è stato ferito al petto. Ora Vitaly è nella riserva ed è tornato a casa nella regione di Odessa, nella terra nera dell’Ucraina, la più fertile del continente che rende questo paese da secoli il granaio d’Europa

LE squadre delle grandi aziende arrivano, lavorano e se ne vanno” racconta Vitaly “noi piccoli agricoltori teniamo in vita i villaggi, gli asili, le scuole, ma nelle piccole fattorie mancano gli uomini, sono andati al fronte lasciando le terre incolte.”

La legge sulle liberalizzazioni delle terre agricole consente ai privati di acquistare fino a 10 mila ettari ed è entrata in vigore a guerra in corso nel gennaio 2024.

Anche l’Italia avrebbe voluto acquistare delle terre, anche Vitaly ha ricevuto delle richieste di acquisto della sua terra, “ma io ho combattuto al fronte per questa terra, voglio lasciarla ai miei figli, nipoti fa male vedere che lo stato lascia spazio a questi speculatori, loro possono comprare io no, ho chiesto un prestito alla banca e mi hanno risposto che non potevano darmelo perché sono un militare e potrei restare ucciso da un momento all’altro..”

La scheda del servizio: LAB REPORT: AAA UCRAINA VENDESI

Di Manuele Bonaccorsi e Chiara D’Ambrosio

Collaborazione Madi Ferrucci

L'Ucraina piegata dalla guerra rischia di vedersi sottratte le sue principali risorse: i terreni agricoli e i minerali. Non solo dalla Russia, che ha conquistato con le armi un terzo del territorio ucraino. Ma anche dagli alleati occidentali. Trump ha imposto un accordo che prevede la gestione del 50% delle royalties su qualsiasi nuova estrazione mineraria, con l'obiettivo di controllare materiali strategici per l'industria della difesa. E il Fondo monetario internazionale ha chiesto e ottenuto di liberalizzare la vendita delle terre agricole. Mentre gli agricoltori sono impegnati al fronte, poche grandi compagnie, spesso con sede in Europa e negli USA, si espandono e controllano ormai centinaia di migliaia di ettari di terreno fertile. Un modello di agroindustria che rischia di svuotare le campagne e di impoverire milioni di piccoli contadini.

Come spenderemo i fondi del Pnrr sulla sanità

Doveva essere l’occasione per rinforzare la sanità territoriale, quel presidio a tutela della nostra salute che avevamo scoperto essere fragile, per la carenza delle strutture.

Coi fondi del pnrr avremmo potuto finalmente avere ospedale sul territorio (e non solo nelle grandi città) per gestire visite ed esami e alleggerire il carico sulle grandi strutture e nei pronto soccorso.

Ma ci si è dimenticati di un aspetto importante: mancano medici e infermieri da mettere in queste case di comunità che potrebbero diventare delle strutture vuote.

Anche qui in Lombardia dove l’amministrazione di destra che governa da decenni la regioni si fregia di avere una sanità da eccellenza: il territorio della Martesana comprende 53 comuni e 630 mila abitanti ed è il distretto sanitario più popoloso della regione, ma anche qui mancano medici e infermieri tanto da essere ultima in regione coi suoi 4 sanitari per ogni mille abitanti. 13 mila cittadini poi sono senza medici di base, sono quasi 100 i posti vacanti nel 2024: tutto questo è causa di grani disagi per i cittadini che per settimane si sono dati appuntamento davanti la sede dell’azienda sanitaria per protestare.

I cittadini chiedevano ai sindaci della Martesana di attivarsi con tutti i mezzi a disposizione presso tutti gli organi competenti affinché si facciano carico della soluzione: trovare medici per assicurare un servizio garantito dalla Costituzione.

Secondo la regione in questo distretto le liste di attesa per le visite urgenti o a breve termine sono peggiorate negli ultimi anni, le dieci case di comunità previste dal piano di potenziamento sarebbero un toccasana.

Curzio Rusnati è portavoce del comitato cittadini per la salute della Martesana: per mesi hanno organizzato un presidio davanti ad una casa di comunità, nel comune di Gorgonzola, “sono venuti i funzionari della ASST” racconta a Report “a promuovere i servizi che ci sarebbero stati per i cittadini, ad accesso libero, h24..”
Ma cosa c’è veramente nella casa di comunità di Gorgonzola, inaugurata a dicembre 2022 (prima della elezioni regionali del 2023) poi chiusa a luglio 2024 per problemi alla struttura. I lavori alla struttura dovrebbero terminare a gennaio 2026: in una domenica mattina il giornalista di Report ha trovato dentro solo il medico di guardia, spostato dentro la casa di comunità.

A Report il medico racconta che al di fuori dei giorni festivi non si trova sempre un medico: “perché o ti doti della possibilità di fare le rx, la possibilità di fare emogas, elettrocardiogramma, hanno messo semplicemente qua sopra per 4 mesi un hotspot dove facevi i tamponi di influenza covid .. quello che se ne sta più grave se ne va al pronto soccorso..”

Assenti anche i servizi infermieristici promessi, non c’è nessun infermiere ad aiutare il lavoro del medici di guardia che comunque rimane in struttura fino alle 20.30. Se uno si sente male dopo vai al pronto soccorso.

Come finirà la storia delle case di comunità? Finirà che saranno date in gestione ai privati che si ritroveranno gratis nuove strutture e un bacino di utenti bisognosi di cure, a pagamento.

Il presidio medico di Palazzo Chigi

Se devi sentirti male, meglio stare a Palazzo Chigi dove è presente un presidio medico ben fornito, diversamente da quanto visto nelle case di comunità e nei pronto soccorso.

Ben dotato non solo come medici e infermieri ma anche come strumentazione sanitaria con defibrillatori, cardiografo portatile, strumenti oculistici, sei lettini, farmaci per urgenze, dispositivi vari.. quasi un pronto soccorso, forse anche troppo considerando che Palazzo Chigi si trova al centro di Roma con diversi ospedali vicini.

Quanto costa questa struttura? Palazzo Chigi non ha risposto alle domande di Report così i giornalisti hanno fatto i conti da soli: il costo del personale ammonterebbe almeno a 2,3 ml l’anno.

La scheda del servizio: PALAZZO CHIGI HOSPITAL

di Chiara De Luca

Collaborazione Eleonora Numico, Carlo Tecce

A Palazzo Chigi c’è il Presidio sanitario più invidiato d’Italia: 4 medici dirigenti, 9 infermieri e 13 amministrativi, due oculisti e un medico del lavoro per alcune ore settimanali più una convenzione con l’ASL per medici rianimatori con uno costo di 2 milioni e 300 mila euro l’anno.

A dirigere il Presidio fino a qualche settimana fa è stata la Dottoressa Brunella Vercelli che è anche medico di base a Roma. Report è andato a verificare se i pazienti comuni sono stati trattati come gli inquilini di Palazzo Chigi.

Le luci si spengono su San Siro

La canzone di Vecchioni è forse quella adatta come colonna sonora per questi ultimi mesi dello stadio di San Siro: i privati hanno fatto una proposta di acquisto che è stata giudicata congrua per lo stadio e ora potranno farci quello che vogliono.

Lo stadio fu inaugurato nel lontano 1926, il secondo anello fu costruito nel dopoguerra e solo per i mondiali di Italia 90 viene realizzata la copertura e il terzo anello.

San Siro ha una sola particolarità – racconta lo stesso Vecchioni – è solo uno stadio, non ci sono ristoranti, bar, piste per l’atletica, è solo stadio “quando sei dentor lì, il mondo non c’è più”. La storia di questo stadio finirà come la canzone, “le luci non si accenderanno più”..: sulle ceneri del vecchio stadio ne sorgerà uno nuovo attorniato da ristoranti, centri commerciali, palazzi per clientela vip.

L’appassionato di calcio è visto come un limone da spremere – racconta a Report l’ex vicesindaco di Milano Luigi Corbani – “il modello non è quello delle tartine di gamberetti ma dovrebbe essere quello della gente che vuole vedere il calcio ..”

