08 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – come si beve la birra, la fine della sanità pubblica, il pnrr in Sicilia e la vittoria dei sovranisti in Polonia

Come si deve bere una birra? Bernardo Iovene spiegherà in che modo va bevuta per gustarla al meglio senza avere problemi con la schiuma, l’anidride carbonica e quello che c’è dentro.

Poi un servizio sulla crisi della sanità pubblica: i pronti soccorsi dove si attende ore su una barella, alla finta promessa delle case di comunità e alla medicina territoriale che ancora manca.

Il treno perduto del PNRR in Sicilia

Il presidente della Sicilia Schifani si accorge ora che i progetti finanziati dal PNRR sono in ritardo. Se il presidente si fosse occupato prima (come per il concerto de Il Volo) della preparazione e presentazione dei progetti, forse la Sicilia non si sarebbe trovata in questa situazione: si è perso un altro treno per modernizzare l’isola e aiutare i siciliani.

LAB REPORT: IL GRANDE FLOP

di Danilo Procaccianti

Collaborazione Eleonora Numico

La spesa PNRR in Sicilia è al palo, tutti i progetti sono in ritardo e il presidente Schifani ha convocato una riunione urgente per capire cosa non funziona. A Palermo il caso più evidente è quello degli asili nido dove su decine di progetti solo tre sono effettivamente in costruzione.

Come si beve la birra?

La famosa schiuma che tanti disprezzano (e io non sono tra questi) ha in realtà una funzione protettiva: questo il primo insegnamento del servizio di Bernardo Iovene che andrà in onda questa sera. Lo strato di schiuma evita che la birra subisca il processo di ossidazione entrando in contatto con l’aria e poi, questa la cosa più importante, è tutta anidride carbonica che evitiamo di ingerire.

È per questo che la birra, anche quella in bottiglia, sia “spilllata” in un bicchiere, seguendo una certa procedura, per formare lo strato di schiuma ed evitare di ingerire co2 e sentirsi subito gonfi (e far entrare più alcool nel sangue). La schiuma protegge ed esalta gli aromi: i suoi ingredienti base sono malto, luppolo, acqua, lievito e co2 appunto, che va “creata” sul bordo del bicchiere ma non va bevuta. E nemmeno ci devono essere bollicine di gas dentro il bicchiere.
Anche quando si beve dalla bottiglia dunque la birra versata in un bicchiere dove deve essere fatta formare la schiuma: questa è una indicazione importante anche per i giovani, che devono stare attenti a non abusare con l’alcool, se la birra è spillata nel modo giusto possono guidare, altrimenti è meglio se non si mettono in macchina.


Niente birre a canna dunque, nemmeno per quelle che sono indicate come meno gassate.
Il servizio poi prosegue con una valutazione delle birre più vendute in Italia, con l’aiuto di un mastro birraio (Luigi D’Amelio) e di uno spillatore esperto: tra queste la Corona che, in Messico dove nasce, viene bevuta col Lime, per tenere lontani i pappataci presenti negli ambienti tropicali. Anche questa birra va versata nel bicchiere facendo crescere un bel livello di schiuma per evitare di avere un effetto palloncino nello stomaco per la co2.

Per il mastro birraio, l’odore della Corona ricorda quello della cimice schiacciata, si sente l’uso del mais – aggiunge lo spillatore Francesco Reale – possiamo definirlo odore e non bouquet, non profumo. Tutte cose che nei corsi di degustazione sono descritte come difetti: se la si beve col limone, a canna, fredda, tutto questo passa in secondo piano, la birra migliora.

Un’altra birra che si beve a canna è la Ceres, chiamata per legge una birra doppio malto, ma non vuol dire che è presente due volte la quantità di malto: dentro si sente una nota di alcool, di etilico, che non è il massimo, spiega il mastro, è anzi fastidiosa e stucchevole assieme alla nota dolce. C’è anche poco corpo, la si beve e ci si rende conto subito che si sta bevendo una birra importante dal punto di vista alcoolico, perché va giù. Per la Ceres è doppiamente sbagliato berla a canna perché i 7 gradi diventano per sensazione 14 gradi, versandola nel bicchiere ci si accorge prima che si sta bevendo una birra più alcoolica.

Parente stretta della Ceres per chi cerca alcool è la Tennet’s: la bassa fermentazione da bevibilità, siamo a 9 gradi di alcool che in bocca portano ad una dolcezza molto evidente, anche con una nota metallica ancora più fastidiosa della Ceres.

C’è poi un altro segreto dietro il mondo della birra: in quali botti è stata conservata prima di metterla in commercio. Bernardo Iovene ha incontrato un birraio, Giovanni Faenza, che compra botti da tutto il mondo che precedentemente avevano conservato altri prodotti distillati, per far maturare le sue birre. È una di quelle eccellenza dei nostri artigiani birrai, poco note in Italia: “siamo talmente piccoli e presi dalla produzione e dai problemi quotidiani della produzione che in realtà ci raccontiamo poco.”
Giovanni produce un vino d’orzo che è più simile ad un amaro che ad una birra: non è una birra adatta ad un pasto, è da fine pasto o da meditazione spiega al giornalista.
Una nuova scoperta, come anche lo è scoprire che ogni stile di birra richiederebbe la stessa acqua da cui è nata: “se dobbiamo fare una birra nera andiamo a vedere il profilo d’acqua di Dublino e riproduciamo con un calcolatore l’acqua di Dublino, partendo da un’acqua morbida andiamo ad aggiungere tot ppm di calcio .. questo è il segreto.”
Con questo sistema Giovanni riesce a riprodurre degli stili risalenti al Medioevo, come la birra Gose, una birra salata di origine tedesca.
Ai tempi era la bevanda del popolo, spiega Giovanni Faenza a Iovene, serviva non solo per divertirsi ma per integrare sali minerali e oggi questa birra, tornata in vita, ha vinto un premio in Germania.

Ma qui in Italia si vendono birre industriali con etichette accattivanti: birra filtrata a freddo, espressione che non vuol dire niente a nessuno, è ancora una volta l’assaggiatore consultato da Iovene a spiegare che sono birra che hanno lo stesso sapore in tutto il mondo, dunque qualcosa degli aromi lo devi sacrificare.
Altro punto affrontato dal servizio: il colore della bottiglia che deve essere scuro per evitare che la birra prenda troppa luce, troppo calore e potrebbe ossidarsi.

Quello che danneggia la birra è l’esposizione prolungata ai raggi solari” spiega la responsabile comunicazione di Heinecken.
Alla fine alla maggioranza degli italiani le birre industriali piacciono per ignoranza – raccontano a Report sia l’esperto spillatore che il direttore del consorzio delle birre artigianali – sono birre dallo spettro gustativo limitato, è come bere la stessa birra, “se le assaggi bendato, non avrai alcuna differenza che sia filtrata, non filtrata, un po’ più scura, un po’ più chiara”.

LA degustazione si conclude con la “birra nazionale”, marchio oggi di proprietà del gruppo giapponese Asahi: la Peroni ha un gusto lievemente differente, nel tempio della birra artigianale dove Iovene ha concluso il suo servizio il campione è stata una birra industriale come la Peroni. 

LA scheda del servizio: BIRRA. E NON SAI COSA BEVI

di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo

Con schiuma e senza bolle, è il consiglio per bere una birra senza controindicazioni.

La birra è un alimento e come tale va trattato e tutelato in tutte le sue fasi fino al nostro bicchiere. Oltre all’acqua, al malto d’orzo, al luppolo e al lievito c’è la CO2 che viene sottovalutata dai gestori di pub e dai consumatori. L’anidride carbonica se consumata in eccesso può provocare disturbi allo stomaco, mal di testa il giorno dopo e alterare lo stesso sapore della birra. Attraverso l’aiuto di esperti Report indicherà il modo giusto di versare la birra nel bicchiere e l’importanza della schiuma. Report si occuperà anche del settore delle birre industriali il cui mercato è quasi totalmente in mano a poche multinazionali, compresa la birra Messina e l’Ichnusa, entrambe di proprietà di Heineken. Infine, ci occuperemo della birra artigianale ricostruendo la cosiddetta rivoluzione artigianale iniziata in Piemonte nel 1996.

L’agonia del servizio sanitario

I Pronto Soccorso sono scesi da 659 nel 2003 a 433 nel 2023, cioè meno 226 in venti anni. A fronte di un calo di accessi totali, i Pronto Soccorso superstiti sono passati ciascuno da 34mila accessi medi a quasi 42mila all’anno.

Questi i numeri della sanità pubblica, ovvero del servizio pubblico e universale che deve essere garantito a tutti i residenti in Italia, non solo i cittadini.
Un diritto sancito dalla Costituzione che è stata via via abbattuto da quasi tutti i recenti governi, per far spazio alla sanità privata, spesso legata ad ex politici o politici ancora attivi nell’ennesimo conflitto di interessi che non indigna più nessuno.
Report in questo servizio racconterà della cattiva situazione della sanità in Italia, cominciando dalla capitale: ospedale Tor Vergata, 140 mila metri quadri, un bacino d’utenza di 800mila abitanti, nel 2024 al Pronto Soccorso si sono registrati 48 mila accessi. È l’ospedale universitario caro al ministro della salute, Orazio Schillaci che, prima della nomina del 2022, era il rettore dell’Ateneo.

