29 luglio 2023

Perché Rocco Chinnici

 Come mai la mafia, ovvero la commissione presieduta da Totò Riina, decise di uccidere Rocco Chinnici, il capo dell'ufficio Istruzione nel tribunale di Palermo, il 29 luglio 1983?

Perché quell'autobomba, quell'attentato così sanguinario, per cui i giornali titolarono "Palermo come Beirut".

Perché voleva fare come Caselli a Torino, creare un pool antimafia nell'ufficio istruzione (più magistrati a seguire le indagini, centralizzazione delle informazioni, non disperdere i processi di mafia ma cercare di analizzarli in un unico filone)?

Anche per questo certo.

Ma la colpa grave di Chinnici è stata quella di voler entrare dentro le banche, usando come leva la legge voluta dal segretario PCI Pio La Torre, il sequestro dei beni ai mafiosi.

Obiettivo dell'azione di Rocco Chinnici era andare ad attaccare i mafiosi e i loro capitali, andare ad attaccare le banche, i professionisti che aiutavano e aiutano i mafiosi a gestire i loro beni. Quei miliardi frutto della speculazione edilizia e del traffico della droga.

La forza della mafia non stava solo nelle armi, ma anche nel potere del denaro, con cui comprarsi la protezione da quella rete di persone perbene che fanno parte della zona grigia. Quei colletti bianchi poi accusati di quel reato, il concorso esterno, che questo governo (con qualche imbarazzo e con un parziale dietro front) vorrebbe riformare.

Quel governo che ricorda le vittime della mafia, senza però la volontà di affrontare la questione dei rapporti tra mafia e politica, tra mafia e imprenditoria, tra mafia e finanza.

«Ma cosa credete di fare all'ufficio istruzione? La devi smettere Chinnici di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l'economia siciliana .. ». 

Chinnici veniva accusato, dai vertici della Procura palermitana (negli anni in cui venivano uccisi il prefetto, il presidente della regione, il segretario regionale PCI,..) di voler bloccare l'imprenditoria siciliana con le sue indagini: a Chinnici veniva chiesto di insabbiare le indagini sui potenti e di sotterrare Falcone con tanti processetti

Foglio del 24 novembre 1981. Appunto relativo al 18 maggio 1982. 
ore 12 - Vado da Pizzillo per chiedere di applicare un pretore in sostituzione a La Commare dal momento che il Csm ha deciso che la competenza è del presidente della corte. Mi investe in malo modo dicendomi che all'ufficio istruzione stiamo rovinando l'economia palermitana disponendo indagini ed accertamenti a mezzo della guardia di finanza. 
Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone in maniera che "cerchi di scoprire nulla perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla". Osservo che ciò non è esatto in quanto sono stato proprio i giudici istruttori di Palermo che hanno - inconfutabilmente - scoperto i canali della droga tra Palermo e gli Usa e tanti altri fatti di notevole gravità. 
Cerca di dominare la sua ira ma non ci riesce. Mi dice che verrà ad ispezionare l'ufficio (ed io lo invito a farlo); è indignato perché ancora Barrile non ha archiviato la sporca faccenda dei contributi (miliardi per la elettrificazione delle loro aziende agricole); l'uomo che a Palermo non ha mai fatto nulla per colpire la mafia che anzi con i suoi rapporti con i grossi mafiosi l'ha incrementata. 
Pizzillo con il complice Scozzari ha "insabbiato" tutti i processi nei quali è implicata la mafia, non sa più nascondere le sue reazioni e il suo vero volto. Mi dice che la dobbiamo finire, che non dobbiamo più disporre accertamenti nelle banche.

E' importante ricordare queste cose, oggi dove abbiamo un governo che non vuole disturbare gli imprenditori che vogliono fare, che non vuole disturbare troppo gli evasori. Che non ama chi si mette a fare le pulci su come spenderemo i soldi del PNRR, i miliardi che arriveranno al nord al centro e anche al sud..

28 luglio 2023

Il tradimento è delitto di Leonardo Palmisano

 


Tre anni prima

Il suo tempo stava finendo. Non era l’acqua gelida a togliergli il fiato, ma il pensiero che dagli abissi non sarebbe tornato. Crepare non se l’era immaginato così. Provò a muovere i piedi incassati tra gli scogli ma li sentì pesanti e desistette quasi subito. La corda alle caviglie gli prudeva. Anche le alghe lo solleticavano e un mocassino si staccò per risalire a galla

Non sai mai, arrivati alla fine dei romanzi di Leonardo Palmisano dove sta il confine tra romanzo e realtà. Tra quanto l’autore ha preso dalla cronaca, dalla sua conoscenza personale della criminalità organizzata in Puglia e nel sud d’Italia e quando invece sia frutto della sua fantasia. Fatto sta che, anche in quest’ultimo “Il tradimento è delitto” si rimane con una strana sensazione: il piacere di una lettura scorrevole, con dei personaggi dal carattere ben spiccato, ma anche il comprendere quando estesa e ramificata sia la rete delle organizzazioni criminali nel nostro paese, quando sia esteso il loro controllo sul territorio, sulle attività commerciali, nel mondo dell’imprenditoria.

Quanto sia labile il confine tra istituzioni e criminalità e quando sia difficile distinguere il bene dal male.

Nel prologo leggiamo di un uomo nei suoi ultimi istanti di vita, mentre sta morendo nelle acque poco lontane dalla riva. Ancora non sappiamo perché, cosa abbia fatto, se sia un suicidio. Ma ci arriveremo, alla fine, con qualche colpo di scena.

Ritroviamo anche in questo libro, ambientato nella Puglia, tra Bari, Laureto, Fasano, i protagonisti della serie a cominciare dal “bandito” Carlo Mazzacani, ultimo dei sopravvissuti della banda dei Santi, assieme al suo vice, il “gigante” Luigi Mascione.

Uno

Il bandito Mazzacani si alzò dal letto mentre Angela Savino, la sua agente immobiliare, si stava svegliando. Il bandito si grattò la pelata e si lisciò un baffo, come suo solito, poi indossò un orologio d’oro, infilò un paio di jeans e si assicurò alla cintola la Colt Python con impugnatura in madreperla..

Dopo che la loro banda fu liquidata dai sacristi, sono diventati una sorta di cani sciolti, nel mezzo delle guerre tra i clan rivali, le famiglie baresi contro i salentini, nel mezzo anche tra criminalità e le istituzioni, rappresentate dalla procuratrice capo della Direzione Regionale Antimafia di Puglia, la Drap, Teresa Buonamica.

Strano rapporto, quello tra il “bandito”, un cane sciolto nel mondo della criminalità, e la procuratrice: nel passato Mazzacani l’ha aiutata a modo suo in qualche caso, anche per fare pulizia di qualche mela marcia nello Stato. Vorrebbe tanto smetterla quella carriera di bandito, magari dedicarsi a qualcosa di pulito. Ma sembra destino che ogni volta debba andare ad infilarsi dentro qualche brutta e pericolosa storia.
Questo volta gli toccherà indagare su un suicidio avvenuto tre anni prima: si tratta di Riccardo Savino, il fratello dell’agente immobiliare con cui sta trattando l’acquisto di un vecchio castello (e con cui ha tradito Isabella Uda, la sorella di un suo amico, bandito dell’anonima sarda).

Secondo Angela, la sorella, Riccardo non si sarebbe mai ucciso: lavorava in una banca, era bravo a far soldi coi suoi investimenti. A lei ha scritto una lettera d’addio, dove parla di qualcuno che gli aveva affidato dei soldi, un qualcuno di cui avrebbe tradito la fiducia..

È stato mio zio a dirmi di cercarti, perché la pensa come me”, rispose la Savino. “Mio fratello è stato ucciso.”

Tuo zio è ’nu capo contrabbandiere.”

Un impiegato morto in mare tre anni prima, cresciuto da un contrabbandiere finito in disgrazia anni prima, una banca chiacchierata. E una donna che chiede ad un “bandito” di trovare chi gli ha ucciso il fratello. Non c’è molto per iniziare un’indagine, per capire se sia stato veramente un omicidio o meno, anche se qualcosa che non torna c’è: come mai Riccardo non aveva accettato il trasferimento vicino casa? Come mai la polizia ha archiviato così in fretta il caso? Tra l’altro ad occuparsene era stato proprio quel Curiale, ex capo della Dia, anche lui, come la banca, un poliziotto molto chiacchierato.

Mazzacani comprese che il ritrovamento del bancario doveva aver messo in subbuglio la cupola sacrista, soprattutto il più alto in capo, Antonio De Guido, nemico giurato dei baresi.