Il sindaco Sala, ancora nel 2019 per paura che le società andassero via da Milano aveva messo il piatto anche la vendita dello stadio che, all’epoca, non era la priorità per le società.
Il Milan infatti rilanciò prima col nuovo stadio personale nel parco della Maura e, infine, a San Donato Milanese in un’area nel mezzo dell’autostrada e delle linee ferroviarie a sud di Milano.

Facendo sorgere subito la reazione negativa dei comitati locali, contrari all’opera: Innocente Curci è un esponente di questo comitato che a Report racconta di come questa zona sia un imbuto “attualmente accessibile solo da un sottopasso”.
In questo imbuto secondo il Milano sarebbero dovuti arrivare circa 70 mila tifosi ogni partita in un comune che conta solo 30 mila abitanti.

Immaginate che San Donato non ha parcheggi” spiega la consigliera di opposizione Gina Falbo “addirittura hanno immaginato per i parcheggi dello stadio di far lasciare le macchine degli ospiti della struttura all’aeroporto di Linate, alcuni hanno addirittura rappresentato i parcheggi del supermercato Esselunga.”

Il sindaco di San Donato Squeri – area centro destra – si giustifica dicendo che quel fazzoletto di terra sembra piccolo ma “guardando il progetto lo stadio ci starebbe, verrebbero fatti dei parcheggi sotto, non sono tutti sufficienti, ma noi abbiamo ad un km e mezzo circa ci sono i parcheggi della metropolitana ..”

Ma che impegno economico ha assunto il Milan per comprare l’area? Il Milan parla di 40 ml di euro, una cifra alta se si pensa che il solo San Siro potrebbe essere adesso venduto dal comune di Milano per soli 73 ml di euro.

Il terreno è stato comprato definitivamente dal Milan? Parrebbe di si, spiega la consigliera Falbo “ma questo contratto non l’ha mai visto nessuno, nemmeno il comune ha copia di questo contratto ”.

Sullo stadio San Siro c’era il vincolo della Soprintendenza che scatta, per un’opera di proprietà pubblica, dopo i 70 anni dalla costruzione e diversi comitati che si oppongono al progetto di abbattimento dello stadio si sono basati su questo vincolo.

Veronica Dini è legale del comitato San Siro: “abbiamo raccolto documentazione fotografica che dimostra il fatto che a partire dalla fine del 1954 ma sicuramente dal gennaio – giugno 55 si sono giocate partite a San Siro nelle quali il pubblico era seduto anche al secondo anello, quindi non solo era eseguito lo stadio, come richiede la legge, ma era agibile per il pubblico. La cosa singolare che è venuta fuori dall’archivio di Stato è che non ci sono stranamente proprio o documenti progettuali di San Siro..”

Il sindaco Sala si è sempre speso per il progetto di abbattimento dello stadio, sin dal 2021, usando la scusa che le squadre erano contrarie ai vari progetti di ristrutturazione (come se il compito del sindaco non fosse anche quello, essendo sindaco anche dei cittadini contrari all’abbattimento), “se le squadre non lo vogliono fare [la ristrutturazione] se qualcuno si sente più bravo di me, venga avanti..”

Così a fine 2023 si fa avanti un gruppo di professionisti guidati dall’architetto Giulio Fenyves con un progetto da ristrutturazione da 300 ml di euro, obiettivo era creare un’area dedicata ai tifosi tra il primo e il secondo anello, per dare alle squadre l’opportunità di aumentare gli introiti con ristoranti, skybox, aree alberghiere, tutte strutture con vista campo. Con tanto di copertura acustica sul tetto dello stadio per non dare fastidio al quartiere, “che questo stadio smetta di essere così rumoroso.”

Il progetto prevedeva, nel rispetto del piano regolatore, anche due torri e attività terziarie come uffici e alberghi, “abbiamo dato una risposta laica al tema” spiega l’architetto a Report, per conservare e valorizzare l’attuale impianto.

Ma la scelta politica del sindaco di Milano è stata quella di vendere lo stadio di San Siro, inserendo l’opera nel piano di alienazione del comune. Fondamentale per questo è il documento chiesto all’Agenzia delle Entrate sul valore dello stadio, che secondo l’agenzia vale 73 milioni di euro, 124 ml quello delle aree circostanti per un totale di 197 ml di euro. Significa un valore di 440 euro al metro quadro, un prezzo molto basso considerando che in centro si viaggia anche fino a 5000 euro al metro quadro.

Ma l’Agenzia delle entrate è un ente dello stato, risponde Sala, a chi dovremmo chiedere il valore dello stadio? Ma di fatto si è preso a scatola chiuso quello che ha riportato nel suo documento – commenta l’ex vicesindaco Corbani che aggiunge “a Parigi il sindaco Hidalgo di fronte al qatariota che gli proponeva di acquistare il Parco dei Principi per 50 ml gli ha risposto no, perché è un’offesa ai parigini. Anche lì il qatariota minacciava di andare da altre parti a fare lo stadio e il comune gli ha detto ‘benissimo vai da altre parte’ ..”

Che qualcosa non vada nella valutazione dell’agenzia delle entrate lo dimostra l’ultimo atto di Sala: si scopre che a fine aprile ha affidato senza gara una consulenza a due professori della Bocconi e del Politecnico per un’altra valutazione.

è stata fatta per avere maggiore certezza” ha spiegato Sala a Report per poi aggiungere “i professori sono stati scelti in base alla loro capacità, ma l’agenzia delle entrate costituisce una grande garanzia”.

Un voler tappare il buco o rafforzare la valutazione dell’agenzia?

Report ha scoperto che entrambi i consulenti scelti da Sala hanno rapporti con l’Agenzia delle Entrate: Giacomo Morri della Bocconi fa parte del comitato scientifico di una rivista dell’ADE, mentre Alessandra Oppio del Politecnico è dentro la commissione censuaria dell’Agenzia.

La scheda del servizio: LUCI SPENTE A SAN SIRO

di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

Il 3 ottobre del 2017, dopo che il Milan di Berlusconi era stato da poco venduto a Mr. Lì per 740 milioni di euro e l'Inter era già nelle mani del gruppo cinese Suning, il sindaco Sala ufficializza la volontà di ristrutturare lo stadio San Siro. È l'inizio di una telenovela che ci accompagna da quasi 8 anni e che a breve potrebbe terminare, con la vendita alle due squadre dello stadio e dell'area circostante per costruire un hotel, un centro commerciale e un nuovo impianto per aumentare i posti riservati dedicati ai tifosi. Chi realmente beneficerà della vendita è ancora un mistero, ma il sindaco tratta da 8 anni in via esclusiva con le squadre. Di sicuro c'è un profondo interesse tra la società Hynes, che qualche anno fa ha comprato l'area dell'ex-trotto accanto allo stadio per realizzare immobili, e il nuovo progetto presentato ufficialmente dalle due squadre.

Ancora sul rapimento e sull’omicidio Regeni

Report tiene accese le luci sull’omicidio Regeni, prima che prevalga l’oblio o la ragione di stato, per difendere i nostri interessi in Egitto.

Nel servizio di stasera si racconterà dei viaggi in Egitto dei vertici di Eni, all’indomani del rapimento del ricercatore italiano, come quello del numero due di Eni, il 27 gennaio. Un viaggio che equivaleva a quello di un diplomatico di alto livello – racconta a Report una fonte all’interno dell’azienda, come fosse un capo di stato.

Vella, come emerge da delle mail di cui Report è entrata in possesso, avrebbe incontrato il primo ministro egiziano, ufficialmente per definire dei dettagli per un accordo su un giacimento di gas in mare che faceva gola ad Eni. Erano però i giorni dove il governo egiziano aveva chiuso le porte a quello italiano per la scomparsa di Giulio Regeni.

In aula, nelle udienze per il processo sulla morte del nostro connazionale, l’AD di Eni è stato chiamato come testimone: quegli incontri erano per concordare gli ultimi dettagli prima di chiudere il contratto per il giacimento.

Ma il 28 febbraio 2016, dopo il ritrovamento di Regeni e quando la macchina egiziana dei depistaggi è già al lavoro, una mail interna all’Eni comunica l’arrivo di Descalzi a Il Cairo: in Eni la prima linea della dirigenza era consapevole che quella visita poteva generare imbarazzo di fronte all’opinione pubblica.