In un lunedì mattina qualsiasi si vedono decine di malati al pronto soccorso sulle barelle, in fila lungo gli stretti corridoi, alcuni parcheggiati lungo le porte dei bagni. Ma sono affollate anche le stanze, un’anziana signora cerca l’aiuto del cameramen di Report che ha girato le immagini perché è stata legata al letto. Con le mani.
Altri pazienti chiedono un goccio d’acqua, perché in tutte le ore che sono rimaste sulla barella nessuno è passato per dare conforto, “è da stanotte che la sto chiedendo.. neanche me pensano pe niente..”
Nessuna riservatezza per proteggere il dolore delle persone, spesso anziane, lungo i corridoi, eccetto qualche sporadico separé. I pazienti sono spogliati davanti a tutti, c’è promiscuità tra uomini e donne, quasi nessuno porta la mascherina.

Gente che è sulle barelle in attesa di una visita da quattro giorni (e altrettante notti), “ci sta gente che ci fa anche dieci giorni.. non c’era posto da nessuna parte.. non solo nei reparti, nemmeno negli altri ospedali .. se uno ha un virus addosso, te lo attacca, vedi quanto stiamo vicini, un disastro proprio..”

Nella zona boarding, coi pazienti già visitati che devono essere ricoverati, si trovano persone ferme lì da giorni perché non si sa dove metterli, nei reparti non c’è posto.

Gente che non può ricevere visite, che non riceve supporto per la pulizia personale.. il pronto soccorso è di fatto stato trasformato in un reparto di degenza abusivo e sovraffollato dove il personale non si occupa solo delle emergenze ma anche delle cure ordinarie.
Ecco perché le persone sono legate al letto: “l’infermiere si trova con 30-40 pazienti da solo, se uno deve assistere gli altri 39 si è costretti a utilizzare delle procedure che, se ci fosse personale adeguato, non servirebbero” racconta Emilio Fanicchia infermiere del pronto soccorso Simeu.

Al suo reparto ci sono 9 infermieri a turno mattina e sera, 7 la notte: però c’è del personale che viene dedicato al boarding, ovvero 4-5 infermieri: “noi dedichiamo il 50-60% del personale per reparti che non devono stare del dipartimento di emergenza.”
La carenza di personale porta al verificarsi degli errori, delle sviste: “in un reparto si va da uno a otto, uno a dieci [infermieri per paziente], in un pronto soccorso arriviamo ad essere uno a 30 ed è ovvio che se sto col medico ad assistere un certo numero di persone, potrei non accorgermi di un paziente che sta peggiorando o comunque potrei arrivare in ritardo su quel paziente. Il pronto soccorso non è che può chiudere, i pronto soccorso sono l’unico posto aperto h24 e, con la carenza che c’è sul territorio, le persone si rivolgono tutte al dipartimento di emergenza.”
La carenza sul territorio del servizio è legata alle liste di attesa lunghissime per gli esami: “quando sono in triage, la maggior parte delle persone che valuto sono persone che potrebbero trovare una alternativa ma che non ce l’hanno. Quindi vengono in pronto soccorso, perché dove devono andare?”
Questa situazione è nota ai vertici dell’ospedale: “è nota ai vertici dell’ospedale, ai vertici della regione ..”


Come commenta le immagini del servizio il presidente Rocca? “Mi sento male, non sono parole di circostanza..” risponde a Report “Tor Vergata è un problema serio, noi abbiamo mandato due ispezioni al pronto soccorso, evidentemente non sono bastate nemmeno quelle come lezione, è una cosa intollerabile per un paese civile vedere quelle scene, mi vergogno [la signora anziana che chiede un goccio d’acqua] perché non è dignitoso..”

Ecco, non è dignitoso, ma cosa sta facendo, in concreto, Rocca per salvare il sistema sanitario nella sua regione?

E cosa stanno facendo gli altri presidenti di regione, visto che la sanità è un tema regionale?

E cosa sta facendo questo governo, che si dice dalla parte del popolo? Forse non del popolo che deve subire tutto questo negli ospedali, nei pronto soccorso..

Nel 2023 per decongestionare il boarding nel pronto soccorso il presidente della regione Lazio Rocca aveva chiesto l’aiuto dei privati, RSA e ospedali accreditati: il progetto sperimentale si chiamava “gestione sovraffollamento dei pronto soccorsi”, 23 ml di euro per un tempestivo ricovero dei pazienti diceva la delibera. La fetta più grande, 10 ml di euro, era destinata a 4 ospedali privati del gruppo San Raffaele di Antonio Angelucci, senatore assenteista della Lega, partito che appoggia la coalizione di Francesco Rocca. Rocca che, per altro, era nel CDA della fondazione San Raffaele.

E’ inutile che dici che metti a disposizione x posti letto in strutture convenzionate ” commenta Sandro Petrolati responsabile emergenza Assomed “ma di che tipo? MA quali pazienti è sicuro che posso lasciare lì e non tornano indietro? Altrimenti non avremmo questo giro di pazienti che vanno e vengono dalle strutture convenzionate .. Un paziente va in un posto, sta un tot di tempo, poi però ritorna all’ospedale pubblico [o al pronto soccorso]. LA cosa dovrebbe essere, vado al pronto soccorso, mi stabilizzano, vado alla struttura convenzionata e vado a casa. Dovrebbe essere marginale la parte che ritorna alla struttura pubblica e invece non lo è..”
Il problema è che a queste strutture abbiamo dato decine di milioni in questi anni – chiede Giulio Valesini: “è stata una scelta politica, dare risorse alle strutture convenzionate non pensando che, forse, andrebbero potenziate quelle pubbliche.”
A fine 2023 per il supporto ai pronto soccorsi altri 8 ml sono andati senza una gara alla Croce Rossa di cui Francesco Rocca è stato presidente fino al 2022. L’anno scorso è emerso che alcune strutture giocavano sporco: prendevano pazienti dai pronto soccorsi degli ospedali romani e invece di tenerli ricoverati per dare fiato ai reparti di emergenza dopo alcuni giorni, incassato il rimborso dalla regione, li rispedivano in pronto soccorso.
Un “giochetto” di cui Rocca, intervistato da Report, è a conoscenza: “in alcune strutture in terza giornata scattava il DRG e dunque alla terza giornata scattava una complicazione per cui tornavano al pronto soccorso. Noi questo lo abbiamo messo nei nostri contratti: ci saranno sanzioni e decurtazioni del budget fino al 25% per chi prova a fare il furbo.”
Di fronte a certi comportamenti non si poteva ritirare l’accreditamento?

Io sanziono e taglio il budget perché inseguire il caso singolo significa esporsi a contenziosi senza fine” spiega Rocca: da quando nei contratti col privato è stata messa questa clausola questo fenomeno [di avanti e indietro dei pazienti dal pubblico al privato] si è drasticamente abbassato: la prova che i privati stavano truffando il sistema, per un totale del 15% del budget, quota oggi scesa al 3%.
La metà del budget è andata ad Angelucci: “io ho accreditato tutto l’accreditabile”, risponde Rocca, come a dire che era inevitabile dare tanti soldi ad Angelucci.

E così questa situazione di conflitto tra pubblico (non solo nella regione Lazio) e privato andrà ancora avanti.

Alessandro Mantovani oggi ha scritto una anticipazione del servizio di Giulio Valesini

Inferno pronto soccorso: la ricetta Meloni è fallita

di Alessandro Mantovani

Malati legati ai letti, in attesa di cure e acqua

Grazie a una telecamera nascosta, Report stasera ci regala un inquietante affresco dell’inferno dei Pronto soccorso, che tutti sperimentiamo da anni se ci rompiamo un braccio o abbiamo un familiare che sta male. Pazienti sulle barelle anche nei corridoi, ammassati uno accanto all’altro per giorni e giorni, perlopiù anziani, donne e uomini mischiati, costretti a cambiarsi e a spogliarsi nella totale promiscuità, tutti soli perché se entrano pure i parenti non si lavora più, spesso anche senza mascherine e dunque alla mercé di batteri e virus. C’è pure chi “dorme”, si fa per dire, su una sedia. Scene da incubo al Policlinico di Tor Vergata, legato alla seconda università pubblica della Capitale, l’ateneo di cui il ministro della Salute Orazio Schillaci era rettore, dove un’anziana chiede di essere slegata perché di notte l’hanno legata alla barella, un’altra implora “un goccetto d’acqua, è da stanotte che la sto a chiede’, non mi pensano per niente! Ho la bocca secca. Lo vede?”, dice la signora al giornalista. Poi, finalmente, l’acqua arriva.

Evidentemente la sicurezza sanitaria, la tutela della salute di tutti gli italiani (anche sul lavoro, con i 3 morti al giorno), non è una priorità di questo governo (come nemmeno dei precedenti).