Più entra dentro questa storia, più Mazzacani inizia a mettere assieme i pezzi di una storia molto più complessa e pericolosa. Dietro quel morto ci sono milioni di euro appartenenti ai clan che dovevano passare per la banca per essere puliti e che sono spariti. Potrebbe scoppiare la guerra tra i due clan rivali, il capo della sacra corona unita, De Guido, e il suo rivale, Senese, legato alle famiglie di Bari.
Pur essendo un criminale pure lui, Mazzacani ha delle regole che tra i sacristi, tra i trafficanti di droga, tra questi nuovi criminali capaci di guardare oltre i confini, di “mettere a servizio” le loro competenze criminali, sono state superate:

Tengu nu pensiero, gigante beddhu. Noi teniamo tutto. L’alberi la vita, ma non ci basta. Santu core, non ci basta mai nienti.”

Vale anche per te questa regola?”
Mazzacani si lasciò scappare uno sbadiglio e una sentenza: “Pe’ tutti, vale. Pe’ tutti quelli che stipano lu fueco inthr’a lu sangue”.

Anche dall’altro lato del muro, dentro lo Stato, c’è una persona a cui non sono sfuggite queste indagini di Mazzacani e a cui appaiono chiare fin da subito le possibili relazioni: si tratta della procuratrice del Drap. Come Mazzacani teme la calma apparente tra i clan, che proprio questa indagine, scomoda per tanti boss, potrebbe scuotere: non è solo questo, a preoccupare la dottoressa Buonamica sono le relazioni tra i clan e questa banca, relazioni che erano arrivate fino alla banca d’Italia e all’UIF, secondo il principio del follow the money ..

La task force dell’Ufficio Informazioni Finanziarie allertava da tempo il governo italiano sulla quantità di denaro che i clan albanesi di Saranda infilavano in alcune banche pugliesi.

Al “bandito” Mazzacani servirà una strategia acuta per non far esplodere questa guerra, che vorrebbe dire tanti morti ammazzati per le strade: si ispirerà al protagonista di “Per un pugno di dollare” di Sergio Leone o al Samurai di Kirosawa, vedete voi.

Avrà trionfato la giustizia? Forse.

Si legge senza mai voler smettere, pagina dopo pagina, fino alle rivelazioni finali che raccontano di questo intreccio tra finanza, malavita internazionale e i clan che controllano il territorio.

Un intreccio che è come le spire di un serpente che avvolge e stritola il paese, le persone.

La scheda del libro sul sito di Fandango

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27 luglio 2023

30 anni - le bombe di Milano e Roma: la ricerca di nuovi equilibri

Accadde tutti in quei pochi mesi, settimane di 30 anni fa.

Le ultime bombe della mafia o, meglio, messe dai mafiosi per portare avanti una strategia eversiva che aveva a capo menti raffinatissime.

Il suicidio di Antonino Gioè, poco prima di parlare coi giudici.

Le bombe di Milano e Roma del 27 luglio 1993.

Il black out di Palazzo Chigi che, nelle memorie dell'allora presidente del Consiglio Ciampi, avevano fatto temere un colpo di Stato.

E poi, il suicidio di Raul Gardini, la maxi tangente Enimont, l'inchieste di Milano sulla corruzione nella politica.

Non fu un colpo di stato quello che avvenne trent'anni fa, ma qualcosa di simile ai messaggi tra corpi dello stato degli anni della strategia della tensione: pezzi di servizi, le menti raffinatissime legate alla criminalità organizzata, parti della politica cercavano nuovi equilibri.

Quelli poi arrivati con la discesa in campo di Berlusconi?

Di certo è sbagliato dire - come fanno tanti - che lo stato quella guerra contro la mafia l'ha vinta.

Vista la lunga latitanza concessa ai Messina Denaro, ai Provenzano, referenti di questo nuovo equilibrio, di questa nuova mafia, non si direbbe.

22 luglio 2023

Colpo di ritorno di Giancarlo De Cataldo

 


La vibrazione insistente del cellulare sorprese Manrico nel bel mezzo di un sogno delicato e gaio. Era al centro di un prato verdissimo, circondato da margherite bianche. Cani dai vari colori scorrazzavano tutt’intorno, e in un laghetto, o forse uno stagno, apparso all’improvviso, si bagnavano ragazze svestite.

Ritornano le indagini del procuratore Manrico Spinori, pm nella procura di Roma, amante della musica lirica tanto dall’andare a cercare nelle opere l’ispirazione per la risoluzione dei casi che deve affrontare perché

.. Manrico era profondamente convinto che non esistesse situazione umana, incluso il delitto, che non fosse già stata raccontata da un melodramma

Ma in quest’ultima indagine, che gli verrà affibbiata dal procuratore capo, sarà complicato trovare un’opera adatta, tanto che il guizzo finale, l’intuizione che gli consentirà di mettere le mani sull’assassino arriverà solo alla fine, quando tutte le piste si sono rivelate delle porte chiuse.

Il procuratore Gaspare Melchiorre viveva in un elegante attico vicino al Palazzaccio, il monumentale complesso di fine Ottocento che ospitava la Cassazione e dove lui ambiva a chiudere la sua carriera, sempre di non inciampare, nel frattempo, in qualche imprevisto.
– Manrico. Grazie per essere venuto così di corsa, ma è… una specie di emergenza.
– Gaspare, non per metterti fretta, ma se venissi al punto.
– Hai sentito parlare dell’omicidio del mago di Trastevere?
– Vagamente, perché?
– Devo sostituire il titolare del caso, e data la delicatezza della situazione ho pensato che tu potessi essere l’uomo giusto… Manrico si sporse in avanti. La domanda che rivolse al procuratore suonò, forse, ironica ai confini del sarcastico.
– C’è qualcosa che devo sapere, Gaspare?

Come mai quella vecchia volpe del procuratore capo, un magistrato partito con tanti ideali per una giustizia uguale per tutti, poi convertiti ad un maggiore pragmatismo “politico” che ha consentito una più serena carriera, ha pensato a Manrico Spinori per quel caso?

Perché in una notte di tempesta abbattuta sulla città eterna, con tanto di black out, è stato ucciso nel suo studio il mago Narouz, il mago di Trastevere, che aveva tra i suoi clienti, oltre a vip della televisione, anche un’importante senatrice della repubblica (non mancano i riferimenti reali a cui ispirarsi, nella politica di oggi).

Una che ha fondato la sua carriera su un’immagine di donna tradizionale, sul populismo gridato via social per acchiappare tanti like in modo facile. Sarebbe un bel colpo sua immagine se si venisse a sapere che frequentava un mago e chissà per quali motivi poi..

Il procuratore capo, oltre che amico della senatrice, spiega a Manrico che il governo (di cui il partitino della senatrice Olivieri fa parte) è in crisi, potrebbe aprirsi un rimpasto tra i ministri, tra i papabili ci sarebbe anche il suo nome

L’attuale maggioranza zoppica, Manrico… Di là dalle apparenze di compattezza che venivano sciorinate a una stampa piú o meno asservita

Ecco l’incarico che cade tra capo e cosa a Manrico Spinori: un’indagine in cui dovrà muoversi con molto riservo, guai a spifferare qualcosa ai giornalisti, per capire chi possa aver ucciso, colpendolo alla testa con un corpo contundente, il mago di Trastevere.

Spinori è un magistrato progressista, toga di sinistra secondo i tanti nemici, ben introdotto nel mondo che conta nella capitale per le sue origini. Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda, questo il suo nome completo ultimo “rampollo” di un’antica famiglia della nobiltà romana, finita in disgrazia per causa della ludopatia della signora madre, con cui ha un rapporto “complicato”: “adorava la sua inveterata e irredimibile follia, quella vena di cupio dissolvi che in qualche misura sentiva di aver ereditato”.

Assieme alle sue collaboratrici dovrà prima di tutto capire chi erano i clienti che andavano dal mago Narouz fiduciosi nelle sue capacità, almeno quelle da lui decantate.

Uno di loro potrebbe essere l’assassino: l’interrogatorio con la senatrice avviene nel “Centro Dati”, un palazzo di epoca fascista lontano da giornalisti e altri occhi indiscreti

Il mio dono, – rispose la Olivieri, fissandolo negli occhi con uno sguardo ai confini del languido, – è nella determinazione. Il Mago Narouz, Pino Capomagli, mi ha insegnato a non dubitare della mia determinazione

Tipa tosta questa senatrice, tanto dura di facciata, tanto ipocrita nel suo modo di essere: ma a parte una frecciata a compagni di partito non racconta nulla di rilevante alla squadra di Manrico.

