31 maggio 2020

Lo specchietto retrovisore



Il sindacato non deve guardare al lavoro attraverso lo specchio retrovisore – sono le parole del neopresidente di Confindustria Bonomi, oggi intervistato da Repubblica.
Intervista in cui denuncia l'arcaismo di parte del sindacato e la mancanza di visione industriale da parte del governo.

Pessimo la scelta del titolo che riprende un passaggio dell'intervista: “la politica fa peggio del virus.”
Migliaia di morti, famiglie che hanno perso i loro cari e non hanno nemmeno potuto dare loro un ultimo saluto, medici e infermieri (tra le categorie peggio trattate in questi anni) costrette ad un super lavoro.

Ecco: in questo momento in Italia si fa una discussione surreale sulle vacanze? Ma anche i concessionari dei lidi, i ristoratori, i commercianti nei luoghi del turismo come dovrebbero fare allora? Non sono imprenditori anche loro?

Sbagliato dare soldi a pioggia, i soldi non arrivano alle imprese (ma lì la colpa è anche di banche e regioni che hanno presentato in ritardo le domande per la cassa integrazione in deroga).
Bonomi, come tanti, oggi, sposa in pieno la visione di Visco, il governatore di quella banca d'Italia che non ha visto la crisi della banche popolari italiane (che pure sono costate ad imprese e contribuenti).

Fa autocritica, certo: non è più vero che piccolo è bello, essersi dimenticati del sud (ma Boccia non era campano?), non essersi accorti della crescita delle disuguaglianze.

Non una parola sulle morti sul lavoro, sul caporalato (come la recente storia di Uber Italy), sull'evasione fiscale, sulle imprese che non denunciano le pressioni della mafia (anche qui al nord).

Forse non guarderà dallo specchietto retrovisore, ma nemmeno Bonomi sta guardando tutti i problemi del paese.

30 maggio 2020

Il paese riparte. Ma dove va?

Che il 3 giugno si sarebbe aperto tutto (gli spostamenti tra le regioni) era un segreto di Pulcinella.
Ci sono le regioni che vogliono aprire e ci sono regioni che non ne vogliono sapere di rimanere chiuse.
Cosa succederà nel caso in cui scoppiassero nuovi focolai per Covid? Sicilia, Calabria, Campania, Puglia sono pronte? E se venissero create zone rosse, i turisti rimarrebbero lì bloccati?

Il turismo è fondamentale, specie per le regioni del sud, è un atteggiamento ai limiti della permalosità (come fa Sala) non fa bene a nessuno.
Ma mentre ci preoccupiamo di ombrelloni e di metri di distanza, ci sfugge che ancora non sappiamo come partirà la scuola.
Non sappiamo come si dovrà cambiare (perché deve cambiare) il sistema sanitario: dovremmo aver capito che questo sistema in mano alle regioni, dove i privati si prendono le ciliegie migliori (da rivedere l'inchiesta di Report di lunedì scorso) non va bene.

Tante cose sono da cambiare in questo paese: la tutela dei lavoratori invisibili (i rider di Uber ad esempio), dello spettacolo, dentro i luoghi di lavoro. Un piano di assunzioni per la scuola (gli insegnanti di sostegno che mancano) e nella sanità.

E dovremmo cambiare certe politiche estere molto discutibili: notizia di questi giorni la commessa di navi da guerra che ci ha ordinato l'Egitto di Al Sisi.
Certo sono soldi. Ma è lo stesso Egitto che non ha collaborato per la ricerca degli assassini di Giulio Regeni.

Non ci sono solo le guerre a bassa intensità in Italia, Fontana assolto a Bergamo perché può scaricare le responsabilità sul governo (i disastri della riforma del centrosinistra sul Titolo V della Costituzione), il calcio che riparte ..
Alzando la testa c'è la guerra di Trump contro Twitter, che fa ai social la stessa censura che rinfaccia alla Cina.
C'è la guerra dell'America razzista contro le persone di colore: le immagini dell'omicidio di George Floyd a Minneapolis non hanno bisogno di altre parole, dicono già tutto.

America First, ma l'America dei ricchi, bianchi, possibilmente repubblicani e con un'arma in casa.

Il paese riparte, le persone fino ad oggi hanno reagito in modo responsabile. Ma ad una maturità del paese fa da contrasto l'immaturità del dibattito, dei comportamenti dei nostri rappresentanti.