La scheda del servizio: OMISSIONE DI SOCCORSO

di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella

Collaborazione Lidia Galeazzo, Alessia Pelagaggi

I Pronto Soccorso sono scesi da 659 nel 2003 a 433 nel 2023, un taglio di 226 servizi in venti anni. Quelli superstiti sono passati ciascuno da 34 mila accessi di pazienti a quasi 42 mila in media all’anno. Si finisce ad aspettare ore o persino giorni prima di una dimissione o di un ricovero. E così possono verificarsi situazioni in cui i pazienti sono privati della loro dignità e ammassati nelle corsie senza ricevere assistenza. Ma anche medici e infermieri vivono una situazione di stress e rischio aggressioni e sempre più lasciano il servizio sanitario nazionale, anche per andare all’estero. Per mettere una toppa alla carenza di personale, la Regione Lazio ha preso in affitto posti letto da strutture private, fra cui quelle del potente senatore leghista Antonio Angelucci. Molte ASL poi arruolano, attraverso cooperative, dei medici pagati a gettone che coprono i turni richiesti. È il fenomeno dei gettonisti. Report racconterà lo status quo dei Pronto Soccorso in Italia e verificherà l'efficacia delle misure del Ministro della Salute Schillaci per rispondere a una situazione ormai al collasso.

La fine dell’illusione europeista in Polonia

In Polonia quell’area politica che noi chiamiamo area progressista, è vista dai polacchi come quella delle privatizzazioni, dell’impoverimento causato dal libero mercato (ovvero del livellamento verso il basso dei salari).

Forse non lo spiega del tutto, ma potrebbe essere una chiave di lettura per comprendere il ritorno della destra anti europeista e sovranista alla presidenza: Nawrocki darà molto filo da torcere al presidente Tusk.

Il candidato del partito Diritto e Giustizio eletto presidente dopo il ballottaggio del 1 giugno: in campagna elettorale si è espresso contro l’Ucraina e contro il suo ingresso nell’Unione Europea, considerando questo paese colpevole del crimine contro 120 mila polacchi.

LA destra polacca ha fatto enormi pressioni sul governo dell’europeista Donald Tusk affinché cambiasse l’atteggiamento nei confronti dei rifugiati ucraini. Il governo prima ha cancellato il sostegno per gli alloggi, poi ha limitato i contributi per i figli a carico, le donne che non lavorano non riceveranno più nulla.

Così i profughi hanno messo in piedi una loro associazione di volontari di sostegno alle figure più fragili: Nina Omelchuck è la presidente dell’associazione Casa Fiorita che da sostegno ogni giorno a 400 famiglie e il numero cresce costantemente, a loro si rivolgono persone che non possono lavorare, disabili, anziani, madri con molti figli.

Molti spendono tutto quello che hanno per l’affitto e noi diamo loro cibo e vestiti per i loro figli” racconta Nina a Report.

Ma il 10 maggio Varsavia è stata invasa da bandiere bianco rosse per la marcia degli ultra nazionalisti polacchi contro l’immigrazione: è una sfida al governo filo europeo di Tusk a pochi giorni dalle elezioni, con ripetuti slogan contro gli immigrati e l’avversario che avrebbe consentito l’invasione della Polonia da parte dei clandestini.

E poi, dal palco, una preghiera in nome del padre e del figlio: al rosario di Salvini ancora non ci sono arrivati, ma il canovaccio della propaganda di destra è lo stesso, stop agli immigrati, stop all’ucrainizzazione della Polonia, accusati di ricevere protezione sociale senza pagare i contributi, aiutiamo gli ucraini ma non qui in Polonia .. “l’emigrazione di massa è uno strumento di guerra ibrida condotto da Lukashenko, Putin insieme all’Europa… vogliamo una Polonia sicura per le nostre madri e per le nostre mogli, non vogliamo immigrati ”

La scheda del servizio: LA CADUTA DI VARSAVIA

di Manuele Bonaccorsi e Chiara D’Ambros

Collaborazione Madi Ferrucci

Lo scorso primo giugno Karol Nawrocki è diventato Presidente della Polonia con il 50,89% dei voti e una campagna elettorale centrata su posizioni fortemente anti-immigrazione anche nei confronti degli ucraini. Dopo l’inizio dell’invasione su larga scala da parte della Russia, 3,6 milioni di Ucraini hanno trovato rifugio in Polonia. Inizialmente accolti con grande apertura, ora non sono più i benvenuti.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

05 giugno 2025

Il caso Poppy Clarke di Simon Mason

Uno

Poppy Clarke, quattro anni, nel vialetto abbagliato dal sole davanti all’asilo Magpies. Con la ridarella. Nel cuore della ricca Oxford, la Garford Road risplendeva nella calura, una lussuosa quiete tra il frusciare dei faggi rossi, il mormorio di voci delle allieve delle scuole private..

Una bambina di quattro anni è stata rapita davanti all'asilo, esclusivo e ben curato, nei pochi istanti in cui la madre è occupata in una conversazione con una maestra.

Si chiama Polly Clarke, un momento prima era sul vialetto d'uscita e un attimo dopo, Poppy non c'era più.

L'indagine è seguita dalla polizia di Oxford dall'ispettore Ray Wilkins, un detective di colore, membro dell'élite cittadina, un futuro assicurato nella polizia per il suo curriculum e per la sua capacità di occupare la scena. Telegenico, ben ricercato nel vestire.

Ray sa che c'è una buona possibilità che il responsabile del rapimento sia il padre, Richard, separato dalla moglie e con tanto di ingiunzione dal tribunale.

Ma esiste anche una seconda possibilità, che al momento nessuno vuole prendere in considerazione. Ovvero che a rapire la bambina, sebbene sia solo un cucciolo di quattro anni col suo vestito da pirata addosso, sia stato un pedofilo.

Ed allora ci sono veramente poche ore per trovare la bambina, prima che...

Non è un'indagine facile per la polizia: c'è la consapevolezza di dover fare tutto il possibile per salvare quella bambina, innocente. Ma c'è anche la tensione che si crea attorno al caso per la pressione della famiglia e della stampa.

Cosa sta facendo la polizia per salvare la piccola Polly? E' stato il padre a rapire la bambina? Come mai la mamma non si è accorta di nulla?

Ray Wilkins è un poliziotto metodico, il nuovo sovrintendente Wallace, un poliziotto vecchio stile, gli ha dato fiducia ma anche lui vuole risultati e anche in fretta.

Eppure.. eppure quella mattina, dai primi interrogatori dei testimoni, nessuno ha notato qualcosa di strano. Nemmeno le immagini delle telecamere aiutano gli investigatori, la prova che la macchina del signor Clarke fosse in quella zona in quelle ore, non si trova.

Per Ray quell'indagine arriva in un brutto momento: dopo tanti anni di tentativi, finalmente Diane, la moglie, è rimasta incinta. Di due gemelli.

Funzionavano solo i leccalecca allo zenzero. Aveva soltanto Ray. Che idea bizzarra, in realtà non aveva mai voluto nessun altro che Ray. Ma ora che c’era soltanto lui, si sentiva sola. La sua famiglia era ritornata in Nigeria

Ma questa gravidanza, anziché saldare il loro rapporto per l'arrivo dei figli, li sta allontanando.

Diane si sente abbandonata dal marito, troppo impegnato dal lavoro. Quella gravidanza la sta cambiando, non solo nel fisico.

E Ray, dall'altra parte, anziché cercare di stare più vicino alla moglie, è come se cercasse un rifugio da quella tensione in casa nel lavoro.

Ma che fine ha fatto l'altro ispettore Wilkins, Ryan Wilkins? Nel precedente romanzo avevano lavorato in coppia per risolvere un caso di omicidio avvenuto dentro una prestigiosa università di Oxford.

Non potrebbero essere più diversi i due ispettori Wilkins: Ryan, bianco, cresciuto dentro un caravan, un padre alcolizzato, insofferente alle regole, con un forte problema nel gestire la rabbia. Una sola luce nella sia vita, il piccolo Ryan Junior.

Un poliziotto molto indisciplinato, ma dotato di un intuito non indifferente.

Dall'altra parte Ray, genitori nigeriani, un istruzione prestigiosa, una laurea, poco spazio alla fantasia e all'improvvisazione e una grande attenzione alle regole come anche alla sua immagine.

Non era finita bene la loro prima esperienza come coppia di investigatori.

Dieci ore dopo, a otto chilometri di distanza, in un ufficetto angusto, puzzolente di olio di motore e caffè solubile, la guardia giurata notturna Ryan Wilkins si prese una pausa durante il suo lungo turno..

Anche Ryan, ora addetto alla sorveglianza notturna dei furgoni di una società di noleggio, si trova a dover seguire una sua indagine.

Scopre un suo amico di infanzia, Mick, mentre sta forzando uno dei furgoni.

Mick era una promessa nello sport da giovane, poi la vita per lui aveva preso una direzione sbagliata.

Così il carcere e ora questo tentativo di furto.

Mick viene trovato morto il giorno successivo: un pirata della strada lo ha falciato, uccidendolo, lungo una strada di campagna.