Che è una squadra tutta al femminile: dall’ispettrice Cianchetti, alle prese con un suo problema personale, alla segretaria Sandra Vitale fino a Gavina Orru esperta nelle indagini in rete.

Chi è l’assassino del mago? Uno dei suoi clienti che, di fronte ad un insuccesso, a un evento che il mago non aveva preventivato, si è gettato contro di lui in un momento di rabbia?

Oppure è solo una questione tra maghi, ce ne sono tanti in giro, tutti gelosi tra di loro, pronti a fregarsi i clienti promettendo alle loro vittime qualcosa che non potremmo mai avere: Manrico deve seguire anche questa pista e percorrerla fino in fondo.

Ma c’è un’altra ipotesi, che piace molto ad una parte del mondo dell’informazione, quella che si rivolge alla pancia delle persone e che piace molto meno al magistrato: si tratta della pista delle sette sataniche, ovvero un delitto maturato nel mondo dell’esoterismo, della stregoneria, di gente che crede veramente in satana, nei demoni e via cantando..

Qual è la pista giusta? Qual è l’opera lirica che ha già raccontato questo dramma?

Nonostante le apparenze in questo “Colpo di ritorno” (forse tra i meno convincenti della serie) non si parla solo di magia in quest’ultimo romanzo di Giancarlo De Cataldo che, in ogni caso, si è ben documentato sull’argomento (come da bibliografia a fine libro).

La clientela del mago rappresenta uno specchio del paese, o di una parte diciamo: le attricette in cerca di una parte disposte a tutto, il politico che di fronte ai suoi elettori deve mostrare una faccia, diversa da quella che si ha in privato, con tutte le paure, la signora di buona famiglia che insegue la cabala al gioco.. E poi l’enigma del magistrato, che vorrebbe fare il suo mestiere senza guardare in faccia a nessuno: ma sempre è così.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e il pdf del primo capitolo

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20 luglio 2023

La ricerca della notizia - Andrea Purgatori e la luce della verità

Ci sono giornalisti che si accontentano di fare da reggimicrofono al politico di turno e che non si lamentano se vengono rinchiusi nei vagoni del treno per una gita propagandistica a Pompei.

Ci sono poi altri giornalisti, che citando il bel film su Giancarlo Siani possiamo chiamare "giornalisti giornalisti" che non si accontentano delle dichiarazioni ufficiali, dei comunicati stampa, delle conferenza stampa del presidente del consiglio senza domande.

Sono giornalisti, e ce ne sono, che cercano la notizia, seguono le storie, senza preoccuparsi se questa notizia dia fastidio a qualcuno di potente.

Questo era Andrea Purgatori, un giornalista che, per esempio, non si sarebbe fermato al comunicato stampa sulla liberazione di Patrick Zaki da parte del regime del generale Al Sisi: Purgatori cercherebbe di capire quali altre partite si siano giocate sulle spalle dello studente bolognese.

Anche se questa ricerca della notizia, questo andare oltre la facciata della narrazione potrebbe dar fastidio.

Come poteva dar fastidio intestardirsi per non lasciar cadere nell'oblio la vicenda di Ustica: non si poteva far cadere nel dimenticatoio l'abbattimento dell'aereo dell'Itavia sui cieli del Tirreno. Quella di Purgatori poteva essere quasi scambiata per una ossessione, specie in questo paese dove l'indignazione dura meno di un orgasmo.

Purgatori ha tenuto accesso il faro della verità su questa brutta vicenda, spiegando perché le piste "consolatorie" e "assolutorie" come la bomba o il cedimento strutturale fossero false. Nonostante questo volesse dire mettersi contro i generali dell'Aeronautica, contro la dichiarazioni ufficiali della marina americana (sulla Saratoga, sugli aerei Nato in volo quella sera sul Tirreno).

Tutto questo per il solo fine del raccontare ai suoi lettori (e telespettatori) una storia credibile, reale: un dovere morale per un giornalista, un dovere che anche lo stato avrebbe dovuto portare avanti, nei confronti delle vittime.

Non è facile fare il giornalista giornalista in questo paese: è molto più facile stare dalla parte del potente, fare il reggimicrofono, sposare la narrazione ufficiale: ci sono meno problemi, meno rischi di querele o minaccia di querela. 

Non si tratta solo della cronaca giudiziaria, un tema molto caldo ancora oggi, con le vicende dei ministri Santanché o La Russa.

Mi riferiscono alle storie, che Atlantide - la trasmissione di Purgatori su La7 - aveva raccontato: come il racconto delle giornate del G8 a Genova nel luglio 2001, di cui cui oggi ricorre l'anniversario. La macellerie messicana fatta dal reparto celere della polizia alla scuola Diaz, le prove false portate dai poliziotti (con la complicità dei superiori) dentro la scuola per la narrazione governativa secondo cui nella scuola erano presenti black bloc.

La narrazione di comodo doveva essere chiara: la polizia ha semplicemente fatto il suo dovere, nella scuola c'erano dei violenti che sono stati fermati.

Eppure la verità, scomoda, era ben diversa, perché su Genova era calata la notte cilena, la notte della democrazia (il titolo della puntata di Atlantide), "una violazione dei diritti umani di dimensioni mai viste nella recente storia europea" come scrisse Amnesty.

Scomodo raccontare queste storie, come quelle dei rapporti tra pezzi delle istituzioni, parti dei servizi, esponenti della politica, con la mafia.

Chi ha seguito la puntata di ieri sera di Atlantide, finita a tarda notte, sulle stragi del 1993 in Italia ha chiaro il contesto: nei servizi, già andati in onda nella giornata a memoria del giudice Giovanni Falcone, si racconta il contesto di quei mesi. La strategia eversiva della mafia, suggerita da un'entità superiore che suggeriva strategia e obiettivi da colpire, la rivendicazioni della falange armata (che rimandavano a vecchi uffici dei servizi, attivi negli anni della strategia della tensione), il voler tenere sotto tensione il governo Ciampi, per preparare il terreno ad un nuovo soggetto politico..

Una verità complicata da spiegare ma ancora più difficile da ammettere: ancora oggi è tabù, per pezzi delle nostre istituzioni democratiche, parlare del G8 di Genova o dei rapporti tra stato e mafia. O del delitto Moro, delle stragi degli anni settanta.

Andrea Purgatori aveva questo coraggio, questa lucidità nel vedere il quadro d'insieme, questa capacità nel sapere raccontare queste storie. Perché un paese veramente democratico non ha paura nel cercare la verità.

19 luglio 2023

Quel filo nero delle stragi

Per quanto la propaganda si sforzi, alla fine tutte le bugie vengono fuori. Prima o poi.

Altro che "ho iniziato a fare politica dopo la morte di Borsellino", "non ho mai perso una fiaccolata con le associazioni antimafia": domani il governo e il suo presidente si limiteranno alle cerimonie ufficiali, con tanto di discorsi pieni di ipocrisia, per ricordare la morte del giudice Paolo Borsellino ucciso in via D'Amelio assieme agli uomini (e ad una donna) della sua scorta.

Se veramente questo governo volesse fare lotta alla mafia non cercherebbe di rimuovere il Concorso esterno in associazione mafiosa, nato col pool di Falcone e Borsellino (e Caponnetto, Di Lello, Guarnotta). Non attaccherebbe i magistrati un giorno si e l'altro pure.

Se veramente avessero intenzione di ricordare Borsellino cercherebbero di fare luce sui depistaggi di stato, fatti per creare un pentito come Scarantino e allontanare le indagini dei magistrati dai Graviano. E da Dell'Utri. E da Berlusconi.

C'è un peccato originale che impedisce a questo governo di fare vera lotta alla mafia, ai suoi interessi economici, fare luce sulla zona grigia tra criminalità, imprenditoria e mondo dei professionisti (e magari delle logge massoniche).

