La giustizia non permette nulla
di tutto questo: richiede isolamento, vuole più dolore che collera,
prescrive che ci si astenga il più possibile dal mettersi in vista.
Sono stato spinto alla lettura di questo saggio della filosofa
Hanna Arendt
dopo aver visto
il bel film di Margarethe Von Trotta (rimasto purtroppo nelle
sale solo per pochi giorni, per lasciar spazio alle cine-
immondizie): sono grato a chi mi ha spinto all'approfondimento
letterario perché “La banalità del male” è una di
quelle letture, impegnative, che però ti allargano la mente.
Tanti
altri autori (da Primo Levi a Simon Wiesenthal) si sono occupati della
Shoa, di come funzionava la macchina dello sterminio, il male
assoluto del secolo passato. Ma in questo libro l'autrice fa un passo
avanti: ha cercato di dare una spiegazione, il genocidio degli ebrei
(e dei comunisti, degli zingari, degli omossessuali, delle vite
indegne) da parte dei nazisti. Chi erano queste persone che hanno
architettato la macchina dello sterminio? Erano dei sadici violenti
oppure persone comuni che smisero di pensare come uomini, con la loro
mente, in un momento particolare della storia europea?
Queste risposte furono messe nero su bianco nei suoi articoli
scritti per il New Yorker, in occasione delle sedute del processo ad
Adolf Eichmann, a Gerusalemme, nel 1961. E furono articoli che
suscitarono numerose polemiche.
I giudici, e in particolare il procuratore che sostenne l'accusa,
cercavano il mostro, per un processo che doveva avere più valenza
politica che non dare giustizia alle vittime del più grande
genocidio moderno.
Ma i giudici si trovarono di fronte solo un mediocre burocrate di
stato, cresciuto in una misera famiglia, con l'ambizione di entrare
nell'alta società. Con la sindrome da perseguitato della sfortuna.
Quanto più lo si ascoltava, tanto più era evidente che la sua
incapacità di esprimersi era strettamente legata ad un’incapacità
di pensare dal punto di vista di qualcun altro. Comunicare con lui
era impossibile, non perché mentiva, ma perché le sue parole e la
presenza degli altri, e quindi la realtà in quanto tale, non lo
toccavano.
Lui, Adolf Eichmann, nato a Linz nel 1907 era diventato
tristemente famoso perché a capo dell'ufficio B-4 della sezione IV
delle SS, l'esperto della questione ebraica all'interno del Terzo
Reich, su cui gli alti vertici delle SS scaricarono tutte le colpe
relativamente alla soluzione finale.
E' vero: il suo ufficio fu responsabile per le deportazioni degli
ebrei da tutti i territori annessi al Reich millenario (nelle
intenzioni di Hitler) prima, e delle evacuazioni ad est poi, quando
al problema della questione ebraica fu data una soluzione "finale".
“Da una vita monotona e
insignificante era piombato di colpo nella “storia” , cioè,
secondo la sua concezione, in un “movimento” che non si arrestava
mai e in cui una persona come lui – un fallito sia agli occhi del
suo ceto e della sua famiglia che agli occhi propri – poteva
ricominciare da zero e far carriera”.
Eichmann
non era il mostro: era semplicemente un uomo che aveva obbedito
alle leggi criminali dell'epoca in cui viveva, senza opporsi, senza
chiedersi se violassero qualche principio superiore.
Sta tutta qui la mostruosità che Hannah Arendt ha raccontato nel
suo resoconto nato seguendo il dibattimento in aula per il processo a
Gerusalemme.
La banalità del male, dell'uomo senza pensieri propri: “le
azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né
demoniaco né mostruoso”.
Ma
il lavoro importante della giornalista fu anche quello di riportare
ai suoi lettori la ricostruzione della macchina dello sterminio, per
come emerse dal dibattimento in aula.
Non solo Eichmann non aveva
tutti i poteri esecutivi che gli furono imputati (erano molti gli
uffici nel Reich che si occupavano materialmente della deportazione
degli ebrei e della loro liquidazione), ma Eichmann si occupò prima
ancora della soluzione finale, della della loro deportazione fuori
dal suolo occupato dai tedeschi.