Un incidente? Ryan non ne è convinto: Mick aveva una strana paura addosso, una paura che Ryan non riesce a spiegarsi. E che ci faceva poi, di notte, lungo quella strada di campagna?

Sono due indagini che, almeno inizialmente, viaggiano in parallelo. Da una parte il lavoro, meticoloso, accurato, di Ray e della squadra della Thames Valley Police: le indagini all’interno della cerchia familiare per poi allargarsi a tutti quanti erano presenti quel giorno, nella scuola privata di Polly. Per arrivare poi a controllare le liste di persone condannate per reati di pedofilia.

Dall’altra le indagini, meno ufficiali e più artigianali, di Ryan: la sua compagna che gli racconta delle sue difficoltà nel trovare un lavoro, di quando si era presentato a casa un signore che gli doveva dei soldi.

Da cosa era spaventato quella notte Mick? Come mai gli aveva raccontato delle bugie, proprio a lui, un amico di infanzia?

Le due indagini arriveranno fatalmente ad unirsi e, nonostante i ripetuti richiami, Ryan si trova a lavorare sullo stesso caso di Ray, portando alle indagini le sue intuizioni e la sua capacità nel superare i problemi burocratici .. semplicemente fregandosene.

Sarà una corsa contro il tempo per trovare l’orco che ha preso Polly e sarà anche una prova fisica per l’ispettore Wilkins, Ray: si ritroverà solo a dover affrontare da una parte la tensione con Diane, la moglie. E si troverà solo anche di fronte agli insuccessi dell’indagine. Provato dal dolore nell’aver fallito come marito, come ispettore, come uomo.

Si sentiva molto solo. Il suo corpo fu attraversato da uno strano dolore e dopo un po’ lo colpì il pensiero che stava smettendo fisicamente di essere l’uomo che suo padre voleva che fosse, e anche il marito che Diane aveva pensato che fosse, e l’ispettore che il Sovrintendente esigeva che fosse.

Questo secondo romanzo di Simon Mason, della serie con gli ispettori Ray e Ryan Wilkins conferma le buone impressioni che mi aveva lasciato il primo “Omicidio a novembre”.
Ben costruita la storia e l’intreccio investigativo, molto ben raccontati i due protagonisti del racconto, così lontani ma anche uniti da uno strano legame, “una vibrazione, un momento di solidarietà o di irritazione reciproca o di un’altra cosa che non aveva un nome ma era intensa”.

Uno strano legame che alla fine di questa storia, intensa, ben scritta, che ti coinvolge sin dalle prime pagine, si consoliderà ancora di più.

La scheda del libro sul sito di Sellerio

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

01 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – l’assalto alle banche, i conti della serie A, gli allevamenti ittici

Chi c’è dietro la scalata alle Generali, la cassaforte dei risparmi degli italiani?

Poi il tanto atteso servizio sui conti dell’Inter (doveva andare in onda domenica scorsa): aveva ragione Report o chi contestava il vecchio servizio?

Nell’anteprima di LAB Report si parlerà della situazione di Gaza: non chiamatela guerra, quello che sta succedendo è la soppressione di un popolo.

Il crimine sotto i nostri occhi

Per mesi in cui si è ripetuto che quello che succedeva a Gaza era solo colpa di Hamas, che chi criticava le scelte del governo di Israele era antisemita, che i numeri dei civili uccisi dall’esercito israeliano erano finti (dove sono le fonti? Come se non sapessero tutti che i giornalisti stranieri non sono stati ammessi a Gaza).


Finalmente l’occidente si è accorto di quello che sta succedendo in questa striscia di terra. O, meglio, ha smesso di far finta di niente.

Far finta che voler affamare un popolo, riducendo al limucino gli aiuti alimentari, distruggendo le infrastrutture, le scuole gli ospedali, prendendo di mira i civili anche nei luoghi dove dovrebbero essere al sicuro, non faccia parte di un disegno criminale per preciso.

Chi denuncia quanto è sotto gli occhi di tutti viene sistematicamente screditato, vedi gli attacchi alla relatrice Francesca Albanese accusata di aver ricevuto finanziamenti da gruppi vicini ad Hamas da un dossier di Un watch, dossier smentito dall’Onu.

Le ambasciate israeliane – spiega la stessa Albanese a Report – si muovono in prima persona per protestare quando “una certa persona fosse stata chiamata a parlare in una sede istituzionale”.

I civili, dal 7 ottobre 2023, in risposta all’attacco terroristico di Hamas, sono diventati bersagli, “come è possibile tutto ciò”? LE immagini nell’anteprima del servizio testimoniano a sufficienza quanto sta accadendo a Gaza. Bambini colpiti da proiettili e schegge, spesso colpi singoli alla testa, bambini a cui si devono amputare arti per i colpi ricevuti. Bambini che, una volta operati, non hanno nessuno da cui tornare perché le loro famiglie sono state sterminate.

Medici costretti ad operare con mezzi di fortuna nei pochi ospedali ancora attivi.: “ogni giorno mi ritrovo circondato da decine di persone che mi chiedono aiuto, mancano le attrezzature chirurgiche, tutto, non c’è materiale sterile monouso, rilaviamo tutto, anche i tubi con cui si intubano i pazienti ..” racconta uno di loro.

Report ha intervistato a Londra il dottor Abu Sittah, il primo ad essere entrato a Gaza dopo i primi attacchi agli ospedali, come quello ad Al Shifa: Israele aveva inizialmente dato la colpa alla Jihad per la morte dei 480 sfollati sotto le bombe.

L’ospedale di Al Shifa è stato bombardato dall’esercito di Israele ha bombardato l’ospedale, compreso il reparto maternità: IDF ha spiegato che è stata una operazione mirata contro Hamas che si era rifugiata dentro l’ospedale di Al Shifa

Tesi negata dal dottor Abu Sittah: “non ho mai visto alcun combattente nell’ospedale, altrimenti avrei chiesto loro di andare via, ho l’obbligo di chiedere ai combattenti armati di lasciare l’ospedale, dentro c’erano solo civili che avevano portato i loro figli al rifugio. Se avessero visto la presenza di Hamas, che è l’obiettivo di Israele, non avrebbero mai portato i loro figli a dormire la dentro.”

L’esercito di Israele, in quanto forza occupante, dovrebbe garantire la sicurezza della popolazione civile: questo è quanto stabilisce la Convenzione di Ginevra, ma a Gaza i diritti dei civili non sono mai stati garantiti già prima del 7 ottobre (la data dell’attacco terroristico di Hamas).

Già prima del 7 ottobre 2023 e dell’inizio di questa nuova guerra ” spiega Ajith Sunghay direttore dell’alto commissariato per i diritti umani “l’assistenza medica il sistema ospedaliero nella striscia di Gaza era un disastro per via dei 17 anni di blocco [quello l’esercito ai valichi della striscia]. La Corte di Giustizia internazionale ha chiesto esplicitamente di garantire la sicurezza dei civili nei territori palestinesi occupati compresa Gaza. Questo comprende anche la fornitura di acqua, cibo, la raccolta dei rifiuti, offrire rifugio e qualsiasi altra necessità per la sopravvivenza. Israele come forza occupante deve garantire questa protezione ai civili secondo la quarta Convenzione di Ginevra.”
Attaccare gli ospedali significa attaccare strutture civili e quindi il diritto dei civili alla protezione invocata dal diritto umanitario internazionale.

Francesca Albanese relatrice speciale per le Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi parla oramai dello smantellamento del sistema sanitario a Gaza: “l’attacco al sistema sanitario in quanto tale è stato sistematico , sono stati colpiti gli ospedali, le ambulanze, sono stati uccisi oltre mille medici. C’è stato quasi un attacco personalizzato, molto mirato al personale medico e questo si è visto anche attraverso quello che è accaduto con gli arresti e le detenzioni arbitrarie.”
Di fronte a tutto questo la risposta dell’esercito di Israele (e dei tanti gruppi di influenza sui social) rimane sempre la stessa: sotto gli ospedali c’erano i tunnel di Hamas, nelle strutture mediche c’erano armi di Hamas, questi sono dati di Hamas.. Come se non si sapesse che per una precisa volontà politica nella striscia non sono ammessi giornalisti stranieri. E i pochi giornalisti palestinesi sono stati bersaglio delle bombe e dei colpi di IDF.

La scheda del servizio: LAB REPORT: ANATOMIA DI UN CRIMINE

di Nancy Porsia

Report ricostruisce l’attacco sistematico agli ospedali di Gaza, documentando bombardamenti, evacuazioni forzate e medici uccisi o arrestati. Attraverso testimonianze dirette e immagini senza filtro, emerge il collasso del sistema sanitario e il dramma dei civili intrappolati. Una cronaca documentata sulla potenziale violazione del diritto umanitario internazionale e la crisi umanitaria in corso.

Dietro le scalate bancarie


Ci aveva messo perfino la faccia la presidente del Consiglio Meloni, in un video pubblicato sui suoi canali social: “abbiamo deciso di introdurre una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del margine di interesse, cioè la differenza tra quanto le banche ti applicano per prestarti i soldi e quanto ti riconoscono quando depositi i soldi. Una tassazione su quei margini extra che hanno registrato gli istituti bancari che è secondo noi non una tassa sui guadagni legittimi ma una tassa sul margine ingiusto. ”
Anche il vicepresidente Salvini era sulla stessa lunghezza d’onda: “la scelta della Lega e dell’intero governo è chiara, aiutare famiglie e impre, se e lavoratori che non ce la fanno chiedendo alle banche una parte degli incassi miliardari per i maxi profitti che hanno fatto in questi anni..”
Era agosto, gli italiani erano già al mare – racconta oggi il docente di economia della Cattolica Rony Hamaui – “e il governo esce con la prima tassa sugli extraprofitti, dopo di ché c’è tutta una discussione all’interno del governo, il parlamento, il provvedimento viene cambiato e viene lasciata alla banche l’opportunità di decidere se o pagare la tassa oppure accantonare, rafforzare il proprio patrimonio.”
Quindi la tassazione sugli extraprofitti dopo i roboanti annunci di Meloni e Salvini è durata solo il tempo dell’estate, riducendosi ad un ipotetico balzello, diventando una tassa facoltativa perché alle banche viene concessa la libertà di scegliere se pagarla oppure se tenere gli extraprofitti nelle loro casse.

La montagna ha partorito il topolino: oggi gli esponenti della maggioranza, come il sottosegretario Durigon, di fronte alle domande di Report svicolano, non rispondono, parlano d’altro (“abbiamo alzato gli stipendi .. abbiamo tantissime idee.. con le banche qualcosa abbiamo fatto..”).
Si dice che sia bastata una telefonata di Marina Berlusconi a far far marcia indietro al governo.

Così oggi le banche sono piene di liquidità, soldi pronta cassa che fanno gola a qualcuno nella maggioranza: e dunque sono partite le scalate bancarie, con l’assalto del Monte dei Paschi di Siena (la banca salvata coi soldi pubblici) al cuore della finanza milanese che ha scatenato una vera e propria guerra. In risposta all’annuncio dell’istituto di credito senese Mediobanca ha indossato l’elmetto ed eretto le barricate: la proposta del Monte è stata rispedita al mittente con un comunicato durissimo dal cda in cui si definisce l’offerta fortemente distruttiva di valore e priva di razionale finanziario e industriale.

Come si è comportato il governo fino a questo momento? Da arbitro o da parte in causa? Alberto Nagel, AD di Mediobanca ha risposto “qual è la prossima domanda”.

Gli elementi raccolti dal servizio di Report potrebbero dunque indurre a pensare che l’ultima asta delle azioni del ministero dell’Economia sia stata apparecchiata appositamente per far entrare nell’azionariato di MPS Francesco Gaetano Caltagirone e la finanziaria della famiglia Del Vecchio, BPM e Anima, ad un prezzo calmierato.

Il loro ingresso sarebbe stato funzionale a lanciare dopo solo un paio di mesi la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la famiglia Del Vecchio avevano grossi interessi.
MPS diventerebbe una sorta di cavallo di Troia per Caltagirone e Delfin per prendersi Mediobanca: “questa Opa mi sembra strumentale non tanto per fare una fusione tra due banche ” racconta Alessandro Penati docente di Finanza della Cattolica “ma a costituire un gruppo di influenza in cui i privati appoggiati dal governo avrebbero una influenza.”

E cosa dice il governo in proposito? Il sottosegretario Freni di fronte alla domanda di Mottola, se ci sia stata una regia del governo sulla scalata di MPS, si è messo a ridere “ma quale regia.. ma che ne so io.. io sono solo uno scrivano ..”
C’è stato o meno un incontro lo scorso settembre al MEF tra esponenti del governo e MPS per pianificare questa scalata? Chi lo sa. Di certo lo stato italiano attraverso il MEF detiene l’11% di MPS, ma freni si ostina a rispondere “io non conto nulla..”

Il servizio racconterà poi della scalata tentata da Unicredit alla Banca Popolare di Milano: veniva presentata come investimenti di Unicredit in Italia, ma Salvini l’aveva definita una banca straniera. “Diciamo che Unicredit ha le sue radici in Italia e il 45% del gruppo è in Italia, siamo presenti in 13 paesi e in questo contesto siamo paneuropei” ha risposto l’AD Andrea Orcel. Altre domande sul tema delle scalate e sulla posizione non neutra del governo non sono state ammesse.
In effetti Salvini non avrebbe torto: la proprietà di Unicredit è straniera per oltre il 70% del suo capitale, controllato soprattutto da fondi americani e inglesi. Tuttavia all’epoca degli attacchi di Salvini anche in BPM l’azionista di maggioranza non era italiano ma era la francese Credite Agricole e subito dopo veniva l’americana Black Rock. Forse, anche alla luce di ciò, non tutti i maggiorenti della Lega si sono lasciati arruolare nella crociata nazionalista di Salvini.

Massimiliano Romeo è il capogruppo al Senato: alla domanda se Unicredit è straniera non ha voluto rispondere “dovete mettervi d’accordo col nostro ufficio stampa”.

Calderoli, ministro dell’Autonomia non ha proprio risposto. Laura Ravetto, deputata della Lega ha glissato, “voglio andare a sentire Salvini..”

Almeno Fedriga, presidente della regione Friuli, almeno è stato netto: Unicredit non è straniera, “mi auguro che Unicredit possa contribuire a far crescere e collaborare all’interno di una maggior vicinanza al sistema produttivo”. Fedriga prende la distanze da Salvini anche perché la questione BPM non riguarda tutta la lega – spiega nel servizio di Mottola – ma quasi esclusivamente la Lega lombarda. Negli ultimi 15 anni infatti i vertici del partito in Lombardia hanno coltivato un rapporto molto stretto con la BPM da quando, nel 2009, ne è stato nominato presidente Massimo Ponzellini, vicinissimo a Giancarlo Giorgetti il quale oggi, da ministro dell’Economia, ha deciso di usare sulla scalata di Unicredit il golden powere quindi dare al governo l’ultima parola sulla scalata.

C’è un tifo di Salvini e Giorgetti per BPM? Il presidente di BPM Tononi commenta dicendo “mi sembra una espressione fuori luogo, non è questione di fare tifo, bisogna fare scelte giuste per l’economia italiana e certamente il venir meno del pluralismo potrebbe essere un elemento di fragilità in questa situazione.”

Insomma, un assalto alla cassaforte dei nostri risparmi da parte di questa destra sovranista ovvero, come dice il titolo del servizio, all’armi siam banchieri.
Si muove la politica e si muove quel pezzo di imprenditoria che fa riferimento a questa maggioranza: per esempio il costruttore Caltagirone, che ha costruito i palazzi dei quartieri di Roma. Roma non si può governare senza il suo consenso: l’ex sindaco Ignazio Marino racconta di come sia difficile, Caltagirone è sempre stato abituato ad avere figure nell’amministrazione della città che non si mettono in contrasto.

Il suo quartier generale è nel centro di Roma in via Barberini: qui amministra i suoi interessi nella capitale, da Acea la società di acqua ed elettricità di cui detiene una quota; è uno dei costruttori del prossimo termovalorizzatore ed è nel consorzio che sta realizzando la metro C, l’opera pubblica più costosa d’Europa.
Continua Marino: “Penso che in questa fase storica Caltagirone si sia abbastanza staccato da quel mondo che a Roma viene chiamato dei palazzinari.”
L’epopea imprenditoriale di Francesco Gaetano Caltagirone comincia negli anni ‘80 quando fa i primi miliardi con l’attività di palazzinaro: il suo rapporto con la politica, la Democrazia Cristiana, è strettissimo, ma gli costa caro. Finisce nelle principali inchieste di Tangentopoli, imputato per corruzione in vari processi, è stato sempre assolto.

In questi processi tra gli imputati era presente anche l’ex ministro Cirino Pomicino: entrambi, Pomicino e Caltagirone, furono assolti. Caltagirone passa poi dal finanziare la DC, la corrente andreottiana, a finanziare i “nuovi partiti” della seconda repubblica.
Inizia, anche su suggerimento di Pomicino, a comprare giornali, “devi essere un imprenditore con cui la politica deve fare i conti, in un momento in cui i partiti non sono più un punto di riferimento e c’è il rischio che il riferimento lo diventino le procure, il giornale è l’unico modo per garantire la propria resistenza.”

Così nasce l’impero editoriale di Caltagirone: nel 95 compra Il Tempo, poi rivenduto, poi Il Messaggero, il più importante giornale della capitale, subito dopo Il Mattino, il quotidiano più diffuso a Napoli e in Campania. Due anni dopo rileva Il quotidiano di Puglia, poi Il Corriere Adriatico diffuso nelle Marche, quindi Il Gazzettino il maggior quotidiano in Veneto e Friuli. La geografia delle acquisizioni editoriali di Caltagirone segue pedissequamente i suoi affari, perché compra i giornali in tutte le città e le regioni dove ha maggiori interessi finanziari e imprenditoriali.

