"Il mio governo fu contrassegnato dalle bombe. Ricordo come fosse adesso quel 27 luglio, avevo appena terminato una giornata durissima che si era conclusa positivamente con lo sblocco della vertenza degli autotrasportatori. Ero tutto contento, e me ne andavo a Santa Severa per qualche ora di riposo. Arrivai a tarda sera, e a mezzanotte mi informarono della bomba a Milano. Chiamai subito Palazzo Chigi, per parlare con Andrea Manzella che era il mio segretario generale. Mentre parlavamo al telefono, udimmo un boato fortissimo, in diretta: era l'esplosione della bomba di San Giorgio al Velabro. Andrea mi disse "Carlo, non capisco cosa sta succedendo...", ma non fece in tempo a finire, perché cadde la linea. Io richiamai subito, ma non ci fu verso: le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi... ".
Carlo Azeglio Ciampi, ex presidente del Consiglio tra il 1992 e il 1993, commentando la “notte delle bombe del 27 luglio 1993”
Cosa è successo veramente in Italia
tra la fine del 1990 e il 1995?
Sono gli anni del passaggio tra prima e
seconda repubblica; gli anni di Mani pulite e del crollo dei partiti
storici.
Gli anni in cui, finalmente, una
sentenza di condanna per i boss mafiosi passava in giudicata con
“fine pena mai”, la sentenza del Maxi processo del pool
antimafia, che metteva nero su bianco che la mafia era una
struttura criminale verticistica ed unitaria.
Sono gli anni delle bombe contro i due
magistrati simbolo della lotta alla mafia, Falcone
e Borsellino, tanto odiati e vituperati da vivi, quanto
celebrati (con molta retorica) da morti.
Ma sono anche gli anni in cui altre
bombe esplodono, questa volta fuori dalla Sicilia, per colpire luoghi
d'arte e luoghi con altri valori simbolici. Firenze, Milano, Roma.
Omicidi,
bombe e stragi a cui spesso seguiva la rivendicazione di
questa sigla strana, mai apparsa prima, la Falange Armata.
Omicidi, bombe e stragi usate per
mandare messaggi tra due eserciti, in una guerra combattuta tra stato
e anti stato, ma su due livelli. Quello ufficiale di lotta alla
criminalità organizzata e quello sotterraneo, per la ricerca di
nuovi equilibri tra apparati, quello mafioso e quello che da sempre
controlla il cuore occulto del potere in Italia.
Gli apparati di Stato che, negli anni
della guerra fredda sono stati usati come strumento di contrasto
all'ascesa delle sinistre, per la conservazione perenne del potere da
parte dei partiti di centro.
La mafia al sud, usata come braccio
armato contro sindacalisti e comunisti, in cambio del controllo del
territorio e della mano libera per i suoi traffici di droga.
Sono gli anni della trattativa stato
mafia, non presunta perché ormai sancita dalla sentenza di
condanna del boss Tagliavia.
Sono gli anni della rivelazione di
Gladio,
la cellula italiana della rete atlantica Stay Behind, da parte del
sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
Ma sono anche gli anni dei delitti
della
Uno
Bianca.
Di altri misteriosi suicidi di uomini
dello Stato e di detenuti nelle carceri.
Sono gli anni della stragi di Capaci
e di via D'Amelio.
Stragi, delitti, bombe per cui esistono
delle verità parziali, molte verità di comodo. Troppi depistaggi,
troppi testimoni di quegli anni con la memoria corta o a scoppio
ritardato. Nessuna sentenza che faccia luce su tutti questi misteri.
Che dia giustizia per le vittime, per gli eroi consapevoli (come
Falcone e Borsellino) o inconsapevoli (le famiglie distrutte per le
bombe di Milano e Firenze).
Scrive il giornalista Maurizio
Torrealta, a proposito di queste stragi:
“sono arrivato alla conclusione
che non è dalle aule dei tribunali che possiamo aspettarci questo
tipo di narrazione”.
Possiamo veramente aspettarci molto
poco dalla giustizia oggi e dai (pochi) processi ancora aperti su
questi fatti: troppi anni sono passati e troppi non ricordo. Troppi
depistaggi (uno tra tutti, la falsa pista Scarantino per la
strage di via D'Amelio, pista imbastita da organi investigativi dello
Stato come Arnaldo La Barbera). Abbiamo visto quanto lo stesso
Stato si sia dimostrato ritroso, se non reticente, nel volersi sedere
al banco degli imputati e rispondere alle domande dei giudici.
Forse non possiamo sperare nella
giustizia ma nemmeno possiamo sperare che sia la politica stessa a
voler far luce su quegli anni che ancora gettano ombre inquietanti
sul presente: non lo farà il centro destra con Forza Italia, per
tutti i dubbi sulla sua genesi, per la sentenza di condanna di
Dell'Utri.
E nemmeno dai partiti del centro
sinistra, eredi della sinistra DC, anche loro coinvolti in quelle
vicende.
Abbiamo visto quale è stata la loro
reazione di questi partiti ai magistrati di Palermo, nei mesi in cui
si chiedeva conto a Napolitano, a Mancino, del significato
delle intercettazioni in cui l'allora collaboratore Loris
D'Ambrosio
esprimeva i suoi dubbi, su quei mesi, tra il 1992 e il 1993,
quando scriveva all'ex presidente della Repubblica:
“lei sa ciò che ho scritto … episodi che mi preoccupano .. considerato di essere scriba per indicibili accordi”.
Tolte queste due possibilità, la
magistratura ordinaria e i partiti, allora diventa compito dei
giornalisti cercare di fare luce nel buio delle stragi, dei delitti e
delle bombe. Far luce su quel dialogo tra forze eversive e uomini
dello Stato in grado di capire quei segnali, quei delitti assurdi,
quelle minacce, quelle rivendicazioni della Falange Armata. La
strana sigla che ha rivendicato parte di quegli episodi delittuosi,
compresi quelli della Uno
Bianca.
Già, la Uno Bianca.
Cosa c'entra la Uno Bianca e quella
strana banda di poliziotti con la mafia, la trattativa e Falcone e
Borsellino?
Cosa lega tra loro Falange Armata con Gladio, la struttura segreta all'interno della settima divisione del Sismi, che ufficialmente aveva l'incarico di creare dei nuclei di resistenza armata in caso di invasione delle truppe del patto di Varsavia?
Cosa lega tra loro Falange Armata con Gladio, la struttura segreta all'interno della settima divisione del Sismi, che ufficialmente aveva l'incarico di creare dei nuclei di resistenza armata in caso di invasione delle truppe del patto di Varsavia?
“Due più due fa quattro: hanno sciolto Gladio ed è comparsa la Falange Armata. Quando c’era il primo, non c’era la seconda e viceversa. Ora hanno chiuso il primo ed è apparsa la seconda. La soluzione è semplice: sono sempre loro, però, questa volta, molto incazzati”.
Che filo lega
assieme la morte di Ilaria
Alpi e i traffici di rifiuti tossici dall'Italia verso i
paesi africani, mascherati da aiuti per lo sviluppo. Traffici
benedetti dalla politica italiana (il PSI di Craxi in primo luogo) e
protetti da esponenti dei servizi?
Uomini dei servizi
come il maresciallo Li Causi, del centro Gladio Scorpione, in
Sicilia. Quello su cui il giornalista Mauro Rostagno (sospettando un
traffico d'armi).
Anche lui, come
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ucciso in Somalia, nel 1993, durante la
missione militare, in uno strano incidente.
Succede proprio in
quel 1994,
l'anno che ha cambiato l'Italia.
L'anno del
passaggio tra prima e seconda repubblica,
l'anno in cui arriva l'uomo nuovo nella politica italiana, col
suo partito azienda che sconfigge i comunisti che, dopo il crollo del
muro del 1989, avevano cambiato nome. Ma che forse facevano paura lo
stesso a qualcuno.
“.. il Partito comunista non ha perso un minuto a cambiare nome. Quello che serve a noi è un terrorismo a bassa intensità, un terrorismo diffuso, geograficamente collocabile nelle zone ad alto inquinamento comunista.”
Gli anni successivi, sono stati anni di
rimozioni, di depistaggi, di finto cambiamento, di cancellazione del
passato.
L'arresto di Riina, aiutato
dall'ex compare Provenzano,
la cui latitanza è stata protetta per anni anche da persone dello
Stato (e dall'imperizia degli investigatori che dovevano catturarlo,
come dicono le sentenze di assoluzione del generale Mori).
Sono gli anni in cui le bombe smettono
di scoppiare, come se quella guerra sotterranea, tra forze eversive e
poteri dello stato fosse giunta ad un accordo. Ad una liquidazione di
questo esercito mandato frettolosamente in pensione.
Ma qual è stata la miccia, alla fine
del 1990, che ha fatto partire questo incendio della Repubblica?
Il
24 ottobre 1990 Giulio Andreotti, presidente del Consiglio,
rivela l'esistenza di Gladio.
Gladio viene sciolta il novembre
successivo e a dicembre la procura di Roma mette sotto indagine la
settima divisione del Sismi.
Andreotti pensava, con la sua mossa, di
prendere in contro piede quei poteri, dentro lo stato ma usati al di
fuori delle leggi dello stato (per il loro ruolo nelle stragi degli
anni di piombo, durante la strategia della tensione) e rifarsi
una sua verginità.
Da qui parte tutto: la fine di un
esercito che decide di far pagare la sua liquidazione, dopo anni di
servizio, allo stesso stato che ha servito.
“Di tanto in tanto occorre rinfrescare la memoria a chi finge d’averla persa, per ricordare a chi ha usufruito dei nostri servigi,..”
Sono militari professionisti, con un
passato nei corpi speciali come il Col Moschin o gli istruttori
operativi del Comsubin.
Finisce Gladio e inizia Falange
Armata e il suo primo compito e riscrivere la storia a cominciare
dalla carceri.
“Potrà succedere di tutto. Fai arrivare ai tuoi colleghi dell’ufficio politico questo messaggio: da questa stagione non si uscirà con i comunisti al governo, solo perché hanno cambiato nome. Chi di dovere se lo dovrà mettere bene in testa, o lo faremo noi con la terapia del terrore, che è l’unica che funziona sempre. Anche se chi dava gli ordini non c’è più, rimaniamo un esercito armato e invisibile”.
“Bruno, un esercito senza paga non va molto lontano”. “Fallo sapere ai tuoi capi. Sappiamo rispondere colpo su colpo. Non gli conviene intralciarci. Chi cercherà di mettersi contro, chi si lascerà sfuggire dei nomi, ti assicuro che non passerà dei bei momenti. Camerati o non camerati”.
Guido coglie la minaccia, neanche troppo velata, che gli viene indirizzata per bocca del parà. Gli si chiede reticenza, che vuol dire complicità. La conversazione sta prendendo una brutta piega, e Guido cerca di mitigare i toni.
“Ma a voi non vi toccheranno, quelli che avevano delle responsabilità sono stati coperti di denaro e gli altri hanno fatto soldi con ogni genere di traffici, dalla coca alle armi. Quelli che staranno male, ma male veramente, saranno i detenuti, soprattutto quelli delle organizzazioni criminali e mafiose. Saranno loro le vittime sacrificali.
Vedi, sono stati tutti arruolati dentro quella che doveva essere una crociata; in prima linea contro un nemico considerato assoluto; poi, di colpo, licenziati, perché non servivano più. Il loro discorso è semplice: vogliono soldi per il servizio assolto, e libertà di movimento nelle carceri. Per il resto sono nella nostra stessa situazione: hanno lavorato con noi e non vogliono essere condannati. Se parlano loro, c’è il rischio che cada non solo il governo, ma qualche pezzo dell’Alleanza atlantica. Per questo, per evitare che certe notizie trapelino, un segnale deve essere dato”.
Guido coglie la minaccia, neanche troppo velata, che gli viene indirizzata per bocca del parà. Gli si chiede reticenza, che vuol dire complicità. La conversazione sta prendendo una brutta piega, e Guido cerca di mitigare i toni.
“Ma a voi non vi toccheranno, quelli che avevano delle responsabilità sono stati coperti di denaro e gli altri hanno fatto soldi con ogni genere di traffici, dalla coca alle armi. Quelli che staranno male, ma male veramente, saranno i detenuti, soprattutto quelli delle organizzazioni criminali e mafiose. Saranno loro le vittime sacrificali.Vedi, sono stati tutti arruolati dentro quella che doveva essere una crociata; in prima linea contro un nemico considerato assoluto; poi, di colpo, licenziati, perché non servivano più. Il loro discorso è semplice: vogliono soldi per il servizio assolto, e libertà di movimento nelle carceri. Per il resto sono nella nostra stessa situazione: hanno lavorato con noi e non vogliono essere condannati. Se parlano loro, c’è il rischio che cada non solo il governo, ma qualche pezzo dell’Alleanza atlantica. Per questo, per evitare che certe notizie trapelino, un segnale deve essere dato”.
Il primo morto, e la prima
rivendicazione di Falange Armata è Umberto Mormile, educatore
carcerario (Opera), ucciso in un agguato nel 1990 a Milano.
Era il compagno di Armida
Miserere, direttrice del carcere di Opera in quegli anni (e
di altre strutture detentive).
Nel libro vengono usati nomi di comodo
per coprire questi due nomi, ma la sostanza non cambia: nelle carceri
gli uomini dei servizi si muovevano liberamente per contattare i
boss, per creare finti pentiti e per riscrivere la storia. Per
preparare l'attentatuni a Capaci (come ha raccontato Frank Di
Carlo, riferendo dei contatti dei servizi a suo cugino Nino Gioè,
altro strano suicidio).
“Ora lo Stato, che ha patteggiato con i mafiosi e con i suoi combattenti clandestini, la sua anima nera che ha operato a suon di stragi e omicidi mirati, deve scrivere la Storia ufficiale.”
La storia della
mafia e la storia di questo paese che non doveva subire altri
scossoni, dopo il crollo del muro e la fine dei partiti della prima
repubblica.
Riannodare il filo dei giorni.
“Io ho solo cercato di riannodare il filo dei giorni, il filo di quella collana che ha visto rotolare via le sue perle più preziose: i sogni e le speranze di una democrazia vera”.
Maurizio Torrealta, usando la forma del
romanzo, ha cercato di mettere assieme tutti questi fatti,
prendendoli e mettendoli in fila, cercando di mostrarne il filo
logico.
Un filo che, come già detto, parte
dallo scioglimento di Gladio, la cellula italiana della rete Stay
Behind, da parte del governo Andreotti, cellula poi finita sotto
indagine della magistratura.
Che lega questa strategia di
tensione diffusa per ricattare lo stato e allo stesso tempo
indebolire il il PCI-PDS, prima che potesse arrivare al governo.
La
strage al Pilastro
si spiegherebbe così come un messaggio alla struttura dello
Stato più forte in Italia, ovvero l’Arma dei carabinieri, nei mesi
in cui a Roma si apriva un'indagine sulla procura di Roma sulla
settima divisione del Sismi.
“In tutto questo, Bruno, c’è qualcosa che ancora non mi torna. Falange Armata. Una sigla nuova, mai comparsa prima, ma molto ambigua: sembra voler indicare la luna, ma non si vede neanche il dito. Che ruolo ha in questa storia?”.
“Falange Armata è il nome di comodo di chi si occuperà di rivendicare le azioni, tutte, quelle vere e quelle presunte, quelle compiute e quelle no. Non ci dovrà essere più alcuna certezza, il Paese dovrà assaggiare il sapore del terrore e della vera instabilità. Troppo a lungo ha goduto di una democrazia costruita sulle nostre operazioni sporche, di guerra psicologica, e dai nostri interventi silenziosi. I tempi sono cambiati”.
La nascita delle leghe meridionali
(sull'onda della Lega Nord di Bossi e Miglio, l'ideologo che pensava
ad un paese federato, con la mafia al sud) e le strane alleanze tra
massoneria e gruppi di estrema destra, come ha raccontato l'inchiesta
Sistemi criminali.
I protagonisti di questo romanzo sono
tutti inventati, ma sicuramente costruiti a partire da persone reali
che l'autore ha conosciuto nel corso della sua esperienza. Come reale
è il contesto in cui si muovono.
Sono la giornalista dell'AGI
Arianna che vede muoversi la Falange e inizia a seguire i primi
casi della Uno Bianca. E che impara fin da subito che non sempre si
può scrivere tutto quello che si apprende.
“Arianna pensa quanto sia ricorrente quella frase: non scrivere nulla di quello che ti ho detto.”
Il poliziotto della
Digos Guido, che muove le sue fonti nell'estrema destra
per cercare di capire chi sta dietro la Falange.
Leggono i giornali che un giorno strillano “Allarme golpe” e poi quello dopo “La bufala del golpe”, e pensano: “Due più due fa quattro: hanno sciolto Gladio ed è comparsa la Falange Armata. Quando c’era il primo, non c’era la seconda e viceversa. Ora hanno chiuso il primo ed è apparsa la seconda. La soluzione è semplice: sono sempre loro, però, questa volta, molto incazzati”.
Altri personaggi, pur avendo un nome
inventato, sono facilmente riconoscibili, come l'ex ambasciatore
Francesco Maria Dell’Arti (dietro cui si intuisce l'ex
direttore del Cesis Francesco Fulci) chiamato dal presidente del
Consiglio (Andreotti) a presiedere l'organo di controllo dei servizi,
il Cesis, in quei mesi in qui un suo organo occulto veniva
messo in liquidazione: consegna al capo della polizia e al comandante
dei carabinieri una lista di 16 agenti del Sismi, per “meri fini
di riscontro” in merito agli attentati.
Aveva scoperto che le telefonate di
rivendicazione della Falange arrivavano da posti dove era presente
una sede del Sismi...
“Dunque, ambasciatore, lei prevede un ritorno all’uso terroristico delle stragi?”.
A porre il quesito è il suo braccio destro, un giovane dall’aria severa. “La cosiddetta Falange Armata le sta annunciando da tempo. Ho incaricato una persona di mia fiducia di analizzare da dove partono le telefonate di minaccia e in quali orari. E ho scoperto che vengono effettuate sempre in orario d’ufficio, da città dove è presente una sede del Sismi, e da carceri all’interno delle quali è presente qualche suo funzionario.
Da questo deduco che potrebbe trattarsi di qualche personaggio legato proprio a quella struttura. E purtroppo non credo che in questa situazione, anche se esistono forme di terrorismo più diluito e periferico, quei signori rinunceranno a usare l’esplosivo. Ma non si tratterà di qualche spettacolo pirotecnico simbolico, bensì del gran finale dei fuochi d’artificio dell’‘esercito segreto’ della prima Repubblica”.
Il magistrato Gabrieli (che
ricorda molto da vicino Gabriele Chelazzi), che deve indagare
su queste stragi e che verrà lasciato solo dalla magistratura: alla
fine della storia, confesserà alla giornalista tutto il suo
sconforto:
“..ho buoni motivi per temere che questo processo, al quale sto lavorando da anni, non verrà mai fatto; non perché non ci siano evidenze, ce ne sono fin troppe, ma perché chiama in causa i livelli più alti delle nostre istituzioni”.
Il magistrato è uno dei pochi a
comprendere che queste bombe, della stagione 1992-93, diversamente da
quelle degli anni '70 (che servivano per spaventare) “fanno
parte di una trattativa a suon di bombe tra diverse parti dello
Stato”.
Lo stato parallelo, il doppio stato, la
democrazia a sovranità limitata. L'influenza di quell'alleato che ha
condizionato la nostra politica fin dai tempi di Portella della
Ginestra e del secessionismi siciliano.
Poteri occulti dentro le istituzioni, al di fuori delle leggi e capaci di ricattarle.
Poteri occulti dentro le istituzioni, al di fuori delle leggi e capaci di ricattarle.
A suon di ricatti e di bombe.
Fa paura lo scenario che viene fuori da
questo romanzo. Perché quei nodi, quella trama, portano a mettere in
luce il lato oscuro della nostra democrazia, incompiuta e con le mani
sporche.
Dovremo fare i conti con questo nostro
passato, se vogliamo sperare di vivere in un paese migliore, con una
classe dirigente libera da ricatti, dove si riesce a respirare il
“fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del
compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi
della complicità” [Paolo Borsellino in un discorso ai cittadini
siciliani].
Nell'attesa di quel momento, almeno
sappiamo che in quegli anni di guerra sotterranea chi è stato al
comando, quali sono state le gerarchie ufficiali e quali quelle
occulte. E che ci sono stati anche degli eroi che hanno lottato per
la nostra libertà “che hanno cercato di contrastare queste
politiche antidemocratiche”.
Altri spunti per la lettura
- L'ambasciatore,
i Servizi e il mistero Falange armata - da Il filo dei giorni
(Torrealta)
- Stragi
Rita di Giovacchino
- Doppio
livello di Stefania Limiti
- L'Italia della Uno Bianca Giovanni Spinosa
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- Quarto
livello Maurizio Torrealta
- Protocollo Fantasma di Walter Molino
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