Il suicidio imperfetto del
manager di Monte dei Paschi di Siena.
Incipit
Rocca Salimbeni, interno seraSono le 19.02 del 6 marzo 2013. E' un mercoledì. Ha piovuto tutto il giorno a Siena. Una pioggia incessante e pesante come la giornata. David è stanco. I ritmi di lavoro ultimamente sono estenuanti. Il suo del telefono gli ricorda che deve tornare a casa dalla moglie Antonella.È lei che chiama. Sono le 19.02 esatte: «Tra una mezz'ora arrivo» la rassicura. È uno preciso, David. Ha prenotato la cena e deve passare a ritirarla. La rosticceria è lungo la strada. Se che servono al massimo trenta minuti per uscire dall'ufficio, fermarsi a prendere il cibo e arrivare a casa. Chiude la telefonata, si alza dalla scrivania, per per prendere la giacca, il capotto e andarsene. Tra poco sarà da lei. Deve farle un'iniezione di antibiotico. In quei giorni Antonella sta poco bene, ha preso una brutta polmonite ed è stata appena dimessa dall'ospedale. David deve tornare a casa per occuparsi di lei. Ma succede qualcosa che cambia i suoi piani. Qualcosa di imprevisto. Perché David a casa non torna.
Se fosse un romanzo giallo, l'inchiesta
sulla morte di David Rossi, responsabile delle comunicazione
di Monte dei Paschi di Siena, sarebbe un pessimo libro. Cioè uno di
quei libri dove cioè al lettore viene data in pasto una verità
finale di comodo che fa acqua da tutte le parti, che non spiega tutti
i lati oscuri, che devi prendere così, senza fare domande. Anche se
non ti convince.
Il libro-inchiesta di Davide Vecchi,
giornalista del Fatto Quotidiano, racconta la storia delle indagini
sulla morte (archiviata come suicidio) del manager della banca
senese, David Rossi: precipitato dalla finestra del suo ufficio e
morto a seguito di un volo di 12 metri, alle 19.43 del 6 marzo 2013.
Morto dopo una lunga agonia, registrata dal video delle telecamere di
sorveglianza della banca, che mostrano un corpo, di schiena sul
selciato di un vicolo.
E mostrano anche altro, se solo si
fosse voluto vedere altro.
Per la procura di Siena la morte di
David Rossi è un caso di suicidio: ne erano così convinti i pm che
si sono occupati del caso, che non hanno svolto tutti quegli
approfondimenti che normalmente sono prassi quando muore una persona.
Nessuna indagine sui tabulati, sebbene
qualcuno abbia usato l'iphone di Rossi dopo che costui era già
agonizzante nel vicolo del Monte.
Nessuna indagine sui fazzoletti,
trovati nel suo ufficio (sporchi di sangue, non si sa se di David
Rossi o se di qualcun altro).
Nessuna ricostruzione che stia in piedi
sul come David Rossi si sarebbe ucciso, che dimostri come sia salito
sulla finestra e come si sia gettato, procurandosi quelle ferite. Non
solo quelle sul bacino, conseguenza della caduta a corpo morto. Ma
anche i tagli in fronte e sul naso, i lividi sui bracci e sul polso
(come se qualcuno le avesse afferrato).
Nessuna spiegazione efficace sul perché
delle macchie bianche sulle suole delle scarpe.
Nessuna spiegazione sul perché
l'orologio di Rossi cada sulla strada dopo 20 minuti dalla caduta del
corpo. Chi l'ha gettato?
“Siamo oltre il romanzo. Questa è
la realtà, a Siena”.
Secondo i pm e il
gip che hanno archiviato il caso, la prima volta nel settembre 2013,
si è trattato, purtroppo, di un suicidio.
Erano i mesi in cui
si squarciava il velo sullo stato di salute di MPS, la banca senese
che aveva distribuito soldi a pioggia nel corso degli anni (anche per
tenersi buona la stampa, la cittadinanza, le associazioni, la
politica). E che ora si trovava in difficoltà cui conti:
l'acquisizione di Antonveneta pagata a caro prezzo, il derivato
Alexandria fatto con la banca giapponese Nomura, l'inchiesta sulla
banda del 5% e sulla spoliazione dei suoi beni … la procura di
Siena stava investigando su questi filoni, attorno alla banca (e ai
suoi ex vertici) iniziava a montare una certa tensione.
Un mondo che Rossi
conosceva bene, avendo lavorato a fianco di Piccini prima e Mussari
(l'ex presidente MPS, poi passato all'ABI): temeva, in quelle
settimane, di finire indagato, risucchiato dentro il gorgo delle
indagini, finire in carcere senza poter spiegare le sue ragioni,
vedere la sua vita distrutta ..
David Rossi voleva
parlare coi magistrati senesi, però: lo aveva anche scritto in una
mail al nuovo AD Viola, anzi in più mail in cui chiedeva aiuto.
Mail senza alcuna
risposta e di cui i magistrati non hanno tenuto conto nel modo
giusto: mail che qualcuno, oltre che Viola, avrebbe potuto leggere,
per rendersi conto di quanto Rossi poteva costituire una minaccia, se
avesse parlato.
