19 marzo 2024

Le regole degli infami, di Fulvio Luna Romero


 

Prologo
Tre anni prima

La cravatta piegata con cura. La giacca in panno, i pantaloni con la banda rossa. Tutto nell’armadio con le bustine per tenere lontano le tarme. Guarda il cappello, la fiamma argentea per cui ogni mattina si alza e fa quello che deve fare. Usi obbedir tacendo, e tacendo morir.

Chi è l’ufficiale dei carabinieri che nel prologo si “spoglia” del suo essere uomo dello stato e si appresta a compiere il proprio dovere senza porsi troppe domande su quello che gli verrà chiesto di fare? È uno dei misteri che si svelerà, alla fine, in questo noir dal sapore incredibile, che parte quasi in sordina, per poi accelerare in un intreccio di colpi di scena, di morti e di tradimenti.

Siamo in Veneto, lungo la penisola di Jesolo, terra di turismo, di mare e di vacanze.. ma qui si racconta di un altro nordest, come non l’avete mai visto se non nei romanzi di Massimo Carlotto a cui più volte è andato il mio pensiero mentre leggevo le pagine di questo romanzo. Un’immagine che va oltre il benessere, i soldi, la facciata perbene.

C’è anche un lato oscuro, come impariamo sin dalle prime pagine quando incontriamo due protagonisti, il Negro e Africa.

La rete del campeggio abbandonato, coperta di ruggine, è nascosta dalle sterpaglie. Tra gli alberi rinsecchiti, miracolosamente sopravvissuti alle violente trombe d’aria degli ultimi anni, la natura si è ripresa quegli spazi catturando la poca luce del primo pomeriggio. Il Negro, Africa e Simone camminano in fila indiana.

Sono due guardaspalle di Andrea Salvi, il proprietario di un’azienda che si occupa di ristorazione e che rifornisce una buona parte dei locali e dei ristoranti del litorale. Almeno questa è la facciata pulita: nonostante quella faccia da brava persona, quei modi quasi educati, la sua azienda si occupa di spaccio di droga, di prostituzione, del business delle videolottery, di riciclaggio di denaro sporco tramite il settore delle costruzioni.

Il suo nome è Andrea Salvi. Vuole essere chiamato Andrea. Punto. La seconda è uno dei pilastri su cui si basa tutta la sua organizzazione o, per dirla come farebbe lui, la sua azienda: volare basso.

Vola basso Andrea Salvi, ma sa picchiare duro, attraverso i suoi guardaspalle, il Negro, Africa e il Bomber. Il primo aveva iniziato come trasportatore e ha “fatto carriera” per il suo modo spiccio di riscuotere i crediti. Non si sa nulla del suo passato.

Africa si chiama così perché viene dal sud (e tutto ciò che è a sud è “Africa”), lavorava per i clan della Camorra ma ad un certo punto ha dovuto cambiare vita, andando su al nord a fare le stesse cose. Infine Bomber, ex promessa del calcio che si è bruciato la carriera per la coca e altre cose poco legate allo spor.

Tutti e tre gestiscono i lavori sporchi per l’azienda, quando bisogna minacciare, picchiare o perfino sparare. Come si fa volare basso quando devasti il territorio col cemento, mandi in giro la droga, intimidisci la concorrenza?

Sempre nella galassia di attività governate dalla scrivania della Adria Drink ci sono due cooperative che si occupano di accogliere e gestire i rifugiati. Questi sono fondamentali per l’azienda. Manodopera criminale a bassissimo costo, ricchi contributi statali.

Non è vero che quando vediamo una persona di colore per strada, in piazza, pensiamo subito questo che sia uno spacciatore arrivato qui coi barconi a delinquere e ad essere mantenuto coi nostri soldi? Mica pensiamo a quelli che stanno sopra di lui, magari imprenditori dalla faccia pulita come Andrea Salvi oppure, sopra ancora, al boss della locale della ndrangheta che si è ben installata in questa ricca regione, stringendo accordi con la criminalità locale.

