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L'assessora Trevisani, l'avvocato Filippo Meda e il professor Corbetta |
Ad Inverigo l'amministrazione
comunale non si è dimenticata di ricordare anche quest'anno il 25
aprile, con una serie di iniziative sul territorio col compito di
ricordare da dove arriva la nostra democrazia, la nostra Repubblica,
da dove arriva la nostra libertà.
Un breve ripasso storico.
25 aprile 1945: il CLN dichiara
l'insurrezione, a Milano parte lo sciopero generale, coi tedeschi e i
fascisti ancora in città, armati e (in parte) incattiviti.
Mussolini, tradendo la parola
data all'arcivescovo Schuster, scappa da Milano per andare a
Como nell'ultimo disperato tentativo di una ridotta in Valtellina,
con gli ultimi irriducibili.
In verità è solo una fuga per
scappare dai partigiani, dalla morsa delle SS (che lo scortavano su
ordine di Hitler) per consegnarsi agli americani.
Assieme ai gerarchi, alle sue carte e
all'oro della patria che i ras del fascismo si erano tenuti..
La cattura di Mussolini, su un camion
tedesco della colonna Fallmeyer, vestito da soldato tedesco,
ultima vergogna del duce che aveva fatto sprofondare il paese nella
vergogna (per il regime, per le leggi razziali) e nel disastro (la
guerra, i dispersi, i morti..).
L'ultima raffica davanti il cancello di
Giulino di Mezzegra, i cadaveri esposti a testa in giù,
appesi ai tubi della pompa di benzina, un oltraggio ai morti dovuto
anche all'eccezionalità del momento, per la folla che si era
radunata in piazzale Loreto, per vedere il dittatore morte.
Dei venti anni di dittatura, di
privazione delle libertà, di violenze, delle leggi razziali e delle
morti ci si ricorda solo di quegli ultimi momenti, dei cadaveri di
Mussolini e della Petacci sfigurati, violati.
E soprattutto ci si è completamente
dimenticati dei lunghi mesi in cui in Italia si è combattuto per la
liberazione del paese dalla dittatura, per scacciare l'invasore
tedesco e per sconfiggere il governo fantoccio di Salò. Una guerra
combattuta dagli eserciti, le truppe alleate che risalivano l'Italia
e quelle tedesche verso il nord.
Ma c'è anche stata una guerra che
ha messo uno di fronte all'altro italiani contro italiani e tedeschi:
la guerra (di logoramento, di contrasto) condotta dalle formazioni
partigiane formatesi a partire dal crollo del regime fascista. Due
date importanti: il 25 luglio 1943, quando Il Gran Consiglio
del Fascismo aveva di fatto sfiduciato Mussolini, poi arrestato dal
Re che aveva dato a Badoglio la guida del governo.
La guerra continuava, diceva Badoglio,
mentre si trattava la resa con gli alleati.
E poi la resa comunicata via radio agli
italiani l'8 settembre: senza ordini ai soldati, senza ordini
ai carabinieri, alla polizia, col re scappato a Pescara, si
sfaldarono esercito, stati maggiori, coi soldati in fuga dalle
caserme al grido di “tutti a casa” cercando di sfuggire alla
cattura dei tedeschi.
Da qui partì la guerra di liberazione.
Da episodi singoli come la battaglia
dei soldati italiani a Cefalonia.
Dalla scelta di parte di questi soldati
di non consegnare le armi ai tedeschi ma di combatterli.
Dalla scelta di quella parte degli
italiani che, in quell'8 settembre seppero prendere la scelta giusta.
A contribuire alla guerra partigiana
furono studenti, operai, gente comune e futuri deputati, ex militari
e perfino preti. Persone cresciute nell'Italia fascista che li aveva
cresciuti nel conformismo e all'obbedienza del più forte, che
finalmente poteva sperimentare l'ebbrezza di essere padrone del
proprio destino, che poteva assumersi quelle responsabilità,
diventare partecipe di un processo che avrebbe dovuto costruire
un'Italia diversa, più libera, migliore.
Non siamo stati capaci di coltivare il
ricordo delle loro gesta, di perpetuare fino in fondo la loro memoria
se ancora oggi ci sono ragazzi che la guerra e il fascismo non
l'hanno conosciuto e che alzano in braccio per il saluto romano.
Se ancora oggi sul fascismo girano
delle verità edulcorate, dei finti sentimentalismi su un regime che
seppe solo sopprimere le libertà, che defraudò le casse dello
stato, che seppe solo occupare tutti posti dello stato (come avvenne
più tardi nella repubblica della partitocrazia), che cinicamente
portò l'Italia in guerra, speculando sui soldati morti per avere poi
un posto al sole.
Fatta questa premessa, assumono un
ruolo importante le iniziative come quelle portate avanti dalle del
comune di Inverigo, per rinsaldare il ricordo di quei mesi di
guerra, per tenere viva la fiamma, la passione, la voglia di libertà
che infiammò tante persone in quegli anni difficili.
Per ricordare a tutti che la grande
storia e i grandi personaggi si mescolano a storie meno note di
persone sconosciute o persone comuni, che nel momento del bisogno non
hanno rinunciato ad alzare la testa, come quel Fumagalli che si
oppose all’arresto e successiva deportazione degli anziani nonni di
Liliana Segre, avvenuto a Bigoncio.
“A
tu per tu con l’avvocato Filippo Meda” è stato il titolo
della serata, introdotta dall'assessora Alessandra Trevisani, in cui
il professor Daniele Corbetta, grazie alla viva memoria
dell'avvocato Filippo Meda, figlio di Luigi Meda, ha
raccontato ai presenti alcuni episodi significativi della nostra
guerra di Liberazione.
E alcuni dei personaggi di questa
storia, che hanno vissuto sul nostro territorio.
Il padre di Filippo, Luigi Meda, a sua volta figlio del
ministro Filippo Meda, che non è stato un antifascista dell'ultima
ora. Lo scultore Angelo Casati.
Il partigiano Bruno, ovvero Bruno
Ballabio, morto durante la battaglia in difesa della repubblica
di Val d'Ossola.
Giancarlo Puecher, fucilato dai
repubblichini per rappresaglia della morte dei fascisti Pontiggia e
Pozzoli.
Luigi
Meda, era il padre dell'avvocato Filippo (e nipote del
ministro Filippo
Meda); i mesi della guerra di liberazione li ha vissuti in pieno:
volontario della prima guerra mondiale, si era poi battuto per i
diritti dei contadini di Cremnago, quando il conte Perego
intendeva vendere i suoi terreni all'istituto San Paolo.
Luigi si mobilitò per dare loro il
diritto alla prelazione e mantenere terreni e lavoro: una battaglia
che divenne poi la sua tesi di laurea.
Faceva parte di una cellula
antifascista che si ritrovava a Milano nella casa della cultura, ben
prima dell'8 settembre, assieme a Puecher, Casati e
anche don Gnocchi.
Dopo l'8 settembre, Inverigo era un
porto di mare, qui arrivavano quando intendevano scappare in
Svizzera, come Edgardo Sogno.
Luigi Meda fu arrestato dai tedeschi il
26 novembre: i tedeschi avevano già cercato di arrestarlo prima,
poiché pensavano fosse a conoscenza delle armi lasciate da una
compagnia di Alpini che proprio ad Inverigo si era dissolta.
Le armi di questi alpini costituirono
il primo nucleo di armamento delle formazioni partigiane locali: tra
questi, il capitano Benis, che era ospite (nascosto), nella
casa delle signore Rossi, mentre il resto dei soldati si trovava nel
granaio di Villa Crivelli.
Nell'aprile del 44, a San Vittore Luigi
Meda incontra in cella un giovanissimo Mike Bongiorno,
arrestato in quanto staffetta partigiana: il nipote, il giornalista
Luigi Meda ha ricordato questo incontro in un bel racconto, il
giovanissimo italo americano a cui il maturo avvocato aveva cercato
di dare conforto.
Fu successivamente scarcerato in
scambio di un colonnello tedesco, preso dai partigiani: una volta
liberato torna al suo paese, anche se poteva scappare in Svizzera.
Andava avanti indietro da Milano, come
avanti e indietro da Macherio troviamo un altro di questi personaggi:
il prete dei mutilatini, don Gnocchi, che curava il centro invalidi
ad Arosio.
La sera del 24 aprile, prima
dell'insurrezione, avvisò la moglie che non sarebbe tornato a casa
per diverse sere: trattò una prima volta la resa col capitano Lutze,
assieme al colonnello Donà, inutilmente.
Il giorno 25 ci fu una prima
scaramuccia: furono sparati dei colpi di fuoco contro i tedeschi la
cui sede era presso l'asilo, dietro la chiesa di Inverigo.
A sparare furono probabilmente membri
della brigata Puecher di Lambrugo: i tedeschi,
successivamente, si arresero e abbandonarono il paese.
L'avvocato Filippo Meda, che all'epoca
aveva 16 anni, ricorda ancora che se ne andarono via cantando e
inquadrati.
Furono poi catturati, nella strada
verso Lurago: alla fine in prigione finì il capitano tedesco Lutze,
la sua amante al seguito e pure il suo cane, un setter di nome
Norman.
Meda ha citato un altro episodio di
quelle settimane: lo scontro con una colonna fascista, lungo la
strada per Lurago, che costò la vita a 37 partigiani e ad un
contadino: sugli automezzi della colonna furono recuperati fogli
interi di banconote, non tagliati, che furono raccolti e portati alla
Cariplo di Como e regolarmente registrati.
Ci sono stati casi di beni o soldi
requisiti finiti nelle tasche dei singoli?
Sono cose che possono succedere, ha
ammesso l'avvocato, eravamo in guerra e molti avranno pensato a
prenderseli, come preda bellica.
Giancarlo
Puecher era un sottotenente dell'aeronautica, figlio di un
notaio milanese venuto qui in Brianza come sfollato: era una di
quelle persone che avevano molto ascendente sugli altri, proveniva da
una buona famiglia, era in contatto con Luigi Meda, di cui
frequentava la casa, con Leopoldo Gasparotto (poi ucciso a Fossoli) del Partito d'Azione e col
comunista Carlo Perasso.
Fu catturato per rappresaglia dopo
l'attentato a due fascisti, il centurione della milizia Ugo Pontiggia
e l'amico Angelo Pozzoli.
Il federale di Como Scassellati compilò la
lista dei fucilandi, che sarebbe stata assai lunga se i carabinieri
del luogo non l'avessero minacciato, facendo presente che se si fossero uccise tutte quelle
persone sarebbe partita l'insurrezione ad Erba.
Persona intelligente e lucida fino alla
fine: nella
sua ultima lettera alla famiglia, il 21 dicembre 1943, elenca
tutti gli oggetti e le somme di denaro da lasciare alle persone a lui
vicine. Prima di essere fucilato, abbraccia uno ad uno tutti i
componenti del plotone, perdonandoli. Un gesto dall'alto valore
cristiano:
Muoio per la mia
patria. Ho
sempre fatto il mio
dovere di
cittadino e di soldato.
Spero
che il mio esempio
serva ai
miei fratelli e
compagni.
Iddio mi ha voluto,
accetto
con rassegnazione il
suo volere.
Tutti i miei averi
vadano ai
miei fratelli e a Elisa
Daccò.
Vorrei che sul mio
avviso mortuario
figurassero i miei
meriti sportivi e
militari.
Non piangetemi, ma
ricordatemi a
coloro che mi vollero
bene e mi stima-
rono.
Viva l’Italia.
Raggiungo con cristiana
rassegnazione la
mia mamma che
santamente mi edu-
cò e mi protesse nei
vent’anni
della mia vita.
L’amavo troppo la mia
patria non
la tradite e voi tutti
giovani d’Italia
seguite la mia via e
avrete il compenso
della vostra lotta
ardua nel ricostruire una
nuova unità nazionale.
Perdono a coloro che mi
giustiziano, perché
non sanno quello che
fanno e non pensano
che l’uccidersi tra
fratelli non produrrà mai
la concordia.
Vorrei lasciare L 5000
alla mia guida
alpina Motele Vidi di
Madonna di Campiglio.
L 5000 al mio
allenatore di sci Giuseppe
Francopoli di Cortina.
L 5000 a Luigi Conti
e L 1000 a Vanna De
Gasperi, Berta Dossi, Rosa
Barlassina. Il mio
guardaroba ai miei
fratelli e a Pussì
Aletti, mio indimenticabile
compagno di studi.
L 1000 alla Chiesa di
Lambrugo.
Il mio anello d’oro
ricordo della povera mamma
a Papà il braccialetto
a Gino e l’orologio
Universal a Gianni.
Alla zia Lia Gianelli
una mia spilla d’oro
con pietra. Un ricordo
delle mie gioie alle
mie cugine e a Elisa.
Stabilite una somma per
messe in mio suffragio
e per una definitiva
sistemazione pacifica della
patria nostra.
A te papà vada
l’imperituro grazie per ciò
che sempre mi
permettesti di fare e
mi concedesti.
Elisa si ricordi del
bene che le volli e forse
non sufficientemente
apprezzò.
Ginio e Gianni sono
degni continuatori delle
gesta eroiche della
nostra famiglia e non si
sgomentino di fronte
alla mia perdita, i martiri
convalidano la fede in
una vera idea.
Ho sempre creduto in
Dio e perciò accetto la
sua volontà.
Baci a tutti
Giancarlo Puecher
Passavalli
Angelo
Casati era invece uno scultore, amico dei Meda: di lui,
l'avvocato Filippo Meda ha citato due episodi particolari.
Quando attaccarono un deposito militare
dei tedeschi in località Fornaci: la sentinella fu disarmata
puntandole alla schiena un dito. Col suo fucile furono disarmate le
altre .. Come in un film.
Casati fu uno degli esponenti del
comitato partigiani a trattare la resa col comandante tedesco, come
si è già detto.
L'altro episodio riguarda invece un
diverbio col gruppo partigiano di Arosio, quando qui fu
fermata una colonna tedesca in fuga da Monza.
Avevano il lasciapassare del CLN per
andarsene in Svizzera, con la promessa di non compiere azioni contro
la popolazione: Casati faceva parte della delegazione che da Arosio
andò a Monza per controllare le carte di questa colonna, per
verificarne la veridicità.
Nel mentre, il gruppo arosiano
procedeva ad arrestare i tedeschi per portarli in località Bosco
Marino, dietro Inverigo, mettendo a rischio la popolazione.
Cosa che fece infuriare il Casati.
Era un antifascista “perché amo
la libertà”, così diceva.
Bruno
Ballabio è stato un eroe della Val d'Ossola, dove per un
breve periodo, cacciati fascisti e tedeschi si sperimentò una forma
di repubblica partigiana.
Morì nella battaglia del Premosello,
nel giugno 44, colpito da diversi colpi d'arma da fuoco e anche da
diverse coltellate. Si vede che il nemico voleva proprio essere certo
della sua morte.
Il compagno partigiano Scalabrini ha
ricordato quella battaglia, quando tedeschi e repubblichini
circondano il paese di Premosello
«quando Bruno si
accorge che l'accerchiamento sta per completarsi, si rivolge, sotto
l'uragano di fuoco, a me e mi dice: «tengo io, salvati»! Bruno, da
solo, con le scarse munizioni, ma con grande coraggio, tiene testa,
per quasi mezz'ora, ai tedeschi e ai fascisti. Cessa il fuoco, si
sentono ancora per qualche minuto le urla degli assalitori, poi
ricade il silenzio nella grande valle. Quando i nazifascisti se ne
vanno, la popolazione va alla ricerca di Bruno. Eccolo! Numerose sono
le ferite al petto, ma ha pure tre pugnalate nella schiena».
Oggi è sepolto al cimitero di Torino,
assieme ad altri eroi di quelle battaglie: i suoi parenti ad Inverigo
l'hanno riconosciuto, dopo un servizio giornalistico che parlava del
partigiano Bruno, il partigiano ignoto, senza nome.
Era partito da Inverigo proprio l'8
settembre, per andare in montagna a combattere: dopo la sua partenza
si erano perse le tracce, fino al 1969, con quell'articolo.
Successivamente
i suoi parenti, a Bigoncio, si sono prodigati per dare un cognome
e “Bruno il partigiano ignoto”: in futuro il comune di
Inverigo dedicherà una via a questo ragazzo, uno dei tanti che
seppero fare la scelta giusta, sebbene cresciuti nel fascismo e anche
benestanti.
Ma riuscirono a distinguere il bene dal
male.
Mutuando le parole di Italo Calvino:
il più onesto, il più idealista dei repubblichini si batteva
per la causa sbagliata, la dittatura. Il partigiano più ignaro, più
ladro, più spietato si batteva per la causa giusta, la democrazia.
Cos'è il fascismo.
“Ho sentito tanta gente urlare là
sotto”: questo diceva Angelo Casati quando passava
davanti il comune di Inverigo. Nelle sue celle, nello scantinato, la
gente veniva torturata.
La cugina del Ballabio, riferiva uno
dei parenti che è intervenuto, era costretta a portare da bere ai
torturati e anche ai torturatori.
Vedeva gente scendere in quelle stanze
e uscirne fuori coi capelli bianchi. Si ricorda delle lunghe tavolate
di legno e il muro, particolare scolpito nella memoria, sforacchiato
di colpi ad altezza d'uomo o sopra le teste dei carcerati.
Questo era il fascismo degli ultimi
mesi: gente che, senza più scrupoli morali e senza freni sfogava la
sua violenza contro persone inermi, contro persone accusate di essere
contro il fascismo.
Gente come il maresciallo di ps Bruschi
di Como, il fucilatore di Giancarlo Puecher: si scoprì poi, a guerra
finita, che aveva il vizio di requisire beni per tenerseli.
25 aprile 1945 – 25 aprile 2017: 72
anni dopo, la forza di questi racconti (come la memoria di Filippo
Meda) è ancora viva.
E' questo che ancora oggi, da fastidio
a quanti ogni anno aprono polemiche strumentali sulla guerra di
Liberazione e sul ruolo effettivo dei partigiani: non accettano
che in quei mesi si sia creata una coscienza civile in questo paese,
si siano messe le basi per una democrazia “diretta”,
in cui ciascuno individuo è partecipe, non più suddito o schiavo di
un regime che ti dice cosa devi fare.
E' quell'ebrezza di libertà, di
sentirsi padroni del proprio destino di cui ha scritto Beppe
Fenoglio nel “Partigiano Johnny”, quando decide di
farsi partigiano:
“Nel momento in cui partì, si
sentì investito in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad
opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare, a decidere
militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma
infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che
ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo,
piegava il vento e la terra”.
Buona festa della
Liberazione a tutti!