Chi
c’è dietro la scalata alle Generali, la cassaforte dei risparmi
degli italiani?
Poi
il tanto atteso servizio sui conti dell’Inter (doveva andare in
onda domenica scorsa): aveva ragione Report o chi contestava il
vecchio servizio?
Nell’anteprima
di LAB Report si parlerà della situazione di Gaza: non
chiamatela guerra, quello che sta succedendo è la soppressione di un
popolo.
Il
crimine sotto i nostri occhi
Per
mesi in cui si è ripetuto che quello che succedeva a Gaza era solo
colpa di Hamas, che chi criticava le scelte del governo di Israele
era antisemita, che i numeri dei civili uccisi dall’esercito
israeliano erano finti (dove sono le fonti? Come se non sapessero
tutti che i giornalisti stranieri non sono stati ammessi a Gaza).
Finalmente
l’occidente si è accorto di quello che sta succedendo in questa
striscia di terra. O, meglio, ha smesso di far finta di niente.
Far
finta che voler affamare un popolo, riducendo al limucino gli aiuti
alimentari, distruggendo le infrastrutture, le scuole gli ospedali,
prendendo di mira i civili anche nei luoghi dove dovrebbero essere al
sicuro, non faccia parte di un disegno criminale per preciso.
Chi
denuncia quanto è sotto gli occhi di tutti viene sistematicamente
screditato, vedi gli attacchi alla relatrice Francesca Albanese
accusata di aver ricevuto finanziamenti da gruppi vicini ad Hamas da
un dossier di Un watch, dossier smentito dall’Onu.
Le
ambasciate israeliane – spiega la stessa Albanese a Report – si
muovono in prima persona per protestare quando “una certa persona
fosse stata chiamata a parlare in una sede istituzionale”.
I
civili, dal 7 ottobre 2023, in risposta all’attacco terroristico di
Hamas, sono diventati bersagli, “come è possibile tutto ciò”?
LE immagini nell’anteprima del servizio testimoniano a sufficienza
quanto sta accadendo a Gaza. Bambini colpiti da proiettili e schegge,
spesso colpi singoli alla testa, bambini a cui si devono amputare
arti per i colpi ricevuti. Bambini che, una volta operati, non hanno
nessuno da cui tornare perché le loro famiglie sono state
sterminate.
Medici
costretti ad operare con mezzi di fortuna nei pochi ospedali ancora
attivi.: “ogni giorno mi ritrovo circondato da decine di persone
che mi chiedono aiuto, mancano le attrezzature chirurgiche, tutto,
non c’è materiale sterile monouso, rilaviamo tutto, anche i tubi
con cui si intubano i pazienti ..” racconta uno di loro.
Report
ha intervistato a Londra il dottor Abu Sittah, il primo ad essere
entrato a Gaza dopo i primi
attacchi agli ospedali, come quello ad Al Shifa: Israele aveva
inizialmente dato la colpa alla Jihad per la morte dei 480 sfollati
sotto le bombe.
L’ospedale
di Al Shifa è stato bombardato dall’esercito di Israele ha
bombardato l’ospedale, compreso il reparto maternità: IDF ha
spiegato che è stata una operazione mirata contro Hamas che si era
rifugiata dentro l’ospedale di Al Shifa
Tesi
negata dal dottor Abu Sittah: “non ho mai visto alcun combattente
nell’ospedale, altrimenti avrei chiesto loro di andare via, ho
l’obbligo di chiedere ai combattenti armati di lasciare l’ospedale,
dentro c’erano solo civili che avevano portato i loro figli al
rifugio. Se avessero visto la presenza di Hamas, che è l’obiettivo
di Israele, non avrebbero mai portato i loro figli a dormire la
dentro.”
L’esercito
di Israele, in quanto forza occupante, dovrebbe garantire la
sicurezza della popolazione civile: questo è quanto stabilisce la
Convenzione di Ginevra, ma a Gaza i diritti dei civili non sono mai
stati garantiti già prima del 7 ottobre (la data dell’attacco
terroristico di Hamas).