Veramente Eichmann avrebbe
spostato tutti gli ebrei in Madagascar, come gli era stato
inizialmente ordinato. Non solo, era così “onesto”,
nel suo lavoro (uso impropriamente questo termine e mi dispiace), che
non fu uno che si arricchì con gli ebrei: egli faceva parte dell'ala
non moderata delle SS, diversamente da Himler, per esempio, che
predispose per gli ebrei ricchi dei campi di concentramento dove si
poteva sopravvivere (come il ghetto Theresiendstadt, campo dei vecchi
di Bergen Belsen).
L'arresto illegale di Eichmann era giustificabile (e così fu
infatti giustificato agli occhi del mondo) solamente perché già si
sapeva come si sarebbe concluso il processo.Qui però si vide che
il ruolo a lui attribuito nella soluzione finale era stato
grandemente esagerato - un po' per le sue vanterie , un po' perché a
Norimberga e in altri processi i criminali di guerra avevano cercato
di scaricare su di lui le colpe, e molto perché i funzionari ebraici
avevano avuto rapporti quasi esclusivamente con lui, essendo egli
l'unico funzionario tedesco "esperto in affari ebraici".
Per colpa della sua memoria
(che ricordava episodi banali, ma non le tappe fondamentali della
pianificazione dello sterminio) Eichmann, non riuscì a discolparsi
(ne avrebbe potuto farlo del tutto) sui capi di imputazione che
l'accusa gli imputò:
“Da alcune occasionali menzogne [i giudici] preferirono
concludere che egli era fondamentalmente un “bugiardo” – e così
trascurarono il più importante problema morale e anche giuridico di
tutto il caso. Essi partivano dal presupposto che l’imputato, come
tutte le persone “normali”, avesse agito ben sapendo di
commettere dei crimini; e in effetti Eichmann era normale nel senso
che “non era una eccezione tra i tedeschi della Germania nazista”,
ma sotto il Terzo Reich soltanto le eccezioni potevano comportarsi in
maniera “normale”. Questa semplice verità pose i giudici di
fronte ad un dilemma insolubile, e a cui tuttavia non ci si poteva
sottrarre”.
Eichmann sapeva dei campi di sterminio,
conosceva il vero significato dell'espressione trattamento speciale,
sapeva che il suo lavoro significava la morte di migliaia di persone:
ma probabilmente è altrettanto vero che non uccise mai nessun ebreo
di persona, né partecipò e vide lo sterminio nei campi
“Il fatto è che Eichmann non vide molto. È vero, egli
visitò più volte Auschwitz, il più grande e il più famoso dei
campi della morte, ma Auschwitz, che si trovava nell’Alta Slesia e
che si estendeva per una superficie di quasi trenta chilometri
quadrati, non era soltanto un campo di sterminio: era una gigantesca
industria e contava fino a centomila ospiti, dove tutti i tipi di
prigionieri erano rappresentati, anche i non ebrei e i forzati non
destinati alla morte per gas. Era facile evitar di vedere gli
impianti di sterminio..”.
La questione della crisi di coscienza
Un
argomento importante affrontato nei suoi articoli e nel libro è
quello relativo alla crisi di coscienza dei tedeschi, durante la
guerra. Si resero conto, gli ufficiali che presero parte al complotto
contro Hitler, di quello che stavano facendo? C'era un'opposizione
interna che si rendeva conto della mostruosità che stava avvenendo?
La
legislazione dello stato ebraico cui i giudici facevano riferimento
era evidentemente riferita agli ebrei che collaborarono allo
sterminio (ma su questo l'autrice ritornerà più
avanti):
Dappertutto, nell’operazione di
sterminio, i tedeschi si erano serviti di Sonderkommando ebraici,
cioè di “unità speciali” che avevano commesso atti criminosi
“al fine di salvarsi dal pericolo immediato di morte”, e i
Consigli degli anziani ebraici avevano collaborato perché speravano
di “sventare conseguenze più gravi di quelle concretamente
verificatesi”.
La conclusione cui giunse la corte fu che non fosse vero che
non ci si poteva sottrarre all'ordine, perché si rischiava la corte
marziale:
“Una volta egli disse che l’unica alternativa sarebbe stata
per lui il suicidio; ma questa era una menzogna, poiché noi sappiamo
che elementi delle squadre di sterminio lasciavano quel lavoro con
stupefacente facilità, senza gravi conseguenze per la propria
persona”.