Una genialità la sua – commenta così il mentore Pomicino – comprendere come i giornali potessero essere uno strumento di condizionamento della politica: “sapevi che se toccavi Caltagirone la tua vita sarebbe stata centellinata dai giornalisti ..”

Sul ruolo di Palazzo Chigi (arbitro e giocatore) in questo risiko bancario potete leggere l’anticipazione del servizio di Report data da Marco Palombi sul Fatto Quotidiano:

Il governo banchiere, il risiko e il conflitto di interessi di Caputi

di Marco Palombi

Il capo di gabinetto di Giorgia Meloni ha quote in due società che si occupano di Npl

Ogni giorno si scoprono nuovi particolari su quella che il Fatto, parafrasando una vecchia battuta, ha definito “l’unica merchant bank in cui si parla romano”: le intricate vicende del cosiddetto risiko bancario – in cui Palazzo Chigi fa contemporaneamente l’arbitro, il giocatore e il vigilante – sono descritte da una lunga inchiesta di Report, firmata da Giorgio Mottola e in onda stasera su Raitre, da cui si scopre, tra le altre cose, che il capo di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi, l’uomo che per conto della premier gestisce anche la partita bancaria, s’è dimenticato di dichiarare un potenziale conflitto d’interessi.

Nel servizio si racconterà infatti di come le azioni di MPS, detenute dal MEF, siano state vendute con procedura accelerata, per evitare che venissero vendute sul mercato. Lo scorso novembre quando il MEF ha venduto un altro 15% di MPS, Giorgetti non si è affidato alle solite banche d’affari ma ad un piccolo operatore, banca Akros del gruppo BPM: così ad aggiudicarsi le azioni non sono state, come nel passato, decine di svariati investitori ma solo 4 compratori, tra cui Caltagirone col 3,6%, Delfin del gruppo Del Vecchio il 3,5%, banco BPM col 5% e il 4% Anima il fondo di investimento partecipato da Caltagirone, BPM e MEF.

Come se questa cessione di azioni di MPS fosse stata concordata, come ammette Luca Enriques ex commissario Consob a Report . Da quanto risulta a Report, alla terza asta diversi fondi di investimento anche stranieri erano interessati ad acquistare azioni del ministero dell’Economia ma risulta che non abbiamo mai avuto risposta dalla banca Akros e secondo quanto scrive il Financial Times sarebbe stata bloccata anche una un’offerta avanzata da Uncredit.

Ora Caltagine e Del Vecchio attraverso Anima e BPM sono arrivati a controllare il 15% di MPS che una quota di controllo della banca. Durante questa asta i quattro gruppi non hanno comprato le azioni a sconto ma le hanno pagate il 2% del loro valore in borsa. Il MEF avrebbe incassato dunque più delle due aste precedenti ma alla fine il collocamento di banca Akros si è rivelato più vantaggioso per Caltagirone e gli altri compratori. Se infatti avessero voluto comprare le azioni sul mercato l’operazione sarebbe stata più complicata perché il mercato “capisce” che c’è dietro una mano a comprare le azioni e quindi ne fa salire il prezzo, così Caltagirone e Del Vecchio le avrebbero pagate di più.

Si potrebbe dunque pensare che l‘ultima asta del MEF sia stata apparecchiata per far entrare nell’azionariato di MPS proprio Anima e BPM ad un prezzo conveniente. Un ingresso funzionale a lanciare, dopo qualche mese, la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la famiglia Del Vecchio hanno grossi interessi.

La scheda del servizio: ALL’ARMI, SIAM BANCHIERI!

di Giorgio Mottola

Collaborazione Greta Orsi

Nonostante l’economia non stia andando benissimo, le banche italiane sono riuscite a registrare ricavi miliardari grazie agli extraprofitti favoriti dall’aumento dei tassi di interesse. Il governo Meloni ha provato a introdurre una tassazione su questi guadagni miliardari, ma ha dovuto battere in ritirata. E così gli istituti di credito del nostro Paese si sono ritrovati con le casse piene di soldi. Grazie a questa situazione di favore, è partito il cosiddetto risiko bancario: Unicredit ha lanciato una scalata sulla Banca popolare di Milano e poco dopo Monte dei Paschi di Siena ha avviato l’assalto all’ex salotto buono della finanza italiana, Mediobanca. In questa partita però di finanziario c’è molto poco. Fratelli d’Italia e Lega hanno deciso di giocare un ruolo di primo piano e puntano alla nascita di un terzo polo bancario a trazione sovranista. L’obiettivo è la cassaforte dei risparmi privati degli italiani: le Assicurazioni Generali. Per raggiungere lo scopo, è nata un’inedita alleanza con potenti esponenti del capitalismo finanziario del nostro Paese.

I conti dell’Inter

Chi aveva ragione, sui conti dell’Inter? Report oppure quelli che hanno contestato il servizio?

E, poi, oltre all’Inter, ci sono altre società di calcio in serie A coi bilanci a rischio?

Il mondo del calcio è sempre stato un terreno particolare, dove le regole che valgono per tutte le altre imprese qui vengono interpretate a seconda del caso.
Nel mondo del calcio sono in tanti a lanciare l’allarme, perché l’Inter vince due scudetti con un debito monstre: l’ultimo è Claudio Lotito, presidente della Lazio e senatore di Forza Italia. Nel corso di un evento pubblico ha dichiarato: “il paradosso è che ci sono società con debiti da 600-700 ml di euro tecnicamente fallite ma che vincono il campionato.”
Come commenta questa uscita il ministro dello sport Abodi (membro della stessa maggioranza di Lotito)? “Questa è una opinione che deve essere verificata dai fatti, questa commissione [quella che il governo Meloni ha pensato per controllare i bilanci delle squadre] non deve essere severa, deve essere giusta e deve mettere in condizione anche voi di raccontare le cose come stanno.”
Ma nella riforma che il governo ha in mente sui bilanci delle squadre ci saranno interventi sull’equilibrio finanziario del sistema calcio?

Stiamo ragionando sulle figure che vogliamo siano molto qualificate, molto indipendenti che assumono il ruolo come missione..”
La commissione voluta da Abodi è quella che sostituirà la Covisoc, l’organismo oggi sotto il controllo della Federcalcio incaricato di verificare lo stato di salute finanziaria dei club .

Ma l’ultimo regalo al calcio italiano è arrivato proprio grazie al governo Meloni che, nel dicembre 2022, ha approvato il decreto salva calcio, che ha permesso di spalmare un debito fiscale complessivo di 889 ml di euro in sessanta comode rate.

LE squadre hanno avuto modo di ricorrere agli strumenti che la legge ha permesso di poter utilizzare – racconta il presidente di Federcalcio Gravina – però il debito si accumula e quindi questo genera degli alert ma sono alla parti di qualunque società di capitali.

Ma questo decreto alimenta una cultura del debito: lo spiega il consulente di Report Gian Gaetano Bellavia, esperto di bilanci e diritto penale dell’Economia “ma secondo lei il calcio è una roba normale, ma possiamo confrontarlo con una normale azienda, il lusso, lo spreco, di denaro, assurdo, non solo per i calciatori ma anche per gli allenatori, gli agenti, per le feste, le macchine, è tutto un lusso a debito. Il lusso non si fa a debito, il lusso si fa coi soldi, che qui non ci sono.”

Il cuore del servizio sarà dedicato ai conti dell’Inter: i suoi problemi finanziari erano legati alle holding cinesi del suo ex proprietario?

Nel mondo della finanza le voci corrono con molta velocità – racconta Daniele Autieri – il 7 gennaio 2025 la famiglia Zhang, uno dei grandi conglomerati industriali cresciuti all’ombra del partito comunista dichiara bancarotta. In un attimo la notizia del fallimento del gruppo Suning viaggia da Bangkok a Manhattan: tra le società interessate dalla ristrutturazione del debito c’è anche la Suning holding group, la stessa con cui per anni gli imprenditori cinesi hanno controllato l’Inter.
Come spiega Gian Gaetano Bellavia, tutto questo ha avuto riflessi sulla squadra milanese: “se si parla di stato di insolvenza o fallimento è fatale che i cinesi non abbiamo più dato soldi all’Inter.”
Che il gruppo Suning fosse sull’orlo della bancarotta era noto agli addetti ai lavori già nel 2020, come aveva rivelato a Report l’analista finanziario che cinque anni fa, al termine di una accurata due diligence aveva per primo lanciato l’allarme sui conti del club milanese.
A Report aveva raccontato le voci che giravano “mi ricordo che dicevano che questi Zhang non potevano viaggiare per impegni e così via,ma questi erano sotto chiave, questi qui avevano fatto un casino che Parlamat al confronto era niente. La Cina gli aveva ritirato il passaporto. ”


Cinque anni dopo la profezia dell’analista si è avverata, il gruppo Suning dichiara bancarotta al termine di un decennio di strategie finanziarie fallimentari: tra il 2012 e il 2020 gli Zhang investono 10 miliardi di euro in operazioni a perdere, una di queste è proprio l’acquisto dell’Inter.
Report è andata fino a New York, alla borsa americana, per trovare conferme a questa storia: nella compagine accanto a Zhang c’è anche Lion Rock un private equity di Hong Kong. Nel 2019 il fondo rileva il 31,05 % delle partecipazioni dell’Inter e il suo presidente Daniel Tseung si presenta alla Pinetina con un piano preciso, vendere l’immagine del calcio italiano in Cina e lo fa con una intervista manifesto, l’unica concessa in Italia e rilasciata alla giornalista finanziaria Laura Morelli.
“Lion Rock è un fondo che investe in consumer, dunque beni di consumo, dal sito sono 9 le società dove dicono di aver investito dal 2011, Inter compres ” spiega oggi a Report la giornalista “il calcio non era mai stato un loro investimento, l’Inter è stato il primo e anche l’ultimo finora.”
Nell’Inter quanti soldi hanno messo? “Si parlava di circa 150-200 ml ”


La
scheda del servizio: LA RESA DEI CONTI

di Daniele Autieri

Collaborazione Alessandra Teichner, Andrea Tornago

L’Inter, il Club italiano che ha vinto di più negli ultimi anni, è stato davvero sull’orlo del fallimento? Dopo l’inchiesta del febbraio scorso che aveva ricostruito i guai finanziari della società, in molti hanno criticato Report accusando la trasmissione di aver addossato all’Inter i peccati dei suoi proprietari, ovvero del Gruppo Suning che fino al maggio del 2024 controllava il Club. Tre mesi dopo ecco la nuova inchiesta che approfondisce il filone finanziario del Club, prima e dopo l’ingresso del fondo americano Oaktree, e ricostruisce nel dettaglio quali fossero le reali condizioni del Club negli anni più difficili della proprietà Zhang, tra il 2021 e il 2023. Grazie a documenti inediti e a una testimonianza eccellente, l’inchiesta ricostruisce tutti i retroscena delle operazioni finanziarie che hanno evitato il fallimento dell’Inter. Una verità che testimonia ancora una volta la fragilità delle società sportive e l’inefficacia delle istituzioni nel costruire e far rispettare un sistema di regole condiviso, proprio adesso che il governo è al lavoro su una futura riforma del calcio.

Lo stato degli allevamenti ittici

Quante cose si scoprono seguendo i servizi di Report: il record di inquinamento da ammoniaca in pianura padana grazie agli allevamenti intensivi e ora scopro che siamo leader negli allevamenti di trote. Ma in che modo vengono allevati questi pesci?
Negli allevamenti visitati da Giulia Innocenzi si vedono tanti pesci agonizzanti, che boccheggiano in acqua o in superficie, che nuotano al contrario, sbattono contro le pareti del vascone. Insieme ai pesci agonizzanti si trovano anche animali morti che andrebbero rimossi il prima possibile per motivi igienico sanitari, perché potrebbero essere morti per malattie infettive e potrebbero mettere a rischio altri pesci.
Alcune trote sono morte impigliate nelle griglie dell’allevamento: sono animali curiosi – racconta a Report Simone Montuschi- presidente di Essere Animali – è normale che cerchino delle zone in cui non sono ancora stati, se ci sono delle reti dove loro entrano con la testa ma poi il corpo si allarga e non riescono più a uscire con le branchie non riescono ad indietreggiare, rimangono incastrati.

E incastrate nella rete muoiono. Incastrati si trovano anche animali vivi: nel video che potete vedere in anteprima, l’autore delle riprese ha cercato di liberare gli animali, cosa che dovrebbero fare le persone che gestiscono l’allevamento.

Nelle reti, oltre ai pesci si trovano anche gli uccelli, anche loro rimasti impigliati nelle reti: alcuni di questi sembrano essere presenti da diverso tempo.

La scheda del servizio: LAGUNA NERA

di Giulia Innocenzi

Collaborazione Greta Orsi

L'Italia è un paese leader nella produzione di trote. Quali sono le condizioni dei pesci nei vasconi e come vengono abbattuti? Grazie a immagini esclusive Report mostrerà la realtà degli allevamenti considerati di alta qualità. E a un anno di distanza dalla moria di pesci che ha colpito la laguna di Orbetello, famosa per la sua preziosa biodiversità, ma anche per le sue spigole e orate, cosa è stato fatto per evitare che succeda di nuovo?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

29 maggio 2025

Il canto degli innocenti di Piergiorgio Pulixi

Prologo

Ti ho vista questa mattina. Con lui. Nonostante ti avessi detto che dovevi lasciarlo perdere non mi hai dato retta. Non hai ascoltato una sola parola. Put***… Che credevi, che non me ne sarei accorta?

Chi era Vito Strega prima di diventare capo della della squadra speciale per i crimini violenti? Piergiorgio Pulixi ce lo racconta in questo primo capitolo della serie, dove lo come funzionario della squadra omicidi, un ottimo poliziotto ma pessima persona.

Perché Vito Strega è uno di quegli investigatori che prendono le storie delle vittime come una questione personale, da risolvere con ogni mezzo, anche andando fuori dalle regole.
Ma un investigatore è anche una persona che la sera avrebbe diritto a ritagliarsi un suo spazio, lontano dalla morte, dal dolore, dal male. Per Vito Strega non è così ed è per questo che il suo matrimonio con Cinzia è naufragato arrivando a quella separazione che lui non ha mai accettato.

«Voglio che sia ben chiaro che non è stata una mia decisione quella di venire qui» disse Vito Strega dopo i saluti di rito.

Ed ora lo incontriamo qui, nello studio di una psicologa che deve capire cosa sta succedendo nella testa di questo poliziotto: non per la separazione, ma per un’altra brutta storia. Nel corso di una operazione, ha ammazzato un collega. Sospeso dal servizio, ora i suoi superiori vogliono capire se può riprendere il servizio, se quel colpo di pistola (non chiarito del tutto) ha lasciato strascichi nella sua mente, più di quanto tutti i delitti che ha dovuto seguire abbiano già fatto.

L’uomo che aveva davanti non stava bene. Era il ritratto della salute, ma dietro quel fisico massiccio nascondeva qualcosa. E per il suo palato di psicologa Vito Strega, con le sue zone buie e i suoi mille spigoli, era un piatto sublime.

Il problema è che di una persona come lui ne avrebbero veramente bisogno alla squadra omicidi: all’improvviso la città è scossa da una serie di delitti, compiuto uno dopo l’altro: delitti dove non si deve nemmeno aprire un’indagine per capire chi sia l’assassino, perché questo è rimasto accanto alla vittima, come a voler rimarcare il gesto che ha fatto.

La trovarono col coltello ancora in pugno. Evidentemente ottantacinque pugnalate non erano abbastanza per la sua mente malata, perché stava continuando a infierire sul cadavere con rabbia animalesca.

Il problema è che si tratta di ragazzini hanno ucciso loro coetanei anche in modo particolarmente crudele, ragazzini che non possono aver veramente compreso il gesto che hanno fatto: la tredicenne che accoltella la coetanea colpevole di non voler ricambiare il sentimento, il ragazzo sovrappeso che uccide quanti lo deridevano, poi un insegnate ucciso perché colpevole di molestare una studentessa, un’altra ragazzina che decide di uccidere la rivale in amore perché si è messa di mezzo ..

Non può essere un caso, deve esserci qualcuno. Ne è convinto Vito Strega che cerca di aiutare la sua collega, nonché amica, Teresa Brusca. Vito è formalmente sospeso, nemmeno potrebbe consultare i fascicoli, figuriamoci fare delle indagini e sentire i genitori di questi assassini minorenni.

Ma è quello che Vito si trova a fare: perché quello del poliziotto è l’unico lavoro che è capace di fare e, soprattutto adesso che il suo matrimonio è finito (e la ex moglie ha una nuova relazione), è l’unica ancora per poter mantenersi a galla in questo mare in tempesta che è diventata la sua vita.

Sapevo che l’avresti fatto, sapevo che saresti venuto, che mi avresti seguita, che avresti trovato una scusa per venire in bagno…

Ma le indagini non portano a nulla: i colpevoli in erba non avevano nulla in comune, non si conoscevano e venivano da famiglie che non avevano relazioni tra loro. Anche l’analisi dei profili social non porta a nulla, nessun messaggio strano, nulla che possa far risalire a qualcuno che li abbia istigati a compiere quello che hanno fatto. Spaccare la testa con un martello, uccidere a coltellate, sfregiare con l’acido.

Eppure Vito ne è convinto: deve esserci un “burattinaio” sopra questi ragazzi, non possono aver agito in quel modo, con quella fredda convinzione.

Ma questa indagine rischia di naufragare anche per un altro motivo: tutta colpa di Vito, del suo non volersi rassegnare alla fine del suo matrimonio, nel voler rifiutare il supporto della psicologa che dovrebbe valutarlo per capire se può ancora farlo quel lavoro.

Quel lavoro che ha portato Vito Strega ad essere quello che è diventato: in questo romanzo ripercorreremo un pezzo della sua infanzia, del suo rapporto col padre, gli anni in cui indossava una divisa ed è stato in Kosovo, ufficialmente in missione di pace.