Sono i giorni in cui la diplomazia e la magistratura italiana sono ai ferri corti con le istituzioni egiziane per cui a fine febbraio il capo della security Rapisarda manda due mail, nella prima chiede che sia mantenuto il riserbo sulla visita e nella seconda aggiunge “da non diffondere..”

Viaggi riservati, non pubblicizzati: “i miei viaggi sono sempre riservati per la sicurezza mia” ha spiegato in aula lo stesso Descalzi (poi non sempre è così).

La realtà che sta dietro i comunicati ufficiali, le parole di circostanza per la morte del nostro connazionale Giulio Regeni è ben diversa e parla dei rapporti commerciali e strategici tra l’Italia e l’Egitto di Al Sisi, con a fianco l’Europa.

Per l’Italia, dopo la fine del gas russo, l’alternativa doveva essere il gas egiziano (alla faccia della transizione ecologica): lo ha ammesso lo stesso Descalzi in aula, parlando di gas dall’Algeria, dalla Libia e dall’Egitto (e pazienza se non sono proprio esempi di democrazie).

Né i nostri governi e nemmeno l’Unione Europea (vi ricordate i famosi valori occidentali che dobbiamo difendere?) può permettersi di infastidire Al Sisi – racconta a Report un diplomatico in forma anonima.

Con le bombe in Ucraina e a Gaza l’Egitto è un partner importante per l’Europa nel Mediterraneo, anche nella gestione delle politiche migratorie: ecco perché il 7 maggio 2024 il governo italiano lo inserisce nella lista dei paesi sicuri, quelli dove non esistono atti di persecuzione, tortura né altre forme di pena con trattamenti degradanti.

A voler l’Egitto nella lista dei paesi sicuri è stato il ministro degli Interni Piantedosi, dopo uno scontro col ministro degli Esteri (Tajani si era opposto proprio per la vicenda Regeni) – continua la fonte dentro la Farnesina.

Piantedosi ha dovuto forzare la mano per questa scelta: nell’aprile del 2024 Piantedosi ha scritto una lettera a Tajani in cui chiede esplicitamente che l’Egitto fosse incluso nella lista. L’Unione Europea (che nel 2024 aveva già promesso all’Egitto un pacchetto di aiuti europei da 7 miliardi) si accoda alla scelta italiana il 16 aprile 2025 inserendo Egitto e Bangladesh nella lista comune europea dei paesi sicuri.

Il giornalista di Report ha provato a chiedere al ministro Piantedosi le ragioni della sua scelta, senza ottenere una risposta, Report ha poi presentato richiesta di accesso agli atti negata dal ministero dell’Interno. 

La scheda del servizio: ALLA CORTE DEL FARAONE

di Daniele Autieri

Collaborazione Andrea Tornago, Alessandra Teichner

L’inchiesta ricostruisce le dinamiche di potere che hanno consolidato il legame profondo tra Italia e Egitto e tra il Paese guidato dal Presidente Al-Sisi e l’Unione Europea. Una delle voci autorevoli è quella del Ministro del Turismo Egiziano, Sherif Fathy, che rilascia a Report un’intervista esclusiva nella quale risponde sui rapporti politici tra il governo Meloni e il governo Al-Sisi.

L’inchiesta rivela anche i retroscena della decisione politica che ha portato all’inserimento dell’Egitto nella lista dei “Paesi sicuri” nonostante il presunto coinvolgimento di membri degli apparati di sicurezza egiziani nel rapimento, nelle torture e nell’assassinio di Giulio Regeni.

L’influenza di Mori e De Donno sulla commissione antimafia

Diceva Falcone, in una audizione al Csm, che qualora le sue ipotesi sugli omicidi politici avvenuti in Sicilia tra gli anni settanta e ottanta, fossero confermate, la storia della mafia e dell’Italia andrebbe riscritta.

Mettendo assieme, non in contrapposizione, la pista nera con quella mafiosa dietro delitti come quello del presidente della regione Mattarella.

Ma sono piste che danno fastidio, mettendo in discussione quel racconto consolatorio che si è consolidato in questi anni: la mafia è stata sconfitta, ha vinto lo stato, amen.

Non cercate altre piste dietro le stragi di mafia Capaci, via d’Amelio, altro che servizi, altro che trattativa, tutta colpa dei colleghi di Borsellino.

Questa sera Paolo Mondani si occuperà dell’attivismo del generale Mori per condizionare l’azione della commissione antimafia presieduta dalla deputata Colosimo, per spingere le indagini sulle stragi del 1992-93 verso il famoso dossier mafia-appalti, togliendo di mezzo l’imbarazzante (per il governo) pista nera. Riscrivere la storia dell’antimafia secondo una formula consolatoria e che tolga una volta e per sempre di mezzo i famosi rapporti tra mafia e politica, tra cosa nostra e apparati dello stato.

Ne parla Marco Lillo in un articolo del Fatto Quotidiano

Ranucci&C.: “Mario Mori pilota così l’antimafia”. Il generale intercettato nel 2023-‘24

di Marco Lillo

Nel racconto inedito di un investigatore le trame dell’ufficiale (indagato a Firenze) per riscrivere la storia del 1992-1993

Uno scoop che farà discutere quello annunciato da Report per la puntata di domenica dal titolo “Mori va alla guerra”: il generale dei carabinieri in pensione è stato intercettato dalla Dia di Firenze (per altri fatti) mentre parlava con ex collaboratori, avvocati, giornalisti e soggetti legati alla politica per influenzare le mosse della Commissione Antimafia, guidata dalla presidente FdI, Chiara Colosimo.

Report ricostruisce il contenuto delle conversazioni risalenti al 2023-24 grazie alle dichiarazioni di un investigatore anonimo. Mario Mori è indagato per le stragi del 1993 con l’aggravante della finalità mafiosa e terroristica. Per Mori vale la presunzione di non colpevolezza e va ricordato che è stato già processato altre tre volte per accuse diverse e sempre assolto. I pm di Firenze, coordinati allora dall’aggiunto Luca Tescaroli, gli hanno inviato a maggio 2024 un invito a comparire nel quale l’accusa era così riassunta: “Pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” eventi poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano tra maggio e luglio 1993. In particolare, secondo l’accusa, Mori era stato “informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della nazione e, in particolare, alla Torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “il quale [il 25 giugno 1993] gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”.

Lapista nera di cui Report più volte si è occupata è quella che vede coinvolte nelle stragi del 1992-93 gli stessi personaggi delle stragi degli anni ‘70, tra questi Stefano Delle Chiaie.

Nel servizio di questa sera Report rivelerà un nuovo testimone che afferma come il fondatore di Avanguardia Nazionale fosse presente a Palermo nel marzo del 1992, confermando la versione che l’allora capitano dei carabinieri Gianfranco Cavallo aveva raccolto grazie alle confidenze di Maria Romeo, sorella dell’autista di Delle Chiaie e compagna del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero: ne parla ancora Marco Lillo in un secondo articolo

Nel ’92 vidi Delle Chiaie a Palermo, era al giornale”

di Marco Lillo

Il giornalista siciliano Intervistato da Paolo Mondani. La testimonianza inedita può rilanciare la “pista nera” dietro all’attacco allo Stato da parte di Cosa Nostra

Stefano Delle Chiaie era a Palermo nel febbraio-marzo del 1992. L’ennesima smentita all’informativa dell’allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera del dicembre 1992, che negava la presenza dell’estremista di destra in Sicilia giunge da un testimone scovato da Report. Si tratta di un giornalista che allora lavorava per Il Giornale di Sicilia, Giuseppe Martorana. A Paolo Mondani, autore del servizio che andrà in onda domani, ha raccontato che il fondatore di Avanguardia Nazionale, più volte indagato per le stragi della strategia della tensione degli anni 60, 70, 80 e pure 90, ma sempre prosciolto, per due volte fu avvistato in redazione. “Una mattina vennero una coppia di persone (…) vidi un viso che conoscevo. Era Stefano Delle Chiaie (…) era l’inizio del ’92. Tra febbraio e marzo”. La testimonianza inedita è la leva argomentativa per rilanciare la ‘pista nera’ delle stragi di mafia alle quali la trasmissione di Rai3 ha dedicato già numerosi servizi. Report ripercorre la vicenda della nota dell’ottobre 1992 del capitano dei Carabinieri di Palermo (ora generale di corpo d’armata) Gianfranco Cavallo. La nota era basata sulle confidenze riferite anonimamente da Maria Romeo, sorella dell’autista di Stefano Delle Chiaie in Sicilia (Domenico Romeo) ma allo stesso tempo compagna del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero, autista del boss di Cruillas Mariano Tullio Troia.