“Già
prima del 7 ottobre 2023 e dell’inizio di questa nuova guerra ”
spiega Ajith Sunghay direttore dell’alto commissariato per i
diritti umani “l’assistenza medica il sistema ospedaliero nella
striscia di Gaza era un disastro per via dei 17 anni di blocco
[quello l’esercito ai valichi della striscia]. La Corte di
Giustizia internazionale ha chiesto esplicitamente di garantire la
sicurezza dei civili nei territori palestinesi occupati compresa
Gaza. Questo comprende anche la fornitura di acqua, cibo, la raccolta
dei rifiuti, offrire rifugio e qualsiasi altra necessità per la
sopravvivenza. Israele come forza occupante deve garantire questa
protezione ai civili secondo la quarta Convenzione di
Ginevra.”
Attaccare gli ospedali significa attaccare strutture
civili e quindi il diritto dei civili alla protezione invocata dal
diritto umanitario internazionale.
Francesca
Albanese relatrice speciale per le Nazioni Unite per i diritti umani
nei territori palestinesi parla oramai dello smantellamento del
sistema sanitario a Gaza: “l’attacco al sistema sanitario in
quanto tale è stato sistematico , sono stati colpiti gli ospedali,
le ambulanze, sono stati uccisi oltre mille medici. C’è stato
quasi un attacco personalizzato, molto mirato al personale medico e
questo si è visto anche attraverso quello che è accaduto con gli
arresti e le detenzioni arbitrarie.”
Di fronte a tutto questo
la risposta dell’esercito di Israele (e dei tanti gruppi di
influenza sui social) rimane sempre la stessa: sotto gli ospedali
c’erano i tunnel di Hamas, nelle strutture mediche c’erano armi
di Hamas, questi sono dati di Hamas.. Come se non si sapesse che per
una precisa volontà politica nella striscia non sono ammessi
giornalisti stranieri. E i pochi giornalisti palestinesi sono stati
bersaglio delle bombe e dei colpi di IDF.
La
scheda del servizio: LAB REPORT: ANATOMIA
DI UN CRIMINE
di
Nancy Porsia
Report
ricostruisce l’attacco sistematico agli ospedali di Gaza,
documentando bombardamenti, evacuazioni forzate e medici uccisi o
arrestati. Attraverso testimonianze dirette e immagini senza filtro,
emerge il collasso del sistema sanitario e il dramma dei civili
intrappolati. Una cronaca documentata sulla potenziale violazione del
diritto umanitario internazionale e la crisi umanitaria in corso.
Dietro
le scalate bancarie

Ci
aveva messo perfino la faccia la presidente del Consiglio Meloni, in
un video pubblicato sui suoi canali social: “abbiamo deciso di
introdurre una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del
margine di interesse, cioè la differenza tra quanto le banche ti
applicano per prestarti i soldi e quanto ti riconoscono quando
depositi i soldi. Una tassazione su quei margini extra che hanno
registrato gli istituti bancari che è secondo noi non una tassa sui
guadagni legittimi ma una tassa sul margine ingiusto. ”
Anche
il vicepresidente Salvini era sulla stessa lunghezza d’onda: “la
scelta della Lega e dell’intero governo è chiara, aiutare famiglie
e impre, se e lavoratori che non ce la fanno chiedendo alle banche
una parte degli incassi miliardari per i maxi profitti che hanno
fatto in questi anni..”
Era agosto, gli italiani erano già al
mare – racconta oggi il docente di economia della Cattolica Rony
Hamaui – “e il governo esce con la prima tassa sugli
extraprofitti, dopo di ché c’è tutta una discussione all’interno
del governo, il parlamento, il provvedimento viene cambiato e viene
lasciata alla banche l’opportunità di decidere se o pagare la
tassa oppure accantonare, rafforzare il proprio patrimonio.”
Quindi
la tassazione sugli extraprofitti dopo i roboanti annunci di Meloni e
Salvini è durata solo il tempo dell’estate, riducendosi ad un
ipotetico balzello, diventando una tassa facoltativa perché alle
banche viene concessa la libertà di scegliere se pagarla oppure se
tenere gli extraprofitti nelle loro casse.
La
montagna ha partorito il topolino: oggi gli esponenti della
maggioranza, come il sottosegretario Durigon, di fronte alle domande
di Report svicolano, non rispondono, parlano d’altro (“abbiamo
alzato gli stipendi .. abbiamo tantissime idee.. con le banche
qualcosa abbiamo fatto..”).
Si dice che sia bastata una
telefonata di Marina Berlusconi a far far marcia indietro al governo.