“Ho paura. Voglio parlare con i magistrati… Aiutatemi! Domani potrebbe già essere troppo tardi!”Le ultime parole di David Rossi.Dalle mail inviate all’amministratore delegato di Mps
Perché era una
persona scrupolosa, David Rossi. Sapeva di aver lavorato bene e che
il suo lavoro era riconosciuto anche dalla nuova dirigenza.
Temeva di essere intercettato e di aver
fatto una “cazzata” grossa, fidandosi di un amico: questo scrive
sui bigliettini poi trovato nel suo cestino. E che, per i pm,
costituiscono una delle prove della sua situazione di crisi, che lo
ha portato a fare quella scelta.
“.. come non pensare che il manager legato al potentissimo Mussari e che con ogni probabilità custode di molti segreti sia stato eliminato o spinto ad uccidersi? Che domande. Questa è una tesi da romanzo giallo. A Siena, nella realtà, un uomo ricco, potente, noto e ritenuto custode di informazioni riservate e compromettenti, si uccide lanciandosi dalla finestra dell'ufficio pochi minuti dopo aver detto alla moglie che stava rientrando a casa. Ovvio. Forse.”
No, se fosse un giallo questa storia
sarebbe decisamente un pessimo giallo: perché diversamente dai
romanzi, non spunta nessun investigatore pieno di dubbi che decide di
fare una sua indagine parallela anzi, nel 2014 sono proprio il
giornalista Davide Vecchi e la vedova di Rossi, Antonella Tognazzi a
venire indagati per una serie di reati le cui motivazioni, da parte
della procura, fanno sorgere altri dubbi.
Vecchi è indagato per violazione della
privacy, per aver pubblicato le mail di Rossi all'AD Viola
(nonostante avesse avvisato l'amministratore e MPS non avesse
rilevato alcuna violazione).
Il fascicolo su Antonella è ancora più
incredibile e soprattutto umanamente più infamante: i pm l'accusano
di aver cercato di ricattare l'azienda, speculando sulla morte del
marito per avere un risarcimento più alto.
Davide Vecchi e Antonella Tognazzi sono
tutt'ora sotto processo:
“Un processo singolare, oggetto di interrogazioni parlamentari, del quale si è occupato anche il Global Freedom of Expression della Columbia University di New York, ritenendolo un tentativo di limitare la libertà di stampa.”
Nel 2015, con l'arrivo di un nuovo pm
(Boni) e di un nuovo procuratore Capo (Vitello) a Siena, si intravede
una speranza per avere una verità più credibile sulla morte del
manager: su richiesta dell'avvocato Goracci della famiglia Rossi, che
ha fatto eseguire delle contro perizie, vengono ordinate nuove
indagini.
Coinvolgendo i RIS e la dottoressa
Cattaneo dell'istituto di medicina legale di Milano.
Ma dopo tre anni, pur ottenendo dal GIP
la riesumazione del cadavere, è difficile ottenere nuove prove
perché nel frattempo, una parte di chieste sono andate distrutte,
dopo la prima archiviazione.
Anche i fazzoletti con macchie di
sangue.
L'unico merito della seconda indagine è
quello di far emergere quanto male si fosse investigato nella prima,
un'indagine fatta in fretta con degli atti – commenta l'autore –
al limite della sciatteria.
Nonostante tutti gli sforzi del nuovo
procuratore e del Ris, si arriva così ad una seconda archiviazione:
niente da fare, pare che sia impossibile arrivare ad una diversa
ricostruzione di quella sera del 6 marzo 2013.
L'unica cosa certa è che David Rossi,
potente capo della comunicazione di una banca che era sotto i
riflettori della città e della magistratura, si sente minacciato,
dice al suo amministratore delegato di essere disposto a parlare coi
magistrati, per dire quello che sa.
Possiamo solo ipotizzare cosa. I
rapporti con la politica, probabilmente. O con la massoneria.
Però, prima che potesse incontrare i
magistrati muore, non sappiamo ancora come.
Un altro mistero,
un altra “strana” morte, l'autore nella copertina la paragona a
quelle di Calvi e Raul Gardini: altri suicidi molto imperfetti. Altri
misteri connotati da omertà, omissioni e una certa deferenza al
potere politico.
Racconta l'autore, che è stato uno dei
primi giornalisti ad apprendere la notizia della morte, che dopo
questo suicidio imperfetto calò su Siena una strana cappa di
silenzio. E anche sull'inchiesta attorno alla banca di Rocca
Salimbeni, un'inchiesta che “sembrava il corto circuito perfetto
tra finanza, politica e massoneria”.
Dobbiamo
rassegnarci a questo finale, a quanto pare (l'autore nel finale prova
a ricostruire due scenari alternativi, su come sono andate le cose
quella sera).
Ma questo breve
saggio serve almeno a mettere assieme tutti i fatti per dare a
ciascun lettore tutti gli elementi per farsi una sua idea, una sua
opinione su quanto è successo a Siena nel 2013.
La scheda del libro sul sito
dell'editore Chiarelettere
Il blog dell'autore