Relativamente agli alti ufficiali
implicati nella congiura di luglio 1944
“Il coraggio di molti di loro fu ammirevole, ma non fu
ispirato da sdegno morale o dal rimorso per le sofferenze inflitte ad
altri esseri umani; essi furono mossi quasi esclusivamente dalla
certezza che ormai la sconfitta e la rovina della Germania erano
inevitabili”.
Pensavano di
poter scendere ancora a patti con gli alleati, nonostante le colpe,
nonostante lo sterminio, nonostante le leggi razziali.
Illusi,
come illuso lo era anche Himmler:
“L’ordine dato da Himmler nell’autunno del 1944 di
sospendere lo sterminio e di smantellare gli impianti dei campi
della morte, fu dovuto al fatto che egli era assurdamente ma
sinceramente convinto che le potenze alleate avrebbero saputo
apprezzare e ricompensare questo gesto”.
La collaborazione degli ebrei:
Un tema che suscitò sia in
Israele che in America molte polemiche, anche all'interno della
cerchia di intellettuali che Arendt frequentava, fu la collaborazione
dei ebrei stessi con i nazisti, per l'organizzazione della macchina
dello sterminio.
Il contrasto tra l'eroismo del
nuovo Israele e la rassegnata sottomissione con cui gli ebrei
andavano a morte (arrivando puntuali ai centri di smistamento,
recandosi con i ropri piedi ai luoghi di esecuzione, scavandosi la
fossa con le proprie mani, spogliandosi da sé e ammucchiabdo in
bell'ordin le vesti, ditendendosi l'uno accanto all'altro per essere
uccisi) sembrava un buon argomento, e il pubblico ministero, cercando
di sfruttando al massimo, si reoccupò do chiedere a tutti i
testimoni: "Perché non protestavate? Perché salivate sui
treni? .."
Non
stiamo parlando dei Sonderkommando, gli ebrei che si occupavano
dell'accoglienza degli ingressi nei campi di sterminio, affinché non
ci fossero “problemi”, intoppi nel processo di morte.
Erano coloro che,
in cambio di pochi privilegi, dovevano convincere che dalle docce
sarebbe scesa acqua, che avrebbero poi cremato i corpi, recuperandone
tutto ciò che si poteva dai corpi. Illuminante, in proposito il film
“La zona grigia” di Tim Blake Nelson.
Hanna Arendt
intendeva la collaborazione dei vertici delle comunità ebraiche con
le SS
“Eichmann o i suoi uomini comunicavano ai Consigli ebraici
degli Anziani quanti ebrei occorrevano per formare un convoglio, e
quelli preparavano gli elenchi delle persone da deportare. E gli
ebrei si facevano registrare, riempivano innumerevoli moduli ,
rispondevano a pagine e pagine di questionari riguardanti i loro
beni, in modo da agevolarne il sequestro; poi si radunavano nei
centri di raccolta e salivano sui treni. I pochi che cercavano di
nascondersi o di scappare venivano ricercati da uno speciale corpo di
polizia ebraico. A quanto constava ad Eichmann, nessuno protestava,
nessuno si rifiutava di collaborare [..] “qui la gente parte
continuamente, diretta verso la propria tomba”, disse un
osservatore ebraico a Berlino nel 1943”.
Non fu una collaborazione forzata (i sonderkommando erano
liquidati ogni quattro e rimpiazzati da altri detenuti), ma bensì
queste strutture (fortemente volute da Eichmann) resero possibile lo
sterminio, giorno dopo giorno, senza intoppi burocratici:
“Senza
l’aiuto degli ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco (il
rastrellamento finale degli ebrei a Berlino, come abbiamo accennato,
fu effettuato esclusivamente da poliziotti ebraici), o ci sarebbe
stato il caos completo oppure i tedeschi avrebbero dovuto distogliere
troppi uomini dal fronte.[..]È per questo che l’insediamento di governi fantoccio nei
territori occupati fu sempre accompagnato dalla creazione di un
ufficio centrale ebraico e, come vedremo più avanti, dove i nazisti
non riuscirono a insediare un governo fantoccio, neppure riuscirono a
ottenere la collaborazione degli ebrei”.
Concluse l'autrice con una frase che le costerà l'amicizia di
molte persone nel suo stesso paese:
“La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato
realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato
il caos e la disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi
sei milioni”.