Si tratta del filo nero che lega le stragi di mafia con l'estrema destra, responsabile delle stragi degli anni settanta-ottanta, da Piazza Fontana a Bologna: ne ha parlato ieri l'ex magistrato Roberto Scarpinato nell'articolo "Via d’Amelio e i vulcani comunicanti delle stragi"

Un terzo robusto canale di collegamento è venuto alla luce con la condanna come ulteriore esecutore delle strage di Bologna di Paolo Bellini, esponente di Avanguardia nazionale, uomo dei servizi segreti, che fu in missione in Sicilia nel 1992, nello stesso periodo in cui era presente Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale già legato a D’Amato. È stato accertato che Bellini dialogò ripetutamente in quei mesi con Antonino Gioè, esecutore della strage di Capaci, uomo-cerniera tra la mafia e i servizi segreti, al quale, come ha dichiarato Giovanni Brusca, suggerì di alzare il livello dello scontro con lo Stato effettuando attentati contro i beni artistici nazionali: idea, questa, maturata già nel 1974 all’interno di Ordine Nuovo, formazione della destra eversiva i cui esponenti sono stati riconosciuti colpevoli delle stragi di Piazza Fontana (Milano, 1969) e Piazza della Loggia (Brescia, 1974) e che, come è stato accertato, hanno goduto di protezioni statali ad altissimo livello. Nella motivazione della sentenza di condanna di Cavallini depositata il 7 gennaio 2021, la Corte di Assise di Bologna dedica quasi cento pagine alla rivisitazione dell’omicidio Mattarella, giungendo alla conclusione, anche alla luce di nuove acquisizioni, dell’esattezza della pista nera individuata da Falcone ed evidenziando le connessioni tra quell’omicidio e la strage di Bologna. Mi risulta personalmente che Falcone era fermamente intenzionato a riprendere quelle indagini se fosse stato nominato procuratore nazionale antimafia. Non gliene diedero il tempo, massacrandolo a Capaci.

Stessa sorte riservarono a Borsellino, affrettandosi prima che avesse il tempo di dichiarare alla Procura di Caltanissetta quanto aveva appreso da Falcone e da alcune fonti sulle collusioni mafiose di alcuni vertici dei servizi segreti e su riunioni di un gruppo di selezionati capi di Cosa Nostra per elaborare un complesso piano stragista. Il piano prevedeva come primo atto la strage di Capaci e vedeva la compartecipazione di altri potenti forze criminali, le stesse che avevano animato la strategia della tensione nei decenni precedenti. Circostanze di cui aveva preso nota nella sua agenda rossa. Una agenda che dunque doveva sparire prima di finire nelle mani dei magistrati che, seguendo il filo di Arianna tracciato in quelle pagine, da Palermo potevano forse risalire passo dopo passo sino a Bologna, facendo così uscire dagli armadi tanti scheletri della prima Repubblica. Che invece sono transitati nella seconda, contribuendo a sostenerne le fondamenta.

17 luglio 2023

Il figlio del mago, di Sandrone Dazieri

 


Avevo quindici anni quando affrontai il mostro armato solo di uno specchio e di una magia. La magia veniva dal vecchio quaderno di un chiromante, lo specchio da un gioco per ragazzi. Era l’estate del 1993, e stavo dolorosamente attraversando il confine tra l’adolescenza e l’età adulta.
Fino ad allora ero stato uno studente privo di doveri che non fossero verso me stesso, ma sapevo che quella vita sarebbe terminata con l’arrivo dell’autunno.

Antonio è un ragazzo di quindici anni che vive con la madre in un paese nella periferia di Firenze: un ragazzo come tanti, con poca voglia di studiare e con un padre che vede saltuariamente, perché fa un lavoro particolare, è un giostraio figlio di giostrai, un dritto figlio di dritti, come si dice nel gergo dei rom sinti. La stessa vita di Antonio nei suoi primi sei anni è avvenuta nel circo, i più begli anni della sua vita prima che gli assistenti sociali non imponessero la frequentazione della scuola.

Nel suo futuro si intravede solo un lavoro in officina, ma in quell’estate del 1993 la sua vita è destinata a cambiare: tutto inizia con la morte del padre, morto all’interno della sua roulotte per un incendio causato da una scintilla. Un incidente dicono i carabinieri.

Giostrai e circensi temono poche cose, e una è il fuoco. Il fuoco si mangia le baracche, fa scappare gli animali, brucia i tendoni, e dove non distrugge sporca e fa puzzare il resto.

Antonio aveva passato il giorno prima con lui: erano stati in una pizzeria, avevano parlato del futuro. Ma poco prima, dentro il circo, il padre aveva avuto un litigio con una donna di cui il ragazzo aveva colto un particolare, le mancava un dente. E aveva anche visto il padre colpirla con una sberla.
Era tornato scosso da quel litigio il padre, abile nei suoi giochi di prestigio, meno nel nascondere una certa tensione. Come se quella donna l’avesse minacciato.

Mio padre aveva paura? Che cosa gli avevi detto per spaventarlo così?

Antonio si convince che quella del padre non è stata una morte per un incidente: perché qualcuno fa visita alla loro casa, due volte, prima nel garage e poi in casa. Dopo aver visitato quello che rimane della roulotte dentro cui è morto il padre, scopre che qualcuno, forse lo stesso ladro, ha fatto una vista anche lì dentro, cercando qualcosa dappertutto, anche strappando la pelle dei sedili.

Non è solo questo: dentro trova appesa una rosa rossa. E di rose rosse parla anche un libro che trova andando a frugare nelle cose del padre

Si intitolava: Ordini Segreti. Dai Rosacroce alla Rosa Rossa.

In quel libro si parlava di una setta, discendente dall’ordine dei Templari, col culto della rosa rossa: ma una setta che dedita anche a rituali satanici e sacrifici umani, un qualcosa che accende una lampadina nella mente di Antonio.

«Perché qui intorno quelle cose le faceva solo una persona. Ti ricordi? Abitava… dieci chilometri in quella direzione, a Mercatale»

Che la morte del padre sia legata a questa setta? Cosa legava il padre a queste persone? Sono gli anni in cui si celebra il primo processo contro il mostro di Firenze, quel contadino che era stato accusato dei delitti seriali avvenuti nelle campagne fiorentine, coppiette uccise mentre si appartavano con la loro auto per fare l’amore.

Forse la risposta la può dare una scatola: Cristiano, un amico del padre, si presenta a casa chiedendogli proprio di una scatola, che il padre gli doveva dare prima che morisse. Ma glielo chiede in modo minaccioso, con un tono che fa comprendere ad Antonio chi possa essere stato quel ladro che era entrato nella sua casa qualche tempo prima.

Cristiano non è una persona qualunque: anni prima era stato accusato lui del primo delitto del mostro, “fu il primo dei “sardi” a essere accusato. Era considerato il sospetto numero uno per l’omicidio della prima coppia attribuita al Mostro”.

Tutte le strade portano a quei delitti, ad una setta che eseguiva dei riti satanici, ad una scatola che contiene qualcosa per cui forse vale la pena uccidere.

Antonio non ne può parlare con nessuno, non con la madre e nemmeno col maresciallo dei carabinieri, che forse anche lui nasconde qualcosa.

Ma lui non è un ragazzino qualunque, è il “figlio del mago”, uno capace di risolvere i misteri, perché ha imparato tutti i trucchi della magia.
Ma questa volta la magia avrà un sapore molto amaro: con l’aiuto dei parenti nel circo e con quello di Ornella, una coetanea con cui scoprirà l’amore, arriverà a scoprire una brutta verità sul padre e sui delitti del mostro.

I personaggi di questo breve romanzo sono inventati ma, come racconta Sandrone Dazieri a fine libro, sono in parte ispirati a personaggi realmente esistiti e che sono stati in vario modo legati ai delitti del mostro. Come Francesco Vinci, il primo sospettato del delitto avvenuto nel 1968 di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, ritenuto il primo delitto del mostro.

O come Milva Malatesta, amante di Vinci e figlia di un bracciante agricolo morto suicida.

Anna Mattei è invece stata uccisa da qualcuno che, prima di fuggire ha cercato di dare fuoco al suo cadavere.
Strane morti, strani suicidi avvenuti attorno al 1993-94, gli anni del primo processo a Pacciani: attorno a queste storie l’autore ha imbastito questo racconto che sposa una teoria sul morto che porta dritta al mondo delle sette esoteriche.

Potete prenderlo solo come un racconto, la storia di un ragazzo sopravvissuto al mostro, o a quello che riteneva il suo mostro, grazie ad uno specchio usato come arma.

Oppure potete partire dai link e dai libri che Dazieri cita alla fine, come dai testi di Michele Giuttari e cercare voi di farvi una vostra idea su questo mistero. Un mistero che ancora oggi fa paura.

La scheda del libro sul sito di Rizzoli.

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16 luglio 2023

Tempo di restaurazione

Ma quale fascismo, quale rischio di una nuova dittatura. 

Quello che ci dobbiamo aspettare, da questo governo di patrioti difensori degli italiani (si, ma quali?) è una restaurazione: nessuna marcia su Roma, semmai una marcia indietro. Perché c'è un preoccupante passato davanti a noi che ci aspetta.

