L’ultimo giorno della sua vita, il venticinquenne Franco Rosai lo cominciò con un’imprecazione sommessa, rivolta alla tapparella rotta della stanza. La lama della prima luce del mattino si era insinuata tra le fessure sgangherate, conquistandosi lo spazio storto, allargandosi piano dal torace ampio fino al collo, arrampicandosi su una guancia e infine battendo sadica sulle palpebre.
Con questo romanzo,
il terzo della serie con protagonista il vicequestore Nigra, i due
autori Paola Ronco e Antonio Paolacci hanno raggiunto la piena
maturità confermandosi autori capaci, con uno stile ben definito e
confermando ancora una volta come il giallo possa essere uno
strumento per raccontare il nostro paese, reso ancor più fragile
dalle ultime emergenze.
In questo terzo romanzo un episodio
della cronaca passata fa da spunto per l’inizio di questo racconto:
mentre il vicequestore Nigra è in convalescenza a Torre del Greco
per incontrare i genitori di Rocco, due balordi a Genova sparano
dalla loro auto su dei ragazzi di colore fermi in piazza Commenda,
urlando insulti razziali.
L’aria ferma, alla Commenda, aveva il peso e l’odore degli eventi irrimediabili. Il sole ormai alto batteva senza pietà e toglieva il fiato, creando una cappa surriscaldata che inaspriva la rabbia e la amplificava in ondate furibonde.
Perché è ora di dire basta a questa invasione, li vedi questi qua, tutti ragazzi aitanti che vengono fatti arrivare da noi per prendere il nostro posto, un’invasione di persone che non vogliono integrarsi, sanno solo spacciare e chiedere diritti senza rispettare la legge. Spacciatori, ladri..
«Oggi lasciamo il segno» continuò Boiler, scandendo ogni sillaba.
«Questo qui è il primo giorno della nostra guerra. Ed è solo l’inizio. Pensi di essere pronto?»
Uno dei due uomini è un ragazzo giovane, desideroso di mettersi in mostra nei confronti dell’altro, Boiler si fa chiamare, uno che sa come stanno veramente le cose. Questi colpi di pistola scatenano subito il caos sui giornali, dentro le forze dell’ordine e hanno anche un’eco da parte del mondo della politica perché il ragazzo aveva frequentato quel gruppo di estrema destra, Corrente Sociale e si era fatto anche fotografare dal leader del Partito degli Italiani, Lorenzo Modesti. Un politico che ha basato la sua perenne campagna elettorale criminalizzando l’immigrazione, cavalcando le paure degli italiani, l’anima razzista dentro la brava gente che lavora e che mantiene con le loro tasse anche questi invasori
«.. Certe cose non succederebbero, se la gente non fosse esasperata da un’immigrazione selvaggia, ormai fuori controllo.»
Alla Mobile questa
sparatoria piomba addosso al gran capo Virdis a pochi giorni dalle
ferie sebbene per la natura dell’indagine il caso spetti alla
Digos. Ma all’improvviso, seguendo le tracce lasciate dagli
sparatori, spunta una pista che porta ad un vecchio caso di
Nigra.
Mentre il vicequestore fa conoscenza con i genitori di
Rocco, spunta un legame tra uno degli attentatori con un vecchio suo
caso, il suo primo delitto a Genova e anche il suo unico caso rimasto
insoluto. La morte di una giovane impiegata..
«Si chiamava Elisa Poluzzi. Era una donna di quarantadue anni, mai stata sposata, nessun legame sospetto, faceva una vita piuttosto solitaria e lavorava da oltre vent’anni presso quel commercialista.»
A casa di Rosai, questo il nome del ragazzo, viene trovata una lettera della Poluzzi e la pistola che ha sparato il proiettile che l’ha uccisa.
La tentata strage ha
da subito un risvolto positivo per gli investigatori: preso dal
rimorso, Rosai si è suicidato. Per la Digos, forse troppo ansiosa di
soffocare le tensioni che quel sangue ha suscitato tra gli immigrati
(e per non creare troppi problemi alla politica), il caso potrebbe
essere chiuso: due balordi, di cui uno morto, che hanno sparato a
delle persone.
