Gli impegni si rispettano, ci mancherebbe. Anche quelli sottoscritti otto anni fa tra un governo e i vertici della Nato.
Ma se in mezzo c'è stato il Covid, la crisi, se in questi otto anni pochi tra i paesi della Nato hanno rispettato questo impegno di portare la spesa militare al 2%.
Impegno che non ha nulla a che vedere con la guerra in Ucraina, questa spesa non impatterà le nostre forze nei prossimi mesi e se la guerra dovesse andare oltre avremmo ben altri problemi (di cui ha parlato egregiamente Presadiretta lunedì sera).
Scrive Robecchi
Qualcuno – temerario – spiega che questo benedetto aumento delle spese militari non c’entra nulla con l’invasione russa dell’Ucraina, che se ne parla da tempo, che gli americani ce lo chiedono da anni, ed ora – vedi a volte le coincidenze – è venuto il momento. Per inciso, i dati Sipri (Stockholm International Peace Research Institute, uno degli osservatori più qualificati sul mercato degli armamenti) dicono che la Nato spende ogni anno circa 17 volte quello che spende la Russia, e anche togliendo le cifre spaventose degli Stati Uniti, calcolando soltanto le spese militari attuali di Italia, Francia, Germania e Regno Unito, si ha quasi il triplo della spesa militare russa. Pare che non basti.
A cosa servirà questa spesa? Da dove prenderemo questi 12-13 miliardi? Quale altra spesa taglieremo? Tutte domande a cui i tifosi del 2% non rispondono. Le armi servono, come la serva, per la nostra sicurezza. E poi ci saranno ricadute occupazionali, anche per l'industria civile (cosa falsa, come si è visto per il caccia F35 che verrà solo assemblato a Camerino).
Vorrei solo che i nostri rappresentanti rispettassero anche gli impegni presi con gli elettori, anche se si tratta di governi tecnici che avrebbero dovuto portarci fuori dalla crisi.
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