Prologo
Finalmente l’aria gelida ha smesso di soffiare sul litorale. L’uomo beve l’ultimo sorso di caffè davanti alle vetrate del suo attico affacciato sulla spiaggia, guardando alcune persone che portano a spasso i cani sulla sabbia.[..] Non fa ancora così caldo da tuffarsi in mare, ma una passeggiata con la giaca slacciata si può fare, soprattutto ora che è cessato quel vento da est, di solito assente in questa stagione. Una doccia e si veste: ha un appuntamento al quale non può mancare.
Secondo capitolo della trilogia dello scrittore veneto Fulvio Luna Romero, Le regole della vendetta riparte da dove era finito il primo romanzo, Le regole degli infami, ma con un continuo avanti e indietro nel piano cronologico degli eventi, un approccio che può essere spiazzante ma che è funzionale a raccontare gli intrecci tra i personaggi e da dove nasce questa vendetta che da il titolo alla storia.
Nel prologo c’è un uomo che si appresta ad un appuntamento importante, l’ultimo della sua vita purtroppo. Perché viene ucciso e perché in quel modo?
Cinque anni prima
«118, buonasera.»
«Sì, buonasera, signora… ’A me scusa… chiamo qua da Cavaiino.»
La voce di un uomo avanti negli anni, con la cadenza marcata e la tipica deferenza della persona del Nordest che si approccia all’autorità
In un salto indietro nel tempo c’è un altro personaggio, ferito in un lago di sangue: qualcuno, sentendo gli spari che lo hanno colpito, ha scelto di non far finta di niente (che si ammazzino tra di loro) e di chiamare il 118. Chi è questa persona?
Veneto orientale.
Oggi La sveglia suona alle 6.30 mandando la musica di Twin Peaks dal cellulare. Accade tre giorni alla settimana, quando Susy, sua moglie, è di turno al supermercato per lo scarico merci.
Maicol Biasin è un autista di pullman, un signore come tanti: una moglie e una figlia, una vita comune. È il suo vero lavoro a non essere un lavoro comune. Quel lavoro che non può raccontare a nessuno e che gli garantisce delle entrate extra in nero. Per andare avanti e indietro da Mestre a Nova Gorica, poco fuori il confine con la Slovenia: o c’è dell’altro dietro?
Orio al Serio (Bg).
Quattro anni prima
Il tizio è un magrebino anonimo. Si muove con un piccolo bagaglio a mano giusto per non dare nell’occhio. L’hanno recuperato all’aeroporto, volo in arrivo da Belgrado.
Un corriere della droga che arriva dall’est e che viene recuperato da due pesci piccoli della rete, un uomo e una donna. Qualcosa va storto però e l’uomo muore con gli ovuli nell’intestino. Ovuli che vanno recuperati grazie all’aiuto di un medico con pochi scrupoli. Come pochi scrupoli devono avere queste due persone, un uomo e una donna, perché sanno come vanno le cose nel traffico della droga. Gli scrupoli servono a poco.
Veneto orientale. Oggi
«Virgilio, davvero non possiamo. Hai già tutti i fidi utilizzati a tappo. Uno sconfino non me lo autorizzano. E se anche me lo autorizzassero, ci vorrebbe del tempo.
Virgilio Casale è un piccolo imprenditore, uno dei tanti che ha accumulato una fortuna negli anni del boom del nordest come artigiano del lusso e che è riuscito a sopravvivere alla crisi del 2008 grazie alle scorte di nero. Ma oggi le cose stanno andando male, alcuni lavori con l’amministrazione pubblica non sono stati pagati e c’è la banca che chiede il rientro dello scoperto.
Come fare allora? Qualcuno gli suggerisce di rivolgersi a una certa società Finanziaria che si farà meno problemi nel prestargli dei soldi. In cambio di cosa, però?
Casale fissa il denaro con gli occhi sgranati. Questa gente arriva da lui, il titolare di un’azienda in difficoltà, e a fronte di una firma su un foglio mette sul tavolo centocinquantamila euro in contanti.
Jesolo oggi.
Dopo la fine dell’azienda di Andrea Salvi, morto in un gioco di tradimenti e di infami, dove ad un certo punto non si capiva chi stesse tradendo chi, la piazza di Jesolo è finita nelle mani del boss Di Paola, il muratore venuto su dalla Calabria e che ha sfruttato le sue parentele per portare qui i traffici criminali che bene hanno attecchito nel territorio veneto. Come lo spaccio della droga che, sulla piazza, è gestito dai fratelli Vianello, i “duri”, perché duri di comprendonio. Ufficialmente gestiscono un chiosco, ma tutti sanno che è solo una facciata.