Basta mettere assieme i fatti.

Lo sciopero dei dipendenti dell'handling negli aeroporti è stato presentato dal ministro Salvini come un ricatto a chi lavora, ai turisti. Ma anche i dipendenti degli aeroporti sono lavoratori che aspettano il rinnovo del contratto da sei anni. 

Nei canali di informazione Rai quest'ultimo pezzo se lo sono un po' scordato: ci dobbiamo aspettare un attacco al diritto allo sciopero?

Oggi chi si permette di fare picchetti, azioni dimostrative davanti i cancelli delle fabbriche o dei poli della logistica, rischia la manganellate e di finire a processo. 

Perché questo stato, queste istituzioni possono accettare che ci siano lavoratori sfruttati (ma non eravamo una repubblica fondata sul lavoro? Dove l'avevo letto?), aziende che usano le cooperative che spuntano come funghi come sistema per non pagare le tasse e non pagare i loro dipendenti (lo dice la Finanza che ha indagato sul sistema BRT e Geotis).

Questo governo ha eliminato il reddito di cittadinanza, che stava strettino anche al governo dei competenti: basta fannulloni sui divani pagati coi soldi pubblici, rimboccatevi le maniche. Bisogna tornare a fare sacrifici - dice il senatore di Rignano, tra le altre cose anche editore e consulente di nuovi paesi rinascimentali, i giovani devono imparare dall'umiliazione.

Si sente nell'aria questa voglia di tornare alla Londra di Dickens, ai tempi dei padroni delle ferriere, al lavoro a cottimo, ad un paese diviso in caste.

Stai nell'élite del paese, quella che vive su posizioni di rendita non tassate o tassate poco, quella capace di generare soldi dai soldi? Bene.

Stai nella parte sbagliata del paese? E pretendi pure di frequentare l'università trovando una casa a poco prezzo? Pretendi pure una sanità pubblica che si prenda cura di te?

C'è una parte del paese che rimane sempre più indietro, che non vede nella politica una via per risolvere i propri problemi: è l'Italia che non va più a votare che si contrappone a quella dove il voto è una sorta di do ut des con la politica per avere mano libera. 

Il governo che non da fastidio a chi vuole fare - non diceva così la presidente?

Gli ultimi casi sulla giustizia, da Santanché (e il tfr non pagato ai dipendenti) fino a La Russa (che si è erto a giudice del figlio), indicano che anche su questo tema si vuole tornare indietro: fine della legge uguale per tutti, dell'obbligatorietà dell'azione penale, dell'indipendenza della magistratura (sarebbero poi i capisaldi di un paese veramente democratico, mica penserete che basti il voto?).

Basta perfino a questa odioso reato chiamato "concorso esterno" in associazione mafiosa. Torneremo alla mafia come questione tra banditi, coppole storte, questione che sta tutta al sud. Gente che si ammazza tra di loro. Avete visto, abbiamo perfino arrestato Matteo Messina Denaro?

13 luglio 2023

Tre camere a Manhattan di Georges Simenon

 


Si era alzato di scatto, esasperato, alle tre di notte, e si era vestito così in fretta che per poco non usciva in pantofole, senza cravatta, con il bavero del soprabito rialzato, come quelli che portano fuori il cane la sera tardi o di buon mattino. Poi, nell’attraversare il cortile di quella casa che, dopo due mesi, non riusciva ancora a considerare una vera casa, si era accorto, alzando meccanicamente la testa, di aver lasciato la luce accesa, ma non aveva avuto la forza di risalire.
A che puto era la situazione, lassù, da J.K.C.? Chissà se Vinnie stava già vomitando.

Ho letto questo romanzo tutto d’un fiato, pagina dopo pagina, come se fosse un giallo o un romanzo dove si svela un segreto: eppure in questo “Tre camere a Manhattan” non ci sono morti o assassini da scoprire, Simenon è riuscito ancora una volta a costruire un racconto, molto reale e soprattutto molto teso dove si parla d’amore.
Non è un romanzo d’amore: è la storia di due persone, non più giovani, con alle spalle un matrimonio finito male, con dei figli che non vedono più da tempo e che sono rimasti soli per troppo tempo. Perché anche in una città come New York, con milioni di abitanti ci si può ritrovare a vivere da soli in una squallida stanza a Manhattan, un letto, una cucina, tanto disordine, nemmeno un telefono per tenersi in contatto col mondo di fuori. È quello che è successo a Francois Combe: lo incontriamo sin dalle prime pagine quando, per la disperazione del dover sentire le grida dei vicini, presi dalle effusioni amorose, se ne esce di sera, vagabondando per la città. In un bar incontra una donna, con una cappellino in testa e una pelliccia sulle spalle che gli rivolge la parola:

«Lei è francese, vero?»

Nasce così, quasi per caso (anche se poi scopriremo che non è stato proprio così) una strana relazione tra due persone di cui appena conosciamo i nomi, perché del loro passato scopriremo qualcosa un pezzo alla volta. Si incontrano ed all’improvviso scoprono una naturalezza nello stare assieme, nel passeggiare a lungo per le strade di New York, per poi finire in una camera di albergo, il Lotus. Attraverso lo sguardo di Francois, vediamo tutto l’evolversi di questa relazione: dall’abbandonarsi l’uno nell’altro fino alla sottile diffidenza di lui, che non riesce a soffrire le passate relazioni di lei, Kay, con altri uomini. Ma è una diffidenza, una gelosia che non riesce in alcun modo a portarlo lontano da lei: perché prevale alla fine la paura della solitudine, del ritrovarsi nuovamente da solo. Tornare in quella camera di albergo e non trovare più nessuno.

Che cosa avrebbe fatto se, al ritorno, avesse trovato la camera vuota?

Quell’idea gli era appena balenata che già lo faceva star male, e lo gettava in un tale stato di smarrimento e di panico che si voltò bruscamente per assicurarsi che nessuno stesse uscendo dall’albergo.

In una notte queste due persone sole avevano attraversato tutte le tappe che gli amanti impiegano di solito settimane o mesi per attraversa: il sesso sfrenato, la dolcezza del risveglio l’uno accanto all’altro, la naturalezza nello stare assieme, nel fare le cose assieme nell’intimità della casa. E poi la sottile gelosia, fino quasi al disprezzo, per le piccole bugie che lui coglie nei racconti di Kay.

Ma alla fine lui rimaneva lì, non poteva fare a meno di lei, in un continuo scappare per poi ritornare assieme.

Era come un gioco, un gioco molto eccitante. Quella era la terza camera in cui stavano insieme, e in ognuna di esse lui scopriva non solo una Kay diversa, ma nuove ragioni per amarla, e un nuovo modo di amarla.

È così che nasce l’amore, questo ci racconta Simenon: nel riconoscersi l’uno nell’altro e può succedere anche quando si è raggiunta una certa età. Un amore a cui si arriva dopo un percorso, dentro cui possono starci anche dei piccoli tradimenti, ma dove alla fine si arriva ad un finale: un finale dove non serve più darsi le caccia l’uno contro l’altro, basta camere a Manhattan, basta bicchieri di scotch bevuto nei bar nella lunga notte di New York, basta monetine da inserire dentro i juke box, per ascoltare la loro canzone.

Come viene raccontato nella terza di copertina, in questo romanzo c’è molto del personale di Simenon

«È uno dei rarissimi libri che abbia scritto a caldo. E questo mi faceva paura».

.. a caldo di una sua relazione con la segretaria proprio a New York, che poi divenne la sua nuova moglie: è da qui, dalla mente dello stesso autore, da quei suoi mesi passati a New York, che nasce tutta l’analisi psicologica, tutti quei pensieri che pesano come un fardello nella mente del protagonista, anche tutte le sue piccole bassezze nei confronti della compagna.

La scheda del libro sul sito di Adelphi
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10 luglio 2023

Anticipazioni del servizio di Report sul fact checking alle dichiarazioni della ministra Santanchè

Sul Fatto Quotidiano Vincenzo Bisbiglia ha riportato un'anticipazione del servizio di Report che andrà in onda stasera sul fact checking alle dichiarazioni in aula della ministra del turismo.

Santanchè ha mentito anche sui compensi: “Prese 2,5 mln”

LA PITONESSA IN AULA: “INCASSAI 527 MILA DA KI GROUP” - Il caso Visibilia su Rai3. “Un patto interno forniva a Daniela il controllo sulle società in dissesto”. La ministra contestata ieri dall’Usb alla Versiliana

DI VINCENZO BISBIGLIA 

10 LUGLIO 2023

Daniela Santanché aveva sottoscritto un patto parasociale con l’ex compagno Canio Mazzaro che le permetteva di avere un pieno controllo, di fatto, delle società Bioera e Ki Group, collegate al gruppo Visibilia. Un ruolo attivo che, in meno di 9 anni, le ha permesso di portarsi a casa, tra stipendi e indennità per le cariche sociali, circa 2,5 milioni di euro, mentre durante l’audizione in Senato del 5 luglio scorso aveva affermato di aver incassato poco più di 500 mila euro. Sono alcuni dei nuovi dettagli che emergono dal servizio di Report, firmato da Giorgio Mottola, in onda questa sera su Rai Tre e che in parte sembrano smentire quanto sostenuto dalla Ministra del Turismo durante la sua audizione in Senato il 5 luglio scorso.

Santanchè è indagata dalla Procura di Milano per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio insieme al compagno Dimitri Kunz D’Asburgo Lorena e alla sorella Fiorella Garnero. E a Report parla per la prima volta in chiaro anche la supertestimone – grande accusatrice della politica-imprenditrice – con cui Il Fatto Quotidiano dialoga da novembre scorso e che ha permesso di pubblicare già allora le prime esclusive sul caso. La manager si chiama Federica Bottiglione ed è l’ex responsabile degli affari societari di Visibilia. Un incarico fondamentale, il suo, perché in qualità di investor relator manager era autorizzata a interfacciarsi direttamente con Consob (Visibilia Editore Spa è quotata in borsa).

Bottiglione conferma, tra le varie cose, di aver continuato a lavorare in Visibilia, durante l’emergenza Covid, nonostante fosse stata messa (a sua insaputa) in cassa integrazione a zero ore.

Partiamo dalla questione emolumenti. In Senato, Santanché ha dichiarato: “Da Ki Group srl negli anni 2019, 2020 e 2021 ho incassato complessivamente 27 mila euro lordi, in tutti e tre gli anni. Per gli anni precedenti, 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018 (…) ho percepito dalla capogruppo mediamente un valore lordo annuo di circa 100 mila euro in maniera fortemente decrescente negli ultimi 3 anni”. In totale fanno 527 mila euro in 8 esercizi. L’analisi dei bilanci effettuata da Report però mostra altri numeri, la cui somma solo tra il 2014 e il 2018 arriva a toccare quota 1,7 milioni. Per poi arrivare a quota 2,5 milioni, secondo Report, nel 2021. Negli stessi 8 anni, tra l’altro, Mazzaro avrebbe invece incassato circa 7 milioni di euro. Periodo in cui, spiega alla trasmissione di Rai 3 l’esperto di riciclaggio Gian Gaetano Bellavia, la società perdeva ad esempio circa 2,7 milioni di euro solo nell’anno 2016. E infatti Ki Group nel 2021 ha avviato i licenziamenti della quasi totalità dei suoi 77 dipendenti a causa del dissesto dei suoi conti. Il personale è poi fuoriuscito definitivamente dall’azienda nel corso del 2023, “quando io già da tempo non avevo alcun ruolo”, si è difesa la ministra in Senato

Sempre in aula a Palazzo Madama, il 5 luglio scorso, Santanchè ha poi dichiarato: “Non ho mai avuto il controllo o partecipazione di un qualunque rilievo nelle imprese del settore dell’alimentare biologico e della sua distribuzione (…) La mia partecipazione in Ki Group non ha mai – ripeto mai – superato il 5 per cento (…)”. Un’affermazione, anche questa, che pare smentita dai bilanci mostrati da Report, dai quali si evince che Santanché possedeva il 14,9% di Bioera – controllante di Ki Group – attraverso la D1 Partecipazioni, altra holding in chi la ministra è socia insieme al suo ex fidanzato, il giornalista Alessandro Sallusti (estraneo a tutte le inchieste). Oltre al patto parasociale con Mazzaro, socio di maggioranza di Bioera, che, dice ancora Bellavia intervistato “di fatto associa la sua partecipazione a chi comanda (…) comandano in due”. Qui Report mostra anche sms, screenshot e messaggi vocali risalenti al settembre 2020, che dimostrerebbero il ruolo attivo di Santanché nella società in cui presiedeva le riunioni e “interveniva direttamente nella gestione”.

A Report, come detto, parla per la prima volta in chiaro Federica Bottiglione. La donna, ex dipendente di Visibilia, racconta che tra il 2020 e il 2021 guadagnava circa 1000 euro al mese, che nel periodo dell’emergenza – quando formalmente si trovava in cassa integrazione a zero ore – gli venivano corrisposti a titolo di rimborso spese. Nello stesso periodo, racconta sempre Bottiglione, le fu fatto un contratto di consulenza in Senato come assistente parlamentare sia dell’allora senatrice Santanché che dell’attuale presidente Ignazio La Russa: “Andare a prendere la posta nel casellario, controllare la posta elettronica”, erano le sue mansioni, a quanto dichiara a Report. La ministra in Senato aveva dichiarato che l’ex dipendente “non ha mai messo piede in Visibilia dall’entrata della sua cassa integrazione”, dichiarazioni apparentemente smentite dai comunicati e dalle email fornite da Bottiglione.

Anteprima inchieste di Report – il fact checking sul caso Santanché, mr Bandecchi, la plastica, il prosecco e i granchi blu

Report non molla, nonostante il caldo, nonostante l’isolamento in cui è costretta a lavorare, gli attacchi da parte del governo: questa sera ci sarà un nuovo servizio sull’inchiesta in cui è coinvolta la ministra del turismo nonché imprenditrice Daniela Santanché, che si è appena difesa in parlamento affermando di essere all’oscuro di una indagine della procura.

Ma Report non si è nemmeno dimenticata del nuovo nastro nascente a destra, il proprietario dell’università telematica Unicusano, Bandecchi.

Infine un servizio dedicato al vino italiano più esportato al mondo, il Prosecco e tutte le sue imitazioni.

Il Prosecco e le sue imitazioni

Il Prosecco italiano, uno dei vanti del nostro made in Italy, ha tante imitazioni nel mondo: in Germania ad esempio si sono inventati il “quasi processo” riuscendo ad aggirare le norme europee di protezione del marchio.

Per andare a conoscere il quasi processo Report è andata nella valle della Mosella, nell’ovest della Germania, dove l’ansa del fiume circonda il piccolo comune di Trittenheim , famoso per i suoi vigneti e per le cantine che producono vino bianco pregiato. In quest’area opera l’assaggiatore e maestro di vini Frank Roeder, assieme al giornalista di Report hanno degustato un calice di vino locale:

un profumo molto complesso, ogni volta si trova qualche particolarità, si trova il terreno, la frutta molto matura, ma si trova anche tante erbe dietro la frutta.. questo vino è maturato per 15 mesi in una grande botte di rovere e questo è un vino di altissima qualità e la bottiglia costa 50 euro, ma li vale.”

Qui la maggior parte del vino è vino bianco: nel suo studio tra le bottiglie esposte ce n’è anche una di “prisecco”, qualcosa di “molto molto interessante”, una alternativa per i vini senza alcool. La bottiglia ha una rete per proteggere il tappo, come uno spumante, racconta l’esperto: dentro si sente il profumo di mela, rabarbaro, con un profumo molto complesso.

Come mai la scelta di quel nome, che assomiglia molto al prosecco italiano? Una scelta del produttore del vino..

Un aggiornamento sul caso Santanché

Anziché chiarire, anziché spiegare, la ministra del turismo ha attaccato: i giudici, i giornalisti, tutti quanti hanno raccontato la vicenda delle sue aziende, quelle del biologico e della raccolta pubblicitaria, Ki Group e Visibilia.
Il servizio di Report, raccogliendo testimonianze dei suoi ex dipendenti e mostrando atti di cui i giornalisti erano venuti in possesso, ha raccontato dei fatti difficilmente smentibili: il tfr non pagato ai dipendenti, la gestione disinvolta delle aziende spolpate dall’interno.

Un attacco alla privacy di un cittadino? No, perché quel cittadino è anche un ministro, perché quel cittadino è un imprenditore che ha avuto accesso a fondi pubblici (la cassa integrazione per dipendenti che avrebbero invece lavorato durante il covid). Perché quel cittadino è un ministro della repubblica.

In aula ha ripetuto di non essere stata raggiunta da alcun avviso di garanzia,di cui avrebbe chiesto pure una verifica ai suoi avvocati: il tfr non corrisposto? Roba del 2023 quando io non avevo più alcun incarico – ha spiegato la ministra per poi ammettere che, in ogni caso, il personale della Ki Group verrà “soddisfatto” in riguardo ai loro diritti.

Sulla dipendente in cassa integrazione a sua insaputa, è stata una contestazione tardiva, ha cercato di spiegare Santanché, che si ritiene certa che la dipendente non ha mai messo piede in azienda. Nessun altro dipendente aveva mai sollevato questioni sulla cassa integrazione – ha tenuto a precisare. Nel finale ha anche lanciato un messaggio nemmeno troppo opaco contro chi l’accusa:

"Mi fa sorridere che le critiche più feroci arrivino da chi in privato ha un atteggiamento diverso nei miei confronti, come prenotare nei locali di intrattenimento che io ho fondato, ma mi fermo qui per carità di patria!"

Queste le dichiarazioni della ministra su cui Report eseguirà un fact checking.

La scheda del servizio: Santa subito di Giorgio Mottola

collaborazione Greta Orsi

immagini Carlos Dias, Cristiano Forti, Marco Ronca

Dopo l’inchiesta di Giorgio Mottola, Daniela Santanché è stata costretta a riferire in aula al Senato per rispondere ai fatti emersi nel corso della trasmissione Report. Ma tra mezze verità, omissioni e vere e proprie menzogne, il suo intervento si è subito rivelato un autogol. Report mostrerà, con documenti interni alle sue società, tutte le incongruenze, le inesattezze e le falsità pronunciate dal ministro del Turismo durante il suo discorso. Con testimonianze inedite verranno svelate nuove vicende che evidenziano come la cattiva gestione delle aziende di Daniela Santanché abbia danneggiato dipendenti e fornitori.

Come ridurre gli sprechi di plastica

Nei mesi scorsi la Commissione europea ha proposto un nuovo regolamento sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio, le misure poste alla base della proposta prevedono oltre alla riduzione degli imballaggi anche il riutilizzo accanto al riciclo: in Italia nuove realtà si stanno approcciando alla pratica del riuso.

La scheda del servizio: Meglio riutilizzare che curare Di Chiara De Luca

Collaborazione Marzia Amico
Immagini Paco Sannino, Davide Fonda, Fabio Martinelli e Marco Ronca
Montaggio e grafica Michele Ventrone

Quanto si riusa in Italia?

Negli ultimi 10 anni la quantità di imballaggi è aumentata. In Italia è cresciuta di oltre il 20 per cento e così anche i relativi rifiuti. Parallelamente è cresciuto anche il tasso di avvio al riciclo per il quale l’Italia è uno dei paesi europei più virtuosi. Ma il riciclo da solo non basta a ridurre l’impatto dei consumi. L’economia italiana continua a dipendere per più dell’80% da materie prime vergini. A chiederci un cambiamento in questa direzione è l’Unione Europea. La Commissione, infatti, ha proposto un nuovo regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio che prevede, tra le varie misure, la riduzione degli imballaggi e il potenziamento del riuso accanto al riciclo. Come è stata accolta in Italia la proposta?

I pericoli del granchio blu

Una specie aliena, ovvero proveniente da fuori l’ecosistema, sta minacciando l’industria degli allevatori di vongole sul delta del Po (da cui proviene il 55% delle vongole italiane): si tratta del granchio blu che, con l’alluvione che ha colpito la Romagna lo scorso maggio, sono venuti tutti nel delta fiume e si sono messi a mangiare le vongole degli allevamenti, che vengono aperte con le loro chele. Anche il granchio locale è a rischio dall’arrivo di questa nuova specie, come anche le ostriche, perché il granchio blu si mangia anche il mollusco contenuto nelle valve.

Il problema con questa specie aliena che si è insediata da poco nel Mediterraneo è che non ha predatori e così può riprodursi indisturbato, da ogni femmina possono nascere fino a più di 1700 granchi - raccontano i pescatori alla giornalista di Report – due volte all’anno: “le uova le mangiano i branzini che non ci sono più e le anguille che non ci sono più”.
Così i pescatori adesso per contenere i danno stanno puntando tutto sul pescare le femmine

La scheda del servizio: Abbiamo preso un granchio! di Giulia Innocenzi

Con la collaborazione di

Greta Orsi, Giulia Sabella

Immagini di Alfredo Farina, Carlos Dias

Montaggio e grafica di Giorgio Vallati

La produzione di vongole minacciata dal granchio blu

A Comacchio e Goro, i comuni del ferrarese sul Delta del Po, viene prodotto il 55% delle vongole consumate in Italia. Ma questa produzione è messa seriamente in pericolo da una specie aliena, che ha cominciato a proliferare massicciamente dal mese di maggio, subito dopo la prima alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna: il granchio blu. Che fare per salvare un'economia che vale 100 milioni di euro? Giulia Innocenzi ha parlato con i pescatori e ha intervistato l'assessore all'Agricoltura e alla Pesca dell'Emilia-Romagna Alessio Mammi per capire le soluzioni immediate da mettere sul tavolo.

Il conflitto di Bandecchi

Luca Bertazzoni torna ad intervistare il neo sindaco di Terni, nonché presidente della Ternana calcio e fondatore dell’università telematica Unicusano, Stefano Bandecchi.

Un imprenditore che, come si è capito dal precedente servizio, fa un uso abbastanza spregiudicato dei suoi canali informativi: il giornalista di Report si è trovato addosso i microfoni e le telecamere di Tag 24, nel corso del consiglio comunale dove si doveva discutere del conflitto di interessi del sindaco. La consigliera di opposizione di Fratelli d’Italia Cinzia Fabrizi spiegava come fosse diritto per tutti i cittadini di conoscere in maniera integrale la relazione presentata dal segretario comunale: al ché il sindaco ha risposto “non è che posso stare qua un’ora a perdere tempo come non lo può fare questo consiglio comunale che ha altro da fare, perché i problemi di Terni sono altri, quindi se deve solo leggere quello che io ho letto 4 giorni fa come tutti per me è inutile, mi alzo e me ne vado..”.
La relazione del segretario comunale, da cui è partita la richiesta di chiarimento dell’opposizione, non è stata apprezzata dal neo sindaco: “io non ho più fiducia nel segretario, e siccome me lo devo tenere per 60 giorni, me lo terrò.. il segretario fa bene a stare zitto, perché già di minchiate ne ha dette parecchie e so che stiamo andando in diretta e sono felice.”
Insomma, non si fa scrupoli nel minacciare, nell’offendere, nel trattare i dipendenti comunali come fossero suoi dipendenti. Quelli che ha licenziato in una notte e poi riassunto con condizioni contrattuali peggiorative.

Ma i problemi rimangono: come presidente della Ternana calcio, la sua squadra usa lo stadio di proprietà del comune, di cui è sindaco.

Il consigliere del PD Kenny racconta che “questo stadio è stato dato in concessione alla Ternana per fare le sue partite e ora il proprietario della squadra che gioca in questo stadio è anche sindaco.. Stefano Bandecchi si è fatto garante della ristrutturazione per sistemare lo stadio e noi ora vorremmo capire chi farà la ristrutturazione.”

Ma secondo il sindaco il conflitto è risolto perché si è dimesso da presidente dell’università Unicusano e da presidente della Ternana: detto questo ha abbandonato il consiglio comunale.

Oggi presidente della squadra è l’ex vice presidente Tagliavento, ex arbitro di calcio: prenderà lui le decisioni sulla squadra adesso, senza che Bandecchi metterà più becco sulla Ternana?

La scheda del servizio: Occhio per occhio... di Luca Bertazzoni

Collaborazione: Marzia Amico

Immagini di Giovanni De Faveri, Carlos Dias, Marco Ronca, Paco Sannino

Montaggio di Igor Ceselli

Grafica di Giorgio Vallati

Report torna a intervistare Stefano Bandecchi

L’inchiesta racconta il conflitto di interessi che il Consiglio Comunale di Terni ha sollevato nei confronti di Stefano Bandecchi, fondatore dell’Università Niccolò Cusano e proprietario della Ternana Calcio, a seguito della sua elezione a sindaco di Terni: la presunta incompatibilità riguarderebbe il suo ruolo di presidente della Ternana Calcio, società che utilizza lo stadio di proprietà del Comune di Terni, di cui Bandecchi è sindaco. Bandecchi ha lasciato la presidenza della squadra, che però è di proprietà di Unicusano, controllata da aziende riconducibili a Bandecchi.

Torneremo a parlare delle condizioni dei lavoratori e degli ex lavoratori dei mezzi di comunicazione di Unicusano, che il fondatore considera “come una pistola da utilizzare contro i politici”. Dopo l’inchiesta di Report, una troupe di Tag24, il sito di informazione dell’Università Niccolò Cusano, è andata sotto casa di una presunta fonte dell’inviato a chiedere conto di alcune dichiarazioni. Un tutor che aveva raccontato come funzionano gli esami dentro Unicusano è stato sospeso dall’azienda per dieci giorni senza stipendio.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

07 luglio 2023

Bacci Pagano. Una storia da Carruggi di Bruno Morchio


Notte di luna

L'uomo delle affissioni comunali sputa per terra e si orbisce con l'avambaccio libero, il sinistro. Col braccio destro regge il secchio della colla e stringe sotto l'ascella un lungo rotolo di carta. Mugugna qualcosa, forse impreca contro quella smisurata gigantografia che si appresta ad incollare sul cartellone con maestria da attacchino professionista.

[..] Con una manovra che rivela tutto il suo mestiere intinge la pennellessa nella colla e la fa scivolare sotto un manifesto della gigantografia, quello in alto a sinistra. Un colpo preciso ed è disteso sul cartellone come un tappeto

CINQUE PALLOTT

Complice l'uscita di questa raccolta di gialli, per La Gazzetta dello sport, ho letto questo romanzo dello scrittore genovese Bruno Morchio con l'investigatore Bacci Pagano: primo dal punto di vista cronologico, perché in realtà scritto successivamente a Maccaia, il primo in assoluto.

Questo “Una storia da Carruggi” stata una sorpresa perché, avendo letto gli ultimi romanzi col suo investigatore genovese, qui lo stile narrativo è molto diverso: tanto più nei suoi ultimi la sua scrittura è asciutta e tipicamente noir, quanto in questo lo stile è molto più descrittivo (col rischio di appesantire leggermente la lettura).

La mia impressione, da lettore, è che in questa storia ci sia dentro molto di personale dello scrittore genovese: si parla del periodo post nuovo millennio, quando il neoliberismo selvaggio cavalcava l’economia mondiale, senza che nessuno si ponesse alcun problema di controllare i mercati prima che prendessero il posto delle democrazie, che sarebbero diventate come oggi tristemente scopriamo, luoghi svuotati da ogni potere.

Sono gli anni del governo Berlusconi, tornato al governo con l’obiettivo di salvarsi dai processi e di continuare a farsi i suoi affari sulle spalle dei cittadini italiani.

Passa per un vero democratico, un liberale fino al sacrificio, avallando l’idea che la libertà è una concessione del padrone e non un diritto di tutti.

Il G8 di Genova era ancora una ferita aperta, con quell’assaggio di “sudamerica” (intesa come privazione di tutti i diritti civili) che fu per molti genovesi e per molti cittadini democratici un brutto risveglio. Benvenuti nel nuovo millennio!

Il racconto comincia con un cartello fatto appendere da una radio privata sui muri di Genova: c’è scritto “CINQUE PALLOTTOLE PER RIPULIRE L’ITALIA”. A chi sparereste, tra politici imprenditori e affini per pulire il paese?
Quello di questa radio, Radio Baba Yaga, gestita da un reduce degli anni settanta e della contestazione è un modo leggermente populista per affrontare il tema del livellamento al ribasso della classe dirigente.

Ma a Bacci Pagano, che si muove con la sua Vespa 200PX per le strade spazzate dal freddo vento invernale, tutto questo per il momento non interessa.
Sta seguendo un caso che gli è stato assegnato da donna Assunta Pellegrini, famiglia di vecchi imprenditori, che vuole controllare la fidanzata del figlio, Alma, che frequenta un po’ troppo un professore che lavora per la concorrenza, Alberto Losurdo.

A Bacci Pagano, che sulle spalle ha cinque anni di carcere per l’accusa, infondata di terrorismo, un matrimonio finito male, le storie di corna non interessano.

Ma questa vicenda si rivelerà qualcosa di più, e di peggio.

Ma anche la storia del cartellone con le cinque pallottole, che ben presto gli ascoltatori della radio dedicano ad un noto personaggio politico dell’epoca, diventa qualcosa di più.

Un ladro è entrato nella radio e ha rubato la carabina posseduta dal direttore Lagrange, che Bacci Pagano ha già inquadrato per il suo essere narcisista. Della vicenda se ne occupa la Digos, comandata da un dirigente che vede comunisti dappertutto (come quel personaggio politico di cui sopra).

Prima che qualcuno si faccia del male, usando quella carabina e scaricando le colpe sulla radio comunista e magari tirando di mezzo anche lui stesso, Bacci Pagano viene ingaggiato per un secondo incarico: deve cercare di capire chi ci sia dietro questo furto.

Il rampollo di una famiglia della borghesia genovese con una fidanzata “focosa” e una vicenda che puzza di servizi e di menti raffinatissime con al centro una carabina: nella sua indagine Bacci Pagano si muoverà nei suoi Carruggi, “un luogo dove vive l’umanità più sciroccata della città”, dove verrà aiutato dalla sua rete di informatori, tra cui Gegè, un cieco che è anche la memoria della città vecchia e nuova. E poi una ragazza che viene dalla Costa d’Avorio, costretta a far la prostituta dalle persone che l’hanno portata in Italia.

L’investigatore e la prostituta, due che in fondo fanno lo stesso lavoro, “tutti e due razzoliamo nel retrobottega della gente perbene…”.

Effettivamente dietro il furto della carabina c’è una vecchia conoscenza, lo “zoppo”: l’idea su quale sia il piano di questo personaggio, nella zona grigia dove i servizi pescano la manovalanza per le operazioni sporche, arriva a Bacci Pagano sotto forma di sogno. Un manichino, un carretto siciliano portato da due uomini con la coppola e un colpo ad abbattere l’uomo di plastica.

Anche la prima inchiesta, quella su Pellegrini Junior e la fidanzata, lo porta dentro quel mondo dell’economia dove girano tanti soldi e poche regole di trasparenza, come vuol d’altronde il nuovo modello economico mondiale. Un modello dentro cui le mafie si trovano a proprio agio e che costringerà Bacci Pagano a dove impugnare la sua pistola e sparare.

Mentre mi sollevano come un manichino marcio e mi trascinano fuori dal garage, è un altro l’odore che mi fa venire voglia di piangere o di vomitare. Inconfondibile. Quasi familiare. Quello che sento è odore di sudamerica.

Il G8 non è stato un caso isolato e nella polizia non sono solo poche mele marce quelle che considerano la divisa come una sorta di immunità per sfogarsi contro gli ultimi, le zecche, i comunisti. O gli investigatori privati che si mettono in mezzo nelle loro indagini, anche nelle loro azioni sporche. Ma per fortuna non tutta la polizia è così: non è così il capo della Mobile, il commissario Pertusiello a cui Bacci Pagano ha dato anche una mano in diverse occasioni.

C’è l’indagine, sulla guerra commerciale tra due aziende dietro cui girano troppi soldi e dove si intravede il ruolo della nuova mafia. E l’indagine su questa carabina che sta per sparare all’uomo più potente d’Italia.

Ma sullo sfondo c’è Genova, non solo la zona dei Carruggi, che visiterete coi vostri occhi portati dalla lettura delle pagine, ma anche quella che andava via via trasformandosi per la speculazione immobiliare che cacciava via dal centro gli ultimi.

C’è tanta denuncia sociale in questo libro, molto “politico”:

«Io non sono nessuno. Questo delinquente ha ragione. Sono un morto di fame che sbarca il lunario razzolando nella rumenta. E sopravvivo mangiando la vostra merda. Ma i morti che porto sulla coscienza sono tutti criminali che stavano per spararmi addosso».

Si parla di temi quanto mai attuale anche oggi, la prevalenza dell’economia sui diritti sociali, sulle regole della democrazia, che deve essere svuotata dalle regole che frenano le imprese:

«Oggi è il potere economico a dettare le regole. E le decisioni dell’economia non spettano certo ai Parlamenti nazionali. Questi sono chiamati a ratificare grandi opzioni di livello globale, assunte da persone che non occupano alcun incarico elettivo. Inoltre c’è nel mondo una resistenza ottusa a tutto questo. Per questo una guerra è inevitabile. [..] Tante guerre locali per evitare una guerra globale che farebbe terra bruciata di duemila anni di storia».

La scheda del libro sul sito dell'editore Frilli e il link sul sito della Gazzetta (della serie Noir Italia)

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