Ma per Nigra non è così. Nonostante la ferita al braccio (leggetevi il precedente Il punto di vista di Dio), nonostante l’importanza di passare del tempo col suo compagno (non potendo nemmeno fare outing, per non metterlo in difficoltà per la sua notorietà in televisione), decide di tornare a Genova e prendere in mano le indagini.
C’è quel cold
case da chiudere, un delitto senza indizi, senza movente, senza alcun
appiglio che lo ha ossessionato per anni. E poi c’è quella tentata
strage, che dietro ha motivi razziali e la cui dinamica non lo
convince del tutto.
La dinamica degli spari, il piano per la
fuga, non può essere opera di Rosai, quel balordo senza arte né
parte. Ma cosa lega quello spacciatore, con idee di estrema destra,
con quella ragazza uccisa sei anni prima.
C’è poi una
testimone, una ragazzina del Bangladesh, ma nata a Genova dunque
molto più italiana di tanti, che ha visto in faccia il secondo uomo.
E che ora ha paura, nonostante Nayana sia una di quelle adolescenti
coraggiose, che vanno per la loro strada. Ma ora ha paura perché
quell’uomo, Boiler, la sta cercando.
Ci sono interi
passaggi di questo romanzo che andrebbero letti, stampati e
appiccicati sui muri, tanto sono profondi: il fascismo di questi anni
che non ha nulla a che vedere col folklore della camicia nera e del
fez ma riguarda qualcosa di profondo in noi italiani,
Il fascismo è un modo di pensare. È il tizio che pensa di essere più furbo e più degno di esistere degli altri e quindi più meritevole di comandare, e di decidere sulle vite altrui.
Ci sono i pregiudizi contro i diversi, le persone di colore che vengono da paesi lontani e che spesso riteniamo siano un problema senza considerare la ricchezza che si portano dietro con le loro culture. Persone costrette all’illegalità per colpa di legge pensate apposta per ostacolarne l’integrazione, per costringerli a rimanere dentro una zona grigia per sopravvivere, manovalanza gratis della criminalità.
«Quando sono arrivato qui, io volevo lavorare. Ho chiesto il permesso di soggiorno per poter lavorare. Ma mi hanno detto che dovevo lavorare per avere il permesso, ..»
E
poi ci sono i pregiudizi contro gli omosessuali: c’è un bellissimo
passaggio del libro dove si parla di questo, di come sia facile non
rendersi conto del peso che queste persone devono sopportare per non
poter manifestare liberamente il loro amore. In Italia, nel 2021, ci
sono state persone picchiate per strada per la sola colpa di essere
mano nella mano col loro fidanzato. O la fidanzata. In Italia si
etichettano le persone in un certo modo perché “ostentano” o
meno la loro personalità:
«E che ho detto?» rimase basito Ruggero Antonelli. «Che posso aver detto di così terribile?» «Hai detto che lui ti piaceva, perché è uno che non ostenta. Che poi per voi significa uno che non si vede che è ricchione.»
Infine c’è il tema della droga, che fa da collante, i filo nero, della storia: la droga che spacciano anche gli immigrati, quelli contro cui puntano il dito i politici come Modesti, i difensori della legge, dimenticandosi che quella droga arriva in Italia grazie alle organizzazioni criminali contro cui mai una certa politica, razzista e ipocrita, ha mai fatto una vera battaglia. I migranti, delle persone costrette a vivere per strada, da fastidio. L’odore dei soldi, molto meno.
Non dimentichiamoci mai che se questo è un romanzo, frutto della fantasia degli autori, il gesto di Traini, quei colpi di pistola esplosi a Macerata nel febbraio del 2018, sono reali.
Come reale è il razzismo che coviamo dentro, frutto di pregiudizi, di paura che i media alimentano contro i diversi, contro chi arriva da lontano.
La scheda del libro sul sito di Piemme Editore
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