Napoli, 1892
Poco alla volta, la città rivide la luce. Sembrava salva. Ancora una volta, ancora per un giorno. In un vicolo ai Ventaglieri, un bambinetto di nove o dieci anni si era affacciato alla finestra del basso in cui viveva con sua madre, richiamato dal metallico, rassicurante suono dei campanacci.
[..]
.. qualcosa attirò l’attenzione del bambino nel punto in cui la mandria s’era divisa: il corpo di un uomo dagli occhi spalancati, la nuca riversa in una pozza di sangue rappreso. “Peppì,” lo richiamò sua madre. “Vieni a fare colazione!”
Il titolo di questo romanzo molto interessante riprende il film di Rosi del 1963, Le mani sulla città: come nel film, protagonista sullo sfondo è Napoli, la povera gente (che è anche gente povera) costretta a vivere nei bassi e nei quartieri costruiti in malo modo, per soddisfare l'avidità dei costruttori, le loro "mani" sporche di sangue.
Questo romanzo è ambientato quasi un secolo prima, nel 1892, in una Napoli ancora provata dall'epidemia di colera che aveva provocato migliaia di vittime (se volete scoprire qualcosa, potete leggervi il bel libro di Diego Lama La collera di Napoli), specie tra quella fascia di popolazione costretta a vivere in precarie condizioni igieniche, famiglie costrette a vivere tutti assieme in stanzoni dove "il sole non batte mai", assieme agli animali domestici.
Famiglie dove ogni giorno è un giorno in più in quella battaglia, senza speranze di vittoria, contro la miseria, la fame, il rischio di una malattia. O di una coltellata.
E' la Napoli di cui aveva parlato la scrittrice e giornalista Matilde Serao nel suo celebre romanzo "Il ventre di Napoli": persone costrette a combattere la fame e la miseria facendo lavori usuranti, per poche lire, presi nel mezzo dal voto ai santi e alla Madonna, nella speranza di una vita migliore, e dall'altra malattia, pericolosa come il colera, la febbre del lotto:
Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l'acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l'acquavite di Napoli.
Matilde Serao è stata la prima, per anni l’unica, giornalista donna in Italia, prima col Corriere di Roma e poi col Corriere di Napoli. Con la liquidazione ottenuta vendendo le quote di questo giornale, Matilde Serao ha fondò assieme al marito, Edoardo Scarfoglio il quotidiano “Il Mattino”: ufficialmente sarebbe stato lui l’editore ma tutti sapevano che questo nuovo quotidiano liberale e moderno, è in realtà diretto da lei. Essere donna voleva dire anche questo in quell’Italia post unitaria: essere relegata al ruolo di madre, moglie e basta.
Al giornale, ’a signora disponeva ogni cosa. Nonostante Scarfoglio fosse il direttore ufficiale, secondo quanto previsto dalle leggi del Regno, era lei ad arrivare per prima in redazione e l’ultima ad andarsene di notte.
Nei suoi
articoli, ‘a signora, dovrebbe occuparsi solo di articoli di
costume e di moda, tenendosi alla larga dalla politica e dai casi di
cronaca. Ma Matilde Serao era una vera giornalista, attenta ad
osservare il mondo che le stava attorno e capace anche di
raccontarlo. Per questo decide di incontrare una sera, finita la
stampa del giornale, un uomo dal suo passato.
Si tratta di Carlo
Montanari, un “camarade” socialista, un sovversivo per il regno
borbonico, una persona da tenere d’occhio per i carabinieri del re.
Ma Carlo è stato anche amico di Matilde: la moglie l’aveva
accompagnata proprio in quei quartieri bui di Napoli, le aveva
mostrato quel “ventre” che poi aveva raccontato nel suo romanzo.
Carlo le racconta di
essere in possesso di informazioni importanti su “fatti inauditi,
anzi, inauditissimi”:
“Matildella, sei pronta a far scoppiare il più grande scandalo da quando esiste il Regno d’Italia?
O continuerai a scrivere soltanto mosconi per ammansire il popolo?”
Matilde si pulì gli angoli della bocca con il fazzoletto.
“Sono una giornalista,” disse. “Il mio mestiere è raccontare la verità, anche se a sostenerla è un socialista.”
Purtroppo all’incontro che si sarebbe dovuto tenere l’indomani, Carlo non si presenta.
Perché qualcuno lo ha ucciso: è suo quel corpo che viene ritrovato nel vicolo ai Ventaglieri di qui leggiamo nell’incipit. Ucciso e sventrato, come un animale, dalla gola all’inguine.
