06 dicembre 2025

Anteprima inchieste di Report – l’inchiesta su fratelli d’Italia in Sicilia e le olimpiadi Milano Cortina

 Come non funziona la gestione dei beni confiscati alla mafia

In Italia la lotta alle mafie funziona sulla carta. LE celebrazioni, Falcone e Borsellino, i proclami.. poi però.
Depotenziata l’azione della magistratura sui reati dei colletti bianchi, l’uso delle intercettazioni, guai poi se c’è di mezzo un politico.

E, poi, l’uso dei beni confiscati ai mafiosi: qui sta il nocciolo del potere sul territorio di un capomafia, far vedere che i loro beni comunque rimangono o nel loro controllo o abbandonati. A significare che lì, lo Stato, la giustizia, comunque non può arricare

LAB REPORT: CONFISCATI E ABBANDONATI

Di Lucina Paternesi

Collaborazione Cristiana Mastronicola

Può un’azienda gestita dallo Stato separare una frazione dal suo comune? Succede ad Aci Castello, in provincia di Catania, dove uno stabilimento balneare, il Lido dei Ciclopi, bene confiscato alla mafia, separa il paese dalla sua frazione, Aci Trezza. Nonostante l’amministrazione comunale abbia elaborato un progetto per gestire il lido come bene comune, l’Agenzia nazionale che amministra i beni confiscati non l’ha mai assegnato all’ente locale. Ma come funziona la gestione dei beni confiscati alla mafia? Ad oggi, in tutta Italia, sono circa 25mila tra edifici, aziende, terreni e persino castelli. Da Torino a Venezia, passando per Rimini e la Sicilia, i sindaci lamentano tempi lunghi per l’assegnazione, mancanza di fondi per ristrutturare gli immobili e tanta confusione burocratica; alla fine, troppo spesso, gli immobili deperiscono dopo anni di abbandono.

L’inchiesta sui fratelli d’Italia in Sicilia

I nuovi aggiornamenti sull’inchiesta che ha coinvolto i membri del collegio del garante alla privacy hanno fatto slittare a domenica 7 il servizio sull’inchiesta che ha coinvolto il partito di Giorgia Meloni in Sicilia.

Sui giornali (e soprattutto su Telemeloni) di questa inchiesta se ne è parlato poco, le dimissioni da vicecapogruppo alla Camera del deputato Manlio Messina (per le indagini su presunte corruzioni che arrivano fino al presidente Galvagno): non è stata una sua scelta ma è stato il partito che gliele avrebbe imposte, “mi fanno capire che se non mi fossi dimesso mi avrebbero tolto ..”, il partito gli avrebbe chiesto anche un comunicato dove avrebbe giustificato le dimissioni “per tutelare il bene del partito”.

A tutto questo si è arrivato a seguito dell’inchiesta su una presunta corruzione in Sicilia che però non ha toccato altre cariche regionali di FDI.

Il giorno dopo le dimissioni di Messina esce una pagina su Il giornale di Sicilia a firma Mario Barresi che svela i retroscena: le dimissioni gli sarebbero state chieste dopo alcuni colloqui coi vertici del partito, Arianna Meloni e Giovanni Donzelli per esempio. Anziché farsi cacciare, Messina decide questo passo: questa ricostruzione non è mai stata smentita dal partito di Meloni, una vendetta da parte dei vertici perché – racconta Barresi a Report – non avevamo mai sopportato la sua influenza a livello nazionale nel cerchio magico.

Report ha chiesto conto di questa ricostruzione allo stesso Donzelli in particolare la voce proveniente da fratelli d’Italia secondo cui Messina sarebbe stato cacciato dal partito.

Ma dietro l’articolo di Barresi c’è proprio Donzelli che, di fronte alle domande della giornalista si inalbera arrivando a chiedere le fonti.

La cosa grave, commenta Messina a Report, “è che il capo della struttura sveli la linea del partito facendo fare a me la figura barbina. Un metodo che hanno utilizzato, nel migliore dei casi, col Pozzolo di turno e nel peggiore dei casi nel mio caso che rappresento la storia anche di quel partito. Si sono permessi di fare queste porcherie ..”

