Ospedali dove manca il personale, si lavora su turni massacranti, il personale viene aggredito. In 120 mila se ne sono andati via all’estero, nei concorsi non si presenta nessuno e così avanza la sanità privata. Come i pronto soccorso a pagamento in Lombardia o in Calabria, dove gli ospedali sono al collasso.
Eppure ci sono ancora medici che fanno il loro dovere:
dobbiamo difendere la sanità pubblica con tutte le forze.
I
medici che vanno all’estero
Silvio Magliano era stato
intervistato da Presadiretta nel 2020, ai tempi del covid. Già
allora denunciava le carenze di organico, a Sesto San Giovanni: nel
suo ospedale gli anestesisti erano pochi, lavoravano senza riposo.
“Se questo è il prezzo da pagare non so se ne vale la pena” – così diveva. Dopo tre anni ora lo troviamo in Francia: o rimanevo nel tunnel o cercavo di cambiare qualcosa, alla fine ha deciso di andarsene via dall’Italia.
Lavora a Chamount, in una struttura sovrapponibile come bambini nati a San
Giovanni: qui però riesce ad avere i turni in anticipo, può
organizzarsi una vita normale, in Italia non poteva. Lo stipendio è
aumentato di almeno un migliaio di euro al mese, lavorando di
meno.
Ma non se ne è andato via per i soldi, esiste anche una
vita personale – racconta a Francesca Nava.
In Francia esiste la figura degli infermieri anestesisti, cosa che in Italia manca: consentono agli anestesisti di lavorare su più sale e hanno uno stipendio che si aggira sui 3000 euro.
Sono diversi gli italiani che lavorano qui in Francia: se ne sono andati per la fatica di lavorare male e tanto, con anche uno stipendio migliore.
In
Francia cercano di essere attrattivi – racconta l’ortopedico
Avallone – quando se ne è andato dall’Italia nessuno ha chiesto
perché te ne vai.
Dopo il covid in Francia hanno investito
nella sanità pubblica, hanno investito nell’aumento salariale, non
si sciopera come in Italia.
Ma anche gli amministratori
locali, come a Chaumont, investono sulla sanità privata per rendere
attrattivi i loro paesi.
Conclude Silvio Magliano: “Se
la gente se ne va, forse c’è da dire che si deve fare una
valutazione, che non è solo strettamente economica, io non faccio il
politico, io faccio il medico, il mio lavoro lo faccio bene, ma non
posso fare quello degli altri. Gli altri, che sono quelli che noi
votiamo, che noi paghiamo, sono loro che devono fare queste
valutazioni. Tu ti rendi conto che tu dai la professionalità e di
fronte trovi davanti un quota di dirigenti che non sanno niente di
quello che tu fai. Economicamente sono pagato meglio [in Francia], ho
più tempo libero, i pazienti mi ringraziano, non mi aspettano fuori
che ti fanno delle violenze come succede tutti i giorni. I dirigenti
mi rispondono alle mail, rispondono alle chiamate: anche in Italia
c’è bisogno dei medici, perché li fate scappare?”.
In
Italia così muore il sistema sanitario: perché si mettono i medici
nelle condizioni di doversene andare, se vogliono vivere, se
vogliono vedere i figli.
Se si vogliono fare i
figli.
Le
aggressione dei medici in corsia
Anna Procida è una
infermiera del pronto soccorso di Castellammare che un giorno è
tornata a casa dopo essere stata aggredita da un signore che era
stato invitato ad uscire.
Presadiretta
è stata dentro il pronto soccorso dell’ospedale di Castellammare:
corridoi pieni di gente in attesa, lettighe a terra, scene comuni in
gran parte dei nostri pronto soccorso. L’ospedale San Leonardo di
Castellammare di Stabia è l’unico della ASL ad avere un
dipartimento di emergenza e urgenza di primo livello con 60 mila
accessi l’anno.
Quando il servizio è stato preparato, a fine
gennaio, erano in corso i lavori di ristrutturazione all’ingresso
dell’emergenza: dentro sarà presente un ufficio della polizia per
una vigilanza armata 24 ore su 24 per proteggere medici, infermieri e
operatori sanitari dalle aggressioni.