Con gente come Salvi appunto che è stato bravo, anni prima, ad inserirsi nel vuoto che si era creato dopo la cattura dei capi della mala del Brenta, un vuoto che la criminalità straniera voleva riempire. È stato anche bravo a seguire delle regole ben precise, per volare basso e per evitare di finire nel radar di qualche magistrato o poliziotto.

Nessuna ostentazione del lusso, nessuna chiacchierata pericolosa al cellulare, se si deve parlare di qualche operazione sporca si prende la barca e si discute in alto mare.

Come quando si deve preparare l’azienda all’arrivo di un grosso carico di droga: droga ha fatto più delle politiche per l’integrazione perché a bucarsi, a farsi la dose, ci sono sia i ricchi che i poveri, sia i bianchi sia le persone da tutto il mondo, bianchi, neri, balcanici e sudamericani.
Eccolo, il business dei rifugiati, creato dalla politica che fa propaganda sulla loro pelle e che arricchisce anche la criminalità:

Negli ultimi anni, infine, c’era stato l’affare dei rifugiati: era stato sufficiente creare delle cooperative e mettere a disposizione degli immobili. Lo stato pagava, e lui poteva contare su un sacco di spacciatori a basso costo.

Bisogna volare basso ma ogni tanto va lanciato un segnale: per esempio quando c’è da sbrigare un problema con un albanese che si sta facendo un po’ troppo gli affari che avrebbe dovuto lasciar perdere: tanto, la brava gente quando leggerà sui giornali dell’omicidio penserà che si tratta di bande criminali di stranieri che si stanno ammazzando tra di loro.

Cosa c’è di meglio che dire: «Si tratta di stranieri che si ammazzano», piuttosto che focalizzare l’attenzione sul fatto che il litorale è in mano a un gruppo locale potente e organizzato?

L’importante è non svegliare l’attenzione dei bravi cittadini con reati che possano suscitare qualche reazione di pancia: agli italiani non toccategli le case, le macchine, i loro beni, il crimine non deve essere percepito.

È un gioco vecchio, una delle regole più salde di Salvi: ricicla, corrompi, traffica, edifica, e nessuno dirà nulla. Fai entrare i ladri in un paio di case, spacca due macchine, e la gente si scatenerà.

Tanto lo sanno tutti chi è e cosa fa questa azienda, come ha fatto fuori i concorrenti, come si è espansa in tanti settori. Ma per un pizzico di omertà, paura e anche convenienza, tutti sanno e nessuno parla.

È andata sempre bene ad Andrea e ai suoi uomini, fino a quell’ultimo carico, arrivato sul litorale per tramite del boss Di Paola e che verrà consegnata all’azienda per tramite degli albanesi.

In quello scambio, in mezzo alla laguna, irrompono i carabinieri, scoppia una sparatoria dove ci scappa un morto. E allora tutto inizia a crollare, perché bisogno violare quelle regole che si era dato.

Ma tra gli uomini di Salvi c’è n’è uno che ha una doppia faccia. È un carabiniere che è stato infiltrato dentro l’azienda per cercare le prove per portarli tutti in carcere.

Dopo anni vissuti da “undercover”, sul filo del rasoio, dove ad ogni passo devi guardarti le spalle, non è facile ricordarsi chi sei veramente, che lavori per lo Stato e non per la criminalità. Ti si spalanca davanti un abisso, che rischia di inghiottire tutta la tua vita.

E non solo la tua.

«Mi hai presa per il culo. Tutto questo tempo… Non vali niente!»

«In un mondo di bugiardi e tradimenti ho solo dovuto imparare a recitare meglio degli altri.»

Adrenalinico, specie nella seconda parte dove tutto sembra esplodere e si perdono tutti i punti di riferimento: dentro questo noir non troverete buoni contro cattivi e nemmeno un finale edificante, quelli dove alla fine il bene prevale sul male e i cattivi sono assicurati alla giustizia.
Viene da chiedersi quanto la realtà sia distante dal romanzo, quanto marcio sia un certo tessuto sociale, imprenditoriale. E quanto sia labile il confine tra chi combatte il male e il male.

La scheda del libro sul sito di Marsilio

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