Donzelli arriva anche a minacciare una querela alla giornalista di Report, “voi intercettate anche i giornalisti, oltre che il garante della privacy.. voglio sapere da voi, da Report come fa a sapere le fonti dei colleghi giornalisti.”

Bastava chiederlo a Barresi stesso, Donzelli. Semplice: “nel pezzo si capisce che una delle mie fonti è lui e nessuno lo ha smentito”.

Chi mente allora?

Nelle intercettazioni della Procura per le indadini sul presidente dell’ARS Galvagno, si sente spesso nominare il presidente del Senato Ignazio La Russa in particolare nei suoi rapporto con Marianna Amato, di professione organizzatrice di eventi e dipendente della fondazione orchestra sinfonica.
Nelle intercettazione la Amato viene definita la cocca di La Russa: il presidente, dopo aver avvicinato la giornalista di Report con parole quantomeno irrispettose (dimmi, cara, tesoro..) ha risposto dicendo che no, assolutamente, lui questa signora non la conosce e nemmeno l’ha raccomandata. È lei che è venuta in Senato col pasticciere Fiasconaro in un evento organizzato dalla Amato. Ma il pasticcere smentisce il racconto di La Russa: Marianna Amato era coinvolta in molti eventi istituzionali alla presenza di La Russa e di Manlio Messina, non l’ha portata lui in Senato, assolutamente non è stato lui a presentare Amato al presidente La Russa, “si conoscevano da abbastanza tempo.. con il governo e queste persone importanti delle istituzioni ha sempre avuto un rapporto la signora Marianna”. Grazie ai suoi rapporto con Messina e LA Russa, Marianna Amato era entrata a far parte della cerchia di Galvagno con la quale organizzava eventi finiti sotto indagine dalla procura.

Persone che parlano degli eventi e dei finanziamenti come se fossero cosa loro: ovviamente il presidente dell’ARS Galvagno smentisce queste ricostruzioni e ribatte alle accuse dicendo di non aver minimamente influenza le scelte per gli eventi.

Io davo 550 euro a Luca – racconta in una intercettazione l’ex presidente del consiglio comunale di Avola Fabio Iacono – sempre a lui brevi manu: l’ex presidente si lamenta di aver dovuto versare a Luca Cannata, all’epoca sindaco di Avola, dei contributi in contanti ogni mese.

Una richiesta simile era arrivata all’ex coordinatore di FDI a Siracusa, Giuseppe Napoli, che l’aveva respinta ed arrivato poi a dimettersi: a Report racconta che Cannata avrebbe segnalato il suo nome ad enti pubblici per fargli dare incarichi professionali, come avvocato.

Dopo due anni, in cui c’era stata di mezzo la campagna elettorale, lo stesso Cannata gli avrebbe detto “hai visto che sono arrivati gli incarichi? Mi sembra giusto che tu contribuisca alle spese della campagna elettorale ..”
Soldi chiesti in contanti a cui Napoli avrebbe detto di no: io ho sempre contribuito al partito quando c’era da fare qualcosa… 
Ma così no.

Report ha chiesto un’intervista al deputato su queste collette: “qualcosa di normalissimo” risponde Cannata, nella gestione di un movimento locale sul territorio. “Ognuno metteva quello che voleva”: eppure le persone che hanno versato questi soldi,in contanti, l’hanno vista in altro modo, tanto da andare in procura.

Al centro delle indagini della procura di Palermo – che ha chiesto il rinvio a giudizio per il presidente dell’assemblea Galvagno – ci sono una serie di eventi pagati dalla regione e affidati ad alcuni imprenditori privati a cui poi i politici chiedevano i biglietti, per parenti e amici.

Forse dal punto di vista giudiziario la questione dei biglietti non ha rilevanza, ma questa c’è dal punto di vista giornalistico. Ai cittadini forse interessa sapere che esiste questo do ut des tra politica e imprenditoria.