Sono
decine i presidi aperti in questi ultimi mesi dal ministro
Piantedosi, sono passati da 126 a 189: in corsia si sta come in
trincea e i medici sono nel mezza di questa guerra, dove la
disperazione, l’ansia, la difficoltà ad accedere ai servizi, porta
a gesti di violenza.
Pietro
di Cicco è un medico di questa struttura, a Presadiretta spiega che
sta diventando molto pesante lavorare in emergenza, dentro un pronto
soccorso: dovrebbero essere in 24 i medici, mentre sono in tutto in
sette. Eppure l’ASL di Di Cicco fa tanti concorsi, ma alla fine
solo un medico ha scelto di venire a lavorare qui.
Stessa storia
all’ASL di Verbania-Cusio-Ossola: concorsi dove non si presenta
nemmeno un candidato, così in questo spicchio di Piemonte la maggior
parte dei medici è esternalizzata. Sono medici che a volte lavorano
in un posto, a volte in altri.
Per
anni negli ospedali c’è stato il blocco del turnover, ora che
servirebbero nessuno vuole entrare nel pubblico, conviene entrare
nella libera professione: sono medici che lavorano dove c’è
l’offerta migliore, sono organizzati in cooperative.
Sono
i gettonisti: per fare il gettonista nel pronto soccorso non serve
nemmeno la specializzazione, tanto è la fame di posti.
Meglio
lavorare come libero professionista, scegliendo dove stare,
scegliendo i turni, che entrare nel pubblico e non poter
respirare.
Ci sono momenti dell’anno dove i pacchetti dei
gettonisti vanno all’asta, al miglior offerente: un free lance
della sanità quanto arriva a guadagnare? Anche 1400 – 1300 euro al
giorno.
“Prendiamo più soldi rispetto ai medici assunti in ospedale, è vero – commenta Bruno Salerno, medico ginecologo, ex dipendente pubblico ora libero professionista – ma attenzione non è il gettonista che guadagna di più, è il medico ospedaliero che guadagna poco. Il medico gettonista, tolte le tasse, guadagna il giusto, quello che guadagna un collega in Germania, in Francia, in Olanda”.
La Gazmed è la più grande società di gettonisti, con un fatturato da 8 ml di euro: procura la maggior parte degli anestesisti in regione, il fondatore Bruno Pagano non vuole essere chiamato becchino della sanità pubblica “Noi siamo in questo momento la stampella per una sanità che zoppica già da anni”.
Il fenomeno dei gettonisti è anche uno spreco di risorse pubbliche: l’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, ha calcolato che in 4 anni dal 2019 al 2023 i medici e infermieri gettonisti sono costati allo Stato 1,7 miliardi di euro. Una montagna di soldi, con cui si sarebbero potuti assumere 34 mila medici ospedalieri. La spesa più alta in Lombardia con 1400 liberi professionisti in corsia.
A
spendere di più è proprio la regione Lombardia: come le aziende di
Bergamo est o Mantova, che spendono molto in gettonisti.
L’assessore
al Welfare in Lombardia Bertolaso ha dichiarato guerra ai gettonisti
e ai liberi professionisti che si mettono all’asta: dovrebbero
andare dietro tutte le altre regioni per evitare che le cooperative
si spostino altrove.
Ma poi come facciamo coi direttori
generali che non trovano medici? Secondo Bertolaso è compito dei DG
che devono convincere i medici a lavorare in un ospedale, “come se
fosse casa tua”, non basta fare bandi.
Ma Bertolaso sta
facendo anche altro: anziché assumere e diminuire la pressione sui
medici, ha proposto di far lavorare i medici in più strutture per
coprire i buchi, con un aumento della paga, facendoli diventare
gettonisti a loro volta.
La
metà dei gettonisti professionisti che lavorano in Lombardia secondo
le regole di Bertolaso non hanno la specializzazione.
Il TAR
ha ora bocciato la proposta di Bertolaso, calmierare il mercato dei
medici a gettone che sono un salasso sui nostri costi.
L’avanzata
del privato
A Brescia ci sono strutture di primo soccorso
private, Brescia Med: qui entrano solo codici bianchi e verdi, i
pazienti gravi è meglio se vanno al pronto soccorso, non sono aperti
h24… La visita di urgenza costa 135 euro, non ci sono servizi in
convenzione. Insomma non è un vero e proprio pronto soccorso, ma è
un ambulatorio dove lavorano pochi medici e due infermieri, che non
affrontano le vere emergenze ma piccoli problemi quotidiani.
Certo,
non ci sono code, la gente che arriva si sente trattata bene, viene
visitata in tempi certi.
Non si vedono in questa struttura le
scene del pronto soccorso nel pubblico: barelle in corsia, gente che
aspetta per giorni in attesa di un ricovero perché mancano i
posti.
Ci sono persone anziane che hanno subito un trauma,
dovrebbero fare una radiografia, una TAC, ma sono costrette a
rimanere per giorni in pronto soccorso.
In assenza di strutture
sul territorio, non il medico di medicina generale, vanno tutti negli
ospedali, oppure si rivolgono alla sanità privata.
Creando un
corto circuito perverso, perché poi il medico privato richiede
prestazioni che poi finiscono a carico del pubblico.
Francesca
Nava racconta di quanto sia difficile prenotare una vista al CUP in
regione Lombardia, dove si ritiene che il servizio sanitario sia una
eccellenza.
Al CUP la giornalista ha cercato di prenotare una colonscopia in provincia di Bergamo: in agenda non c’era niente, la prima disponibilità è nel 2025, settembre.
Dopo essersi rivolta al CUP regionale, con in mano le impegnative che chiedevano un esame a 60 giorni, la giornalista si è rivolta ad alcune strutture private convenzionate col sistema nazionale in provincia di Varese. In una struttura non accettavano tutti gli esami, eseguivano gli esami richiesti solo da privato – è stata la risposta data dall’impiegata all’accettazione.
Da privato la colon costa 400 euro a cui si sommano 150 euro per eventuali biopsie, la colposcopia costa 1000 euro, l’ecografia 200 euro per la visita: il risultato è che nel privato i 3 esami diagnostici e la visita specialistica costano 1750 euro.
La
giornalista si è rivolta ad un’altra clinica convenzionata col
servizio regionale, con le stesse impegnative: la risposta non è
stata diversa, nessuno degli esami richiesti viene eseguito in
convezione, si fa tutto a pagamento.
Non garantire visite ed
esami diagnostici con il servizio sanitario nazionale nei tempi
previsti dal medico di base è un atto illegittimo.
Sulle
ricette le classi di priorità sono indicate con delle lettere, U =
urgente, P= programmabile. Il rispetto dei tempi di attesa è un
diritto, lo sanno bene i volontari degli sportelli nati
spontaneamente in Lombardia grazie all’intuizione di un pensionato
di Codogno, città simbolo della pandemia.
Si
chiama Fondazione Sportelli SOS Liste di attesa e il fondatore è il
signor Andrea Viani: “i cittadini di
fronte alla necessità non vanno più neanche al CUP vanno
direttamente dai privati. La prospettiva potrebbe essere la
distruzione del sistema pubblico”.
Nel
2020 Andrea
Viani ha dato via allo sportello SOS Liste d’attesa: obiettivo è
spiegare ai cittadini come ottenere le visite nei tempi richiesti.
I
volontari ricevono le richieste dei cittadini e li aiutano ad
ottenere le prenotazioni: quando ci si sente rispondere che non ci
sono le agende aperte, si scrive una PEC al direttore generale, si fa
un ricorso e, magicamente, si ottiene l’appuntamento. La legge lo
consente, ma nessuno lo sa: se un ospedale non riesce a garantire una
visita nei tempi previsti dal medico di base, deve attivarsi a
trovare un posto o a rimborsare il ticket.
Questo dice la legge
ed è un nostro diritto: la parità tra privato e pubblico non
esiste, è una falsa equiparazione, perché pubblico e privato non
condividono le rispettive agende.
In
Lombardia si arriverà al CUP unico solo nel 2026 e si continuano ad
avere le agende chiuse per spostare i cittadini nel privato.
