Le prime righe:
Lo schiaffo del vento lo colpì.Poi, fredda e affilata, arrivò la pioggia.E questa sarebbe la città più bella del mondo?L'uomo scosse la testa ed estrasse il piccolo ombrello che spuntava dalla sua valigetta.Alzò lo sguardo.Tutto opaco e grigio. In cielo e in terra. Alle sette e un quarto di quella mattina di novembre, neanche i turisti si facevano vedere in giro.Con quel tempo, poi.Ci mancava pure la pioggia.E quel piccolo, maledetto ombrello non avrebbe mai impedito che i pantaloni, di lì a poco, diventassero fradici.Girò l'angolo sul Ponte Santa Trinità e alzò automaticamente la testa, incrociando lo sguardo muto della statua della Primavera e il suo collo troppo lungo.Te l'avevano staccata la testa, eh, bella signora?, sogghignò ansimando mentre risaliva il ponte, ai cui angoli campeggiavano le statue delle quattro stagioni. Tutti i giorni da più di trent’anni, lui sfilava accanto alla Primavera, ripescata dall’Arno dopo la guerra come le sue sorelle di marmo. Lei, però, fu ritrovata senza testa. Solo anni dopo, quando un pescatore la scoprì per caso nel fiume e la riportò a galla, gliela riattaccarono. Proprio una bella schifezza come trapianto, pensò ...
Chi l'avrebbe mai detto che Firenze,
la città più bella del mondo, la città delle opere d'arte, del
Rinascimento, in realtà nasconde un'anima nera, gotica e grigia come
il cielo in una giornata di pioggia?
Forse chi ci vive, chi ci è nato, la
conosce questa anima cattiva, dentro la città, sa che bisogna andare
oltre le immagini da cartolina buone per i turisti.
Sicuramente quest'anima cinica, cupa,
la conosce bene Carlo Alberto Marchi, giornalista di cronaca
giudiziaria del Nuovo Giornale, uno di quei giornalisti che sa
muoversi per la città, per le aule del Palazzo di Giustizia,
spostato fuori dal centro:
“Per me Firenze era diversa,
fors'anche perché, negli anni, ne avevo conosciuto i suoi lati più
oscuri. Il Palazzo di Giustizia era una cattedrale gotica di una
città gotica”.
E' lui che ci racconta, in prima
persona, dell'indagine per l'omicidio di un vecchio commesso di un
negozio di antiquariato, Vittorio Stefani, che dopo la morte
del proprietario (Loris Stefani) aveva deciso di mandare avanti
comunque l'attività.
Siamo in via Maggio, la via degli
antiquari, trafficata da turisti nonostante la pioggia battente e
piena di telecamere che inquadrano le persone sui marciapiedi.
Eppure, questo sembra un delitto
compiuto da un fantasma: il commesso è stato ucciso da 23 coltellate
da un assassino che non ha lasciato tracce, che si è dileguato in
fretta senza che nessuno l'abbia visto, nemmeno padre Bruno Martelli,
l'economo della Curia (i cui uffici erano nello stesso palazzo), il
primo a scoprire il cadavere.
Potrebbe essere un omicidio come tanti.
Se non ci fossero quei misteri, l'assassino fantasma (come inizia a
scrivere la stampa), l'assassino invisibile, le 23 coltellate che
fanno pensare ad una vendetta, l'assenza di segni di una
colluttazione. E l'interesse dei vertici dei carabinieri affinché il
caso sia seguito in prima persona dal nucleo investigativo del
reparto operativo, il fiore all'occhiello degli investigatori
dell'arma, e dal suo comandante, il tenente colonnello del RONO,
Umberto Lion. Che pure lui, come il giornalista Marchi, in
quella mattina di un lunedì piovoso, riceve una telefonata sul
delitto dal suo generale.
Il Nuovo giornale segue il caso, coi
suoi due cronisti, Alessandro Della Robbia, detto l'artista,
che segue la cronaca nera e Carlo Alberto Marchi alla
giudiziaria (la nera del giorno dopo): li seguiamo mentre sondano i
loro contatti nel palazzo di Giustizia, Gotham (come la città
avveniristica dei fumetti), nelle forze dell'ordine, nei carabieri e
in Questura.
C'è
una pista che, partendo da quel negozio e da cimeli religiosi, porta
alle messe nere, ad una vecchia inchiesta che aveva coinvolto dei
giovani della Firenze bene.
Ma
l'indagine dell'anatomopatologo (sul corpo della vittima) da una
parte e del Ris (sul cellulare) dall'altra indirizzano l'inchiesta
verso una ben specifica direzione: le amicizie disinvolte della
vittima, che riportano dentro alla stessa curia ..
Caso
risolto?
Forse.
Ma
Carlo Alberto Marchi è uno di quei giornalisti che la notizia se la
vanno a cercare, che non si accontentano delle dichiarazioni
ufficiali che escono “dagli organi di indagine”. Così, partendo
da un vecchio caso che aveva coinvolto il vecchio proprietario del
negozio, arriva ad imbattersi nella Massoneria:
Certo che lo sapevo cosa fossero le messe nere.Questa città ne aveva viste di storie sull'argomento e ogni volta che ne spuntava una, pensavo che avevo ragione io. Altro che rinascimentale e solare, il Cupolone, l'Arno, ponte Vecchio e tutta quella roba per cui impazzivano i turisti. Questa città era gotica, terribilmente gotica. Le stradine piccole e strette su cui sembravano precipitare quei palazzi enormi, come giganti pronti a muoversi e colpire. Quelle strade che finivano in altre strade, ad angolo, a incrocio, dove vedevi a malapena uno spicchio di cielo, non capivi più nemmeno dove eri. Anche l'acqua era grigia. Come i palazzi, come il vento, come la pioggia.
Scopre,
sull'ultima pagina del diario del morto, una misteriosa locuzione
latina: «Audi,
vide, tace, si vis vivere in pace».
Che
significa “ascolta, guarda e stai zitto se vuoi vivere in pace”.
Forse una coincidenza, o forse
no. Quella frase, nell'ultimo suo giorno di vita terrena.
Così,
mentre la pioggia continua a battere la città, rendendo il clima più
cupo, Marchi si ritrova a girare in modo frenetico per Firenze, che
non è solo la città dei monumenti, Palazzo Pitti, ponte Santa
Trinità il palazzo Nonfinito.
Fino
al colpo di scena finale.
Camminando a testa bassa, immerso nel bavero alzato del soprabito, mi accorsi solo dopo un po' che mancava qualcosa.Alzai la testa.Ecco cosa mi mancava.Mi mancava il rumore.Il rumore della pioggia.
Il
rumore della pioggia è un
buon giallo che racconta come funziona il mondo della
cronaca giudiziaria: i rapporti
che si instaurano tra giornalisti e magistrati, le strade per avere
qualche informazioni in più sui casi, sulle inchieste. Sapere con
quali magistrati parlare e quali evitare.
Come
funzionano le dinamiche tra magistrati e forze dell'ordine e tra le
stesse forze dell'ordine (le gelosie tra l'arma e la polizia).
Ma
nel racconto c'è spazio anche per raccontare dinamiche e conflitti
più familiari: come quelle tra Carlo e Donata, il papà e la figlia
undicenne, che deve cresce da solo per la separazione dalla moglie.
Stava crescendo, sotto i miei occhi e io sapevo già che avrei rimpianto tutti quei giorni e tutte quelle sere passate al giornale o in tribunale invece che essere sul divano a guardare X-Factor.
Se è dura infilarsi nelle porte giuste
del palazzo gotico dove si svolge il rito della giustizia, è
altrettanto duro conciliare il lavoro di reporter con quello di
padre: “volevo essere Tutti gli uomini del presidente ed ero
finito a fare Mrs. Doubtfire” si trova a pensare il
protagonista.
I sensi di colpa per non riuscire a
trascorrere più tempo con la figlia da una parte e il senso di
responsabilità nei confronti di un mestiere che non si può fare
rispettando gli orari d'ufficio, dove l'emorragia dei lettori porta
ad avere giornali con meno pagine, meno giornalisti, meno cura
nell'informazione.
Attorno, una Firenze che, leggendo le
pagine del libro, vien voglia di girare a piedi, anche sotto la
pioggia..
La recensione del libro sul sito de La Nazione (di cui Gigi Paoli è capocronista).