La scheda del servizio: MORI VA ALLA GUERRA

di Paolo Mondani

Collaborazione Roberto Persia

Mentre proseguono le indagini sulla pista nera a Caltanissetta, Report aggiunge una testimonianza sulla presenza di Stefano Delle Chiaie in Sicilia a ridosso della morte di Giovanni Falcone.

A Roma invece continuano i lavori della Commissione parlamentare antimafia. Nelle ultime audizioni il generale Mori e il colonnello De Donno hanno sostenuto che proprio il dossier mafia e appalti sarebbe dietro l’accelerazione della morte di Paolo Borsellino, lanciando accuse ai magistrati della procura di Palermo quali responsabili morali della sua morte. Report propone una testimonianza che racconta quanta influenza, il generale Mori e il colonnello De Donno, avrebbero avuto sui lavori della Commissione Antimafia.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

19 giugno 2025

Segnale assente di Francois Morlupi


L'inizio - che non è l'inizio della storia

La maestra scrutò gli alunni della classe, soffermandosi su ognuno di loro. Poteva leggere nei volti felici di quei bambini una spasmodica eccitazione, dovuta al fatto che aveva annunciato loro un nuovo gioco. Un gioco in cui non c’era bisogno di scrivere e nemmeno di impegnarsi troppo..


Chi è questo alunno, diverso dagli altri, che incuriosisce tanto la maestra per l?

E cosa centra questa storia, la maestra, gli alunni e questo nuovo gioco dove non serve impegnarsi, il bambino solitario e diverso dagli altri con la nuova indagine degli agenti del commissariato di Monteverde?

Per scoprirlo dovremmo arrivare fino in fondo a quest'ultimo romanzo dello scrittore francese Francois Morlupi, italiano d'adozione, una storia dove si parla di spaccio di droga, di giovani morti inspiegabili su cui sono chiamati ad indagare i protagonisti del racconto: giovani che stanno attraversando quell'età così bella e difficile in cui tutto il mondo sembra a portata di mano.

Dove la famiglia, i genitori, le sue regole e consuetudini sembrano quasi una palla al piede per gli adolescenti.

Pochi anni prima era solo dei bambini che raccontavano tutto alla madre e ora invece si sono tramutati in estranei. Persone con cui non si riesce a parlare, per quel "segnale assente"..

Ed ora possiamo raccontare la storia dall'inizio.

Prologo

La signora Jouan aspettava fremente, seduta sulla panchina della fermata del tram Gianicolense/San Camillo, che l’8 arrivasse alle ventuno e ventidue di quella domenica 20 aprile.

Un ragazzo viene trovato morto dall'autista di un tram della linea 8 a Roma: un ragazzino come tanti, addosso una felpa e le cuffiette alle orecchie. Sembra solo che stia dormendo e forse anche per questo i tanti che si sono seduti accanto nemmeno se ne sono accorti, nonostante fosse rimasto seduto sul sedile per delle ore fermo. Colpa dell'indifferenza dei tempi moderni dove siamo tutti col viso incollato sul telefonino e non ci accorgiamo degli altri.

Si chiamava Valerio, aveva quindici anni e, cosa ancor più incredibile, nello zaino aveva un kg e mezzo di droga sintetica.

Tocca ai poliziotti del Monteverde indagare su questa brutta morte: il commissario Ansaldi si precipita sul posto svegliato nel mezzo di un sonno ristoratore ottenuto grazie alla proiezione di un film d'autore.

Nessun farmaco, nemmeno preparato da Galeno in persona, aveva mai avuto un simile effetto su di lui. Si era alzato dalla poltrona riposato come non gli succedeva da mesi.

Dal confortevole caldo della sala del cinema di quartiere, Biagio Maria Ansaldi si ritrova catapultato dentro un omicidio e, cosa ben peggiore, sotto una pioggia scrosciante. Col rischio di ammalarsi.

Poi gli venne un dubbio atroce: non aveva portato con sé l’ombrello. Avvertì un nodo alla gola, si sarebbe bagnato, con il rischio, non indifferente, di ammalarsi. Maledisse la propria stupidaggine, era stato superficiale. Aveva controllato soltanto due meteo ..

Tocca proprio ad Ansaldi e alla vice ispettrice Eugenie Loy dare la brutta notizia ai genitori di Valerio, spiegare loro che non rivedranno più il figlio consapevoli che la loro vita sarebbe cambiata e che "tutto ciò che avrebbero vissuto di felice sarebbe stato annientato da un’assenza".

Valerio era un ragazzo come tanti e non faceva uso di droghe: questo è quello che riescono a raccontargli i genitori: certo, in quella fase della sua vita era chiuso in sé stesso, la sera prima era andato a festeggiare il compleanno di un amico, Diego.

Non solo la scoperta che la droga è arrivata fin dentro il quartiere di Monteverde, ma anche lo scoprire quando ne possano essere vulnerabili anche i giovani, i nostri figli, tutti quanti.

Ecco perché bisogna muoversi con prudenza negli interrogatori con gli amici di Valerio: per non aumentare quella frattura, che sembra allargarsi sempre di più, tra gli adolescenti e la polizia.

Per non creare il rischio che si chiudano a riccio per quel famoso "segnale assente" che blocca tutte le comunicazioni.

Quella di Valerio, purtroppo, non sarà l’unica morte in questa storia aumentando così la pressione sulla squadra di Ansaldi che, ognuno a modo suo, cercherà di dare il suo contributo per trovare le risposte a tutte le domande. Da dove arriva quella droga che, ad una analisi di laboratorio, sembra un cocktail mortale? Come ha fatto Valerio ad entrare in possesso di tutte quelle pasticche?

Lo spaccio a Roma è gestito solo ad alto livello dalle mafie che si appoggiano, per arrivare ai clienti finale, ad una rete di pusher, che sono “l’ultima catena del giro .. cani sciolti” che si dividono le piazze.

Cosa c’entrano ragazzi di quindici sedici anni con la droga, lo spaccio e, in cima alla catena alimentare, le mafie? Se lo chiedono i nostri investigatori del commissariato di Monteverde e se lo chiedono anche i genitori, a cui quella morte ha sbattuto dolorosamente in faccia quel rapporto che si era interrotto cui figli, sempre più solitari ed enigmatici:

La morte definitiva del legame è quando si compone unicamente da silenzi. Se c’è un segnale disturbato riesci ancora a comunicare con il tuo interlocutore. Ci vuole pazienza, tempo, impegno, ma alla fine ci riesci, malgrado le difficoltà.

Cosa accade però in caso di segnale assente? Hai perso in partenza.

L’unica allora è cercare nuove strade nei coetanei di Valerio, nella sua scuola, nella sua cerchia di amicizie: non sarà un’indagine facile, non lo è mai quando di mezzo ci sono dei minorenni. Ma a queste difficoltà se ne aggiungono altre anche personali per la squadra di Ansaldi.

Lui per primo si trova nel mezzo di un attacco di febbre, che si somma a quella ansia che lo accompagna sin da piccolo. Ansaldi sarà costretto a misurarsela di fronte allo sguardo sbigottito dei suoi agenti, oltre alle tachipirine per difendersi dal “male” arriverà ad immaginarsi come un castello circondato da spesse mura e difeso da armieri senza paura…

Ma anche gli altri agenti stanno vivendo un momento particolare della vita: la giovane agente Alerami vuole dimostrare a tutti i costi le sue capacità, anche arrivando a mettere in difficoltà i colleghi. Leoncini sta vivendo un momento intenso della sua relazione con Esthella. Di Chiara è alla perenne ricerca dell’amore della sua vita.

La vice ispettrice Eugenie Loy si porta dentro il suo demone con cui questa volta dovrà fare i conti.