Galvagno su questo punto ha scelto di non rispondere – perché poi voi di Report fare taglia e cuci dell’intervista: personaggi non legati alle istituzioni che hanno usato l’auto blu di Galvagno per fini istituzionali. Persone che poi, una volta di fronte alle telecamere di Report e alle domande della giornalista invocano la privacy, ma la domanda rimane, a che titolo usavano l’auto dell’ARS? Oppure veramente vogliamo credere anche andare a prendere il kebab, fare shopping, siano attività istituzionali?

La scheda del servizio: FRATELLI COLTELLI

di Giulia Presutti

Collaborazione Samuele Damilano

A marzo Giorgia Meloni ha inviato un commissario da Roma per riunificare la Sicilia – poi scossa dall’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto il presidente dell’ARS Gaetano Galvagno e l’Assessora al Turismo Elvira Amata, entrambi di FdI - sotto un'unica guida, quella di Luca Sbardella. Fra i motivi, anche la contesa che nella parte orientale dell'isola ha visto contrapposti il deputato regionale Carlo Auteri, che ha lasciato il partito, e il vicepresidente della commissione bilancio della Camera Luca Cannata. Che cosa è successo davvero?

Le presunte olimpiadi green

In attesa di capire come andrà a finire il tentativo del governo di stoppare le inchieste su queste olimpiadi, con la definizione come ente di natura privato la fondazione Milano Cortina, Report torna ad occuparsi delle imminenti olimpiadi invernali.

Avrebbero dovuto essere olimpiadi green le Olimpiadi Milano Cortina, senza impatto ambientale, senza costi per lo stato. E invece: invece i costi per le opere, non solo gli impianti sportivi, ma anche sul territorio, continuano a salire; sono stati disboscate intere zone per far spazio alla pista da bob.. e forse nemmeno tutte le opere saranno completate per tempo.

Il nuovo impianto di bob è stato inaugurato il 17 novembre, “una consacrazione del lavoro” spiegava contento il ministro Abodi che ricordava “l’impegno e lo sforzo delle maestranze..”
Ma come racconta il servizio di Claudia De Pasquale, poche ore prima della coppa attorno la pista si vedevano ancora i segni dei lavori in corso, per fortuna che poi è scesa la neve. Gli atleti, a meno di miracoli, faranno le loro gare all’interno di un cantiere a cielo aperto: “si tratta di rifiniture” prova a minimizzare il ministro. Ma secondo la piattaforma di Simico c’è scritto che i lavori della pista finiranno il 5 luglio del 2026, cioè dopo le Olimpiadi. “Io non sono andato così tanto in profondità” ha risposto Abodi, speriamo allora che la neve continui a scendere copiosa per coprire il cantiere.

Il ministro Salvini si è intanto vantato in pubblico di aver fatto anticipare i tempi di consegna di alcune opere sul territorio, come la Variante di Tirano, dal 2027 a dicembre 2025, facendo decine di riunioni e telefonate a livello di stalking.

MA Report ha verificato lo stato della tangenziale citata dal ministro non rientri tra le opere finanziate per le Olimpiadi del 2026 ma si tratta di un progetto del 2010 che si sta concretizzando adesso.

Tra l’altro, oltre il 70% delle opere previste e finanziate sarà pronta dopo la fine delle Olimpiadi: “ma io parlo di opere necessarie per lo svolgimento delle Olimpiadi” ha risposto Salvini aggiungendo che la variante di Tirano stanno lavorando come matti per averla consegnata prima del febbraio 2026 “perché da quella strada ci devi passare, altre opere annesse alle Olimpiadi ma non centrali, grazie alle Olimpiadi hanno un’accelerata ma evidentemente finiranno dopo..”. Anche nel 2033: parliamo di quasi 3 miliardi di opere che non tutte saranno pronte.

Ma lei per che testata lavora?”

Alla fine il ministro ha buttato la palla in calcio d’angolo.

