30 aprile 2012

Molti, sporchi e subito

Se l'obiettivo è trovare subito quei miliardi che servono per non alzare l'IVA, allora anche la strada delle tasse o dei tagli lineari piò andare.
Se invece si vuole riflettere con calma sul come  spendere bene i nostri soldi, allora qualche consiglio.
A cominciare dalle elezioni: come mai in Francia votano in un giorno solo mentre da noi su due giorni e non si accorpano mai referendum con le amministrative (l'anno scorso Maroni ci ha fatto perdere 300 ml di euro)?
Visto che non ci possiamo più permettere questo stato sociale, queste tutele a chi lavora, come mai non tagliamo anche le missioni all'estero?
Perchè non si taglia un pò anche le spese correnti alla Camera e al Senato (le famose agende in pelle umana)?


Poi ci sono i soldi spesi per i caccia F35, i miliardi degli evasori in Svizzera..
E le province: vediamo se questa volta le accorpiamo, ora che lo chiede la BCE.

A proposito di soldi e crisi, si conferma il detto per cui la popolarità dà un pò alla testa: in altri tempi Grillo avrebbe detto questa sciocchezza su mafia e crisi. La mafia strangola le persone, come anche la crisi.

Report – dolce è la vita


L'aspartame è un dolcificante che si trova nelle caramelle (come quelle per la gola), nei medicinali (come quelli per la tosse, per rendere più gradevole il sapore, nello yougurt, nelle bevande dietetiche.
Chissà quante volte durante il giorno ingeriamo delle piccole dosi di aspartame senza saperlo, perchè sulle confezioni è scritto così in piccolo, senza indicarne né le dosi né la quantità massima ingeribile.
Siccome è così diffuso, uno penserebbe che dietro questa sostanza, scoperta in America casualmente da una ricerca sul cancro, ci siano stati dei controlli e degli studi rigidissimi e imparziali.
Perchè, la salute non ha prezzo, non può essere barattata con i ricchi profitti di un'azienda alimentare.

E invece ...
L'inchiesta diSabrina Giannini dovrebbe far sorgere qualche dubbio anche nei confronti di quelli che pensano che certe inchieste siano solo degli inutili allarmismi.
Perché non è così: entro settembre la EFSA, la società europea per la sicurezza alimentare dovrà riformulare un verdetto sui rischi dell'aspartame. Come mai, visto che parliamo di un dolcificante sul mercato dal 1981? Cosa è successo per arrivare a questo? Non doveva essere tutto tranquillo? L'aspartame fa anche dimagrire .. dicono loro. E chi sono i loro?
Alla fine scopri che tutti gli studi che garantiscono per sull'aspartame, a livello mondiale, discendono da quelli iniziali finanziati dalla stessa azienda, la SEARLE, che lo ha scoperto. E che ha tutto l'interesse che questo dolcificante continui ad essere commercializzato senza nessun problema, nemmeno di coscienza.

Tutto il mondo è paese: parli di dolcificanti, e viene fuori una storia di conflitti di interesse, di scenziati che dovrebbero effettuare i controlli per la FDA (Food and drugs administration) erano pagati dalla stessa azienda che dovevano controllare, che molti di questo, dopo gli studi e le autorizzazioni sono andate a lavorare proprio per la SEARLE o altre società del gruppo.
Alcune date di questa storia:
- nel 1965 viene scoperto l'aspartame durante gli studi sull'ulcera.
- nel 1974 la Searle chiede l'autorizzazione alla EFSA, presentando i suoi studi sulla sicurezza di questo dolcificante. Già negli stessi studi
- nel 1975 l'avvocato Turner dell'associazione dei consumatori blocca l'iter autorizzativo: già nel 1971 si sapeva che l'aspartame, provato sui topi aveva provocato in alcuni casi dei buchi nel cervello e che altre scimmie, nutrite per un anno a latte e dolcificante, erano morte dopo episodi di convulsioni.
Ma gli studi erano stati manipolati.
- nel 1975 la FDA iniziò le sue indagini presso la Searle, scoprendo delle irregolarità sul rapporto iniziale che era stato loro fornito. Uno studio “indecifrabile e inutile”.
- l'inchiesta del procuratore Skinner contro l'azienda alimentare fu ritardata e non arrivò mai al Gran giurì, fino a naufragare. In seguito Skinner andò a lavorare per lo studio legale della Searle.
- arriviamo al 1980, Reagan viene eletto presidente rimuove il commissario della FDA, ne nomina un altro che chiede a questa di pagare un altro studio di ricerca, che ovviamente dice che questo dolcificante è sicuro.

Chi era A.D. Della Searle? Donald Rumsfeld, nominato da Reagan per salvare l'azienda dalla crisi; infatti, dopo l'autorizzazione da parte della nuova FDA, Searle viene acquistata dalla Monsanto e Rumsfeld nominato da Reagan esperto sulle questioni mediorientali.
Anche il nuovo commissario Hayes passa, assieme ad altri sei funzionari della FDA, a società della Searle, ma nel frattempo l'aspartame diventa un successo commerciale nell'america dei sempre più obesi.

Che continueranno a rimanere obesi, mentre aumentano le segnalazioni alla FDA di gente che quando prendeva le bibite col dolcificante, aveva casi di convulsione, come le scimmie.
E mentre negli Usa si discuteva su possibili rischi, in Italia tutta la documentazione della Searle serviva a dare l'autorizzazione, carte che oggi non si trovano nemmeno più: “è passato tanto tempo ...”
Fino al 2005, quando lo studio dell'istituto Ramazzini di Bologna (uno studio finalmente indipendente), racconta una storia diversa sulla pericolosità dell'aspartame.
Perché è cancerogeno, visto che dopo essere assunto nell'intestino e poi nel fegato diventa metanolo.
E solleva anche un altro problema questo studio, avversato però in tutto il mondo per il modo in cui è stato condotto: quale è la dose minima di fenilalamina o aspartame che possiamo tollerare ogni giorno?
Non è scritto sulle confezioni, perchè altrimenti la gente si metterebbe a fare i conti (sorprendente la risposta data alla giornalista, dal d.g. su salute e consumatori che in Europa si occupa di alimentazione).
Il limite di 40 mg /kg è stato stabilito da scienziati dell'industria alimentare: persone indipendenti? Fate voi.
I dati dell'istituto Ramazzini (uno studio indipendente e pagato coi soldi nostri) sono stati rigettati perchè consideravano le malattie dei topi su più settimane di vita, senza ucciderli prima, mentre non sono stati rigettati gli studi della Searle, lacunosi e pure manomessi.
L'EFSA, che ci costa 80ml dieuro l'anno, consente a ben quattro rappresentanti dell'industria agroalimentare di sedere nel Cda e alla metà degli esperti di avere conflitti di interesse, e fanno per le industrie consulenze e perfino organizzano dei simposi.

Come quello organizzato a Roma dalla NFI (Nutrition foundation Italy): una convention pagata dalle industrie alimentari per dire agli italiani quanto fanno bene i dolcificanti.
Alcuni dei relatori della conventions, La Vecchia e Larsen, hanno lavorato con la I.S.A. (associazione dei dolcificanti), con la Ilsi (che raggruppa aziende come Danone e Coca Cola), sono pure gli esperti chiamati a giudicare per noi l'aspartame.
Ma tranquilli “non c'è alcun conflitto di interesse perchè l'hanno dichiarato”, dice il dir. generale salute e consumatori commissione europea. E noi invece abbiamo l'anello al naso ….

Pare che in Europa, in continente di 350 ml di abitanti si faccia fatica a trovare un pugno di scienziati, che non lavorino per le stesse industrie, per fare studi indipententi sugli alimenti che mangiamo tutti i giorni: questo l'amaro commento del dottor Millstone dell'università dell'Essex, uno dei pochi esperti che considera uno scandalo la storia delle autorizzazioni alla Saerle.
Viene in mente la storia delle radiazioni del cellulare: fanno bene, fanno male? Per anni ci hanno detto che non c'erano problemi, se anche usavamo il cellulare per tanto tempo. E poi, alla fine si scopre che un rischio di prendersi un tumore al cervello c'è, oltre una certa esposizione.
Ma non si può dire, per non turbare gli interessi e gli affari delle aziende di telecomunicazioni.

Chi decide per la salute delle persone? Sul piatto della bilancia cosa pesa di più? La nostra salute o gli affari delle multinazionali?
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Su questa questione a settembre prossimo, l’agenzia europea dovrà assumersi una bella responsabilità e forse in ballo c’è anche la sua credibilità. Secondo la commissione europea il conflitto d’interesse si risolve così: io esperto sono consulente dell’azienda che produce l’aspartame, c’è da decidere se è sicuro, io mi astengo, prendo e esco dalla stanza, mentre tutti gli altri che lavorano per le industrie che l’aspartame lo usano, dalla Nestlè, alla Danone, alla Coca Cola, restano e decidono. E si tratta di industrie che traggono enormi profitti proprio grazie alla loro linea diet. Come si fa a non vedere il conflitto? E a proposito di dietetico, secondo i produttori e le industrie l’aspartame aiuterebbe a combattere l’obesità. Si ingurgita per dimagrire.Almeno su questo sono tutti d’accordo?
SABRINA GIANNINI
Si può dire che previene l’obesità?
FRANCO BERRINO – DIPARTIMENTO MEDICINA PREVENTIVA ISTITUTO
TUMORI DI MILANO
No assolutamente! Non esiste neanche uno studio che abbia documentato che
l’aspartame previene l’obesità! Diciamo che c’è una forte ipotesi del contrario.

E non c'è solo l'aspartame, ma in dubbio ci sarebbero anche altri dolcificanti:
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
L’aspartame oggi è affiancato da altri dolcificanti artificiali, oltre alla più antica
saccarina, ci sono l’acesulfame, il ciclamato, il neotame, e il sempre più diffuso
sucralosio, fino ad oggi ritenuto innocuo secondo le autorità sanitarie. Certezza che
l’Istituto Ramazzini mette in discussione con un nuovo studio di cui diamo
un’anticipazione in esclusiva.
MORANDO SOFFRITTI  - DIRETTORE SCIENTIFICO ISTITUTO RAMAZZINI
Noi abbiamo un primo indizio della sua non sicurezza. Abbiamo l’evidenza che il sucralosio produce un’aumentata incidenza di tumore nei topi, ma per avere un adeguato peso dell’evidenza è necessario studiarlo anche in un’altra specie animale che è quella dei ratti.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Dentro ai prodotti non troviamo solo l’aspartame, di solito ce n’è almeno un altro. Li mischiano. Infatti prendiamo a caso una confezione di gomme da masticare: cosa c’è scritto dietro: edulcoranti, aspartame, acesulfame, sucralosio…contiene una fonte di fenilalanina. Se dovessero emergere degli effetti collaterali, di chi è la colpa? Di chi ha prodotto l’aspartame o il sucralosio? E questi edulcoranti sono entrati dentro ai prodotti alimentari seguendo lo stesso processo che abbiamo visto. Se a settembre l’agenzia europea dovesse decidere che l’aspartame non è sicuro, essendo il più diffuso, getterebbe un’ombra su tutti gli altri. Ma soprattutto getterebbe un ombra sull’intero sistema che per 30 anni ce l’ha fatto mangiare. C’è da augurarsi che le
conclusioni non siano già scritte.




29 aprile 2012

Donne in Italia oggi


Giocattolo nelle mani del ricco vecchietto che le può garantire una vita dorata in cambio di uno spogliarello, o oggetto a disposizione del fidanzato/marito, con lo spauracchio delle botte e delle violenze per gelosia.
Triste il destino delle donne nell'Italia di oggi.

L'aspartame e i controlli alimentari

Si dice che l'Italia abbia il miglior sistema di controllo sugli alimenti. Forse è vero, ma in ogni caso sarà bene seguire l'inchiesta di questa sera di Report sull'aspartame, il dolcificante più usato dalla nostra industria alimentare. Magari scopriremo, come dopo l'inchiesta sull'uso deicellulari, che anche questo fa male alla saluto ma noi consumatori non possiamo saperlo per non dare fastidio alle industrie.

"Dolce e' la vita" di Sabrina Giannini
L'inchiesta, attraverso la storia esemplare dell'additivo più utilizzato nell'alimentazione (l'aspartame, un dolcificante artificiale), mostra le debolezze di un sistema di controllo che non tutela adeguatamente la nostra salute. Infatti le industrie, per inserire nell'alimentazione una nuova sostanza, devono dimostrare a loro spese la sicurezza del prodotto finanziando le ricerche. Un sistema che, tra conflitti di interesse e corruzione, "addolcisce" la vita dell'industria a danno della salute dei consumatori.

Su wikipedia (come nella voce su aspartame dice esplicitamente che le sue informazioni non sono un consiglio medico) si legge di alcune controversie su questo dolcificante:
Il dibattito sull'uso di aspartame negli alimenti si è riacceso nel 2005 con la pubblicazione di uno studio promosso dalla California Environmental Protection Agency, che ha evidenziato un aumento dell'incidenza di linfomi e leucemie nei topi femmina a seguito di assunzione di bassi dosaggi di aspartame. Inoltre uno studio della Fondazione Europea di oncologia e scienze ambientali "Bernardino Ramazzini" di Bologna ha ulteriormente segnalato questi effetti ed ha ipotizzato un legame tra la formaldeide rilasciata dal metabolismo dell'aspartame e l'aumento dell'incidenza di tumori cerebrali. Lo studio è stato pubblicato sullo European Journal of Oncology nel luglio 2005 [6].
Questi nuovi dati sono stati valutati dall'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nell'insieme di tutti gli studi effettuati sull'aspartame negli ultimi vent'anni. L'EFSA ha confermato la dose giornaliera ammissibile (40 mg/kg peso corporeo) e ha concluso che lo studio non dimostra con sicurezza la relazione fra l'insorgenza di tumori e il consumo di aspartame e non sono emersi nuovi dati che giustifichino nuovi studi, considerate anche le fasce di assunzione più a rischio (es. diabetici o persone che seguono regimi alimentari a basso contenuto calorico) [7]Un limite analogo (50 mg per kg di peso corporeo) era stato calcolato dalla FDA nel 1981.
La sicurezza dell'aspartame è stata riaffermata anche negli Stati Uniti dal National Cancer Institute a seguito di un'indagine durata cinque anni su mezzo milione di persone, dalla quale non è emerso nessun aumento dell'incidenza di linfomileucemie e tumori del cervello. [8]. Tale studio è stato effettuato sulla base di questionari inviati fra il 1995 e il 1996 a persone di età compresa fra 50 e 70 anni, e vista la data di inizio commercializzazione dell'aspartame, a partire dal 1981, riguarda l'analisi di rischio per un'esposizione a dosi inferiori alle attuali e non superiore ai 15 anni.


Un nuovo e più dettagliato studio sugli effetti a lungo termine del consumo di Aspartame in dosaggi compatibili con la dose minima giornaliera permessa per il consumo umano è stato pubblicato nel settembre 2007 su Environmental Health Perspectives [9], realizzato anch'esso dall'Istituto "Ramazzini" di Bologna. In tale studio, l'unico che abbia preso in considerazione l'uso di aspartame fin dai primi cicli di vita e abbia seguito la storia clinica dei topi fino al loro decesso naturale, sono stati rilevati dagli autori evidenti indicatori di rischio per la salute umana, in particolare per i bambini. L'agenzia europea EFSA e la corrispondente agenzia statunitense FDA non hanno al momento presentato un parere ufficiale sui risultati di questo secondo studio.

Luca De Carolis, sul Fatto Quotidiano di oggi anticipa i temi dell'inchiesta:

Aspartame, il rischio cancro nel dolcificante più diffuso
 Lo vendono come il dolcificante perfetto: buono per il palato, ottimo per la linea, sicuro. E lo mettono ovunque, dalle bibite alla caramelle, per arrivare ai farmaci, compresi quelli per bambini. Ma l’aspartame, l’alternativa allo zucchero, potrebbe essere cancerogeno. Un dubbio alimentato da studi e ricerche, attorno cui è stata costruita la puntata di oggi di Report, su Rai3.
   La storia in sintesi di un prodotto commerciale, disseminata di ombre, conflitti di interessi e domande. Pesanti e attuali, tanto che entro settembre l’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, dovrà emanare un nuovo verdetto sulla salubrità o meno dell’aspartame.
   SCOPERTO per caso, nel 1965 mentre la Searle, colosso farmaceutico americano, sta sperimentando un nuovo farmaco contro l’ulcera. Scopre che è dolce, 250 volte più dello zucchero . E si lancia nelle ricerche sull’aspartame, dolcificante del futuro. Nel 1974 ottiene il via libera alla messa in commercio dalla Fda, l’agenzia statunitense dei farmaci. Ma un’associazione dei consumatori blocca tutto: un patologo aveva scoperto che quella sostanza provocava buchi nel cervello dei topi di laboratorio. La lunga guerra di perizie e ricorsi sull’aspartame inizia così. Studi successivi affermano che i test della Searle sono pieni di irregolarità. E che l’aspartame ha pesanti effetti collaterali, sul cervello.
   Nel 1980, Ronald Reagan viene eletto presidente. Uno dei suoi primi atti è cambiare il commissario della Fda, che l’anno dopo dà il via libera all’aspartame. Una manna per la Searle, che come amministratore delegato ha un certo Donald Rumsfeld: ovvero, l’esperto di Medio Oriente dell’amministrazione Reagan, futuro segretario alla Difesa con Ford e Bush junior. L’aspartame si sparge per l’America, e presto approda in Europa, Italia compresa. Tutte le autorità scientifiche ne autorizzano la vendita: e tutte si basano su uno studio finanziato dalla Searle.
   NELLE pieghe del documento, si ammette la morte di un certo numero dei topi di laboratorio. Eppure l’aspartame viene utilizzato in più di 5mila prodotti. Dalle bibite più popolari, ai dentifrici e ai medicinali, in molti casi pediatrici. Sui banchi dei bar di mezzo mondo dominano i dolcificanti. Ma le ombre rimangono, assieme alla segnalazioni di consumatori e studiosi. A rilanciarle, nel 2005, è una ricerca dell’Istituto Ramazzini di Bologna. Dal verdetto chiaro: l’aspartame è cancerogeno. L’istituto compie altri studi, autofinanziati. L’Efsa, che nel 2002 avevo approvato l’aspartame, li respinge: “Non sono stati fatti secondo le procedure, sono incompleti”. Dura reazione, da parte di un ente che ha 11 membri su venti che sono stati, o sono tuttora, consulenti di aziende dell’industria alimentare. “Quando si discute di un prodotto della loro azienda si astengono – fanno sapere da Bruxelles – e comunque non c’è conflitto d’interesse, perché lo hanno dichiarato”.
   Tre parlamentari europee sollevano il caso. E alla fine la palla torna all’Efsa: che entro settembre dovrà pronunciarsi di nuovo sull’aspartame. Neppure nemico dell’obesità, secondo Franco Berrino, dell’Istituto Tumori di Milano: “Non esiste un solo studio che l’abbia provato. Anzi, c'è una forte ipotesi del contrario”.

In seguito, l'inchiesta  "I consorziati" di Claudia Di Pasquale, sui debiti del comune di Roma:
Le casse del comune di Roma non navigano certo in buone acque, il debito del Campidoglio supera i 12 miliardi di euro e c'è il rischio che da settembre gli stipendi non vengano pagati. Una parte dei soldi però potrebbe essere recuperata attraverso i soldi dei condoni edilizi, e potrebbe essere una buona cifra visto che di domande di sanatoria se ne contano ben 240 mila. Cosa fanno il Sindaco Alemanno e la sua giunta per incassarli?

Infine per la rubrica C'e' chi dice no: "Valter Bonan" di Giuliano Marrucci

Il bacino del Piave è uno dei più artificializzati d'Europa. La Regione Veneto sta per dare il via libera a 150 nuove concessioni per impianti idroelettrici, mettendo a repentaglio un ecosistema patrimonio dell'umanità.

Uscire dalla crisi è possibile, di Aldo Giannuli

Riformare la finanza, promuovere l'eguaglianza, ripensare la globalizzazione: per un nuovo primato della politica e dell'economia reale.


Quali sono le cause della crisi finanziaria che stiamo vivendo, come mai questa volta potrebbe essere una crisi più pesante delle altre?
E quali le ricette per uscire dalla crisi?

Queste due domande sono l'ossatura stessa del libro (naturale continuazione de “2012: La grande crisi”, uscito l'anno scorso): a queste Aldo Giannuli, storico nonchè consulente di varie commissioni di inchiesta parlamentari su stragi ed eversione, ha dato una risposta chiara ed esaustiva.
Risposte che vanno contro le ricette economiche propinate oggi dai tecnici in Italia e in Europa e che ci constringono a rivedere tutta l'architettura finanziaria su cui abbiamo costruito l'economia mondiale nell'epoca della globalizzazione.

Questa crisi, signori, è la naturale conseguenza delle politiche neoliberiste che da trent'anni vediamo riproposte in tutte le salse dai governi occidentali (non tutti forse e non nella stessa maniera).
Dagli anni 80, infatti, con l'elezione di Ronald Reagan e Margaret Tatcher negli Usa e in Inghilterra abbiamo iniziato a vedere leggi che mettevano da parte lo Stato come ente regolatore dell'industria e della finanza (e dunque l'ente col compito di fare redistribuzione del reddito).
Meno stato, più mercato … il mercato sa regolarsi da solo … questi i mantra dei neoliberisti di tutto il mondo: economisti, lobbisti, giornalisti che hanno sposato questo dogma infallibile: al mercato, che doveva regolare tutto, dalle commodity (i beni di consumo) ai servizi, al petrolio, alla finanza, non si può mentire.
E allora via i “lacci e lacciuoli” che bloccano il denaro dentro i confini di uno stato, via alle leggi che rendono più semplici le delocalizzazioni. Via alle leggi che impediscono alle banche di fare attività speculativa (il Glass Stegall Act). In pochi decenni si è passati da paesi ad economia industriale, a paesi basati su una economia di servizio, dove l'industria veniva piano piano svuotata, e con essa i diritti e gli stipendi delle persone che ci lavoravano dentro.
Perchè è il mercato che lo chiede: nello stesso periodo se da un lato si gonfiava di miliardi l'economia della finanza, l'economia reale veniva mortificata, il ceto medio iniziava il suo declino e si assisteva allo spostamento della ricchezza verso “riccolandia”.

Per questo la crisi del 2008, e la successiva crisi di adesso, sono ancora in essere: sono qualcosa di diverso da quelle degli anni passati (la depressione del 1929, quella del 1973-74, quella del 1992-93). Oggi, ci siamo giocati l'economia industriale, la produzione, la competitività e contemporaneamente, è aumentato il debito dei nostri paesi e se anche dovessimo arrivare alla tanto attesa ripresina, questa servirebbe a malapena a ripagare gli interessi su di questo.
L'errore che è stato commesso, per uscire da questa crisi, è stato quello di affrontarla con l'iniezione di liquidità (soldi pubblici), nel mondo delle banche, dunque nel mondo della finanza. Allo stesso modo come nel 2008, si è lasciata fallire Lehman Brothers, ma si sono salvate con soldi pubblici le altre banche americane che stavano sull'orlo del crac.

Questi soldi non hanno fatto altro che tamponare solo per qualche momento il problema: le banche si sono ricapitalizzate a spese nostre, hanno comprato altri titoli di stato (sfruttando il momento favorevole, per gli alti interessi che questi garantivano), ma non hanno dato alcun contributo al rilancio dell'economia.
Alla stessa maniera per cui i grandi manager di Wall Street, dopo la grande paura del 2008 (per la crisi dei mutui subprime, trasformati in titoli derivati con cui hanno intossicato i bilanci di mezzo mondo), sono oggi ritornati agli antichi splendori.
Nessuna regola stringente alla finanza, all'utilizzo delle stock options, ai superstipendi dei manager, alla possibilità di fare speculazioni contro stati sovrani a colpi di cd swap, di HTF (le transazioni veloci), di vendite allo scoperto. E che dire delle agenzie di rating? Le tre sorelle americane che danno la tripla A agli USA, ma mazzuolano i paesi europei, che pure hanno una situazione debitoria migliore di quella americana? Le stesse agenzie che davano per buoni i titoli Parlamat e Lehmann anche prima del crac …

L'ipercapitalismo finanziario, che ha contagiato mercati, borse, banche, fondi di investimento, ha garantito l'eldorado per pochi (ma non pochissimi) fortunati: ma è una ricchezza che non è ritornata in ricircolo nell'economia ma è anzi spesso andata a sottrarsi al fisco (secondo il mantra neoliberista, i ricchi devono pagare meno tasse, poiché spendono per beni di lusso ...).
Il denaro solo per fare denaro. Tanto, alla peggio si può sempre stamparne di altro, non essendoci più la necessità di un suo corrispettivo reale.
Nessuno, tra i neoliberisti, spiega come mai questo dogma non abbia saputo prevedere la crisi del 2008, come mai gli stessi liberisti oggi accorrono al capezzale dello stato per salvarsi, lasciando per strada lavoratori senza lavoro (perchè non competitivi con i corrispetivi cinesi o indiani). 
L'economia non è quel mondo perfetto, il mercato che non si può ingannare: non è sufficiente spostare i problemi sul domani (e continuare con l'indebitamento delle imprese per spremere il fatturato, delle banche per continuare a fare mutui). È sufficiente un terremoto (Fukushima), una rivolta (la primavera araba, innescata proprio dall'aumento del prezzo delle materie prime), per sconvolgere questi equilibri.

Giannuli affronta la questione della crisi da tutte le sue angolazioni: dal lato economico ma anche da quello sociale e politico.
In situazioni come quella attuale le nazioni che soffrono per il proprio debito stanno perdendo, in nome della ricetta dell'austerità (ricetta dei dottori che sono poi in parte responsabili della stessa situazione), a perdere un pezzo della loro sovranità.
La Grecia, ma poi anche il Portogallo, la Spagna e l'Italia (ma in un futuro anche la Francia) sono costrette a rivedere la politica di spesa, a tagliare la spesa sociale, a spostare capitali che sarebbero preziosi per l'economia vera, per l'università, per la ricerca, in quel pozzo senza fine che è il ripagamento del debito.
È estremamente chiaro, l'autore: tutti gli stati europei sono in default tecnico. Se non lo siamo, è perché, per il meccanismo delle scatole cinesi, non conviene a nessuno che la Grecia fallisca di botto (e lo stesso vale per la Spagna e l'Italia); così come ai cinesi non conviene reclamare il debito americano, ma si accontentano di prenderne gli interessi.
Ma fino a quando possiamo andare avanti? Se si esclude il botto, Giannuli immagina una situazione di “cronicizzazione del malessere”, che porterà alla crescita (ormai sotto gli occhi di tutti) dei movimenti di protesta. Gli indignados, a sinistra, ma soprattutto i movimenti dell'estrema destra xenofoba (e la situazione della Germania negli anni '20 dovrebbe dirci qualcosa).

E l'Europa? Stiamo pagando l'errore di una moneta unica senza però una unità politica ed economica: avremmo dovuto sfruttare questa situazione di emergenza per portare avanti riforme in tal senso, anziché parlare di uscire dall'euro (pensiamo veramente che la Lira avrebbe più credibilità?).
Invece ogni paese ha pensato a sé: anche a livello mondiale passeremo dal predominio dell'impero americano, ad un mondo diviso in zone di influenza dalle nuove potenze emergenti.

Che fare allora? Come uscire dalla crisi.
Giannuli ricorda la frase di Mao“la rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza”.

La lotta politica e sociale che dobbiamo mettere in atto, noi italiani e noi europei, non sarà un pranzo di gala, ma sarà una lotta che richiederà asprezze assai acute.
In ballo c'è il futuro delle nazioni così come oggi le immaginiamo: infatti dobbiamo decidere se vogliamo salvare il mondo della finanza così com'è, o gli stati.

Solo l'intervento dello stato, anzi degli stati, può arginare questa crisi: basta con le iniezioni di liquidità, mettere le briglie alla finanza, uno stop all'uso dei derivati e delle HFT (High frequency trading) e delle transazioni che avvengono al di fuori dei mercati (senza il passaggio per le clearing house). Fine dell'oligopolio dei grossi gruppi finanziari (le banche che sono “too big too fail”, ma che in realtà sono come i dinosauri “too big to live”); ritornare al Glass Steagall Act.
Aumentare le pene per i reati finanziari e introdurre il concetto di terrorismo finanziario (non è solo Al Queda che mette in pericolo le democrazie occidentali).
Introdurre meccanismi di compensazione tra le imprese che limitino il flusso di denaro tra queste (perchè il denaro ha un costo), e anche tra paese europeo e paese europeo (per esempio tra Italia e Francia, che possegono titoli l'uno dell'altro).
La crisi, si dice, è globale: è allora globale deve essere la risposta dee paesi occidentali che dovranno rinegoziare il loro debito in parte posseduto dalle nazioni emergenti (Cina, India, Brasile, ..), in cambio di alcuni pezzi di potere, concedendo spazio negli organi internazionali oggi presieduti da USA, Europa e Giappone (FMI, la Banca Mondiale, l'Onu).

La tassazione.
Se fino ad oggi si è permesso ai super ricchi di essere sempre più ricchi e pagare meno tasse, da domani dobbiamo invertire la tendenza (come d'altronde stabilisce la Costituzione).
Basta con i paradisi fiscali, e con il dumping fiscale all'interno degli stessi paesi della Ue: nell'epoca della globalizzazione, pure la legislazione deve essere globale. I soldi devono girare liberamente tra stato e stato? Sì, ma devono avere la bandierina sopra che dica dove vanno e dove vengono. Basta col segreto fiscale, visto che questo non ha nulla a che vedere con privacy o cosa, ma solo con evasione o peggio. E visto che questi soldi non sono investiti nell'economia vera.
Sì ad una tobin tax, come pure ad una patrimoniale che individui bene cosa tassare (quali patrimoni) e a che livello: “o si restringe la libertà dei capitalio si globalizza il fisco”.

L'economia reale.
Chi lo ha detto che non conviene più produrre in Occidente (e in Italia)? Le stesse persone che ora non hanno previsto la crisi e che ora chiedono aiuto allo stato cioè a noi. Perché credergli dunque?
A tendere, per l'aumento dei costi del petrolio e per la fine del gioco dei cambi (con la moneta cinese) non converrà più produrre in Cina per esportare qui da noi.
Dobbiamo riportare la produzione da noi, siccome le delocalizzazioni hanno generato solo disoccupazione, bassi salari, precariato, la perdita delle conquiste salariali e dei diritti dei lavoratori, e ora anche una situazione di tensione sociale che non si può risolvere con la forza.
Ad incidere sui costi di produzione, tra l'altro non sono solo gli stipendi di chi lavora, ma anche quelli ben più pesanti del management.
Quanto pesa un Marchionne, o un Ligresti, di fronte ad un Cipputi?
Anziché chiedere il pareggio di bilancio ai paesi membri, la Ue dovrebbe imporre il pareggio della bilancia commerciale e spingere, proprio in questi momenti, verso un intervento statale in economia (che poi è quello che Monti e C. non vogliono fare).
Lo stato deve tornare a farsi imprenditore per decidere quale politica industriale deve andare avanti nel paese, con quali regole, e con quali costi: un'azienda statale dovrebbe raccogliere i soldi della BCE per girarli poi all'economia reale (senza passare più dalle banche).
Il modello che Giannuli ha in mente per il nostro futuro è quello dell'impresa sociale (l'esatto contrario dell'impresa globalizzata, che sta in piedi solo grazie agli aiuti di Stato di Cina , India, Serbia ..).Ovvero passare da dipendenti precari ad autoimprenditori di imprese in network che operano per compensazione (il vecchio baratto), con l'autogestione dei dipendenti alla vita delle stesse (come in Germania con i sindacati).
Lo Stato italiano potrebbe infine concedere prestiti e una fiscalità agevolata a queste nuove forme societarie.

La fine della tecnocrazia.

“..Abbiamo cercato di aggiungere anche quella degli aspetti sociali e politici di questa che, in ogni senso, è la primi crisi globale della Storia. E proprio la mancanza di consapevolezza di questo inestricabile intreccio tra aspetti economico-finanziari, sociali, politici e militari è uno dei fattori del suo aggravamento.
Quello che non funziona, abbiamo detto, non è l'eccesso di azzardo di qualcuno o il semplice problema della sottrazione dei grandi capitali alla sovranità fiscale degli stati, ma l'architettura complessiva di un sistema che subordina la politica all'economia, l'economia alla finanza e la finanza ad un pugno di speculatori che esercitano una «dittatura non politica» sull'intero sistema. Sin qui la storia ci aveva offerto modelli diversi: dittature «commissarie» e dittature «sovrane», del proletariato e della borghesia, militari e civili, personali e dittatoriali, ma pur sempre legate ad un esercizio discrezionale o incontrollato del potere statale. [..]
La globalizzazione neoliberista, come si è detto,ha prodotto una crisi sul concetto stesso di sovranità nazionale, trasferendo altrove la sede di gran parte del suo potere decisionale. Questo è stato particolarmente vero nei regimi democratici dell'Occidente, dove le forme della democrazia (carattere elettivo degli organi di potere, libertà di stampa, di sciopero, di opinione, pluralismo politico) sono state pienamente conservate, ma sempre più svuotate nel senso, al punto che autorevoli politologi e sociologi si sono spinti a parlare di «post-democrazia».
Per un'ironia della Storia, l'esportazione della democrazia si è risolta nell'importazione di nuove forme di autoritarismo. Il potere discrezionale e incontrollato non è esercitato direttamente attraverso lo Stato, ma attraverso una fitta serie di trattati e convenzioni che trasferiscono potere statale ad apparati tecnocratici formati al di fuori di qualsiasi prassi democratica ()WTO, FMI, Banca Mondiale, BCE e banche centrali in generale, NATO, ecc.) correlati alle massime istituzioni finanziarie, attraverso lo stretto controllo proprietario della stragrande maggioranza dei mezzi di informazione, attraverso il condizionamento delle leadership politiche e anche attraverso una egemonia culturale garantita da un soverchiante dispiegamento di mezzi finanziari.”

Pagina 286-287 


Giannuli immagina un nuovo FMI staccato dagli Usa (alimentato da una tassa sulle transazioni finanziarie) e una nuova Bretton Woods che permetta il passaggio dal dollaro ad una nuova moneta internazionale per gli scambi: qui si dovrebbe decidere della moratoria sui debiti (che comunque nessuno è in gradi di pagare) e ripensare la globalizzazione, come esportazione di diritti sociali e pari condizioni fiscali.

Sarà dura, ma dovremo dire basta a questo regime tecnocratico dove una massa di non eletti nelle banche, negli organi finanziari, decide del futuro delle democrazie.
Anche se questo non sarà facile, ci vorrà tempo: questa liberazione avverrà solo dopo una fase conflittuale, viste le due opposte visioni del mondo e della vita economica:
Se uno degli attori è convinto che l'unico scopo dell vita economica sia l'arricchimento individuale e che non ha senso peseguire fini sociali e, dall'altra parte, c'è chi invece pensa che il fine sia la soddisfazione dei bisogni sociali e l'eventuale arricchimento individuale deve essere subordinato a questo, non c'è mediazione possibile. C'è solo un conflitto da decidersi sul piano dei rapporti di forza, e chi vincerà imporrà le sue regole sull'altro.
I neoliberisti hanno vinto la loro battaglia grazie alla «guerra di classe vinta dai ricchi» (Buffett), essi sono stati l' «armata culturale» di quella «dittatura non politica» di cui abbiamo detto. Oggi con la crisi, quella «guerra di classe» si riapre e, con essa, anche lo scontro virtuale.”

Pagina 300-301


Bisogna scegliere: o i paesi o la finanza. Tutte e due le cose non si possono salvare: come cittadini non possiamo più accettare le parole “non c'è alternativa a questo sistema”.

L'indice del libro, che trovate qui.

Parte prima. Perchè non siamo usciti dalla crisi.
1)Breve dizionario della crisi, p.25
2)Ascesa e declino del neoliberismo, p.53
3)La crisi che non passa, p.80
4)Il grande gioco, p.119

Parte seconda. Uscire dalla crisi.

5)Produzione, disuguaglianze, lavoro, p.151

6)Quale finanza? p.175
7)Il nodo del debito pubblico, p.197
8)Il problema fiscale, p.231
9)L'economia reale, p.261 

Il blog dell'autore i cui post hanno contribuito a questo libro.
La scheda del libro sul sito dell'editore Ponte delle Grazie.
Il link per ordinare il libro su ibs.
Technorati: 

27 aprile 2012

Il senso delle intercettazioni


Si ritorna a parlare del divieto di pubblicare le intercettazioni "irrilevanti": di solito questo accade quando un bubbone scoppia, in questo caso si tratta delle telefonate tra Ruby e le altre Olgettine.
Forse certe intercettazioni non hanno rilievo penale, ma raccontano bene del clima in cui sono maturate: la paura delle ragazze delle "cene eleganti" che uscisse fuori qualcosa, di quelle cene che eleganti non erano, coi magistrati e coi giornalisti.
Immaginatevi senza i nastri che Repubblica ha pubblicato cosa sapremmo del caso Ruby. E non è cosa da gossip: ci sono di mezzo candidature, apparizioni televisive, soldi e forse ricatti.


Ecco perchè, per un cittadino è opportuno sapere, specie in questa Italia dove l'informazione non sempre è stata all'altezza. 
Infine, suona davvero strano l'uscita del ministro sui (contro) i blog, che farebbero più danni dei giornali:


«Scrivere su un blog non autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se si sta trattando di diritti di altri. I blog hanno capacità di diffondere pensiero ma questo non deve trasformarsi in libertà di arbitrio»


Che io sappia, esiste (e giustamente) anche per un blog il reato di diffamazione a mezzo stampa e, inoltre, un blogger non ha alle spalle nemmeno un sindacato o un ordine per difendersi.
E che dire poi della minaccia:
«Sappiate che quello che voi fate ad altri potrà essere fatto a voi. Cominciate ad autoregolamentarvi».


Non abbiamo niente da nascondere, credo.
Io credo, invece, che siamo proprio i nemici delle intercettazioni che hanno qualcosa da nascondere alla opinione pubblica.


Aggiornamento: forse saranno state le reazioni su internet (punto-informaticoilfattoquotidiano.it), ma il ministro fa sapere che non ci sono leggi in proposito

"La manifestazione del pensiero deve essere libera ma non arbitraria e irrispettosa del diritto degli altri, pero' e' un concetto generalissimo e che riguarda tutte le forme di espressione del pensiero, quindi sono stupita dalla reazione relativa ai blog", su cui non c'e' "niente di specifico ne' di definito" in cantiere, ha sottolineato il ministro a margine del Consiglio Ue Giustizia a Lussemburgo.

Eppure il titolo del corriere era chiaro: Severino: allo studio nuove regole sui blog.
E' stata male interpretata?



Crisi, crescita a qualunquismi

Si parlava di crisi, ieri sera a Servizio Pubblico: i ragazzi che passano il tempo libero nei centri commerciali a guardare le vetrine dei negozi, i parenti degli imprenditori suicidi, le persone che sulla soglia dei 50 si trovano precari e senza molte speranze.


E, come contro canto di questa crisi (che non nasce ieri, e nemmeno per circostanze fortuite o impreviste), i discorsi elettorali di Marine Le Pen e Beppe Grillo.
Imputati di fare qualunquismo, antipolitica, demagogia .. Non so: ascoltavo le parole della Le Pen e non mi trovavo così in disaccordo? Sto diventando anche io di estrema destra?
Che c'è di male ad attaccare questa politica che salva la finanza e non l'economia reale? Ha ragione a criticare la scelta di finanziare le banche con i soldi della BCE (cioè nostri), quando poi le banche oggi sono comunque in crisi e non stanno aiutando le piccole imprese e i piccoli commercianti. Costretti a rientrare nei fidi a breve, o che si vedono bocciare le richieste di prestiti o mutui.
Forse sbagliava la Le Pen quando dice che non ha senso una economia che delocalizza la produzione in nome di un profitto che poi non viene redistribuito se non a poche persone (e ricordiamo che i ricchi sono diventati in questi anni di neoliberismo sempre più ricchi con una tassazione più agevole).

E Grillo? Sbaglia Di Pietro a dire che Beppe non fa proposte. Io stesso ho contribuito alla campagna per cacciare Antonio Fazio dalla Banca d'Italia: vi ricordate? Erano gli anni dei furbetti e già allora si doveva capire che c'era qualcosa che non andava nelle finanza.
Beppe è stato il primo a parlare di Parmalat, del problema dei cda delle aziende italiane dove siedono le stesse persone in società in presunta concorrenza (e oggi, il DL Salva Italia sta un pò facendo pulizia .. esce Marina ed entra Pier Silvio in Mediobanca).
Grillo che nel blog parlava di energie rinnovabili e dei problemi degli inceneritori e del nucleare.
Grillo che ha raccolto firme per mandare a casa (o fuori dal parlamento) condannati (e inquisiti), per limitare a due mandati la carriera politica dei nostri sempreverdi (buoni per tutte le stagioni).
Aveva ragione Grillo.

Dove sbagliano però: se le obiezioni della Le Pen sono serie, sono le ricette ad essere sbagliate. Non è l'uscita dall'euro la soluzione. E non è nemmeno auspicabile un rinchiudersi dei paesi nei loro confini: viviamo in un mondo globalizzato, dove merci e soprattutto soldi, viaggiano tra paesi e continenti.
Solo un'Europa unita può affrontare alla pari, un mondo globalizzato, gli altri colossi. Certo qualcosa va cambiato: si deve passare da un'economia finanziaria a finanziare l'economia reale.
La BCE deve poter dare soldi (magari passando per una banca nazionale) agli stati membri e non più solo alle banche.
Oggi Draghi lancia l'allarme sulla salute delle banche europee: bene, visto che dovranno essere salvate, almeno che ci concedano qualcosa.
Il cambio del management, la restituzione dei soldi prestati, il divieto di fare speculazione con i soldi dei loro clienti.