C’è poi qualcun altro che sta seguendo questa indagine nell’ombra e che è disposto a tutti pur di non far arrivare gli agenti del Monteverde verso la verità.

Sono tanti gli spunti che nascono alla fine della lettura di questo ultimo romanzo della serie con Ansaldi: c’è molta attualità a partire dalla piaga della droga, onnipresente in tutte le grandi città e contro cui le forze di polizia sembrano impotenti.

C’è il rapporto genitori e figli, quel “segnale assente” che si deve invece cercare sempre di tenere vivo, per non lasciare gli adolescenti soli di fronte al male del mondo.

Un male che è nascosto ovunque, nel mondo reale e in quello virtuale, in rete.

Un male che gli investigatori conoscono molto bene, dovendolo affrontare tutti i giorni, sapendo che ogni volta lascerà sulle loro vite dei segni permanenti. Un male che non si deve tenere dentro, come un veleno che ti uccide poco a poco:

Condividi il tuo dolore con tutti, siamo tutti colpevoli, nessuno escluso. Se non lo farai, non ne uscirai più. Ogni indagine lascia strascichi e ferite, ma questa rischia di compromettere la nostra stessa esistenza.

Si parla anche di lavoro, che una volta era considerato come un qualcosa che caratterizzava la persona, mentre oggi sembra quasi una condanna.

Come scoprirà Ansaldi dopo l’incontro col pensionato – rider.

Ansaldi scrutò il suo volto e ripeté tra sé e sé la parola ‘lavoro’. Doveva stare in pensione, altro che lavoro. Che cosa stava succedendo in Italia? Come poteva mangiare al caldo mentre il suo rider si rimetteva a pedalare sotto la pioggia?

Strana società la nostra, dove è più facile che ti arrivi a casa la pizza da uno dei tanti rider che non l’ambulanza in caso di bisogno.

C’è poi Roma, la grande capitale, coi suoi problemi di traffico, dei cantieri perennemente aperti, delle sue bellezze.

E, sempre al centro di tutto, questo personaggio che non si può non amare, il commissario Ansaldi, preda delle sue ansie, dei suoi rimorsi.

Riusciranno a sopravvivere anche a questa indagine, gli uomini del Monteverde?

Lo scopriremo alla prossima indagine.. che non arriverà subito, come scrive l’autore, i cinque del Monteverde si prenderanno una pausa, nelle ultime pagine ci vengono lasciati piccoli indizi sul loro futuro.

La scheda del libro sul sito di Salani e il pdf con le prime pagine.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


15 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – le promesse mancate sulla sanità, gli indennizzi agli agricoltori, la champions delle poste e la birra trappista

 Vi ricordate del covid? Quando la politica di fronte alle migliaia di morti, all’impreparazione in cui ci siamo trovati con la pandemia, all’assenza di un di posti letto, aveva promesso un cambio nella sanità, col passaggio da una visione ospedalo centrica ad una sanità territoriale.

Che fine hanno fatto le case di comunità? E la promessa di ridurre le liste di attesa per esami e visite?

E poi l’ospedale covid tirato su in tempi record all’interno della Fiera di Milano, finanziato con donazioni private: che fine hanno fatto quei fondi?

Gli indennizzi agli agricoltori

In caso di alluvione agricoltori vengono indennizzati, almeno sulla carta: è importante, sempre che vogliamo tenere in vita questo settore che sulla carta è tanto caro al governo sovranista e al ministro Lollobrigida, che gli indennizzi siano sostanziosi e immediati.

Ma, come racconterà il servizio di Report, spesso non avviene né una cosa né l’altra, perché esistono casi dove dopo due anni agli agricoltori non è arrivato ancora nulla, “Agricat è stato un fallimento” racconta uno di loro che non si fa problemi a scomodare il mondo politico.
Chi doveva controllare gli indennizzi erogati da questo ente che dipende dal ministero dell’agricoltura?
Secondo Antonio Diomeda – consigliere delegato del centro di assistenza agricola di confagricoltura – “non è un problema di controlli, non c’è la colpa di qualcuno, c’è una norma che va modificata, la cosa grave è se la norma non si modificasse.”
La legge andrebbe modificata in diverse parti: ad esempio in Appennino l’aiuto di Agricat è stata una falsa promessa, agli imprenditori agricoli non arriva nulla, sono in un abbandono totale, anche dopo alluvioni che hanno rovinato interi raccolti.

Un agricoltore colpito da uno di questi alluvioni, Coldiretti ha riportato la risposta di Agricat, ovvero che dagli strumenti satellitari non si vedeva l’acqua stagnante sui terreni (dunque nessun rimborso): ma avere acqua stagnante sarebbe stato impossibile perché, nel caso mostrato dal servizio di Report, il terreno ha una pendenza del 30% a 600 metri sopra il livello del mare, “se ci fosse acqua stagnante sarebbe sommersa tutta la Romagna..”

Insomma, è Agricat che ha stabilito tra i suoi criteri che se non si stagna l’acqua non c’è un danno.

LAB REPORT: PERDITA ASSICURATAIl balletto degli indennizzi

Di Antonella Cignarale

Collaborazione Evanthia Georganopoulou, Eleonora Numico

Per coprire i danni alle coltivazioni causati dalle catastrofi c’è il Fondo Mutualistico Agri-Cat. Nel 2023, anno in cui il fondo Agri-Cat diventa operativo, l’Emilia-Romagna viene travolta da due violente alluvioni nel mese di maggio, i danni stimati sono stati di 8 mld e mezzo. Un duro colpo è stato inferto alle coltivazioni del territorio, rimaste per giorni sott’acqua in pianura e franate in collina e montagna.

A due anni dalla catastrofe Report ha incontrato gli agricoltori che hanno subìto i danni dell’alluvione. Molti credevano che l’intervento del Fondo avrebbe garantito indennizzi rapidi e sostanziosi, ma non è andata così: molte aziende non hanno ancora ricevuto un euro da Agri-Cat. La società che gestisce il fondo, la Agricat srl, oltre non aver brillato per celerità nelle erogazioni, non è stata in grado di individuare al primo colpo tutte le aree agricole danneggiate per calcolarne i danni. Inoltre, il fondo ha una dotazione di 350 milioni di euro ogni anno, il 30% deriva dai contributi versati dalle aziende agricole che ricevono i finanziamenti dalla PAC, ma per le aziende gli indennizzi promessi non coprono neanche i costi delle produzioni perse.

Le promesse mancate sulla sanità pubblica

Secondo i dati della fondazione Gimbe sono 6 milioni gli italiani che hanno rinunciato alle cure a causa delle lunghe liste di attesa o per motivi economici.

Per capire se questi dati sono veri, servirebbe un confronto coi dati in mano alle regioni: ma non è facile perché, come racconta il professor Cartabellotta “le modalità con cui sono resi pubblici i dati sulle varie piattaforme regionali non sempre corrispondono ai processi che ci stanno dietro”, per esempio perché molte agende non comprendono il privato accreditato, che ci siano le liste di galleggiamento, il fatto che le liste siano chiuse, tutto questo non rende questi dati resi pubblici uno specchio fedele della realtà. Su questo - prosegue il presidente del Gimbe – è chiaro che le regioni hanno le loro responsabilità.

Così per avere dati reali il ministero della salute ha mandato i NAS a fine 2024 ad indagare sulle regioni: 3000 ispezioni in ambulatori Cup e uffici Asl. Report è venuta in possesso di un documento esclusivo dove i Nas scrivono che nel 27% dei casi ci sono evidenti criticità a partire dallo sforamento del tempo di ricovero o tempo di visita massimo previsto sulla ricetta. Poi ci sono 184 strutture che avevano le liste non accessibili (le agende chiuse, cosa vietata), errori nelle priorità delle prenotazioni e irregolarità nell’attività di intramoenia.

In Lombardia, a Brescia, si sforano di 42 giorni i tempi per visite urgenti in dermatologia invece che 72 ore; a Cremona ci sono ritardi su tutte le prime visite di endocrinologia, dermatologia e gastroenterologia ma anche per colonscopia ed ecodoppler. A Milano poi i Nas segnalano che alcuni pazienti visitati in intramoenia (libera professione) da medici interni sarebbero poi stati agevolati illecitamente per saltare la lista d’attesa. Il segnale dal sistema è chiaro: se paghi passi davanti a tutti.