Il crollo morale della società europea e tedesca
Perché è successo tutto
questo?
Perché quello che a noi oggi appare mostruoso, è potuto
accadere nella civilissima Europa?
Se né Eichmann (né tantomeno
Himmler) erano dei sadici, come hanno potuto accettare il genocidio
senza porsi dei problemi di coscienza?
Abbiamo visto come l'indottrinamento
delle SS (e anche del popolo tedesco) abbia puntato sul concetto di
missione finale, la liberazione del Reich dagli ebrei (e dagli altri
gruppi insani), da portare avanti senza scrupoli. Scrive
l'autrice a proposito delle motivazioni dei nazisti:
È
degno di nota, però, che Himmler non tentasse quasi mai di darne una
motivazione ideologica.Ciò che colpiva di più le menti di
quegli uomini che si erano trasformati in assassini, era
semplicemente l’idea di essere elementi di un processo grandioso,
unico nella storia del mondo (“un compito grande , che si presenta
una volta ogni duemila anni”) e perciò gravoso. Questo era molto
importante, perché essi non erano sadici o assassini per natura;
anzi, i nazisti si sforzarono sempre, sistematicamente, di mettere in
disparte tutti coloro che provavano un godimento fisico
nell’uccidere.
L'autrice parla esplicitamente di un
“crollo morale” della società, che non volle vedere, non
volle chiedersi dove finivano gli ebrei ad est (e che ancora prima
non si fece troppi problemi nel vedere sparire i malati di mente o i
bambini deformi, col programma Aktion T4).
“E in effetti la sua coscienza si tranquillizzò al vedere lo
zelo con cui la "buona società" reagiva dappertutto allo
stesso modo. Egli non ebbe bisogno di "chiudere gli orecchi",
come si espresse il verdetto, per non ascoltare la voce della
coscienza: non perché non avesse una coscienza, ma perché la sua
coscienza gli parlava con una "voce rispettabile" la voce
rispettabile della società che lo circondava”.
Se un mostro andava trovato,
questo era un mostro diffuso nelle teste degli europei, dove era (o è
ancora oggi) putroppo diffuso, in modi diversi, l'antisemitismo.
Un caso che fece eccezione, fu quello
danese:
“Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a
introdurre un distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe
stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che
qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro
immediate dimissioni”.
Hannah Arendt parla anche dei vuoti di
oblio, dove nascondere le tracce dello sterminio e anche gli
oppositori interni:
E' vero che il regime hitleriano cercava di creare dei vuoti di
oblio ove scomparisse ogni differenza tra il bene e il male, ma come
i febbrili tentativi compiuti dai nazisti dal giugno del 1942 in poi
per cancellare ogni traccia dei massacri (con la cremazione, con
l'incendio dei pozzi, con gli esplosivi e i lanciafiamme e macchine
che frantumavano le ossa) furono condannati al fallimento, così
anche tutti i loro sforzi di far scomparire gli oppositori "di
nascosto, nell'anonimo", furono vani. I vuoti di oblio non
esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e
al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano:
qualcuno resterà sempre in vita per raccontare.
Critica alla sentenza di condanna
Gli ultimi capitoli del libro sono una
critica ragionata sulla sentenza di condanna, sulla competenza della
corte, un confronto col precedente processo di Norimberga del 1946 e
un'indicazione su come si sarebbe dovuto procedere, portando il
procedimento a livello delle Nazioni Unite, poiché si parla di
crimini contro l'umanità.
Questi i capi per cui Eichmann era
imputato
- C'era in primo luogo la questione della parte avuta da Eichmann
nelle stragi compiute dagli Einsatzgruppen, istituiti da Heydrich in
una riunione nel marzo del 1941.
- Il secondo punto riguardava la deportazione degli ebrei dai
ghetti polacchi ai vicini centri di sterminio.
- Il terzo punto riguardava la responsabilità di Eichmann per ciò
che accadeva nei campi di sterminio, dove secondo l'accusa egli
godeva di grande autorità.
- al quarto e ultimo punto, che riguardava l'autorità di Eichmann
in generale nei territorio orientali: la questione se egli fosse o
meno responsabile delle condizioni di vita indicibilmente miserevoli
che regnavano nei ghetti, e della liquidazione di quei centri
Abbiamo visto come la sua responsabilità era limitata, per quanto
riguarda gli Einsatzgruppen (erano reparti di polizia) sia per quanto
riguarda la vita nei campi.
Il suo compito era seguire la logistica del trasferimento verso
est: il rastrellamento, la schedatura, la creazione dei convogli (che
dovevano essere sempre pieni, per non sprecare il carico).
Eichmann fu rapito dai servizi israeliani in Argentina per essere
processato: tutto ciò fu possibile perché era “apolide”, come
lo erano diventati gli ebrei dopo le leggi naziste sulla soluzione
finale create dopo la conferenza di Wansee nel 1941.
Apolidi gli ebrei che, così, perdevano tutte le dignità nei
paesi in cui si erano rifugiati.
Apolide anche l'organizzatore delle loro deportazioni. Che era
fuggito in Argentina con l'aiuto di Odessa.
“Se la corte di Gerusalemme poté giudicare Eichmann fu solo
perché di fatto gli era un apolide, e solo per questo. Ed Eichmann,
benché non fosse un giurista, non dovette meravigliarsene: tutta la
sua carriera gli insegnava che degli apolidi si poteva fare quello
che si voleva, tanto che per sterminare gli ebrei si era dovuto prima
provvedere a renderli senza patria”.
Le ultime parole.
"Tra breve signori ci
rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la
Germania, viva l'Argentina, viva l'Austria. Non le dimenticherò".Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per
l'orazione funebre. Sotto la forca la memoria gli giocò l'ultimo
scherzo: egli si sentì "esaltato" dimenticando che quello
era il suo funerale.Era come se in quegli ultimi minuti egli
ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità
umana ci aveva insegnato - la lezione della spaventosa, indicibile
e inimmaginabile banalità del male.
Sulla competenza del tribunale di Gerusalemme:
“Se la corte di Gerusalemme avesse capito che c'è una
differenza tra discriminazione, espulsione e genocidio, avrebbe
subito visto chiaramente che il crimine supremo che essa doveva
giudicare , lo sterminio fisico degli ebrei, era un crimine contro
l'umanità, perpetrato sul corpo del popolo ebraico; [..] nella
misura in cui il crimine era un crimine contro l'umanità, per far
giustizia occorreva un tribunale internazionale”.
Infine, i limiti del tribunale di Gerusalemme.
“Insomma
se il Tribunale di Gerusalemme in qualche cosa fallì, fu perché non
si affrontarono e non si risolsero tre questioni fondamentali, tutte
e tre già ben note e ampiamente discusse fin dal tempo
dell'istituzione del Tribunale militare di Norimberga: evitare di
celebrare il processo dinanzi alla corte dei vincitori; dare una
valida definizione dei "crimini contro l'umanità"; capire
bene la figura del criminale che commette questo nuovo tipo di
crimini”.
In sintesi, le
questioni fondamentali non risolte furono:
- la corte non ammise i testimoni della difesa
- la sentenza fu incomparabilmente migliore delle sentenze emesse
a Norimberga. Il crimine di Eichmann non fu messo sullo stesso piano
dei comuni crimini di guerra, ma non si accennò mai alla possibilità
che lo sterminio di interi gruppi fosse qualcosa di più che un
crimine contro ciascuno dei popoli
- questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis
humanis, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli
impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. Eichmann è
stato volontario strumento di sterminio.
Capitoli del libro
La corte.
La storia di Eichmann: l'infanzia, il primo lavoro,
spirito da gregario/burocrate: necessità di appartenere ad un
gruppo, per entrare nella storia. Desiderio di rivalsa dopo i
fallimenti nella vita.
L'esperto di questioni ebraiche.
La prima soluzione al problema
ebraico: le espulsioni.
La seconda soluzione: il concentramento nei ghetti.
La
soluzione finale: lo sterminio.
La conferenza di Wanse, ovvero Ponzio Pilato.
I doveri di un
cittadino ligio al dovere.
Le deportazioni:
- dal Reich
-
dall'Europa occidentale
- dai Balcani, Jugoslavia, Grecia,
Bulgaria e Romania
- dall'Europa centrale (Ungheria e
Slovacchia)
- I centri di sterminio dell'Europa orientale.
-
Prove e testimonianze
- Condanna, appello ed esecuzione
-
Epilogo