Quel lavoro che oggi per lui è tutto:

Nella testa gli sembrava di udire il canto straziante degli innocenti. Le vittime si alternavano in quel coro, dilaniandolo con accuse e recriminazioni.

Il canto delle vittime innocenti è quello che lo perseguita, che lo costringe a non fermarsi finché non è stato trovato il colpevole, spingendo il suo sguardo sempre più a fondo nel pozzo dell’orrore.

Il male si insinuava in ogni fibra del suo corpo, mischiandosi al suo sangue. Sentiva il dolore e la disperazione delle vittime, e il loro canto, nella sua mente, adesso era un coro assordante.

Trovare l’assassino, oltre che una promessa fatta alla madre di una di queste adolescenti manipolate da un burattinaio che si rivelerà solo alla fine, è anche l’unico modo per Vito Strega di placare questo “canto degli innocenti” nella sua testa.

Questo primo capitolo della serie “I canti del male”, questo libro (uscito originariamente per Edizioni E/O) ci fa conoscere l’investigatore-criminologo Vito Strega: una figura complessa da descrivere per le fragilità che si porta dentro, per le mille spigolature del carattere che la figura massiccia tende a nascondere.

Un uomo che qui vediamo muoversi attorno a diverse figure femminili: la sua collaboratrice Teresa Brusca, innamorata di lui che però Vito vede solo come un’amica. La ex moglie, di cui è ancora innamorato non accettando la fine della relazione. La psicologa che deve decidere della sua idoneità al lavoro e che si trova davanti questo enigma, questa persona sfuggente e insofferente alle sue domande sul passato. Infine una “dark lady” molto pericolosa, che non riesce a sfuggire dal fascino di quest’uomo dalla pelle scura e dagli occhi verdi.

Un personaggio, quest’ultimo, che abbiamo incontrato nuovamente nell’ultimo romanzo della serie “Per un’ora d’amore”.

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

 

26 maggio 2025

Il pappagallo muto. Una storia di Sara, di Maurizio De Giovanni

Un raggio di sole si faceva strada attraverso il finestrone reso opaco dalla polvere. All’interno, un pulviscolo di misteriosa origine danzava a spirale. Un vago sentore di aglio: chissà dove, nei paraggi, si preparava il pranzo già alle nove di mattina. Silenzio, a parte l’eco di una radio che invitava ad andare a la playa, con un tono ritmato di imposizione. Nessuno dei due uomini seduti l’uno di fronte all’altro sembrava incline a eseguire l’ordine dei cantanti.

La sapete la barzelletta dell’uomo che va a scegliersi il pappagallo? Ne esistono di diverse versioni ma il succo rimane lo stesso, il pappagallo che vale di più è quello che parla meno, perché “gli altri lo chiamano il maestro..”
Una barzelletta istruttiva, significa che a volte il valore di una persona lo si giudica più da quello che non dice che da quello gli esce dalla bocca.

Un fattore che Sara Morozzi conosce molto bene: tanti anni fa, nella sua vita precedente, aveva fatto parte di una speciale unità dei servizi chiamata ad intervenire in particolari attività di dossieraggio e intercettazione. Situazioni dove era importante cogliere non solo le parole dette, ma anche le espressioni, le smorfie. Intuire dal non detto, dai messaggi non verbali quello che non era presente nelle intercettazioni. In questo lavoro lei, assieme alla sua collega Teresa Pandolfi, era eccezionale: la mora e la bionda le chiamavano, due gemelle, eterozigote.

Qui si era innamorata dell’uomo della sua vita, Massimiliano il suo capo, per cui aveva abbandonato un marito e un figlio. Ma questo succedeva una vita fa, prima della fine del suo lavoro in quell’unità speciale, la morte di Massimiliano, la scoperta di avere un nipote. E la scoperta di avere ancora una vita davanti, il tramonto della sua vita poteva aspettare. Una nuova vita e una nuova famiglia composta da quel nucleo così particolare: la nuora Viola, la compagna del figlio di Sara, poi il piccolo nipote che si chiama come il nonno, l’ispettore Pardo e l’ingombrante bovaro Boris.

Tutti assieme sono stati protagonisti, assieme ad Andrea Catapano, altro reduce di questa strana unità dei servizi, in indagini dove la memoria del passato veniva utile per mettere in luce segreti di oggi. E anche stavolta succederà lo stesso in questa storia dove si intrecciano passato e presente, uomini che dispongono di un potere che va oltre la loro immagine, uomini che si incontrano per stipulare affari che passano sopra le nazioni e su cui i servizi vogliono mettere luce.

Poi l’uomo in piedi si era voltato, e con aria seria aveva detto: «La conosci la barzelletta del pappagallo muto?».

Non è ancora tempo per rilassarsi nei giardinetti assieme al nipote Massimiliano: a Sara viene proposto di partecipare ad un’indagine particolare dei servizi. Tre uomini d’affari si incontreranno a Napoli, il porto sul Mediterraneo, per stipulare un accordo che potrebbe cambiare gli scenari della geopolitica dell’energia. Un incontro così riservato e così ben protetto da chi lo ha organizzato che, per cercare di carpire quello che verrà discusso, i servizi devono ricorrere nuovamente alle “abilità” di Sara e Andrea: “mora”, con la sua capacità di decifrare gli sguardi e le espressioni, e il “diversamente vedente” Andrea, che l’assenza della vista ha portato a sviluppare all’estremo gli altri sensi.

«Buonasera» disse il tipo tarchiato, sistemandosi in disparte. E fu l’unica parola che proferì. Quando udì il saluto, Andrea ebbe un sussulto; e anche Sara provò un lieve disagio

A questo incontro si presenta anche un personaggio all’apparenza estraneo al contesto: dall’aspetto si direbbe un contadino, per le rughe sul viso. Un uomo di poche parole, pochissime.

Ma un uomo che, per la deferenza che gli danno gli altri partecipanti all’incontro, sembra avere un ruolo e una importanza ben determinante.

Avrebbero potuto rifiutarsi di fronte all’invito dei nuovi capi dei servizi, gente che non è cresciuta sul campo, che non ha memoria di quello che è “stato”: persone come questa “Bianco”, un “Un animale d’allevamento, cresciuta all’interno di aule in cui si tenevano lezioni in altre lingue”.

E avrebbero fatto bene a rifiutare.

Dalla curva spuntò un’auto nera dai vetri oscurati. Ad altissima velocità, invase la corsia opposta a quella di marcia. Si scagliò su di loro come un toro in carica. Sara ebbe la consapevolezza di trovarsi alla fine della vita..

Cosa è successo? Qualcuno nei servizi ha tradito Sara? Oppure si sono fatti scoprire dai partecipanti a questo incontro?

Sara comprende di essere finita dentro un ingranaggio più grande e pericoloso di quanto immaginasse e, ancora una volta, dovrà rivolgersi alla sua “famiglia” allargata per salvare la sua vita e quella di Andrea.

Il racconto si muove su due livelli: c’è la storia ambientata ai tempi nostri, con l’indagine di Sara, assieme a Teresa, Davide Pardo e Viola. E questo strano personaggio che è rimasto zitto durante l’incontro, dall’aspetto che cozzava col rispetto che sembrava godere in quel gruppo di imprenditori e uomini di affari..

E poi c’è la storia ambientata anni prima, ai tempi dell’unità dei servizi di Massimiliano Tamburi che veniva chiamata ad “osservare”, non usando solo la tecnologia ma anche le capacità di Sara, di Andrea e di Teresa. Saper cogliere quelle sfumature nei discorsi, nel tono della voce, negli sguardi, che potevano colmare i dialoghi carpiti dalle intercettazioni.

Cos’hanno in comune queste due storie? Un uomo di potere, il potere vero, non quello ostentato, quello capace di sopravvivere ai governi, alle ere politiche, che non ha bisogno di minacciare. Un uomo che per consolidare la sua fama ha dovuto morire. Per risorgere.

Se volevi il potere, il potere vero, dovevi muovere i fili senza che le marionette sapessero di averli attaccati addosso. E quindi non dovevi esserci: dovevi sparire dall’orizzonte.

Ma in questo romanzo, al racconto sul presente, su servizi, sul lato oscuro della storia di questo paese, sui burattini che vengono mossi da abili burattinai, si affianca un racconto che va oltre la vita terrena.

Perché si parla dell’amore che sopravvive alla morte, come quello di Sara per Massimiliano. Si parla dell’amore come forza che ti tiene in vita, legandoti strettamente alle persone che hai a fianco, quelle a cui vuoi bene e per cui faresti qualunque cosa per proteggerle.

Hai ragione, Viola, disse fra sé: siamo una rete, intessuta di fili sdruciti e consunti; ma una rete che ha una sua forza, una sua tenerezza. Forse il termine famiglia non è poi sbagliato, nel nostro caso.

Ma ne “Il pappagallo muto” Maurizio De Giovanni va oltre, portandoci in quella terra di mezzo tra la vita e la morte, tra la luce del passato e quella del presente. La la razionalità e lo stupore dell'incredulità..

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon