14 marzo 2024

La scatola rossa, di Rex Stout


Wolfe fissò il nostro visitatore con gli occhi spalancati, segno per lui di indifferenza o di irritazione. Nel caso specifico, si trattava ovviamente di irritazione. «Ve lo ripeto, signor Frost: è inutile» dichiarò. «Non esco mai di casa per lavoro e non esiste ostinazione umana che mi possa costringere a farlo.

E' il primo romanzo che leggo dello scrittore americano Rex Stout, padre dell'investigatore-gourmet Nero Wolfe: questo "La scatola rossa", è il quarto della lunga serie, come tutti ambientato a New York negli anni 30. Tutta la vicenda ci viene racconta dalla voce di Archie Goodwin, il segretario nonché aiutante, una sorta di suo alter ego: tanto Nero Wolfe non ama mescolarsi alla gente né tantomeno uscire di casa, quanto il suo segretario ama godersi il mondo fuori da quella casa nella 35/a strada.

Come in questo caso, dove il delitto su cui Wolfe verrà chiamato ad indagare è ambientato nel mondo della moda tra stilisti e modelle. E' proprio una modella Molly Lauck la prima vittima: uccisa da un veleno inoculato dentro della frutta secca e canditi contenuti all'interno di una confezione che aveva lei stessa portata nel camerino.

La polizia non è riuscita a trovare alcuna traccia, alcun possibile movente così, dopo qualche giorno, il giovane Llewellyn Frost si presenta a casa dell'investigatore.

Frost è preoccupato del fatto che l'indagine possa coinvolgere sua cugina, Helen, sua "ortocugina" ci tiene a precisare (è un termine desueto, oggi avremmo detto primo cugino): c'è bisogno che Wolfe vada ad interrogare tutte le persone presenti all'ultima sfilata, Boyden McNair, Helen, le altre modelle.

Pur di convincere Wolfe ad uscire dalla sua "tana" è disposto a fargli arrivare le migliori orchidee per la sua serra, direttamente dai migliori coltivatori d'America.

Chiede anche un'altra cosa, il giovane Lew, Wolfe deve convincere la cugina ad abbandonare quel lavoro. Non ne avrebbe bisogno del resto, tra pochi mesi, raggiunta la maggiore età, erediterà i beni del padre, morto nella grande guerra.

Fu così che la mattina seguente riuscii a vedere Nero Wolfe che affrontava coraggiosamente la furia degli elementi, il più notevole dei quali, quel giorno, era uno splendente, caldo, sole di marzo.

Ma Wolfe, che non è solo il miglior investigatore di New York, ha un suo modo di procedere, molto diretti, nei confronti dei membri della famiglia Frost che, d'altra parte, si dimostra molto ostile nei suoi confronti.

C'è qualcosa di non chiaro in quella famiglia: un padre che ha lasciato tutto alla figlia (Helen) lasciando la signora Frost senza eredità; uno zio che è anche amministratore e questo stilista, dall'aria così tesa e stressata, che per Helen è come uno zio. O forse qualcosa di più. Come anche Helen, per il giovane e facilmente infiammabile Lew, è qualcosa più di una cugina.

Wolfe capisce che per arrivare all'assassino deve carpire i segreti dentro la famiglia Frost, capire la natura del legame con Boyden McNair: dietro la diffidenza nei suoi confronti ci deve essere altro, perfino su quella scatola di dolci con cui è morta Molly, non tutti i testimoni gli stanno raccontando la verità. A cominciare da Helen:

«Non capisco di cosa stiate parlando» disse finalmente con una voce sottile e fredda.
«Lo capite benissimo.» Wolfe lo inchiodò con gli occhi.
«Sto parlando della scatola di canditi avvelenati. So come la signorina Frost ne conosceva il contenuto.»

Sarà un’indagine difficile perché da una parte c’è l’ostilità della famiglia, dentro cui si nasconde l’assassino. Dall’altra ci sono le pressioni della polizia, dall’ispettore Parker col suo immancabile sigaro in bocca: quest’ultimo sa che Wolfe tende a raccontare le sue scoperte un pezzo alla volta, specie alla polizia. Ma una cosa è certa: nella sua mente, nonostante non si muova quasi mai dalle sue stanze (e con l’aiuto di un certo Hitchcock in Inghilterra), tutti i pezzi del puzzle si stanno incastrando. Servono giusto le prove per inchiodare il responsabile di quel delitto (e di altri che seguiranno). Perché ogni delitto è come una sfida per Nero Wolfe e questa lo sarà ancor di più, perché uno dei delitti avverrà proprio sotto i suoi occhi, una persona a cui aveva appena assicurato che nel suo studio non gli sarebbe successo niente.

Siamo così inetti da dover fare mezzo giro del mondo per dimostrare il movente e la tecnica di un omicidio che ha avuto luogo nel nostro studio, davanti ai nostri occhi?

Per questo serve l’aiuto di Goodwin, ma servirà anche il colpo di scena finale quando, come in un giallo che si rispetti, tutti i protagonisti saranno messi attorno ad un tavolo, su cui comparirà un oggetto all’apparenza innocuo, una scatola di pelle di colore rosso. La scatola rossa, che contiene la soluzione al mistero.

«Il guaio con voi, Wolfe,» dichiarò «è che non riuscite a dimenticarvi neppure per un attimo di come siate terribilmente in gamba.»

Molto godibile come romanzo, per la nota di humor che rende godibile la scrittura, per l’anima del protagonista, un investigatore che delega le analisi sulla scena del crimine al suo collaboratore Archie Goodwin, ma che nonostante questo sembra in grado di cogliere tutti i dettagli.

Quando si concentra in modo così profondo tanto da sembrare immerso in un suo mondo.
Celebre la sua passione per le orchidee, tanto da non voler essere disturbato ogni mattina dalle 9 alle 11. E amante anche della buona cucina, quella dello chef di casa Fritz Brenner, che ne giustifica l’imponente stazza: un amore che, nei momenti di crisi, diventa quasi la sua ossessione.

Poche cose lo irritano: dove uscire di casa appunto e l’isteria delle testimoni, che siano donne o uomini e, la cosa peggiore di tutte, essere trattato come un investigatore qualsiasi, uno a cui si chiede di indagare su un mistero per poi liquidarlo con quattro soldi.

Chiusi il blocco degli appunti, lo gettai sulla scrivania, appoggiai la testa sulla mano, abbassai le palpebre e cercai di rilassarmi. Come ho già detto, in quel caso ci capitava un cliente dopo l’altro.

La scheda del libro sul sito dell’editore Mondadori
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