C’è un quadro sicuramente molto migliore a quello che ho letto delle altre regioni italiane” commenta a Report l’assessore al Welfare Bertolaso: ma sulle liste di attesa la Lombardia, la regione dell’eccellenza, siamo al “mal comune mezzo gaudio”.

Il problema delle liste d’attesa è un dramma per molti italiani, costretti a rinunciare alle cure: così importante da meritare uno spazio persino nel discorso di fine del presidente Mattarella, perché qui c’è di mezzo la vita delle persone.

Report racconterà la storia di Ilaria De Piscopo, insegnante precaria che ha dovuto rinunciare proprio alle cure perché priva delle risorse necessarie per farvi fronte. Ilaria, nel gennaio di quest’anno, nel corso di una visita a Nocera da un otorino a pagamento, scopre di avere un polipo alla corda vocale destra e le è stato dunque detto che doveva operarsi.

Abbiamo chiesto i tempi e mi è stato detto che c’erano un paio d’anni perché la lista d’attesa è lunghissima..” ha raccontato l’insegnante a Report.

Questi due anni erano un’attesa che non poteva essere accettata, perché Ilaria non riusciva a parlare né a respirare: così il medico le propose un’alternativa, quella dell’intramoenia, ovvero pagarsi di tasca sua l’operazione per un costo da 4500 euro.

Per me 4500 euro sono tantissimi per un qualcosa che potrei comunque fare in ospedale” il commento di Ilaria.

Report è andata a verificare i veri tempi di attesa e anziché due anni erano 14 mesi, comunque tanti: il messaggio che passa da vicende come queste è devastante, se il paziente paga può fare quello che vuole. Anche sulla cifra dell’intervento i conti non tornano.

C’è poi il tema delle case di comunità: dovevano essere finanziate dal pnrr, dove però il legislatore si è dimenticato di metterci dentro medici e infermieri.

Sono state inaugurate in pompa magna qui in Lombardia dall’allora assessora Moratti, ma erano ancora i tempi delle elezioni regionali.


Com’è andata a finire? Report ha visitato
la nuova casa di comunità di Cernusco sul Naviglio, era previsto fosse finanziata coi fondi del pnrr in un edificio nuovo di zecca. Ma poi i fondi sono stati dirottati altrove e, senza i fondi della regione, è stata riadattata la vecchia sede del medico di guardia. Avrebbero dovuto essere strutture aperte tutto il giorno, per snellire il carico sugli ospedali e i pronto soccorso, ma alla fine in assenza di personale, sono strutture che spesso devono rimanere chiuse.

Dunque, la promessa di un potenziamento della sanità territoriale, una delle lezioni da imparare dopo il covid, non è stata mantenuta. E nemmeno si sono potenziati gli ospedali pubblici: Report racconterà la vicenda del Sacco di Milano che ha perso completamente il reparto di cardiochirurgia e la terapia intensiva.

Ne parla il direttore responsabile di cardiologia Maurizio Viecca: “quando una cardiologia non ha più la spalla della cardiochirurgia, ovviamente ne risente, soprattutto l’emodinamica. Per esempio per legge ci vuole presente un’equipe cardiochirurgica che interviene in caso di complicazioni ..”

La cardiochirugia del Sacco viene chiusa ufficialmente nel 2022 per trasferirla al Policlinico di Milano: “l’assessore Moratti, con la scusa dei trapianti portò la cardiochirurgia al Policlinico ma lì i trapianti non li hanno mai fatti, quindi è stata una scusa patetica ..”

Al Policlinico nemmeno c’era un primario – continua il racconto del dottor Viecca – “è stato fatto un concorso, poi il risultato di questo concorso non andava bene, per cui adesso lo rifaranno”. Dopo tre anni dal trasferimento il primario ancora manca e così la terapia intensiva cardiochirurgica è sparita: al Sacco una volta si facevano tre interventi al giorno e oggi al Policlinico se ne fa uno solo al giorno, al Sacco c’erano 30 posti letto mentre al Policlinico ce ne sono solo 12, “qualcuno dovrebbe spiegarmi perché la cardiochirurgia è stata trasferita, funzionava bene, aveva un’esperienza trentennale..” si chiede oggi il dottor Viecca.
La risposta sta a pochi km di distanza: poco distante dal sacco sempre nel 2022 apre il Galeazzi Sant’Ambrogio, il nuovo polo ospedaliero del gruppo privato San Donato: di fatto si è voluto favorire tramite una scelta della regione Lombardia, un privato che, nel nuovo ospedale, ha fatto dentro la la cardiologia, la cardiochirurgia e l’ortopedia.

La scheda del servizio: LA LUNGA E VIGILE ATTESA

di Giulio Valesini, Lidia Galeazzo e Cataldo Ciccolella

Collaborazione Alessia Pelagaggi

Nel 2024 quasi 6 milioni di pazienti hanno rinunciato a prestazioni sanitarie a causa di lunghe liste di attesa o per motivi economici. Anni di tagli alla sanità e fuga di medici e infermieri prima, poi il Covid che ha bloccato ospedali e ambulatori. È ormai esperienza comune chiamare il centralino regionale e sentirsi offrire una colonscopia o un ecocardiogramma per l'anno successivo. Cosa stanno facendo le Regioni per risolvere il problema? E che risultati ha ottenuto il Ministro della Salute Orazio Schillaci con la sua legge per abbattere le attese? Report ha indagato sul campo per scoprire qual è la situazione reale.

La vicenda dell’ospedale Covid in Fiera.

Nei giorni di marzo 2020 il covid fa chiudere l’Italia così, nei padiglioni della Fiera di Milano, si decide di allestire un nuovo ospedale covid sotto la supervisione di Guido Bertolaso.

I primi quattro moduli vengono inaugurati dall’arcivescovo Delpini il 31 marzo 2020. Un ospedale di altissima qualità – così veniva presentato dal presidente Fontana. Pazzali, il presidente della fondazione Fiera lo presentava come un miracolo, abbiamo fatto in 10 giorni quello che normalmente si fa in un anno. Bertolaso logiava l’allestimento di 250 letti per terapia intensiva “una grande struttura dotata tra l’altro di tutti quei servizi diagnostici per un centro di questo livello..”

Per realizzare questo ospedale furono raccolti in donazioni oltre 25 ml di euro: tra i donatori c’era anche lo studio dell’avvocato La Scala che contribuì con 10mila euro.

Ecco, che ne è stato di quelle donazioni? Quanti letti in terapia intensiva sono stati effettivamente comprati? Nessuno ci ha mai detto niente – commenta oggi l’avvocato – e soprattutto nessuno ci ha detto che fine ha fatto l’investimento.

A giugno 2023 è stata firmata una convenzione per trasferire i beni dell’ex ospedale a Gallarate in un ex deposito dell’aeronautica militare dove la regione Lombardia vuole realizzare il nuovo hub per le emergenze sanitarie.

Quell’ospedale non esiste più – racconta oggi l’assessore Bertolaso -è stato trasferito, ma rimane orgoiglioso di quesll’ospedfale che è stato chiamato come lui “Bertolaso hospital”.

Lì sono stati ricoverati 538 pazienti, su 221 posti letti iniziali ne sono stati realizzati solo 157: dove sono oggi questi letti? Sono stoccati in alcuni depositi in attesa del completamento del grande centro da realizzare a Gallarate, spiega Bertolaso alla giornalista di Report.

Riuscirà Claudia Di Pasquale a visitare l’hub di Gallarate come promesso da Bertolaso?

Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano ha pubblicato un’anticipazione del servizio:

L’ospedale Covid alla Fiera: dopo 5 anni tutto nei depositi

di Alessandro Mantovani

Sulle tracce dei letti e degli strumenti dell’“Astronave” milanese di Bertolaso, costati 14,5 mln. Terapie intensive: 40% dei fondi non spesi

Ricordate, quando il Covid travolse la Lombardia nel 2020, l’ospedale tirato su di corsa in due padiglioni della Fiera di Milano? Fu un’idea di Guido Bertolaso, oggi assessore regionale al Welfare. Lo chiamavano “l’astronave”. Molti clinici non condividevano la scelta di separare le terapie intensive dagli altri reparti e di dividere medici e infermieri su diverse strutture. Passò alla storia per un costo enorme a fronte di appena 538 pazienti ricoverati tra l’autunno 2020 e il 2022: dovevano essere 400 letti, poi 300, poi 221 e alla fine 157. Secondo i rendiconti oggi disponibili spesero 14 milioni e mezzo su 25 milioni di donazioni, senza contare i costi del personale.

Report stasera su Rai3 ci racconta che (brutta) fine ha fatto gran parte delle attrezzature comprate allora e passate alla Fondazione del Policlinico di Milano, che sta costruendo un nuovo ospedale: “Verranno quasi tutte riutilizzate in parte, quelle che si può”, assicurano. Ma a tre anni dalla chiusura dell’“astronave” stanno per lo più nel magazzini, in particolare a Gallarate in un ex deposito dell’Aeronautica già usato per le vaccinazioni Covid e destinato – pare nel 2028 – a diventare un hub per le emergenze sanitarie. Alcuni letti non si capisce dove siano. Ci sono poi monitor, ventilatori polmonari, flussimetri, umidificatori, generatori per caschi cpap: “Hanno bisogno di temperature basse, di manutenzione e di essere attivati periodicamente – dice Maria Rozza, consigliere Pd in Lombardia – È chiaro che le temperature d’estate sono a 50 gradi e d’inverno magari sottozero”. Altri letti comprati allora non potevano essere utilizzati perché privi del marchio Ce: sono al vecchio Sant’Anna di Como, chiuso.

La scheda del servizio: AD OSPEDAL DONATO…

di Claudia Di Pasquale

Collaborazione Giulia Sabella

Sono passati cinque anni dallo scoppio dell'emergenza Covid, la regione più colpita allora è stata la Lombardia. Qui per far fronte alla pandemia fu allestito in pochi giorni un ospedale Covid all'interno della Fiera, grazie alle donazioni di tante imprese e cittadini. Ma che fine hanno fatto tutti i letti, le apparecchiature e le attrezzature acquistate in quelle drammatiche settimane?

All’interno delle Poste

Ecco a cosa serve l’informazione libera e indipendente: a raccontare storie, come quelle che verranno mostrate stasera, su dei brutti comportamenti dentro il mondo di Poste Italiane.
Dei consulenti finanziari all’interno di Poste avrebbero concesso prestiti concessi a clienti senza i necessari requisiti, in cambio di finanziamenti fittizi per lavori di ristrutturazione.

Certo i clienti non dovevano fare questi lavori – racconta a Report un ex consulente finanziario di Poste a Report: “molte volte erano ignari del tipo di prestito che veniva loro proposto e cosa succedeva? Puntualmente i nostri responsabili creavano ad hoc dei preventivi non veritieri , non fatti dalle aziende, da caricare nelle pratiche..”

I preventivi non erano veri, erano preventivi falsi forniti dai responsabili commerciali di zona in maggior parte.
Tra i consulenti – continua il servizio – giravano dei moduli per preventivi per ristrutturazioni edili pre impostati dove bastava modificare il saldo finale in base al prestito chiesto dal cliente.

Preventivi nei quali la stessa ditta, che avrebbe dovuto provvedere alla ristrutturazione è completamente all’oscuro: Report è andata a sentire i responsabili di queste aziende che sono rimasti sgomenti di fronte a queste carte, dei documenti totalmente fasulli.

Oltre ai finti finanziamenti, una sorta di storno (per non dire pizzo) sui prestiti erogati, ci sono altre storie emerse dalle tante segnalazioni arrivate alla redazione di Report: un altro ex consulente finanziario racconta di aver convito un cliente (che aveva bisogno di denaro) alla cessione del quinto sullo stipendio piuttosto che riscattare la vecchia polizza. Il quinto dello stipendio garantisce un tasso di interesse anche del 10% mentre il riscatto della polizza avrebbe tolto soldi a Poste italiane.

Di fatto si è consigliato ad un cliente di poste di indebitarsi, un consiglio che non guarda all’interesse del cliente ma solo al profitto dell’azienda.

Nella chat dove l’ex consulente presentava questa storia si responsabili commerciali i commenti ricevuti erano tutti positivi, dalla referente protezione al referente finanziamenti fino alla referente commerciale che invita il consulente a vendere al cliente altri prodotti..

Il gioco che si fa alle spalle dei clienti lo si comprende meglio da un’altra chat dove un consulente spiega di aver venduto 5000 euro di BTP, ma siccome sui BTP i margini di Poste sono minori rispetto ai suoi prodotti i referenti del consulente non sono contenti: è intervenuta subito la referente commerciale che scrive in chat con la faccina allarmata “ancora BTP”?

Altro consulente e altri 75mila euro in BTP e ancora una volta la responsabile che li ammonisce, state facendo troppi BTP e pochi prodotti di Poste, “basta coi BTP” scrive la responsabile, “devono essere esclusi dalla champions e ora dobbiamo compensare con la raccolta che deve superare di almeno l’80% i BTP sottoscritti”..

Esiste effettivamente una sorta di champions, una competizione tra gli analisti che vendono prodotti finanziari ai clienti, all’interno delle filiali di Poste: vince chi vende più prodotti di Poste italiane, chi si distingue va a Roma a festeggiare la vittoria..

E i clienti cosa ne pensano?

E la magistratura?

La scheda del servizio: LA CHAMPIONS DI POSTE

di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

Dopo la puntata del marzo scorso su Poste Italiane, la redazione di Report è stata invasa da decine di segnalazioni da parte di alcuni dipendenti. Un vero e proprio vaso di pandora, per raccontare cosa non va nella loro azienda. Nel frattempo, in Veneto qualcosa si è mosso. A marzo scorso la Guardia di Finanza è andata negli uffici postali della provincia di Belluno, quelli raccontati nella precedente puntata dedicata a Poste Italiane. Questa volta, però, non abbiamo parlato soltanto con i portalettere: siamo stati contattati da un gruppo di oltre 100 consulenti postali che hanno raccontato quali prodotti devono piazzare ai clienti. Inoltre, Report ha scoperto, con documenti esclusivi, come vengono erogati prestiti a chi non ha le garanzie adatte: attraverso la presentazione di preventivi di lavori di ristrutturazione che però non vengono mai fatti.

Le birre di Abbazia

Bernardo Iovene torna ad occuparsi di birra dopo il servizio di settimana scorsa: dopo le birre artigianali vere e quelle fintamente artigianali, ora tocca alle birre prodotte nelle abbazie, le birre prodotte dai monaci dell’ordine di Trappa.

Come quella prodotta in Belgio dai monaci trappisti di Notre Dame de Scourmont: qui i monaci producono birra da 150 anni, la Chimay, ma l’abate chiarisce subito che quello che conta per loro è la vita monastica, poi la birra e quello che possono fare grazie alla vendita di questa birra.

I ricavi vanno in parte all’abbazia, alla comunità monastica, una parte ad una associazione di solidarietà ad altre comunità monastiche per assistenza sociale e medica in Belgio e in tutto il mondo, in particolare in Africa. Poi una terza parte va ad una fondazione che si occupa dei comuni nella regione dell’abbazia.

I monaci bevono la loro birra? Solo durante le feste religiose o quando ci sono ospiti, ammette l’abate.

La produzione della birra all’interno delle mura è affidata a dei laici sotto il controllo di don Damien, l’abate: Alessandro Bonin, l’export manager di Chimmay ha accompagnato Iovene nella zona di produzione, gli ingredienti della birra, come il lievito, lo stesso da 70 anni, che viene trattato come una ampolla santa nei laboratori, la forma delle cellule viene controllata continuamente, che deve essere un po’ allungata a fagiolo.