Il gigantismo ha causato i problemi che stiamo subendo (troppo passivamente) oggi: gruppi bancari finanziari troppo cresciuti che non possono fallire perchè hanno in mano i nostri titoli. Il gigantismo e l'assenza di regole nel mondo della finanza: il mercato non solo non si autoregola, ma è fortemente asimmetrico nei confronti dei più forti e la politica ha lasciato fare per troppo tempo.
Ebbene, siccome gli italiani stanno tirando la cinghia, anche le banche e le assicurazioni devono farlo, andando anche loro a dismettere i loro asset e le loro partecipazioni, se hanno problemi di liquidità.

Oggi, ovunque ti giri, senti parlare di crescita: ma anche qui, non è ancora bene noto il come. Le grandi opere verranno rilanciate?
Anche qui vale il discorso di prima: basta con i gigantismi. Più che i ponti e i tunnel, servono le piccole opere di riqualificazioni nei comuni, mettere in sicurezza quelle zone rese a rischio dalla colata del cemento (perchè il cemento e le frane fanno aumentare il pil, ma a lungo termine sono cose che si pagano).

Le tre linee guida di Monti erano rigore, equità e crescita: il rigore è stato pagato con la riforma delle pensioni e le maggiori tasse. La spesa corrente è stata parzialmente decurtata a Palazzo Chigi, nei viaggi aerei, ma rimane molto da fare in altri ministeri e poi nelle regioni e comuni.
Non si sono toccate però pensioni d'oro, costi della politica (che non hanno a che vedere coi costi della democrazia).
Perchè non pagare i supermanager di stato con bond dello Stato decennali ad interesse basso?
Rigore significa anche spendere bene i soldi pubblici: ovvero il contrario di quanto si legge sui giornali sui finanziamenti ai partiti, sugli scandali nella sanità (in Lombardia come in Puglia). Visti i tempi, possiamo ancora permetterci tutte queste missioni all'estero, solo per avere anche noi un posto al sole?

Equità, a me fa venire in mente Equitalia, l'azienda statale di riscossione dei crediti di uno stato che però, rimane debitore nei confronti di migliaia di piccole imprese.
Cosa intende fare queto governo? Magari si potrebbe attuare un meccanismo di compensazione, tra debiti e crediti.

Equità significa far pagare anche a a ciascuno il suo: dunque lotta all'evasione e alla corruzione (che falsa i rapporti col pubblico e tra privati e va contro il libero mercato). Da questo punto di vista qualcosa è stato fatto contro i piccoli evasori, con i blitz e con i limiti del contante a 1000 euro (ma Report ha spiegato che si potrebbe fare di più). Ma le leggi sono quelle di prima e in Parlamento, a legiferare sono gli stessi di prima. Quelli che “senza soldi ai partiti sarebbe drammatica”, quelli di Ruby nipote di Mubarak, quelli che serve meno stato e più privato.
In un paese dove 1 pensionato su 3 vive con meno di 500 euro, poi scopri della proposta di togliere il reato di elusione fiscale, dell'onorabilità dei dirigenti non retroattiva e della legge salva Francesco Corallo, sui proprietari delle concessioni( pubbliche) per le slot machine (anche i figli di mafiosi possono ora essere concessionari, dopo un emendamento del governo).
Ecco, tutto questo non depone molto circa la coerenza e la onorabilità di questo governo.
E la crescita? Al momento rimettiamo le mani nell'Europa (ma varrebbero i discorsi di prima sui piccoli interventi nel territorio), e sulla libertà di licenziare.

Con buona pace di quelli che attaccano Grillo e i qualunquisti.

26 aprile 2012

Rigore crescita e antipolitica


Il costo del lavoro più basso (fonte Eurostat)
I salati più bassi dell'Europa (fonte Ocse)
Nel contempo la tassazione più alta, un welfare che verrà ridotto in previsione di un'età lavorativa più lunga.


Di questo dovremmo parlare: cioè in che modo il rigore produrra crescita, ovvero posti di lavoro e occupazione.
Tutto il resto sono chiacchiere: qualunquismo, antipolitica etc etc ..
Roba che va bene giusto il tempo dell'ennesimo monito. Che di fronte alla realtà dei fatti crea più fastidio che altro.
E' democrazia vedere questo sperpero del denaro pubblico, cioè nostro?

25 aprile 2012

25 aprile oggi

La Repubblica di Salò era in nord Italia e i repubblichini erano l'esercito di questo stato fantoccio (nelle mani del regime nazista), impegnati per lo più nei rastrellamenti e nella caccia agli ebrei.

Ha ancora senso festeggiare e ricordare il 25 aprile e la festa di Liberazione, anzi dopo tutti questi anni, 
forse  il senso si rafforza. 
Così possiamo ricordare a tutti che questa Democrazia e questo Stato, che permette a tutti di esprimere una opinione a prescindere dalle idee politiche, sesso, religione, è nato con l'antifascismo e la Resistenza (di tutti i colori), con la lotta di liberazione portata avanti dagli Alleati, dai militari del regno del Sud, ma anche dai partigiani. Sia quelli che salirono in montagna, sia quelli che boicottarono a loro spese il regime nazifascista nelle città, nelle fabbriche, nelle parrocchie.

Non si può chiedere la pacificazione, con chi non si riconosce nei valori dell'antifascismo e della Resistenza.
Così come non si può scendere a patti con la mafia o con chi delinque.
E nemmeno si possono mettere sullo stesso piano le morti di una parte e dell'altra: "il più onesto, il più idealista, il più dolce dei repubblichini si batteva per una causa sbagliata, la dittatura. Il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, si batteva per una causa giusta, la democrazia". Sono parole di Italo Calvino riprese da Franco Giustolisi nel suo libro "L'armadio della vergogna".

Buon 25 aprile a tutti!

La dinastia dei Brueghel a Villa Olmo

Andare per mostre è anche questo un modo per festeggiare la festa della Liberazione, poiché arte e cultura sono sempre state all'opposto delle dittature e delle tirannie.



A Villa Olmo, alla mostra organizzata dall'assessorato alla Cultura del comune di Como, quest'anno è il turno della famiglia Brueghel, la dinastia fiamminga che, tra il 1500 e il 1600 ha raccontato i paesaggi, i villaggi, la vita e la natura di quelle regioni dei Paesi Bassi.


Danza nuziale all'aperto / The Outdoor Wedding Dance (1610 circa) @ Pieter Brueghel il Giovane (immagine presa qui). 
I sette peccati capitali (1500 circa) @ Hieronymus Bosh.


Natura morta con fiori (1675 circa) @ Jan Pieter Brueghel. 

Un consiglio, partite presto, alla mattina, per evitare le code all'ingresso.

24 aprile 2012

Il mediatore con la mafia


Il senatore Marcello Dell'Utri è stato il «mediatore» dell'accordo protettivo per il quale Berlusconi, in «posizione di vittima», pagò alla mafia «cospicue somme» per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari. Lo ha scritto la Corte di cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha annullato con rinvio la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa al politico palermitano.
E ancora:
secondo la Cassazione i giudici della Corte d'appello di Palermo hanno valutato in maniera «corretta» le «convergenti dichiarazioni» di più collaboratori sul tema «dell'assunzione, per il tramite di Dell'Utri» dello stalliere Vittorio Mangano «ad Arcore, come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra». Viene ritenuta provata anche la «non gratuità dell'accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore della mafia». Ancora, si legge, che l'ingaggio di Mangano «indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti, è stato congruamente delineato dai giudici di merito come indicativo, senza possibilità di valide alternative, di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri che, di quella assunzione, è stato l'artefice grazie anche all'impegno specifico profuso da Cinà». [corriere online]



Parliamo di Marcello Dell'Utri, senatore della repubblica, e di Silvio Berlusconi, ex presidente del Consiglio nonchè presidente del Pdl (e sempre in senato, c'è il presidente Schifani indagato per concorso esterno).
Non ho altre parole da aggiungere.

Un altra Europa un altra Italia


Il crollo nei mercati, la vittoria degli euroscettici (in Francia), lo spread che risale (e qualcuno chiederà altra liquidità), l'elettorato che si divide in chi non vota (e non solo in Italia) e chi invece si sposta sempre più a destra (via gli immigrati, i gay, i diversi).
Quello che sta succedendo oggi non è solo causa del voto in Francia e della crisi del governo di centrodestra (più destra che centro forse) olandese.
Sapevamo che doveva finire così.

A chi serve un'Europa così? Che impone vincoli (come quello del pareggio di bilancio) senza dare nulla in cambio alle persone. Taglio pensione, taglio welfare, delocalizzazioni ..
E a cosa servono poi i governi che dietro la linea europa si riparano, quelli che “ce lo chiede l'Europa”.
In una intervista a Radio popolare il sottosegretario Polillo questa mattina commentava l'operato del suo governo dicendo “abbiamo fatto quello che potevamo”.
Ecco, se è così, allora è meglio che se ne vadano a casa, per essere sostituiti da un governo di eletti.
E allora vedremo se hanno ragione i sondaggi quando parlano della popolarità di Monti e del governissimo.

I mercati, forse, hanno bocciato questa linea economica dell'Europa e dei paesi di solo rigore e niente crescita.
Ma sono le persone che chiedono un altra Europa, un altro tipo di politica e di economia: gli Stati Uniti pagano le aziende americane affinchè rientrino a produrre negli Usa. Noi festeggiamo la Fiat che sbarca in Cina.
E lasciamo che Audi sicompri la Ducati (ma non era l'articolo 18 che bloccava gli investimenti stranieri?).
Andiamo a dire ai giovani che se ne devono andare (loro, non quelli che hanno creato il debito pubblico o che hanno applicato le ricette fallimentari del neoliberismo) perchè in Italia non c'è più spazio o opportunità.
Al salone del mobile a Milano tutti i politici hanno usato la manifestazione per elogiare l'Italia che funziona. Ma lo sanno i signori ministri che qui in Brianza le aziende del mobile chiudono, e che stanno in piedi solo grazie all'export?
Dobbiamo cambiare, prima che il vento dell'estrema destra spazzi via tutto, come già successo nella vecchia Europa. Altro che antipolitica.

La camera azzurra di Georges Simenon


L'incipit:

«Ti ho fatto male?».
«No».
«Ce l'hai con me?»
«No».
Era vero. In quel momento tutto era vero, perchè viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire. E non solo tutto era vero, ma era anche reale: lui, la camera, Andrée ancora distesa sul letto sfatto, nuda …




Una storia di amore extraconiugale, nella piccola provincia francese: una storia che nasce quasi per caso, che porta con sè un furore quasi animalesco tra i due protagonisti, Tony e Adrée, che arrivano a costruirsi un loro mondo dentro la camera azzurra dove consumano i loro rapporti. Un loro mondo che è in realtà un non mondo, estraneo alla realtà.

Ma a poco a poco, da tradimenti e camere d'albergo, dal racconto emerge una storia di piccole infelicità familiari, di rapporti superficiali, di amore piccolo borghese: Tony che ama fare sesso con Andrée, ma non abbandonerebbe mai sua moglie e sua figlia, perchè quello è il mondo a cui ama tornare la sera. Nonostante con loro non abbia slanci affettivi, nonostante non riesca nemmeno a dire alla moglie quanto la ami.
Tony che desidera Andrée, ma che si immagina di passare la sua vecchiaia con Gisele.
Tony che non sa (e non vuole) rispondere alla domanda di Andrée, anche lei sposata, che gli chiede se vivrebbe con lui per il resto della sua vita: 
“Se io mi ritrovassi libera...faresti in modo di renderti libero anche tu?” 

Come in altri suoi romanzi, Simenon scava nella psicologia dei personaggi, lasciando da parte tutto il resto: pochi e scarni personaggi, un'azione che si svolge per lo più al chiuso, nella camera azzura, o nel palazzo della Giustizia. Quasi subito la storia di tradimento si trasforma in un dramma giudiziario, quando i due vengono accusati della morte dei rispettivi coniugi. Troppo tardi, Tony si accorgerà che il mondo della camera azzura ha travolto la placida serenità del suo mondo esterno. Ma continuerà a ripercorrere nei ricordi quelle scene nella camera azzurra, subendo passivamente il dramma.

Ma, appunto, lui e Andrée erano solo due solo a letto, solo in quella camera azzurra che con una sorta di sfrenatezza – per usare le parole del giornalista – impregnavano del loro odore.
Non erano mai stati due in nessun altro posto, se non quando avevano fatto l'amore per la prima volta, fra l'erba alta e e le ortiche al margine del bosco di Sarelle.
«Se lei non l'amava, come spiega ..»
Che cosa intendevano per «amare»? Il professor Bigot - lui che pretendeva di restare su un piano scientifico – avrebbe saputo dare una spiegazione di quella parola? Avrebbe potuto dire in che modo sua figlia , che si era sposata da poco , amava il marito?
E il piccolo giudice Diem, con la sua aureola di capelli scarmigliati? La moglie gli aveva appena dato il primo figlio, e di certo gli capitava - come a tutti i giovani padri, e come era capitato anche a Tony – di doversi alzare la notte per dargli il biberon. Come l'amava, lui, la moglie?
Per rispondere, bisognava poter raccontare momenti che non si raccontano, momenti come quelli che Tony aveva vissuto alle Sables.

Non solo Tony non è stato capace di prendere una decisione sul suo rapporto con Andrée, subendo passivamente il corso degli eventi, ma non è nemmeno stato in grado di spiegare al giudice che lo interroga, o allo psicologo del carcere, il perchè delle sue parole nella camera dell'albergo, delle sue scelte o non scelte: 
“A che serviva tentare ancora di spiegarsi? Alla gente piace pensare che tutti agiscano sempre per una ragione precisa”.


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