Così
oggi le banche sono piene di liquidità, soldi pronta cassa che fanno
gola a qualcuno nella maggioranza: e dunque sono partite le scalate
bancarie, con l’assalto del Monte dei Paschi di Siena (la banca
salvata coi soldi pubblici) al cuore della finanza milanese che ha
scatenato una vera e propria guerra. In risposta all’annuncio
dell’istituto di credito senese Mediobanca ha indossato l’elmetto
ed eretto le barricate: la proposta del Monte è stata rispedita al
mittente con un comunicato durissimo dal cda in cui si definisce
l’offerta fortemente distruttiva di valore e priva di razionale
finanziario e industriale.
Come
si è comportato il governo fino a questo momento? Da arbitro o da
parte in causa? Alberto Nagel, AD di Mediobanca ha risposto “qual è
la prossima domanda”.
Gli
elementi raccolti dal servizio di Report potrebbero dunque indurre a
pensare che l’ultima asta delle azioni del ministero dell’Economia
sia stata apparecchiata appositamente per far entrare
nell’azionariato di MPS Francesco Gaetano Caltagirone e la
finanziaria della famiglia Del Vecchio, BPM e Anima, ad un prezzo
calmierato.
Il
loro ingresso sarebbe stato funzionale a lanciare dopo solo un paio
di mesi la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la
famiglia Del Vecchio avevano grossi interessi.
MPS diventerebbe
una sorta di cavallo di Troia per Caltagirone e Delfin per prendersi
Mediobanca: “questa Opa mi sembra strumentale non tanto per fare
una fusione tra due banche ” racconta Alessandro Penati docente di
Finanza della Cattolica “ma a costituire un gruppo di influenza in
cui i privati appoggiati dal governo avrebbero una influenza.”
E
cosa dice il governo in proposito? Il sottosegretario Freni di fronte
alla domanda di Mottola, se ci sia stata una regia del governo sulla
scalata di MPS, si è messo a ridere “ma quale regia.. ma che ne
so io.. io sono solo uno scrivano ..”
C’è stato o meno un
incontro lo scorso settembre al MEF tra esponenti del governo e MPS
per pianificare questa scalata? Chi lo sa. Di certo lo stato italiano
attraverso il MEF detiene l’11% di MPS, ma freni si ostina a
rispondere “io non conto nulla..”
Il
servizio racconterà poi della scalata tentata da Unicredit alla
Banca Popolare di Milano: veniva presentata come investimenti di
Unicredit in Italia, ma Salvini l’aveva definita una banca
straniera. “Diciamo che Unicredit ha le sue radici in Italia e il
45% del gruppo è in Italia, siamo presenti in 13 paesi e in questo
contesto siamo paneuropei” ha risposto l’AD Andrea Orcel. Altre
domande sul tema delle scalate e sulla posizione non neutra del
governo non sono state ammesse.
In effetti Salvini non avrebbe
torto: la proprietà di Unicredit è straniera per oltre il 70% del
suo capitale, controllato soprattutto da fondi americani e inglesi.
Tuttavia all’epoca degli attacchi di Salvini anche in BPM
l’azionista di maggioranza non era italiano ma era la francese
Credite Agricole e subito dopo veniva l’americana Black Rock.
Forse, anche alla luce di ciò, non tutti i maggiorenti della Lega si
sono lasciati arruolare nella crociata nazionalista di Salvini.
Massimiliano
Romeo è il capogruppo al Senato: alla domanda se Unicredit è
straniera non ha voluto rispondere “dovete mettervi d’accordo col
nostro ufficio stampa”.
Calderoli,
ministro dell’Autonomia non ha proprio risposto. Laura Ravetto,
deputata della Lega ha glissato, “voglio andare a sentire
Salvini..”
Almeno
Fedriga, presidente della regione Friuli, almeno è stato netto:
Unicredit non è straniera, “mi auguro che Unicredit possa
contribuire a far crescere e collaborare all’interno di una maggior
vicinanza al sistema produttivo”. Fedriga prende la distanze da
Salvini anche perché la questione BPM non riguarda tutta la lega –
spiega nel servizio di Mottola – ma quasi esclusivamente la Lega
lombarda. Negli ultimi 15 anni infatti i vertici del partito in
Lombardia hanno coltivato un rapporto molto stretto con la BPM da
quando, nel 2009, ne è stato nominato presidente Massimo Ponzellini,
vicinissimo a Giancarlo Giorgetti il quale oggi, da ministro
dell’Economia, ha deciso di usare sulla scalata di Unicredit il
golden powere quindi dare al governo l’ultima parola sulla scalata.
C’è
un tifo di Salvini e Giorgetti per BPM? Il presidente di BPM Tononi
commenta dicendo “mi sembra una espressione fuori luogo, non è
questione di fare tifo, bisogna fare scelte giuste per l’economia
italiana e certamente il venir meno del pluralismo potrebbe essere un
elemento di fragilità in questa situazione.”
Insomma,
un assalto alla cassaforte dei nostri risparmi da parte di questa
destra sovranista ovvero, come dice il titolo del servizio, all’armi
siam banchieri.
Si muove la politica e si muove quel pezzo di
imprenditoria che fa riferimento a questa maggioranza: per esempio il
costruttore Caltagirone, che ha costruito i palazzi dei quartieri di
Roma. Roma non si può governare senza il suo consenso: l’ex
sindaco Ignazio Marino racconta di come sia difficile, Caltagirone è
sempre stato abituato ad avere figure nell’amministrazione della
città che non si mettono in contrasto.
Il
suo quartier generale è nel centro di Roma in via Barberini: qui
amministra i suoi interessi nella capitale, da Acea la società di
acqua ed elettricità di cui detiene una quota; è uno dei
costruttori del prossimo termovalorizzatore ed è nel consorzio che
sta realizzando la metro C, l’opera pubblica più costosa
d’Europa.
Continua Marino: “Penso che in questa fase storica
Caltagirone si sia abbastanza staccato da quel mondo che a Roma viene
chiamato dei palazzinari.”
L’epopea imprenditoriale di
Francesco Gaetano Caltagirone comincia negli anni ‘80 quando fa i
primi miliardi con l’attività di palazzinaro: il suo rapporto con
la politica, la Democrazia Cristiana, è strettissimo, ma gli costa
caro. Finisce nelle principali inchieste di Tangentopoli, imputato per
corruzione in vari processi, è stato sempre assolto.

In
questi processi tra gli imputati era presente anche l’ex ministro
Cirino Pomicino: entrambi, Pomicino e Caltagirone, furono assolti.
Caltagirone passa poi dal finanziare la DC, la corrente andreottiana,
a finanziare i “nuovi partiti” della seconda repubblica.
Inizia,
anche su suggerimento di Pomicino, a comprare giornali, “devi
essere un imprenditore con cui la politica deve fare i conti, in un
momento in cui i partiti non sono più un punto di riferimento e c’è
il rischio che il riferimento lo diventino le procure, il giornale è
l’unico modo per garantire la propria resistenza.”
Così
nasce l’impero editoriale di Caltagirone: nel 95 compra Il Tempo,
poi rivenduto, poi Il Messaggero, il più importante giornale della
capitale, subito dopo Il Mattino, il quotidiano più diffuso a Napoli
e in Campania. Due anni dopo rileva Il quotidiano di Puglia, poi Il
Corriere Adriatico diffuso nelle Marche, quindi Il Gazzettino il
maggior quotidiano in Veneto e Friuli. La geografia delle
acquisizioni editoriali di Caltagirone segue pedissequamente i suoi
affari, perché compra i giornali in tutte le città e le regioni
dove ha maggiori interessi finanziari e imprenditoriali.
Una
genialità la sua – commenta così il mentore Pomicino –
comprendere come i giornali potessero essere uno strumento di
condizionamento della politica: “sapevi che se toccavi Caltagirone
la tua vita sarebbe stata centellinata dai giornalisti ..”
Sul
ruolo di Palazzo Chigi (arbitro e giocatore) in questo risiko
bancario potete leggere l’anticipazione del servizio di Report data
da Marco
Palombi sul Fatto Quotidiano:
Il
governo banchiere, il risiko e il conflitto di interessi di Caputi
di
Marco Palombi
Il
capo di gabinetto di Giorgia Meloni ha quote in due società che si
occupano di Npl
Ogni
giorno si scoprono nuovi particolari su quella che il Fatto,
parafrasando una vecchia battuta, ha definito “l’unica merchant
bank in cui si parla romano”: le intricate vicende del cosiddetto
risiko bancario – in cui Palazzo Chigi fa contemporaneamente
l’arbitro, il giocatore e il vigilante – sono descritte da una
lunga inchiesta di Report, firmata da Giorgio Mottola e in onda
stasera su Raitre, da cui si scopre, tra le altre cose, che il capo
di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi, l’uomo che per
conto della premier gestisce anche la partita bancaria, s’è
dimenticato di dichiarare un potenziale conflitto d’interessi.
Nel
servizio si racconterà infatti di come le azioni di MPS, detenute
dal MEF, siano state vendute con procedura accelerata, per evitare
che venissero vendute sul mercato. Lo scorso novembre quando il MEF
ha venduto un altro 15% di MPS, Giorgetti non si è affidato alle
solite banche d’affari ma ad un piccolo operatore, banca Akros del
gruppo BPM: così ad aggiudicarsi le azioni non sono state, come nel
passato, decine di svariati investitori ma solo 4 compratori, tra cui
Caltagirone col 3,6%, Delfin del gruppo Del Vecchio il 3,5%, banco
BPM col 5% e il 4% Anima il fondo di investimento partecipato da
Caltagirone, BPM e MEF.
Come
se questa cessione di azioni di MPS fosse stata concordata, come
ammette Luca Enriques ex commissario Consob a Report . Da quanto
risulta a Report, alla terza asta diversi fondi di investimento anche
stranieri erano interessati ad acquistare azioni del ministero
dell’Economia ma risulta che non abbiamo mai avuto risposta dalla
banca Akros e secondo quanto scrive il Financial Times sarebbe stata
bloccata anche una un’offerta avanzata da Uncredit.
Ora
Caltagine e Del Vecchio attraverso Anima e BPM sono arrivati a
controllare il 15% di MPS che una quota di controllo della banca.
Durante questa asta i quattro gruppi non hanno comprato le azioni a
sconto ma le hanno pagate il 2% del loro valore in borsa. Il MEF
avrebbe incassato dunque più delle due aste precedenti ma alla fine
il collocamento di banca Akros si è rivelato più vantaggioso per
Caltagirone e gli altri compratori. Se infatti avessero voluto
comprare le azioni sul mercato l’operazione sarebbe stata più
complicata perché il mercato “capisce” che c’è dietro una
mano a comprare le azioni e quindi ne fa salire il prezzo, così
Caltagirone e Del Vecchio le avrebbero pagate di più.
Si
potrebbe dunque pensare che l‘ultima asta del MEF sia stata
apparecchiata per far entrare nell’azionariato di MPS proprio Anima
e BPM ad un prezzo conveniente. Un ingresso funzionale a lanciare,
dopo qualche mese, la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone
che la famiglia Del Vecchio hanno grossi interessi.
La
scheda del servizio: ALL’ARMI,
SIAM BANCHIERI!
di
Giorgio Mottola
Collaborazione
Greta Orsi
Nonostante
l’economia non stia andando benissimo, le banche italiane sono
riuscite a registrare ricavi miliardari grazie agli extraprofitti
favoriti dall’aumento dei tassi di interesse. Il governo Meloni ha
provato a introdurre una tassazione su questi guadagni miliardari, ma
ha dovuto battere in ritirata. E così gli istituti di credito del
nostro Paese si sono ritrovati con le casse piene di soldi. Grazie a
questa situazione di favore, è partito il cosiddetto risiko
bancario: Unicredit ha lanciato una scalata sulla Banca popolare di
Milano e poco dopo Monte dei Paschi di Siena ha avviato l’assalto
all’ex salotto buono della finanza italiana, Mediobanca. In questa
partita però di finanziario c’è molto poco. Fratelli d’Italia e
Lega hanno deciso di giocare un ruolo di primo piano e puntano alla
nascita di un terzo polo bancario a trazione sovranista. L’obiettivo
è la cassaforte dei risparmi privati degli italiani: le
Assicurazioni Generali. Per raggiungere lo scopo, è nata un’inedita
alleanza con potenti esponenti del capitalismo finanziario del nostro
Paese.
I
conti dell’Inter
Chi
aveva ragione, sui conti dell’Inter? Report oppure quelli che hanno
contestato
il servizio?
E,
poi, oltre all’Inter, ci sono altre società di calcio in serie A
coi bilanci a rischio?
Il
mondo del calcio è sempre stato un terreno particolare, dove le
regole che valgono per tutte le altre imprese qui vengono
interpretate a seconda del caso.
Nel mondo del calcio sono in
tanti a lanciare l’allarme, perché l’Inter vince due scudetti
con un debito monstre: l’ultimo è Claudio Lotito, presidente della
Lazio e senatore di Forza Italia. Nel corso di un evento pubblico ha
dichiarato: “il paradosso è che ci sono società con debiti da
600-700 ml di euro tecnicamente fallite ma che vincono il
campionato.”
Come commenta questa uscita il ministro dello
sport Abodi (membro della stessa maggioranza di Lotito)? “Questa è
una opinione che deve essere verificata dai fatti, questa commissione
[quella che
il governo Meloni ha pensato per controllare i bilanci delle
squadre] non deve essere severa, deve essere giusta e deve mettere in
condizione anche voi di raccontare le cose come stanno.”
Ma
nella riforma che il governo ha in mente sui bilanci delle squadre ci
saranno interventi sull’equilibrio finanziario del sistema calcio?
“Stiamo
ragionando sulle figure che vogliamo siano molto qualificate, molto
indipendenti che assumono il ruolo come missione..”
La
commissione voluta da Abodi è quella che sostituirà la Covisoc,
l’organismo oggi sotto il controllo della Federcalcio incaricato di
verificare lo stato di salute finanziaria dei club .
Ma
l’ultimo regalo al calcio italiano è arrivato proprio grazie al
governo Meloni che, nel dicembre 2022, ha approvato il decreto salva
calcio, che ha permesso di spalmare un debito fiscale complessivo di
889 ml di euro in sessanta comode rate.
LE
squadre hanno avuto modo di ricorrere agli strumenti che la legge ha
permesso di poter utilizzare – racconta il presidente di
Federcalcio Gravina – però il debito si accumula e quindi questo
genera degli alert ma sono alla parti di qualunque società di
capitali.
Ma
questo decreto alimenta una cultura del debito: lo spiega il
consulente di Report Gian Gaetano Bellavia, esperto di bilanci e
diritto penale dell’Economia “ma secondo lei il calcio è una
roba normale, ma possiamo confrontarlo con una normale azienda, il
lusso, lo spreco, di denaro, assurdo, non solo per i calciatori ma
anche per gli allenatori, gli agenti, per le feste, le macchine, è
tutto un lusso a debito. Il lusso non si fa a debito, il lusso si fa
coi soldi, che qui non ci sono.”
Il
cuore del servizio sarà dedicato ai conti dell’Inter: i suoi
problemi finanziari erano legati alle holding cinesi del suo ex
proprietario?
Nel
mondo della finanza le voci corrono con molta velocità – racconta
Daniele Autieri – il 7 gennaio 2025 la famiglia Zhang, uno dei
grandi conglomerati industriali cresciuti all’ombra del partito
comunista dichiara bancarotta. In un attimo la notizia del fallimento
del gruppo Suning viaggia da Bangkok a Manhattan: tra le società
interessate dalla ristrutturazione del debito c’è anche la Suning
holding group, la stessa con cui per anni gli imprenditori cinesi
hanno controllato l’Inter.
Come spiega Gian Gaetano Bellavia,
tutto questo ha avuto riflessi sulla squadra milanese: “se si parla
di stato di insolvenza o fallimento è fatale che i cinesi non
abbiamo più dato soldi all’Inter.”
Che il gruppo Suning
fosse sull’orlo della bancarotta era noto agli addetti ai lavori
già nel 2020, come aveva rivelato a Report l’analista finanziario
che cinque anni fa, al termine di una accurata due diligence aveva
per primo lanciato l’allarme sui conti del club milanese.
A
Report aveva raccontato le voci che giravano “mi ricordo che
dicevano che questi Zhang non potevano viaggiare per impegni e così
via,ma questi erano sotto chiave, questi qui avevano fatto un casino
che Parlamat al confronto era niente. La Cina gli aveva ritirato il
passaporto. ”

Cinque
anni dopo la profezia dell’analista si è avverata, il gruppo
Suning dichiara bancarotta al termine di un decennio di strategie
finanziarie fallimentari: tra il 2012 e il 2020 gli Zhang investono
10 miliardi di euro in operazioni a perdere, una di queste è proprio
l’acquisto dell’Inter.
Report è andata fino a New York,
alla borsa americana, per trovare conferme a questa storia: nella
compagine accanto a Zhang c’è anche Lion Rock un private equity di
Hong Kong. Nel 2019 il fondo rileva il 31,05 % delle partecipazioni
dell’Inter e il suo presidente Daniel Tseung si presenta alla
Pinetina con un piano preciso, vendere l’immagine del calcio
italiano in Cina e lo fa con una intervista manifesto, l’unica
concessa in Italia e rilasciata alla giornalista finanziaria Laura
Morelli.
“Lion Rock è un fondo che investe in consumer,
dunque beni di consumo, dal sito sono 9 le società dove dicono di
aver investito dal 2011, Inter compres ” spiega oggi a Report la
giornalista “il calcio non era mai stato un loro investimento,
l’Inter è stato il primo e anche l’ultimo finora.”
Nell’Inter
quanti soldi hanno messo? “Si parlava di circa 150-200 ml ”
La
scheda del servizio: LA
RESA DEI CONTI
di
Daniele Autieri
Collaborazione
Alessandra Teichner, Andrea Tornago
L’Inter,
il Club italiano che ha vinto di più negli ultimi anni, è stato
davvero sull’orlo del fallimento? Dopo l’inchiesta del febbraio
scorso che aveva ricostruito i guai finanziari della società, in
molti hanno criticato Report accusando la trasmissione di aver
addossato all’Inter i peccati dei suoi proprietari, ovvero del
Gruppo Suning che fino al maggio del 2024 controllava il Club. Tre
mesi dopo ecco la nuova inchiesta che approfondisce il filone
finanziario del Club, prima e dopo l’ingresso del fondo americano
Oaktree, e ricostruisce nel dettaglio quali fossero le reali
condizioni del Club negli anni più difficili della proprietà Zhang,
tra il 2021 e il 2023. Grazie a documenti inediti e a una
testimonianza eccellente, l’inchiesta ricostruisce tutti i
retroscena delle operazioni finanziarie che hanno evitato il
fallimento dell’Inter. Una verità che testimonia ancora una volta
la fragilità delle società sportive e l’inefficacia delle
istituzioni nel costruire e far rispettare un sistema di regole
condiviso, proprio adesso che il governo è al lavoro su una futura
riforma del calcio.
Lo
stato degli allevamenti ittici
Quante
cose si scoprono seguendo i servizi di Report: il record di
inquinamento da ammoniaca in pianura padana grazie agli allevamenti
intensivi e ora scopro che siamo leader negli allevamenti di trote.
Ma in che modo vengono allevati questi pesci?
Negli allevamenti
visitati da Giulia Innocenzi si vedono tanti pesci agonizzanti, che
boccheggiano in acqua o in superficie, che nuotano al contrario,
sbattono contro le pareti del vascone. Insieme ai pesci agonizzanti
si trovano anche animali morti che andrebbero rimossi il prima
possibile per motivi igienico sanitari, perché potrebbero essere
morti per malattie infettive e potrebbero mettere a rischio altri
pesci.
Alcune trote sono morte impigliate nelle griglie
dell’allevamento: sono animali curiosi – racconta a Report Simone
Montuschi- presidente di Essere Animali – è normale che cerchino
delle zone in cui non sono ancora stati, se ci sono delle reti dove
loro entrano con la testa ma poi il corpo si allarga e non riescono
più a uscire con le branchie non riescono ad indietreggiare,
rimangono incastrati.
E
incastrate nella rete muoiono. Incastrati si trovano anche animali
vivi: nel video che potete vedere in anteprima, l’autore delle
riprese ha cercato di liberare gli animali, cosa che dovrebbero fare
le persone che gestiscono l’allevamento.
Nelle
reti, oltre ai pesci si trovano anche gli uccelli, anche loro rimasti
impigliati nelle reti: alcuni di questi sembrano essere presenti da
diverso tempo.
La
scheda del servizio: LAGUNA
NERA
di
Giulia Innocenzi
Collaborazione
Greta Orsi
L'Italia
è un paese leader nella produzione di trote. Quali sono le
condizioni dei pesci nei vasconi e come vengono abbattuti? Grazie a
immagini esclusive Report mostrerà la realtà degli allevamenti
considerati di alta qualità. E a un anno di distanza dalla moria di
pesci che ha colpito la laguna di Orbetello, famosa per la sua
preziosa biodiversità, ma anche per le sue spigole e orate, cosa è
stato fatto per evitare che succeda di nuovo?
Le
anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate
sulla pagina FB o
sull'account Twitter
della trasmissione.