La scheda del servizio: ORA ET BEVI BIRRA

di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo

Le birre Leffe e Grimbergen si definiscono birre di abbazia, in realtà sono prodotte da 2 multinazionali, AB-inBev per la Leffe e Carlsberg per la birra Grimbergen. Le trappiste invece sono vere birre d’abbazia, e hanno regole precise: produzione in abbazia, controllo dei monaci e ricavi destinati alla beneficenza. La troupe di Report è stata in due abbazie trappiste in Belgio e ha verificato tutte le attività di beneficenza finanziate con i proventi della birra. Infine, con i maggiori esperti del settore Report ha fatto un confronto tra le birre d’abbazia prodotte dalle multinazionali e le birre trappiste.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

14 giugno 2025

La curva dell'oblio di Gian Andrea Cerone


Prologo Alta Val di Fassa.

Tardo autunno 2012

Arresta la sua corsa su uno spuntone di roccia a strapiombo sul nulla. Si guarda intorno circospetto e prende fiato, in attesa che dalla vallata si alzi un qualunque rumore. Il respiro è un vapore denso nell’aria gelida dell’alba. Rimane lì, paziente, gli occhi che accarezzano le chiome dei sempreverdi ed esplorano i prati sferzati dal vento.

Poi finalmente, la vede.

La donna che pochi minuti prima gli era sfrecciata accanto nei pressi della fonte..

E' una doppia indagine quella che dovranno affrontare gli agenti dell'unità crimini violenti della Questura di Milano.

La prima riguarda un comma 22, un assassino seriale che uccide seguendo un suo piano di vendetta agghindando le sue vittime secondo un rito preciso dopo averle seviziate per giorni.

E poi una seconda indagine, calata direttamente dai piani alti, su un cold case che interessa un importante politico di Trento e che costringerà il commissario Mandelli a salire in montagna.

GIORNO UNO 1
«C’è aria di neve.» Il commissario Mario Mandelli sigilla il bidone dell’immondizia, chiude la finestra del terrazzo e cerca il profilo di sua moglie nella penombra della cucina.

Siamo a gennaio, nel mese che una volta significava freddo e neve, quella neve che oggi suscita solo ricordi del passato: in una mansarda di un edificio abbandonato a Lambrate viene ritrovato il cadavere di un uomo su una brandina. L'assassino gli ha levato il sangue, un poco alla volta, cercando di tenerlo sempre in vita per prolungarne il dolore. Altri particolari, non meno macabri, arricchiscono la scena del delitto: "una maschera medievale gli copre completamente il viso. Sull’ovale di cuoio nero, all’altezza degli occhi, si aprono due fori tondi ..".

Si tratta di una riproduzione di una vecchia maschera in uso ai medici all'epoca della peste.

«E di quella cosa mi dite?» domanda Casalegno, indicando una piccola cornice in legno di betulla in equilibrio sulla spalliera del letto.

Sul letto, dentro una cornice, la foto di una rosa.

Ancora una volta il male mostra il suo volto terrificante e la squadra di Mandelli dovrà nuovamente mettere assieme tutti i tasselli della storia, decifrando i segni, le firme lasciata dall'assassino (la rosa, la maschera, cosa vogliono significare?). Per trovare la causa di questo male, sapendo che questo lascerà dentro di loro un'eredità che si ricorderanno a lungo.

E poi c'è l'altra indagine, che viene calata dall'alto agli uomini dell'UACV, su pressioni del senatore Giosuè Roner-Alpago:

«Si tratta di un cold case riaperto da poco. Gli ordini che abbiamo ricevuto prevedono che siate voi due a supervisionare la nuova indagine..»

Il figlio del senatore Roner-Alpago (un animale politico che era riuscito a passare indenne dalla prima alla seconda repubblica mantenendo intatto il suo potere) era stato ritrovato morto sul fondo di un canalone nel 2012. La sua morte era stata archiviata come un incidente ma il padre non si era mai rassegnato a quelle conclusioni e alla fine, smuovendo tutte le sue conoscenze fino al ministero della Giustizia, era riuscito a far riaprire il caso, come ultimo desiderio prima della sua morte per una malattia che lo ha condannato al letto.

Ed ecco che questo cold case su in Val di Fassa, dove ha casa il senatore, è stato assegnato ai due migliori investigatori di crimini violenti, il commissario Mario Mandelli e il suo ispettore Antonio Casalegno, prossimo alla paternità.

Mandelli sa come arrivano queste richieste, quando si muove la politica, è inutile protestare, meglio fare buon visto a cattivo gioco anche se questo significa lasciare l’indagine milanese nelle mani della vice ispettrice Dei Cas, la tosta poliziotta valtellinese prossima alla maternità e al resto della squadra.

In effetti questa indagine ha qualcosa che stimola l’attenzione, la curiosità di Mandelli: a Trento incontrano l’ispettore Thun, che ha seguito tutta la storia: la morte di Elias Roner Alpago potrebbe essere legata ad altre morti, di ragazze più giovani. E quella casa c’è una strana atmosfera, come i membri della famiglia, la moglie del senatore, le figlie, l’infermiera, volessero nascondere qualcosa..

Le indagini diventano così due: a Milano la squadra di Mandelli segue tutte le piste che questo nuovo assassino ha lasciato dietro, la rosa, la maschera da medico della peste.. Un assassino che auto definisce “lo stregone”, che sa di aver davanti una missione, una vendetta per provare a calmare tutto il dolore che si porta dentro.

A qualche centinaia di chilometri di distanza, e con una temperatura molto al di sotto dello zero, Mandelli e Casalegno, si ritroveranno dentro una indagine particolare. È come se la distanza dalla città li avesse catapultati dentro un mondo magico, con un “camoscio” molto taciturno che forse sa qualcosa di quelle morti, delle fate che si aggirano per i boschi per vendicarsi dei demoni crudeli ..

Un oceano bianco circondato dagli immensi bastioni dolomitici della Croda di Re Laurino, dalla parete nord del Catinaccio e dalle celebri Torri del Vajolet.

Di fronte allo spettacolare panorama del Rosengarten (ancora una volta una rosa..), la conca del Gartl, una delle zone più belle delle Dolimiti, Mandelli si trova a chiedere come sia possibile che in uno stesso luogo possano convivere il male e tanta bellezza?

Come mia questo titolo, la “curva dell'oblio”? Qui il senso è duplice e si lega sia il luogo dove sono avvenuti una serie di delitti in val di Fassa (la Fonte dell’Oblio), sia l'oblio che cancella o attenua i nostro ricordi. O almeno dovrebbe farlo: sta scritto nel manuale degli investigatori "‘la ritenzione mnemonica di eventi criminosi da parte dei testimoni è soggetta alla curva dell’oblio’. È per questo che le deposizioni vanno raccolte il prima possibile.. "

Ma, il sempre poetico commissario Mandelli, il dolore che causa il male, quel male che i poliziotti della sua squadra devono affrontare in ogni indagine, quello non verrò mai attenuato dalla curva dell’oblio.

[Mandelli] Riflette sulla potenza del dolore e sull’impatto che può avere sull’esistenza delle persone. Una locomotiva lanciata a piena velocità contro la tua routine quotidiana; se hai la sfortuna di essere sulla sua traiettoria e sopravvivi, ti ritrovi a vivere una vita ferita. Nessuna curva dell’oblio che ti aiuti a dimenticare il dolore.

Questo romanzo è un viaggio tra le vette alpine e i meandri della memoria, quella memoria che ancora porta dentro di sé gli strascichi del male e che lasciano un segno ancora oggi.

Un viaggio dove l’autore, Gian Andrea Cerone, ha lasciato più spazio alle riflessioni dei protagonisti che non al racconto della parte investigativa, che qui, rispetto ai precedenti libri della serie, viene sviluppata meno.

Scopriamo qualcosa di più del passato di alcuni protagonisti, come Caterina la tosta valtellinese ora nei mamma. E lo stesso succede ad Antonio e a quel mistero nel suo passato, legato al padre violento.

Nell’intervista concessa a Repubblica per presentare questo libro, Gian Andrea Cerone si sofferma sulla memoria (e sull’oblio) di Milano, che “deve ricordarsi di esssere stata una città che sull’accoglienza e sull’apertura ha costruito la sua etica calvinista, la propria generosità. Da narratore sono preoccupato, si è dimenticata di proteggere l’umanità che la caratterizza antropologicamente, i palazzi in mano ai fondi conducono all’oblio”.

La scheda del libro sul sito di Guanda

Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon