La casa degli azzurri
La federcalcio italiana non paga l'Imu
al comune di Firenze, per una cifra che supera il milione di euro:
perché è un ente non commerciale, dice il presidente dalla
Federazione Gravina.
Eppure ci sono importanti marchi che
fanno spot associati all'immagine di Coverciano, altro che ente non
commerciale: la Federcalcio SRL, che ha la proprietà del centro, fa
attività per scopo di lucro e Federcalcio SRL è una partecipata al
100% della Federcalcio.
Si paga per fare i corsi per allenare,
si paga per il vitto e per l'alloggio, come se si fosse in un
albergo, si fanno corsi e convegni: sono soldi che finiscono nelle
casse di Federcalcio.
La Cassazione si è pronunciata più
volte su altre sedi FGCI ma non ancora a Coverciano: il presidente
Gravina ne fa una questione di principio, non sono un ente a scopo di
lucro, se dobbiamo pagare pagheremo, dice.
Le carceri al tempo del Virus (link)
La polizia penitenziaria italiana è
stata messa a dura prova quest'anno: nel periodo del primo lockdown,
a marzo, in 21 carceri ci sono state proteste da parte dei detenuti
con 107 feriti tra gli agenti e 69 tra i detenuti. Ma ci sono stati
anche 13 detenuti morti (sospette) e danni ingenti alle strutture
carcerarie, per quasi 10ml di euro.
Purtroppo, ci sarebbero stati anche
abusi e atti di violenza gratuita sui detenuti:
Bernardo Iovene ha incontrato alcuni parenti dei detenuti, da cui
ha raccolto diverse testimonianze inedite su quanto sia successo in
quel mese “stati tolti i viveri .. sono stati trattati come
animali, picchiati cella per cella” racconta una parente delle
vittime.
Si tratta di violenze e pestaggi a
freddo accaduti a Modena, a Opera, a Milano, a Pavia: sono violenze
di cui danno testimonianza i parenti dei detenuti.
Dei fatti di Modena ne parla invece un
testimone diretto: non aveva partecipato alla rivolta, aveva trattato
l'uscita dalle celle con un ispettore, ma sono stati picchiati dalle
guardie.
Una violenza tale che, dice il
detenuto, anche le guardie si erano sporcate di sangue per le botte.
A Modena sono morte 5 persone e poi,
dopo il trasferimento in altre carceri, altri 4 detenuti: per
overdose di Metadone, la versione ufficiale, metadone rubato in
carcere. Secondo la versione del testimone non è vero, sono morti
per il fumo, per le botte.
Il virus ha evidenziato delle criticità
a cui non abbiamo posto rimedio, nemmeno nelle carceri: ora il
problema del sovraffollamento è sotto gli occhi di tutti e la paura
del contagio ha fatto partire delle rivolte con morti e feriti.
C'era una regia occulta? Non ci sono
prove, ma c'è stato chi ha soffiato sul fuoco, la magistratura sta
indagando ora su come sono state sedate e come sono scoppiate.
Bernardo Iovene ha raccontato nel
servizio tutto questo, della dignità calpestata dei detenuti e anche
delle guardie.
Uno dei detenuti morti si chiamava Fedi
e aveva 35 anni, doveva uscire dopo 2 settimane: è stato consegnato
dai detenuti agli agenti perché stava male.
Aveva avuto nel passato problemi di
tossicodipendenza, racconta il suo avvocato a Report, ma ne era
uscito da almeno 1-2 anni, era fortemente asmatico. Sarebbe
importante – continua l'avvocato – capire da chi è stato
portato, quando ha iniziato a star male, e capire in che condizioni
era e da chi è stato soccorso.
Non tutti sono stati trasferiti subito
alla fine delle rivolte, molti sono stati picchiati indistintamente
(senza distinguere tra chi aveva partecipato alle rivolte e chi no)
per giorni, per più volte al giorno.
Pestaggi che sarebbero continuati anche
dopo il trasferimento, perché sono stati bollati tutti come
rivoltosi: “prima di entrare in carcere [dopo il trasferimento a
Salluso] tutti ci hanno picchiato. Ogni giorno, per tre mesi non ci
hanno lasciato cambiare i vestiti, niente .. ”
C'è un esposto presentato da due
detenuti dove si parla delle violenze, a freddo: l'avvocato che li
assiste racconta anche che per giorni queste persone non hanno potuto
contattare persone fuori, non hanno avuto assistenza, detenuti
lasciati scalzi nelle celle.
In carcere è morto anche un detenuto
che in carcere aveva fatto teatro, Salvatore Piscitelli: è stato
dichiarato che è morto in ospedale, ma nell'esposto si racconta
delle percosse e che Piscitelli è morto in cella.
Altri detenuti raccontano di essere
stati trasferiti da Modena a San Gimignano, dove sono rimasti senza
medicine, anche i salva vita, senza coperte e senza vestiti.
Stessa storia a Foggia: dopo al rivolta
i detenuti sono stati trasferiti in altre carceri dove hanno subito
pestaggi sia prima del trasferimento che dopo. A Viterbo, a Catanzaro
.. Come se tutto fosse stato pianificato.
La polizia penitenziaria dipende dal
DAP: il DG del DAP Parisi nega qualsiasi premeditazione da parte
delle guardie, come mai allora tutte queste denunce per le violenze a
freddo, dopo il trasferimento?
Le indagini interne sarebbero state
bloccate dall'autorità giudiziaria, dice Parisi: “il DAP una
volta che ha fatti acclarati, effettua le misure necessarie”.
In attesa delle indagini del DAP, la
procura di Santa Maria Capua Vetere sta indagando sulle violenze in
carcere: si tratta di una spedizione punitiva fatta da diversi
agenti, dopo le proteste di aprile.
I detenuti avrebbero avvisato i
familiari da un cellulare: “ci stanno massacrando di botte..”.
La direttrice del carcere avrebbe
ammesso le violenze – testimonia una parente di un detenuto-
facendo venire in carcere agenti da Secondigliano.
Cosa ancor più grave, prima della
spedizione punitiva, le proteste erano già finite, come ammette
anche il magistrato di sorveglianza Marco Puglia e il garante dei
detenuti della Campania.
Non è normale sentir parlare di agenti
incappucciati, di botte, persone lasciate nude in cella.
Gli agenti negano questa versione e la
ricostruzione della procura di Santa Maria Capua Vetere che ha
incriminato 44 agenti resi riconoscibili.
Da chi è partito l'ordine della
violenza? Secondo il sindacalista del sindacato autonomo delle
guardie, l'ordine è partito dal direttore o dal provveditore
dell'amministrazione penitenziaria.
Quest'ultimo, Antonio Fullone, ha
accettato l'intervista e ha spiegato di aver dato l'ordine di
procedere con una perquisizione fatta da agenti di una squadra di
intervento rapido.
Perquisizione che si è trasformata in
un atto di violenza: l'agente penitenziario non è un cappellano,
dice il sindacalista, ma questo non giustifica le spedizioni
punitive, nemmeno ai carcerati.
Nel 2013 la Corte di giustizia europea
ha condannato l'Italia per le condizioni incivili di diverse carceri:
in questi anni non si è fatto nulla e non abbiamo colto i segnali
emersi in questi anni.
Le violenze nelle carceri a Torino, a
Sollicciano, a San Gimignano (tortura e violenza), Ivrea, Viterbo,
Asti e infine a Ferrara. Qui è arrivata la prima condanna per le
torture avvenute in carcere.
Carceri che rendono la vita impossibile
per chi sta dentro, che sia un detenuto o una guardia. Carceri come Poggioreale, dove i
colloqui sono bloccati e così i familiari devono passare per un bar,
fuori dal carcere, per far arrivare qualcosa ai detenuti: in questo
bar si trovano anche articolo per detenuti, ovvero cappelli,
scaldacollo, pantofole, mascherine, pigiama.
Vendono anche
cartoline con messaggi di speranza per chi sta dentro.
Fuori dal carcere
si trova anche il servizio di deposito dei cellulari, per quei
familiari che hanno ottenuto un colloquio, ma devono lasciar fuori il
loro cellulare. Ci pensa Pasquale ai cellulari delle persone, non lo
Stato italiano.
A Poggioreale ci
sono 2200 detenuti, mentre dovrebbe contenerne 1600 al massimo:
l'ultimo decreto del governo consente ai condannati a fine pena di
scontare la pena a casa, per poter evitare il sovraffollamento,
perché il covid è entrato dentro le celle e fa paura, perché le
persone che si sono infettate, dicono i familiari, non sono tenuti in
isolamento.
In carcere si
contagiano anche gli agenti: ci sono 200 positivi e altrettanti
isolati in quarantena, la struttura, vecchia e sovraffollata, non può
garantire il rispetto delle norme di sicurezza.
“La sanità a Poggioreale è
tagliata per 1600 persone, qua dentro in questa struttura secolare
non possiamo garantire le norme di igiene più elementari già nella
normalità, figuratevi adesso in piena epidemia.”
Se lo dicono gli
agenti c'è da credergli, addirittura i direttori sanitari delle tre
carceri metropolitane della Campania hanno contratto il Covid: è
successo a Vincenzo Maria Irollo, ds di Poggioreale: “anche io
purtroppo sono stato vittima del Covid perché frequento tutti i
padiglioni ..”
La soluzione
sarebbe evitare l'affollamento, evitare i nuovi ingressi.
Ma il nuovo
decreto, quello che consente i domiciliari, non ha ancora dato
effetti, perché le posizioni dei detenuti devono essere ancora
valutati, sono 60 le posizioni da valutare, e il tribunale ha 3000
domanda ancora da controllare.
Nel decreto ristori
si prevedeva di stare a casa, se si è a fine pena, per certi reati:
ma mancano i braccialetti per consentire la fuoriuscita di questi
detenuti.
Chi dovrebbe
aiutare i detenuti potrebbe essere il dottor Ciambriello, garante dei
diritti dei detenuti in Campania: dal suo ufficio si vedono i
carcerati nell'ora d'aria, ben poco distanziati.
“Fa impressione vedere queste
persone ammassate, dalle 15 di oggi alle 9 di domani mattina stanno
in sei in una cella, è disumano.”
Viene calpestata la
dignità, appena entri in carcere e magari non sei nemmeno colpevole:
in questi ultimi anno sono state risarcite 27mila persone, perché
detenute illecitamente.
Dovremmo ampliare
le pratiche alternative al carcere: i lavori socialmente utili, il
braccialetto.. invece siamo il paese che in questi anni ha contato
mille suicidi in carcere, dove mancano le strutture per il
reinserimento dei detenuti, per quelli senza fissa dimora.
Contro la
situazioni nelle carceri hanno protestato gli avvocati, i cappellani
delle carceri: tra loro don Franco Esposito, che con la sua struttura
offre ai ragazzi un posto dove stare, se ottengono i domiciliari.
Sono detenuti che
lavorando, seguono un percorso riabilitativo, per avere una nuova
possibilità, per quella funzione rieducativa che il carcere dovrebbe
avere.
Secondo i conti del
Garante dei detenuti nazionale, sono 350 i detenuti che avrebbero
diritto ai domiciliari, ma il ritmo con cui escono dal carcere è
lento, rischiamo che nelle carceri scoppino dei focolai.
Mancano i giudici
di sorveglianza, sono il 40% in meno, mancano i braccialetti
(l'appalto l'ha vinto fastweb, che dice di aver rispettato il
contratto), ma almeno coi braccialetti arrivati si sono isolati 7500
detenuti. E mancano anche le guardie penitenziarie, ne mancano 17mila
per completare i ranghi, ma nel decreto ristori erano escluse le
guardie dagli stanziamenti del governo.
Sui detenuti al 41
bis è scoppiata una polemica, a seguito della circolare emanata
dall'ex direttore Basentini: si applicava solo alle persone malate, a
rischio della loro vita.
Tutta questa linea
dura sui carcerati al 41 bis non fa che rinfocolare le polemiche da
parte di chi vorrebbe abolirlo, questo regime carcerario duro.
Ci sono detenuti in
41 bis intubati di cui familiari non sanno nulla: Salvatore Genovese,
un capo mafia detenuto ad Opera, è stato infettato e oggi è stato
trasferito al San Paolo. Dove è morto per le complicazioni del
Covid.
Anche i mafiosi
devono essere curati, questi dice la Costituzione, questo dicono le
leggi.
Politica e
istituzioni non stanno affrontando questo problema, non danno i
numeri di infetti e ammalati in carcere.
Ci sono state le
iniziative isolate di Giachetti, di Rita Bernardini per far uscire i
detenuti prossimi allo scadere della pena, ma sono iniziative
isolate, perché sia i carcerati che le guardie sembrano cittadini di
serie B.
Servirebbero soldi
per sistemare le celle, costruire o finire le carceri, per assumere
(e pagare gli straordinari) guardie, per realizzare progetti di
reinserimento.
Perché altrimenti
continueremo ad avere una recidiva dell'80%, mentre in carceri come
Bollate è ferma al 20%. Magari qualche ministro penserà ancora
nuovamente a svendere le carceri, come voleva fare Alfano. Magari si
continuerà a chiedere indulti ed amnistie, che sono l'ammissione di
un fallimento.
La transizione
verde (link)
Quella di Michele Buono è una visione,
per una vera transizione verde, ma anche un piano industriale, non le
slide di qualche leader politico di opposizione o di governo.
E' un piano industriale per una vera
transizione che tolga di mezzo carbone e idrocarburi, per trasformare
l'Italia come paese esportatore di energia, padrone di tecnologie
all'avanguardia nel settore energetico, pulire l'aria, creare posti
di lavoro.
Tutto basato sull'idrogeno: energia
prodotta al sud Italia, dal solare e trasportata al nord e in nord
Europa con le condotte della Snam.
Niente carbone per produrre acciaio,
per esempio come si faceva a Taranto.
Non serve stravolgere impianti,
risparmiando sulle emissioni e anche sui costi.
MA per questo serve creare una filiera
attorno all'idrogeno che parta dai centri di ricerca e università e
arrivi fino alle imprese.
Prima che anche questo treno, e i
miliardi del recovery fund, passino per sempre, sperperati in qualche
pala eolica, nell'idrogeno prodotto dagli idrocarburi..
Magari copiando in Italia quello che in
Germania fanno i centri Fraunhofer, centri di ricerca che affiancano
le piccole imprese, per efficientarle dal punto di vista
energetico.
Il tutto partendo dal sole, dal vento,
dall'acqua. E mettendo via, una volta per sempre,
metano, carbone e petrolio.
E anche l'alta velocità e il TAV, se
il progetti Hyperloop (fatto dal gruppo Angel in Puglia), lo
realizzassimo anche per i viaggiatori italiani.
Hyperloop costa meno del TAV, consuma
meno energia, anzi la produce.
Ma noi rimaniamo il paese del trasporto
privato, delle autostrade inutili, delle città che sono camere a
gas.