Questo
è la causa delle lunghe liste di attesa: Bertolaso a Presadiretta ha
raccontato che è sua intenzione sbattere fuori i privati che non
intendono lavorare alle sue condizioni, ma non esiste nessun
controllo.
Così
tocca a dei cittadini privati aiutare altri cittadini a far valere i
loro diritti. Non è lo stato, non sono le istituzioni.
Dentro
il centro traumatologico di Cesena
Nel
servizio sanitario pubblico ci sono delle eccellenze: Presadiretta è
entrata nel trauma center di Cesena, il Maurizio Bufalini. Qui
lavorano medici che lavorano in equipe con le migliori strumentazioni
diagnostiche. Salvano vite umane questi medici, non lasciano i
pazienti in osservazione per ore.
La struttura sorge sulle
colline sopra Cesena, è una macchina da guerra che offre servizi per
tutta la Romagna.
Un
lavoro che comincia la mattina alle sette, analizzando i dati dei
pazienti ricoverati, pianificando interventi che possono durare anche
una giornata intera. Operazioni che una volta si facevano solo
all’estero, con costi fino a 150mila dollari e che invece oggi si
fanno qui, in Italia, nel pubblico.
Presadiretta ha
mostrato una operazione su un tumore al colon, fatta con robot che
consentono di operare con precisione: lo racconta
Fausto Catena, chirurgo, a Iacona “la
chirurgia altamente tecnologica richiede un forte investimento in
termini di risorse, anche risorse umane e pensare
che in Italia una persona di qualsiasi ceto, di
qualsiasi disponibilità economica,
possa avvalersi di
tutto questo è una
conquista pazzesca,
di civiltà. Ti do il
massimo che esista, gratis [con la tassazione pubblica]. Lo stesso
intervento potrebbe costare negli Stati Uniti 300mila dollari..
”
Un
letto in traumatologia costa 3500 euro giorno: le operazioni fatte al
Bufalini non possono essere portate nel privato (perché
al privato non sarebbero convenienti, non ci sarebbe profitto),
i pazienti sono seguiti da diversi medici, da infermieri che li
seguono tutto il giorno. Lavorano per uno stipendio dignitoso –
così raccontano a Presadiretta – portandosi a casa tante
soddisfazioni.
Questo
è quello che rischiamo di perdere se non riprenderemo a finanziare
la sanità pubblica. La nostra salute, la cura dei pazienti, la cura
di una popolazione che diventa sempre più anziana.
Ma perderemo anche conoscenze e competenze in questi settori, come la chirurgia di emergenza, come quelle del dottor Fausto Catena.
Dovremmo essere orgogliosi di avere medici come il dottor Catena.
La
mia preoccupazione e che a furia di togliere pezzettini dal sistema
sanitario viene giù tutto – racconta il dottor Vanni Agnoletti: i
medici e gli infermieri sono molto richiesti dal privato, che paga
anche cifre più alte.
Ma quello che faccio qua ha un valore
così enorme da essere impagabile – continua il medico del
Bufalini.
Rischiamo di portare trasformare il servizio sanitario
in un servizio basato sul reddito: lo spiega il dottor Corradori che
a Iacona racconta che è vero che la sanità pubblica costa, ma
anche la non sanità ha un costo, se le persone non ci curano anche
questo avrà un costo per la società.
Investire nel sistema
sanitario, universalistico e gratuito, è un contributo per la nostra
democrazia: se non sei in salute non sei libero. Devi essere curato
per essere libero.
Nella sanità mancano i soldi: negli ultimi 15 il sistema ha subito un definanziamento per 48 miliardi di euro, il Gimbe ha stabilito che la spesa per PIL è destinata a calare.
Non
prendiamo in giro i cittadini: o si investe nel pubblico oppure si
deve ammettere davanti al paese che ci si deve rivolgere al pubblico
– è l’opinione di Nino Cartabellotta.
Ma
poi, il privato funziona veramente meglio del pubblico?
I medici in Calabria devono combattere anche contro la criminalità organizzata e nel frattempo la sanità privata avanza velocemente.
Chi si ammala in questa regione deve subire un calvario, la storia del signor Naccari lo spiega bene, un problema al naso che non si riusciva a risolvere perché nessuno riusciva a guardare il referto dal CD.
Aveva
un tumore nel naso, come emerso da una semplice analisi con una
sonda: per scoprirlo è dovuto andare a Milano. Doveva
morire altrimenti.
In Calabria si spende di meno in sanità e ci
si sposta di più per curarsi: il rapporto Svimez parla di un paese a
due cure, le regioni del sud hanno versato 14 miliardi alle regioni
del nord per le cure dei loro cittadini, 2,7 miliardi sono della
Calabria.
In
Calabria lavora il primario Vincenzo Amodeo nell’ospedale di
Polistena e a Locri: sta portando avanti una battaglia per rilanciare
la sanità regionale, con nuove sale ospedaliere, con nuove
macchine.
Siamo in guerra – racconta a Francesca Nava -
servono medici e infermieri:
alla trasmissione
spiega come ci siano forti tendenze da parte della politica che
spinge verso il privato. In soccorso alla sanità calabrese sono
arrivati 300 medici da Cuba, ma a Polistena si lavora ancora con
carenza di organico.
Il
cittadino ogni giorno deve combattere una guerra per ottenere i
servizi che gli spettano: l’ospedale di Locri dovrebbe essere
ristrutturato dal 1998, sono stati spesi 14ml. Per fare cosa?
Anche
a Locri, prenotare gli stessi esami come fatto in Lombardia, porta
agli stessi risultati, non è possibile prenotare un esame nel
pubblico.
Lucia di Furia è direttrice dell’ASL a cui
appartiene la struttura di Locri: “Io non sono amica di nessuno da
queste parti. Non conoscevo niente della Calabria, ma la parola
Locride la conoscevo pure io che vivevo nelle Marche. Appena sono
arrivata qui c'è stata una retata, hanno portato via dei medici, già
che erano pochi li hanno pure portati via”.
La situazione che ha trovato in questa struttura è pietosa: “Ho avuto paura, devo essere onesta, ho avuto un episodio legato al mio ruolo, per altro poco tempo dopo che ero arrivata. Subite le pressioni ho capito una cosa sola, che stavo nel posto giusto. Ho detto: se è così che mi vogliono mandar via, allora è sicuro che rimango”.
Ci
sono le case della salute, ma chi ci mettiamo dentro?
Si fa di
tutto per rallentare la struttura sanitaria pubblica per far crescere
gli interessi dei privati che pullulano nel territorio.
I
laboratori privati crescono in Calabria, come le strutture sanitarie
residenziali, salite al 80%.
Anche qui c’è un abbraccio tra
politica e sanità che causa anche problemi ai conti pubblici:
Presadiretta ha raccontato le storie di dirigenti apicali nella
sanità che hanno favorito strutture private, persone nominate dalla
politica che è colpevole della carenza nel servizio
sanitario.
Politici che nominano i dirigenti, che poi si
controllano da soli: il senatore Crisanti ha presentato una norma in
Parlamento con cui togliere ai presidenti di Regione il potere di
nominare i direttori sanitari, che dovrebbero essere indipendenti
dalla politica.
Non mancano i soldi, ma le idee – racconta
Crisanti: il costo della sanità è 180 miliardi, quasi il 9% del
PIL, come è possibile che non funzioni?
É perché il sistema sanitario è marcio.
La componente privata della spesa sanitaria è salita dal 12 al 24 %, ci sono strutture che oramai sono solo private accreditate in alcune zone d’Italia: lo stato finanzia e amministra la sanità privata al posto del pubblico.
La privatizzazione della sanità è un rischio per la democrazia: uno stato privatizzato non può avere controlli, perché costano, dunque si arriva alla deregolamentazione.
In Italia oggi il gruppo san Donato e l’assicurazione Generali hanno stretto un accordo, per creare nuovi poliambulatori privati che si trovano ovunque.
Sono
le smart clinic, un modello che verrà esportato in tutta Italia: il
personale sanitario lo metterà San donato, Generali gli immobili e
occuperanno gli spazi lasciati liberi dal pubblico.
A questo
punto si perde di vista il confine tra pubblico e privato, ci si
inizia a chiedere perché votare: la privatizzazione distrugge il
senso stesso dello stato.
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