La scheda del servizio: CANTIERE CORTINA

di Claudia Di Pasquale

Collaborazione Norma Ferrara, Celeste Gonano, Giulia Sabella

Mancano due mesi all'inizio delle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026. L'Italia se le era aggiudicate nel 2019 con un dossier di candidatura ispirato ai principi di sostenibilità economica e ambientale. Le avevano ribattezzate Olimpiadi a costo zero. Il 90% degli impianti era già esistente per cui bastavano pochi soldi per risistemarli. Com'è andata alla fine? Dopo l’analisi di alcuni dati, sembrerebbe che in sei anni il valore delle opere possa aver superato i 3,8 miliardi di euro e che molte di esse potrebbero essere completate dopo i Giochi, anche a distanza di anni.

Nelle anticipazioni che trovate sui canali social si parla anche di un aggiornamento dell’inchiesta di Giulia Innocenzi sulla carne scaduta che è stata riciclata e rivenduta dal macello Bervini nel mantovano.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

04 dicembre 2025

Bruma Serenissima: Un cacciatore d’ombre a Venezia di Umberto Montin


 

Il doppio sì rimbombò nella chiesa vuota. Le parole del sacerdote si persero tra le volte, s’infilarono fra i banchi abbandonati, soffermandosi sopra le statue degli altari, fino a lambire i preziosi dipinti. Ikram fissò Sarah. Sarah ricambiò.

Cosa può esserci di più romantico di due ragazzi che si guardano innamorati, mentre pronunciano il si per una promessa di amore che si pensa sia eterna? E quale posto migliore per incorniciare questo momento che non sia Venezia?

In questo romanzo Bruno Montin ci porta dentro una Venezia distante anni luce dal modello Las Vegas con le migliaia di turisti vocianti scaricati dalla terraferma coi vaporetti e i treni, attratti dal turismo mordi e fuggi, uno scatto, un selfie e via. E nemmeno quella promessa d’amore sarà per sempre:

Sarah Mordingale tre giorni dopo venne a galla in un canale laterale della Giudecca, il Rio de la Palada. Nuda, il vestito bianco ingoiato dall’acqua.

Sarah, la giovine sposa, viene infatti trovata morta pochi giorni dopo il si, colpita da tre colpi di pistola, quasi un’esecuzione. Mentre lo sposo, Ikram, un immigrato tunisino che Sarah aveva conosciuto poco tempo prima in un centro di accoglienza a Venezia, è sparito.

No, non c’è nulla di romantico e di scontato in questo giallo ambientato in una Venezia svuotata dai turisti per il covid, con le restrizioni che obbligano tutti o quasi a starsene chiusi in casa e a copristi il volto con le mascherine. In questa Venezia, straniante, che fa quasi paura, si muove tra le calli e i bacoli l’investigatore delle ombre, Sebastiano Faliero.

Ex poliziotto nonché ospite del “nobil homo” Loredano Dolfin, erede di una antica famiglia della Serenissima nonché amico della famiglia Mordingale: come un favore alla famiglia inglese gli viene chiesto di portare avanti una sua indagine sulla morte di Sarah, parallela a quella della polizia, forse poco incline a voler approfondire quel delitto così scontato. Perché, seguendo una ricostruzione che farebbe comodo a tutti, ad uccidere la bella ragazza inglese non può che essere stato l’immigrato, l’uomo nero venuto da fuori il diverso.

Chi meglio di Sebastiano, «cacciatore di ombre», poteva venire a capo dell’enigma?, aveva concluso il patrizio. «Hai offerto il mio impegno alla tua amica, immagino…»

Perché l’ex poliziotto è chiamato investigatore delle ombre? Perché sono proprio loro, le cose “assenti” a raccontarci meglio le vittime:

Lui segue chi non c’è. Attorno alla vittima si concentra su chi è assente, chi non si vede. Ma esiste. Le ombre, appunto.

E cosa non c’è attorno alle due vittime, non solo Sarah ma anche Ikram, il ragazzo scomparso?