Un delitto maturato
all’interno del mondo dei militanti socialisti: questa è
l’opinione del capitano dei carabinieri Barbatello, l’eroe del
Cavone, così era stato chiamato per aver salvato la vita al
Re.
Tanto pronti a salvare le teste coronate, quanto ad
adoperare metodi spicci quando si dovevano sgomberare le case della
povera gente che la Società per il Risanamento, grazie alla
convenzione ottenuta dal comune di Napoli, doveva abbattere.
Abbattimenti per costruire case nuove, nella realtà una speculazione
fatta sulla pelle viva della città.
Matilde è consapevole che
la legge non si adopererà nel trovare il vero assassinio dell’amico:
all’ennesima provocazione dell’ufficiale, che le rinfaccia il suo
ruolo di donna, dunque non competente nel fare indagini su un
omicidio, meglio scrivere di storielle, gli risponde a tono, a modo
suo:
Matilde continuò: “Gli raccontiamo la storiella che il mondo, nonostante le brutte notizie che gli diamo da leggere ogni giorno, nonostante omicidi, miseria, corruzione, malattie, è tutto sommato un buon posto. Tenuto a bada da persone come voi, carabinieri leali e coraggiosi”.
Da qui parte l’inchiesta di Matilde Serao per cercare di capire chi possa aver ucciso l’amico, quali possano essere i “fatti inauditi” di cui intendeva metterla a conoscenza.
.. i finanziamenti avevano calamitato, come una cassa piena di pesce fresco attirava i gabbiani di Santa Lucia, imprenditori famelici, banchieri aguzzini e costruttori stranieri che col risanamento intendevano abbuffarsiQuesta indagine la porterà a scoprire un altro sventramento: quello fatto dai costruttori della Società per il Risanamento che avevano abbattuto interi pezzi di quartiere senza che questo avesse cambiato di nulla la vita dei napoletani. La convenzione per ricostruire Napoli dopo il colera, voluta da re Umberto dopo la sua visita a Napoli, aveva attirato solo sciacalli da tutto il regno, pronti ad arricchirsi.
La Belle Époque era una grande recita in cui il governo interpretava la parte dei salvatori e i napoletani quella dei salvati.
Esistevano due Napoli, quella della Bella Epoque, delle feste e delle cerimonie, “una grande recita in cui il governo interpretava la parte dei salvatori e i napoletani quella dei salvati”. Ma, dietro il sipario della recita, stava l’altra città, quella della gente senza luce ed acqua, costretta vivere in tuguri, costretta a mille fatiche per prendere pochi soldi, poi spesi nell’illusione di vincere qualcosa al lotto, quello legale del regno e quello illegale gestito dalla Camorra.
D’altronde, non era il lotto ufficiale un’acquavite somministrata a norma di legge? Non finiva il popolo a indebitarsi con gli usurai, anche se in mano stringeva biglietti certificati da un ufficiale del Regno?
La miopia della
giornalista diventa la giusta metafora per raccontare questa storia:
per riuscire a vedere bene le lettere, serve la lente giusta. Serve
sforzare gli occhi nel cercare i dettagli più piccoli. Ma poi va
alzato lo sguardo per cogliere la vista d’assieme e capire qual è
il quadro che si ha davanti.
La miopia degli occhi era soltanto un riflesso di quella che aveva nella testa, nel cuore e nelle dita. Come per il delitto Montanari. Da un lato si avvicinava ai dettagli dell’omicidio per coglierne le sfumature più impercettibili, dall’altro se ne allontanava per averne un’idea di insieme..Paradossalmente sarà proprio da un dettaglio legato alla miopia quello che le consentirà di trovare la traccia per arrivare all’uomo che sta dietro questo delitto, quello legato ai fatti inauditi: Matilde non potrà esimersi dallo scriverne sul suo giornale, per salvare il salvabile, per fermare quello sventramento della sua città, fatto con la carne e col sangue della povera gente che il potere aveva consentito per anni.
“No, che avete il cuore pesante. Non vi va mai bene niente! Come dobbiamo salvare questa nostra bella Napoli, se non accomodandoci un poco tra noi illuminati?”
“A me non sembra che stiamo salvando alcunché, tranne noi stessi.”
Spero che questo romanzo spinga i lettori a scoprire, o riscoprire, Matilde Serao, giornalista e scrittrice, che usava la scrittura e le parole come arma per la sua battaglia, quella per la verità, per informare le persone. Anche la povera gente.
La scheda del libro sul sito di Feltrinelli e l’anteprima del primo capitolo.
La presentazione del libro
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