Lavorano per conto di Di Paola per gestire lo spaccio a livello locale, ma solo uno degli ultimi livelli della catena predatoria: a fianco al boss sono altre le persone di fiducia che possono sedersi a tavola.
Come l’avvocato Lunelli, principe del foro e avvocato del boss. Edoardo Aricò, cugino del boss, che segue il business redditizio dello smaltimento dei rifiuti, con tanto di aiuti comunitari, rifiuti che invece di essere smaltiti secondo le regole finiscono dentro capannoni abbandonati, ricordi del passato industriale del Veneto. E quando qualcuno, i carabinieri, la finanza, decide di fare un controllo, basta appiccare un bell’incendio.
Arianna Marino è una “ex manager sfrontata e impavida di varie aziende commerciali”, esperta in riciclaggio, nel creare le strutture societarie fittizie per giustificare i giri di denaro e beni nascondendo i beni allo stato.
Infine, Tiziano Rossi, il broker della droga, “uno dei più potenti broker europei nell’ambiente del traffico internazionale di stupefacenti”, con contatti ovunque, sia coi produttori di coca e eroina, sia nel mondo della “logistica” ovvero persone in grado di organizzare il trasporto della droga.
Sono passati cinque anni dalla fine dell’azienda di Salvi, da quella scia di omicidi che avevano insanguinato le strade di Jesolo, suscitando uno scandalo subito quietato da parte della politica, perché tanto sono criminali, meglio non chiedersi come sia stato possibile che la mafia si fosse così radicata in mezzo alla brava gente.
Ma c’è una donna che ancora non ha dimenticato quelle morti, la perdita dei due uomini più importanti della sua vita, l’uomo che amava e il fratello, ucciso in uno scontro coi carabinieri.
Una donna sa stare da sola, soprattutto quando è una sua scelta. Non ha bisogni, non sente doveri. Sceglie, e basta. Una donna può rimanere lucida per anni, e per anni non dimentica.
Valentina Luisetto non ha dimenticato. Una volta era lei la regina di Jesolo, essendo la donna di Andrea Salvi, il capo dell’azienda che aveva le mani in pasta in tanti settori, dalla droga alle costruzioni. Fino a che, in una terribile girandola di tradimenti, non era stato ucciso sotto casa.
Ora, passati cinque anni, un passo alla volta, la freddezza ha sostituito la rabbia e l’impulsività con cui aveva convissuto a lungo. Ora in lei vive la consapevolezza di avere ora uno scopo nella vita, riprendersi tutto quello che aveva, facendo la guerra a Di Paola, alla sua rete, ai suoi affari.
Ma per fare la guerra ad uno come Di Paola che, sebbene sia un cane sciolto, è comunque legato ai calabresi, devi avere una strategia, devi conoscere il nemico, i suoi punti deboli e, soprattutto, devi avere degli alleati alle spalle. Devi saper rinunciare a qualcosa della tua vita, pur di raggiungere la tua vendetta, sperando che non sia un prezzo troppo alto.
Pensa al suo passato, alla donna che è stata, ai tempi che non torneranno più, e per la prima volta ha paura che la sua vita non sarà come l’aveva immaginata, che passerà il proprio tempo a guardarsi le spalle
Le regole della vendetta fa un ulteriore passo in avanti rispetto al primo: come nei romanzi di Carlotto, le storie dell’Alligatore e quelle di Pellegrini, dove già si raccontava già del marcio dentro il nordest, del benessere, del boom dei piccoli imprenditori che hanno fatto spregio dell’ambiente, delle regole sociali, della ricchezza come unico obiettivo della vita, qui Fulvio Romero ci fa sedere allo stesso tavolo dei grandi pupari, quelli che muovono l’economia nera, hanno legami con la politica, decidono strategie. Il vero potere criminale che sa come spostare capitali senza lasciare tracce, come infiltrarsi nell’economia reale sfruttando i momenti di crisi, l’avidità delle persone, l’assenza di filtri morali (il richiamo del benessere), sia da parte della politica che da parte della società civile.
Anche i protagonisti
di questa storia, pur nel loro essere spietati, nel voler portare
avanti la loro vendetta, sono solo pedine di un gioco più grande che
abbraccia non solo il Veneto, quel vasto territorio tra campi,
costruzioni, lunghi rettilinei, ma tutto il paese.
Un gioco
violento, dove non si guarda in faccia a nessuno, specie ai pesci
piccoli, le piccole pedine che, come negli scacchi, sono le prime ad
essere sacrificabili.
La scheda del libro
sul sito di Marsilio
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