Non ci sono gli amici, quelli del centro di accoglienza e i colleghi che lavoravano con Ikram nell’albergo assenti al matrimonio. Per i proprietari dell’albergo Ikram era solo manovalanza, braccia per lavorare, uno che se ne stava sulle sue, “non aveva rapporti con nessuno del personale”.

Non c’è nessun sentimento di vicinanza, di empatia per Ikram, sia da parte di quello strano prete che ha celebrato il loro matrimonio, freddo, distaccato, che nemmeno si sforzava a nascondere il suo disgusto per quella coppia e per quel ragazzo venuto da lontano.

Doveva rassegnarsi, gli mancavano troppi elementi nella sua ricerca di un’ombra che poteva essere assassina. Il prete, le autorità dell’accoglienza, i responsabili delle cooperative, l’effettivo datore di lavoro, da tutti era stato respinto. E i connazionali, i compagni di avventura o sventura?

A dargli uno spunto, una pista da seguire per la sua indagine sarà il nobil homo, in una delle chiacchierate serali nella sua dimora patrizia, capace di raccogliere le voci dalle calli della sua Venezia: “anche qui a Venezia vedo e sento l’odio nelle calli” gli racconta Loredano, un paradosso per una città che ha incontrato nei suoi commerci tutte le razze e tutte le religioni.

La seconda voce che lo metterà sulla pista giusta sarà quella di Cristina, la sua compagna, lontana nella sua villa in riva all’Adriatico, che gli indica la direzione

«Scontorna chi soffia l’odio, te lo ripeto ancora una volta» sussurrò Cristina nel cellulare, con una sorta di miagolio «non inseguire gli uomini. Mettiti sulla scia dell’onda che avverti sospesa. Lei ti condurrà da chi non si vede però esiste .. »

E chi è che soffia questo odio, a Venezia, contro questi due ragazzi? Qual era la loro colpa? Essere diversi dagli altri?

Sebastiano ebbe la consapevolezza, suo malgrado, di essere finito in un labirinto. Come al solito, quando si trovava in quelle situazioni, all’improvviso una piccola porta di porcellana blu appariva a pochi passi da lui.

Non è solo il coronavirus ad aver colpito Venezia, un altro virus ha avvelenato l’anima della città (e del paese): è il virus del razzismo latente, della finta accoglienza, di quanto con una mano fanno finta di accogliere chi arriva da lontano a patto che si lasci sfruttare per la gloria antica di Venezia. Il virus dell’impunità di chi sa di poter agire perché ha le spalle coperte, il virus di chi, dall’altra parte della linea rossa, sa che deve chinare la testa, accettare tutto per disperazione.

E poi il virus di chi vede tutto questo ma lo accetta, per complicità o per indifferenza.

Il cacciatore di ombre si ritroverà di fronte ad un nemico potente e pericoloso, sapendo però di contare dell’aiuto di “Katanga” un poliziotto a cui confida gli sviluppi della sua indagine e il cui intervento si rivelerà molto provvidenziale per salvargli la pelle e consentirgli di spazzare via da Venezia quella “bruma” che cela la sua anima oscura.

«Ho bisogno di un calvados, Cristina» proruppe, improvviso «per anestetizzare i ricordi peggiori e garantirmi, dentro, una nebbia placida e innocente. Che, stavolta, non celi l’animo oscuro dell’uomo come fa la bruma Serenissima.»

(e chi vuole vederci un richiamo all'Alligatore di Massimo Carlotto è libero di farlo..)

Se i fatti di cui si parla nel racconto sono un’invenzione letteraria dell’autore (ma nemmeno troppo lontani dalla realtà che vediamo attorno a noi), i luoghi di Venezia in cui si muove Sebastiano Faliero sono abbastanza fedeli alla realtà, anche se alcuni sono stati adattati all’esigenza del racconto, dove si rischia di rimanere spiazzati per questa Venezia che fa quasi paura, dove il protagonista sembra di trovarsi in un labirinto intricato come l’enigma che deve risolvere.

La scheda del libro sul sito di Mursia
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