28 maggio 2020

Per non dimenticare

Uno dei casi del destino ha fatto sì che, nello stesso giorno, si ricordino sia una delle vittime del terrorismo rosso che le vittime del terrorismo nero.
Walter Tobagi, ucciso il 28 maggio 1980 a Milano da un commando di un gruppo della galassia del "partito armato" che, con quell'omicidio intendeva affermarsi agli occhi delle Brigate Rosse.
Walter Tobagi, steso laggiù, aveva 33 anni, ma a noi giovani cronisti da battaglia sembrava molto più vecchio, era una delle prime firme del Corriere, aveva un viso e un portamento antichi, vestiva abiti scuri e cravatta, come già ai tempi del liceo Parini, considerando quel vestire una forma di rispetto per sé e per gli altri, proprio come quando scriveva estraendo dal disordine insanguinato del terrorismo in corso, la limpidezza di una cronaca che non voleva mai stupire, ma raccontare, spiegando il baratro. Cosa che non era facile come dirlo, visto che in quegli anni furiosi almeno 90 gruppi armati inneggiavano alla rivoluzione, dietro la coda insanguinata delle Brigate Rosse, sparavano a magistrati, politici, giornalisti, convinti che il terrore avrebbe sfibrato la falsa democrazia borghese, aumentato la repressione, accelerato i tempi della battaglia. 
Dieci anni dopo ho conosciuto e parlato a lungo con il soldato di quella rivoluzione, il titolare di quel corpo ucciso nella pozzanghera. Si chiamava Marco Barbone, figlio di un alto dirigente della Rizzoli, faccia da ragazzo bene, riccioli neri, occhi senza fondo. Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa che lo avrebbe arrestato tre mesi dopo l’omicidio, lo aveva soprannominato “il piccolo dio” perché pentendosi aveva dettato, con la sua erre blesa, 150 nomi dei suoi compagni, confessato ferimenti, rapine, ricostruito l’organigramma di una trentina di gruppi armati, dalle Formazioni comuniste combattenti a Senza tregua, da Guerriglia rossa a Prima linea. Cioè quasi per intero l’apparato militare della lotta armata a Milano. E aveva spiegato le ragioni dell’omicidio Tobagi che aveva ideato e voluto, anche se ne parlava al plurale: “Volevamo fare una azione eclatante, salire nella gerarchia, accreditarci per entrare nelle Brigate Rosse”. 
[ Tobagi la preda dei figli di papà - Pino Corrias da Il Fatto Quotidiano]

E, sempre il 28 maggio ma del 1974, la strage fascista a Brescia, la bomba fatta scoppiare in piazza della Loggia durante un raduno dei sindacati che intendeva denunciare proprio il crescendo di atti di violenza da parte dei neofascisti.

Due storie diverse, che però fanno parte della nostra storia e che non dobbiamo dimenticare.
La storia del giornalista del Corriere, che voleva raccontare la realtà del tempo in cui viveva, compresa l'assurda guerra dichiarata da un gruppo minoritario contro magistrati, avvocati, giornalisti, dirigenti per far accendere la scintilla di quella rivoluzione che non sarebbe mai arrivata.

E la storia di un gruppo di persone che voleva cambiare il paese in senso democratico e che non accettava più le provocazioni fasciste, tutto il vecchiume dello Stato che ci portavamo dietro da troppo tempo: tra questi Manlio Milani, zio Manlio come lo ha chiamato nel suo bel libro Benedetta Tobagi (che è poi la figlia di Walter, un altro strano intreccio di questa storia) che alla strage di piazza della Loggia perse la moglie.

Tutte e due queste storie hanno avuto un risvolto giudiziario che, fino ad un certo punto, ha dato giustizia alle vittime.
La strage di Brescia, diversamente dalla sorella di Milano, ha dei colpevoli: i fascisti di Ordine Nuovo del gruppo veneto di Carlo Maria Maggi, con le solite complicità di organi dello stato, per esempio l'armiere di Ordine Nuovo che era anche una fonte del Sid, che dunque poteva sapere della bomba.
Tra il 1973 e il 1974, quando Ordine Nuovo viene messo fuori legge, l'area di cui parla Vinciguerra subisce un'ulteriore mutazione. La strage di Brescia matura in questo contesto, nel cuore di una destra radicale che indossa nuove maschere ma che ha sempre lo stesso scheletro. Una rete di ragazzi e di uomini ormai ben addestrati e pronti a tutto, perché non hanno davvero niente da perdere,e sono carichi di esplosivo fino ai denti.Hanno cominciato ad accumularlo fin dagli anni sessanta. Anfo, plastico, tritolo, gelignite, dinamite in pacchetti, cilindri, mattonelle, scaglie, granuli scuri, perle rosate, candelotti, trasportato in valigie, immagazzinato in santabarbare, garage, armadi, sottoscala, appartamenti, ristoranti, chili, quintali, tonnellate. Un fiume di esplosivo scorre per anni inosservato lungo la traccia pulsante di arterie nascoste che irrora tutto il paese, il vero granchio d'ombra, il più pericoloso.[Una stella incoronata di buio, Benedetta Tobagi Pagina 290 ]
Anche gli assassini di Walter Tobagi sono stati presi: il capo del gruppo XXVIII Marzo Marco Barbone, dopo essere stato arrestato, si pentì e raccontò ai carabinieri tutto l'organigramma delle cellule terroristiche di cui era a conoscenza e per questo fu salvato dalla condanna in processo.

Per non dimenticare: i nostri morti, la guerra asimmetrica combattuta contro il terrorismo, la nostra storia condizionata da fattori esterni.

Letture consigliate: 




27 maggio 2020

Una lettera per Sara, di Maurizio De Giovanni



La porta si aprì, e l’acchiappasogni emise la solita delicata melodia. La proprietaria l’aveva comprato durante un viaggio in Sudamerica quando era giovane, più o meno nel Cretaceo superiore, e ci teneva moltissimo; la ragazza invece lo trovava snervante.Non è che suonasse troppo spesso, a dire il vero. In una città che in cui la lettura non rientrava tra le esigenze primarie degli abitanti, una libreria antiquaria era un pessimo affare.

Una lettera per Sara è il terzo libro con protagonista Sara Morozzi, “mora”, ex agente di una squadra speciale dei servizi, super segreta, in cui ha potuto sviluppare le sue abilità nel carpire e intuire i pensieri delle persone, in base ai loro gesti, tic, espressioni.

Dopo aver lavorato per questa unità per anni, a fianco dell'amore della sua vita (per cui ha abbandonato un marito e un figlio), il suo capo Massimiliano che ha seguito fino all'ultimo respiro, Sara Morozzi si è abbandonata al suo tramonto.
Finché la vita non le ha dato nuovi spunti: la morte tragica del figlio abbandonato da piccolo, l'arrivo di un nipote (che si chiama Massimiliano) e di una giovane nuora, Viola, giornalista per passione, con una determinazione forte che l'ha tenuta in piedi nonostante la perdita del compagno.
Nei precedenti romanzi abbiamo visto all'opera questa forse improbabile squadra investigativa: Sara, non più al tramonto, Viola, il piccolo Massimiliano e l'ispettore Davide Pardo, forse il meno sveglio di questo improbabile gruppo investigativo, ma un uomo di cuore.

In questo nuovo capitolo troviamo tutti gli ingredienti che ci aspettiamo in un romanzo dello scrittore napoletano: un mistero che arriva dal passato, il peso dei ricordi delle persone che abbiamo amato, la miseria di chi vive nei quartieri e sembra essere condannato ad un certo destino e la ricchezza ostentata di chi vive nell'agio e nel lusso.

C'è una lettera al centro della storia, che viene trovata da una commessa dentro un libro vecchio di anni, una guida di Napoli del 1928: un libro che sembra stranamente importante, quasi una questione di vita o di morte, per quello strano vecchio entrato furtivo nella libreria.
Lei abbozzò un sorriso. «La lettera nella guida, quella in cui si parla del regalo da consegnare alla signora Maddalena. Verifichiamo sempre. E ho l’impressione che lei abbia perso qualcosa.»

Ma per capire l'importanza di quella lettera e chi sia quella commessa che vediamo salire sulla macchina di uno sconosciuto, dovremo aspettare la fine del libro
Perché questo è successo nel passato, tanti anni prima..

Nel mondo di oggi, l'ispettore Pardo incontra nel bar dove prende il suo caffè il suo ex capo, il vice commissario Fusco.
Perché ogni giorno, alle undici in punto, l’ispettore Davide Pardo prendeva il caffè. Ci teneva tanto a quel verbo. Lui prendeva il caffè, non lo beveva. La distinzione era fondamentale. Bere il caffè aveva il banale significato

Fusco è ora una persona irriconoscibile: magro, stanco, vestito in abiti lisi. Una malattia se lo sta portando via e ora, prima che sia tardi, deve chiedegli un favore. 
Deve aiutarlo ad incontrare un vecchio carcerato che sta a Poggioreale e che gli fatto sapere che vuole incontrarlo. Si tratta di un ex cancelliere del Tribunale, Antonino Lombardo, finito in carcere per una squallida storia di bustarelle e di processi aggiustati.
Chi è questo Antonino Lombardo? Perché quel nome fa emergere dalla memoria di Sara strani ricordi del passato?
L'istinto di Sara si mette in allarme, nella sua mente compare un'immagine, il suo capo, la persona che amato come mai amerà più, ferma in mezzo alla strada di fronte ad un uomo, che mormora quel nome, nel volto la paura.
Lo chiami “istinto”, ma è velocità. Ancora prima che elabori i dati, la tua mente li ha già collegati. È velocità, sì, insieme a un ingrediente speciale che io non sono in grado di indovinare, come nel nostro gioco con i piatti..

Ora, dopo anni di carcere, anche Lombardo sta morendo per un brutto male. A fargli compagnia, solo un ragazzo che lo va a trovare: un ragazzo dai capelli scuri, che un po' gli assomiglia.
Un ragazzo che va a visitare anche una donna, non in un carcere ma in un ospedale. Anche lei alle prese con una malattia, di quelle degenerative, che ti portano via un pezzo di vita un giorno dopo l'altro.
Il ragazzo, che poi conosceremo col suo nome, Manuel, l'ex cancelliere corrotto Antonino e la donna, una ex collaboratrice di una casa per giovani in difficoltà che si chiama Carla.

De Giovanni porta il lettore a leggere la storia su due binari: nel primo, seguiamo il racconto che Fusco fa a Sara e a Davide. La scomparsa della sorella tanti anni prima a Napoli, studentessa universitaria. Le indagini fatte quasi in solitaria, senza troppi aiuti nemmeno dai superiori:
L’ex poliziotto tornò a guardare Sara negli occhi. «Il 14 maggio 1990 una ragazza di vent’anni, che lavorava in una libreria antiquaria in città, è uscita dal negozio e non è mai tornata a casa. Si chiamava Ada ed era mia sorella.»

Un'indagine che è stata la sua condanna per tutta la vita, quando il cadavere di Ada fu scoperto in piena campagna fuori Napoli. Forse questo Antonino, che lo aveva cercato, avrebbe potuto aiutarlo, dicendogli qualcosa sulla scomparsa della sorella.

Ma quel nome, Antonino Lombardo, dice qualcosa anche a Sara: il volto preoccupato, quasi impaurito, di Massimiliano la tormenta. Quell'indagine, oltre che per aiutare l'ex poliziotto Fusco, serve anche a lei per capire chi fosse veramente l'uomo che ha amato per una vita.
C'è ancora qualche segreto da scoprire?

E poi c'è l'altro binario: quello di un ragazzo che al mondo ha solo un vecchio e una donna che ama, entrambi malati, certo. Il primo senza più tempo davanti, lei invece con poco tempo per vivere ancora, forse insieme a lui, essendogli stata madre, amica, amante.
Manuel Piscopo, però, non è uno di quelli che si piangono addosso, sa che per salvare la sua donna deve trovare i soldi, arrangiandosi come sa fare lui, col borseggio. Ma anche cercando vendere a qualcuno quel segreto che ancora oggi, dopo tanti anni, vale ancora tanto.

Una ragazza morta, un vecchio poliziotto consumato da un'indagine per dare giustizia alla sorella, una lettera misteriosa, un ragazzo senza nessuno alle spalle e con un flebile speranza davanti.
Un vecchio ricatto che affonda negli anni della lotta al terrorismo. E una lettera dal passato anche per Sara:
A Sara le ultime parole di Lombardo, riportate dalla voce pacata di Pasquale Esposito, erano sembrate una lettera. Una lettera indirizzata a lei.

Non siamo ancora ai livelli di Ricciardi, ma in questo romanzo abbiamo fatto un passo avanti: questa improbabile squadra investigativa è cresciuta e, forse, nel futuro vedremo anche un nuovo ingresso.
Non è finita qui, la storia di Sara, di Viola e di Davide.

PS: il riferimento a Graziella Campagna ha un suo significato, non è casuale
La scheda del libro sul sito di Rizzoli, il pdf del primo capitolo.
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

26 maggio 2020

Report – l'affaire Covid


Questi gli argomenti trattati dai servizi della puntata di ieri di Report:

- Un viaggio nella sanità privata, in varie regioni d'Italia.
- Un'importante inchiesta sulle sigarette non a combustione.
- Come sono stati spesi i 400 ml erogati per i comuni, per aiutare le famiglie in difficoltà dall'emergenza coronavirus.

Solidarietà limitata di Bernardo Iovene

IL servizio di Iovene si è occupato di questi fondi, raccontando quanto fatto a Bologna (l'amministrazione ha integrato i fondi con fondi propri) e poi a Ferrara.
Il comune (gestito dalla Lega) qui ha detto “prima gli italiani”, escludendo coloro hanno un permesso di soggiorno breve, andando a scontentare anche parte dei suoi cittadini, oltre che l'opposizione.
Iovene ha raccolto la testimonianza di don Bedin, che gestisce una mensa che aiutata tutti i bisognosi: “non li ho visti mai al rosario i leghisti” ..
Il sindaco leghista ha disdetto l'intervista a Report che ha invece raccolto il punto di vista dell'opposizione: altri comuni anche leghisti non hanno fatto le scelte fatte a Ferrara.
L'assessore alle politiche sociali del comune non vuol sentir parlare di discriminazione: “è una scelta politica per questa direzione, dare risposte al territorio”.

Varie organizzazioni hanno fatto ricorso, vincendolo e così il comune ha dovuto riformare la legge: il sindaco Fabbri rivendica le sue scelte, ma a fine aprile i buoni spesa sono stati dati anche a persone con permesso di soggiorno breve, senza dover rinunciare ad aiutare nessun “italiano”.

A Bologna gli aiuti sono arrivati anche a chi ha redditi “alti”, anche ai non residenti, perché la pandemia ha colpito tutti, senza discrezionalità.

L'affaire Covid di Paolo Mondani, Giorgio Mottola

Si parte dal video dell'onorevole Ricciardi, del m5s, che ha attaccato il modello sanitario lombardo: la seduta è finita a stracci in faccia, suscitando pesanti polemiche politiche.
Erano accuse dirette ad un partito, alla sua gestione politica della sanità: la Lega e la sanità.
Solo polemiche politiche? Forse è il momento di fare una riflessione, partendo dai giorni della crisi per il Covid, quando i posti per la rianimazione erano esauriti.
I giorni in cui Fedez e la moglie raccolgono soldi per aiutare la sanità lombarda: all'appello di Fedez e Ferragli rispondono in tanti, raccogliendo molti ml di euro.

La nostra prima scelta era di donare tutto al Sacco perché dalle comunicazioni che ci arrivavano sembrava l'ospedale lombardo e milanese più in prima linea in quel momento.”

Fedez contatta il virologo Galli, da cui ha ricevuto una risposta precisa: servivano braccia, medici, non soldi.

Quindi scrivo un messaggio la domenica a Galli, dove lo sollecito, legge il messaggio ma purtroppo non mi risponde.. perché penso sarà stato preso dall'emergenza. E non mi ha mai più risposto.”

Così l'ospedale Sacco perde i 4ml di euro raccolti (che pure ha ricevuto diverse donazioni), che arrivano al San Raffaele, di cui conosceva il presidente: in mezz'ora il San Raffaele riceve 4,5ml di euro, per un nuovo padiglione che, si auspica Fedez, sia usato per la collettività.

Fedez ha ricevuto anche una chiamata da Elon Musk: voleva donare decine di ventilatori all'Italia. Ma il cantante ha trovato difficoltà nel ricevere delle risposte dalle strutture pubbliche, strozzate dalla burocrazia.

Mancavano medici e infermieri, al Sacco: lo sapeva Galli e lo sapevano anche i politici lombardi, perché in questi dieci anni hanno tagliato 42800 medici.
Cattiva politica sanitaria, come cattiva è stata la riforma del titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra per neutralizzare la Lega stessa.

In questi anni al nord, in Lombardia, si è preferito favorire la sanità privata, che si è scelta il business e ha anche avuto la possibilità di portarsi i dividendi all'estero.
Come anche c'è stato il business degli anziani, che le strutture private si prendono volentieri, basta pagare.

Il servizio di Mondani è partito da Roma, dal Fatebenefratelli (privato): l'ospedale oggi è in condizioni gravi, non sono stati testati i dipendenti dopo i primi casi di Covid, che ha contagiati sia medici che i manager.
Il Fatebefratelli è in concordato da 4 anni, non presenta un bilancio, riceve milioni dalla regione Lazio: è lo specchio della gestione privata in questa regione.
Dove si sono tagliati medici, posti letto, si è bloccato il turn over, perché a furia di spendere male i soldi per la sanità, la regione ha accumulato debiti.

Durante l'emergenza la regione ha creato posti Covid nelle strutture convenzionate, per salvare gli ospedali.

A questa situazione si è arrivati grazie a tutti i partiti che hanno governato in regione: qui (ma anche in Puglia) il signore delle cliniche private (ma anche delle RSA) è Antonio Angelucci: politico di Forza Italia, proprietario de Il Tempo, Libero e altri piccoli quotidiani locali, dalla regione Lazio incassa 111ml di euro l'anno per i suoi centri San Raffaele.
Ad aprile è scoppiato il problema Covid dentro la sua struttura di Rocca di Papa, su cui è aperta un'inchiesta della procura di Velletri, per le insufficienze nella sorveglianza sanitaria. La regione Lazio ha poi aperto la revoca dell'accreditamento.

Il San Raffaele di Velletri è stato messo a disposizione come centro Covid: qui Mondani ha incontrato Angelucci, l'ex portantino oggi a capo della più importante struttura privata in regione. Le sue finanziarie sono controllate da società con sede a Cipro e in Lussemburgo: lui di queste cose non sa nulla – racconta Angelucci.

Da 30 anni Angelucci detta legge in regione – racconta Ranucci – e oggi la regione Lazio è ancora nel piano di rientro, con code lunghe per esami normali, mentre i cittadini pagano supeticket, sono stati tagliati 3600 posti letto mentre sono cresciuti i privati.

Zingaretti anni fa ha chiamato alla sanità regionale Botti, l'ex manager di Formigoni e del San Raffaele: quando nel 2012 Formigoni è finito nell'inchiesta dei magistrati, Botti ammette di aver avuto pressioni per favorire i privati.
Ma nel 2013 passa in regione Lazio e poi nel ministero della sanità con la Lorenzin: lui stabilisce che livelli essenziali deve garantire la regione, quali soldi dare, quanto le regioni devono tagliare.

Anche in Lombardia i privati sono cresciuti a discapito del pubblico: il più importante gruppo privato, l'Humanitas, ha tra i manager Colombo, un memores domini come Formigoni.

I proprietari dell'Humanitas sono i fratelli Rocca, ottavi nella classifica degli uomini più ricchi d'Italia, un piede nella sanità privata e un altro nell'acciaio.
Il gruppo è a capo della Techint, proprietario di una delle acciaierie più grandi d'Europa, la Tenaris di Dalmine in provincia di Bergamo: la fabbrica è rimasta aperta anche durante il blocco totale per il coronavirus.
“Obiettivo finale è produrre, la salute diventa un obiettivo secondario nella migliore delle ipotesi o un mezzo per arrivarci” racconta al giornalista un infermiere che lavora per la Humanitas.
Quali le condizioni di lavoro dentro l'Humanitas?
“Si lavora con organici ridotti, gli anni aumentano il personale già ridotto rimane lo stesso, quindi sono in un reparto, se servo in un altro devo andar nell'altro.. si lavora su più reparti”.
L'infermiere ha scelto di parlare a volto coperto, a nome di altri dieci dipendenti: per loro la carenza immediata di personale si traduce in turni massacranti.
“Quando uno fa la notte, è previsto che smonti alle 8 di mattina, riposi la giornata e riposi il giorno dopo, da noi non è così, quasi nella totalità dei casi. Smonti alle otto e riattacchi alle tredici del pomeriggio. Non c'è il giorno di riposo.”

In Humanitas a lavorare ci sono (secondo la denuncia dell'infermiere che ha preferito rimanere anonimo) anche molte false partite iva, trattate come se fossero dipendenti: queste partite iva, circa la metà in alcuni reparti,  sono quelle poi costrette a fare , senza riposi turni senza riposo (cosa smentita dall'azienda, che ha risposto a Report).

Il gruppo Humanitas è arrivato a fatturare lo scorso anno 1 miliardo di euro, entrate che dipendono in larga parte dai soldi pubblici elargiti dalla regione Lombardia e che rendono Humanitas il secondo gruppo privato più ricco della Lombardia.
I ricavi passano da 438ml consolidati nel 2009 ai 790 del 2016 e nel 2018 si arriva a 921: una crescita esponenziale – commenta questi dati Giangaetano Bellavia, l'esperto spesso consultato da Report – nel momento della crisi più nera del sistema industriale italiano.
Humanitas è riuscita a crescere anche rispetto alle altre attività finanziarie dei Rocca: l'altra società, la Techint, che raggruppa le acciaierie e le attività industriali della famiglia è passato dal guadagnare 104 ml di euro di utili nel 2009 a perderne 33 nel 2019.
Le perdite dei Rocca sono state ampiamente ripianate dagli ospedali.

Crescono i ricavi e anche la liquidità, circa mezzo miliardi di euro liquidi, oltre agli azionisti: capire chi prende questi soldi è difficile, perché la catena di comando è complessa e porta in Lussemburgo e in Olanda.
I guadagni dell'Humanitas finiscono in Olanda, dunque, nell'anonimato perfetto e con una tassazione zero sui dividendi.
In Olanda c'è un premier Rutte che però è molto restio nell'aiutare i paesi del sud Europa: nemmeno un euro agli italiani!

Cosa ne pensa Fontana?
Io penso a gestire la sanità in Lombardia, risponde il presidente di una regione dove il pubblico, anche quello di eccellenza, fa fatica a rimanere in pareggio, mentre Humanitas ha margini fino al 15%.
Non è solo questione di bravura: le prestazioni sanitarie sono pagate alla stessa maniera del pubblico, ma la differenza è che il privato si sceglie cosa gestire.
Il privato si sceglie le ciliegie migliori, il servizio che da migliore remunerazione migliore, quelle che rendono di più e che hanno costi bassi. Per esempio si prendono la cardiochirurgia ma non i pronto soccorsi.

Mario Riccio è primario all'ospedale pubblico di CasalMaggiore (Cremona): con Report usa la metafora della bistecca, che si mangia il privato, mentre l'osso viene lasciato al pubblico, che si rosicchia quel po' di carne che rimane.
In piena emergenza, quando sono iniziati a mancare i posti di terapia intensiva e i respiratori, il dottor Riccio ha dovuto fare delle scelte dolorose: “c'erano dei pazienti che sapevamo che non avrebbero risposto alla ventilazione, per condizioni cliniche, per anamnesi, per come erano arrivati. Ma quando mancano le risorse si applicano dei criteri, clinici, e l'abbiamo fatto.”
Vuol dire che il primario è stato costretto a scegliere chi intubare e chi no, in base alle maggiori aspettative di vita del paziente.
Mottola ha chiesto al primario quanto, questa emergenza, sia dipesa dal modello lombardo di sanità pubblica/privata convenzionata.
Il problema della Lombardia è che ha mostrato tutta la debolezza di questo gigante dai piedi di argilla, perché la regione ha dato una grossa fetta di sanità al convenzionato, che però non ha obblighi di rispondere in queste situazioni di urgenza. Nell'emergenza si è parlato di trasformare le sale operatorie in sale per terapia intensiva, quelle private non l'hanno fatto. Probabilmente perché il contratto con la Lombardia non lo prevede.”
Si sarebbero potute salvare più vite?
Se avessero accolto 5-6 pazienti ciascuna sarebbero quasi 300 posti.”

Il presidente Fontana, su questo punto, si è riservato di prendere una valutazione: “se qualcuno non ha voluto collaborare, valuteremo perché”.
Va aggiunto che in Lombardia i grandi gruppi privati, come Humanitas, hanno dato un grande contributo e per rivendicarlo pubblicamente hanno acquistato pagine sui giornali, dove compare anche il logo della regione.
Questa emergenza ha dato dimostrazione di come il rapporto pubblico privato funzioni” è stato il commento di Fontana che ha citato dei numeri (prendendoli dalla stessa pagina pubblicitaria pagata dai privati)
- 8620 letti in totale in strutture accreditate
- 4975 sono stati destinati all'emergenza Covid

La fonte del presidente Fontana sono presi dalla pagina pubblicitaria delle società private, con lo stessa della regione Lombardia.

I privati hanno scelto come intervenire, con la cessione del personale: solo dopo l'8 marzo la sanità privata entra completamente in campo, svuotando i reparti dei casi non Covid.
Humanitas ha continuato a fare prestazioni non urgenti fino all'8 marzo, racconta l'infermiere.
Che gli ospedali privati si sono mossi in ritardo rispetto a quelli pubblici, lo dicono i numeri: il 4 marzo quando c'erano già oltre mille ricoverati per Covid, e gli ospedali pubblici erano stracolmi di contagiati, il gruppo San Donato a Bergamo ospitava 40 ammalati Covid su quasi 295 posti letto del policlinico di San Pietro e 26 malati Covid su 319 posti nell'ospedale San Marco.

In Veneto la situazione è differente: la maggioranza degli ospedali è pubblica, i direttori generali hanno potuto gestire direttamente come gestire i posti letto senza sentire altri intelocutori.
Il Veneto ha scelto di mantenere il pubblico, in contro tendenza rispetto alla Lombardia: qui in Veneto siamo disposti a comprare, spiega Zaia, qui si curano tutti.
I privati non si scelgono le ciliegie migliori, non scelgono quali patologie curare, le schede ospedaliere sono date dalla regione.
E' la regione che decide cosa il privato deve fare: anche Fontana vorrebbe fare la stessa cosa, racconta a Mottola, un cambio di passo rispetto al passato.

Cambierà il direttore d'orchestra e forse cambierà la musica.
Vedremo se gli alleati di Fontana consentiranno questo cambiamento, se verrà rafforzata la sanità territoriale, se veramente sarà il pubblico a dettare i criteri ai gruppi privati.

Humanitas, il cui presidente è l'ex ministro Alfano, è sbarcata in Sicilia a Catania.
In Sicilia la regione gli ha riconosciuto le prestazioni per l'oncologia, mentre già è presente un importante polo oncologico pubblico, il Garibaldi.
Erano i tempi del governo Crocetta.

In questa regione, dice il giornalista di Report, l'Humanitas “è tutta politica” perché dentro domina la famiglia del deputato regionale Luca Sammartino, recordman di preferenze alle passate elezioni.
La madre è direttrice sanitaria, lo zio è amministratore delegato, lui è passato in pochi anni dal centrodestra ad Italia Viva di Renzi, ed è indagato per corruzione elettorale.
L'Humanitas ha insistito con la regione Sicilia per diventare centro Covid, per capire perché – continua il giornalista – partiamo dalle dialisi.
Qui in Sicilia abbiamo 117 centri di dialisi, 36 pubblici, 81 privati” – racconta l'ex DG dell'ospedale di Messina Michele Vullo “la cosa interessante è che in questi giorni è stata emanata una nota dall'assessorato in cui si dice che se dovessero esserci pazienti dializzati con Covid, questi vanno ricoverati nelle strutture pubbliche.
Ancora una volta c'è un meccanismo per cui tutti gli oneri sono a carico del pubblico, tutti i guadagni e i profitti a carico del privato. Ma la cosa interessante è un'altra: ad emanare la nota è la direzione dell'assessorato che è in mano al dottor La Rocca, la cui famiglia è titolare di una struttura privata di dialisi”.

Mondani ne ha chiesto conto all'assessore alla salute Ruggero Razza, della convenzione (da 3 ml di euro) e della nota: “tutte le decisioni che sono assunte sulla materia che riguarda l'interesse in conflitto sono decise con un decreto del presidente della regione che ne affida la responsabilità all'altro direttore generale”.
In Sicilia per fare un direttore generale ce ne vogliono due? No, racconta Report, le decisioni più importanti le prende sempre La Rocca: lo scorso marzo il direttore firma un accordo quadro con l'Aiop (l'associazione italiana di ospedalità privata) con cui si realizzeranno posti letto Covid per terapia subintensiva a 700 euro al giorno cadauno e in intensiva a 1100 euro al giorno.
Si prevede così di sfondare il budget annuale della regione, ed ecco perché Humanitas sarebbe felice di rientrare nel giro dei Covid Hospital.

In Sicilia non è cambiato nulla dai tempi in cui a dettare legge erano le logge a dettare legge, conclude Michele Vullo.
E non è cambiato nulla nemmeno dai tempi della corruzione, come racconta la storia dell'indagine che ha coinvolto l'ex responsabile per l'emergenza Covid Angelo Candela.

In Sicilia il confine tra politica e sanità privata è difficile da individuare, sono diversi i politici con un piede nella sanità. E nella sanità troviamo dentro anche la mafia.

In Sicilia è arrivato il Covid: Mondani ha raccontato la storia del polo cardiologico di Palermo, il Maria Eleonora Hospital, dove i casi di infezione sarebbero stati tenuti nascosti, barricando dentro operatori e medici, per proteggere l'immagine.

Oggi la regione è in ritardo per i tamponi sui medici, non si fanno i doppi tamponi per chi arriva da fuori regione, alla faccia delle tre T.

Cosa hanno fatto in Germania per avere solo un terzo dei morti italiani?
Hanno fatto tamponi a tappeto, investono in sanità il doppio di noi, in sanità assumono medici di famiglia e tecnici di laboratorio (noi ne abbiamo tagliato per 48mila unità), per controllare la popolazione.
Qui fanno anche i tamponi Drive-In, con un risultato in 48 ore.

In Germania gli ospedali privati non si scelgono la terapia più vantaggiosa, i privati che fanno utili devono investire in qualità (e nei pronto soccorsi), se fanno i furbi possono perdere la convenzione col pubblico.
E poi, la linea dell'emergenza è stata decisa a Berlino, i Lander hanno smesso di litigare tra loro, nessun Lander ha fatto la guerra allo Stato centrale.

Infine, in Germania il piano di gestione della pandemia è stato aggiornato in questi anni.

25 maggio 2020

Anticipazione di Report – chi ha guadagnato dal covid e il marketing sulle sigarette


A tre settimane dall'inizio dell'emergenza, possiamo iniziare a fare qualche bilancio sulla pandemia e della risposta che ha dato il paese.
Si può iniziare anche a chiedersi se qualcuno non ne abbia approfittato, all'interno della sanità privata, dalla Sicilia, al Lazio alla Lombardia: sarà il tema del servizio di Paolo Mondani e Giorgio Mottola che racconterà anche dove finiscono i soldi dati ai privati.

Poi un servizio dedicato alle sigarette elettroniche dove non c'è combustione di tabacco. Fanno meno danni di quelle tradizionali? Come mai godono di tassazione favorevole?

Nell'anteprima di Report ci si occuperà di arte contemporanea, un mondo fatto di gallerie, esposizioni ed eventi in mano agli esperti di marketing, dove non ci capisce bene dove finisca il marketing e dove inizi la vera arte.

Bernardo Iovene proseguirà la sua inchiesta (dopo il servizio della scorsa settimana dove si era occupato del data breach del sito dell'Inps) su come sono stati spesi i 400ml che il governo ha erogato ai comuni italiani per aiutare le famiglie in difficoltà, i nuclei familiari “più esposti agli effetti economici derivanti dall'emergenza epidemiologica da Covi-19”?

A Bologna sono arrivate 11mila domande ma ne aspettavano meno della metà e quindi, spiega l'assessore, assieme al sindaco hanno pensato di erogare altre risorse aggiuntive prendendo i soldi dal bilancio del comune (1,7ml di euro).
Report è andata a Ferrara, a visitare la mensa di Don Domenico Bedin: da anni dà risposte concrete al disagio sociale a chi è in difficoltà, offrendo vitto e alloggio. Ma alcuni dei frequentatori della mensa non possono accedere ai buoni spesa del comune: “non ne potranno usufruire perché non hanno il permesso di soggiorno, di lunga durata.”
Il comune di Ferrara ha inserito nei requisiti per richiedere il buono spesa l'obbligo della residenza e ha stabilito la priorità prima a chi ha la cittadinanza italiana o europea, e poi per ultimi gli extracomunitari, ma solo a quelli con un permesso di soggiorno.
“C'è questo prima gli italiani” - racconta il prete, “ma con il permesso breve si lavora e si pagano le tasse. Io non capisco proprio la logica che sta dietro. Questo coronavirus non ha fatto distinzioni né di razza né di religione, né di denaro, né di niente”.
“Lei è un prete” - ha chiesto Iovene, “il partito del sindaco è quello che a dire il rosario ..”
“Ma, non li ho visti in molti a dire il rosario, i leghisti ferraresi sono leghisti ma ferraresi..”
Questo criterio della spesa è un criterio razzista, conclude Don Bedin, “è un criterio razzista che fa ricordare certe anticipazioni degli anni '30.”

Solidarietà limitata di Bernardo Iovene
Con ordinanza della Protezione civile datata 29 marzo, il governo ha stanziato 400 milioni di euro per i comuni italiani per erogare buoni spesa in favore delle famiglie più bisognose. L’Anci ha fissato delle linee guida abbastanza generiche sull'uso dei buoni. Di fatto, ogni comune si è regolato un po’ come voleva. Il Comune di Ferrara ha inserito nei requisiti per chiedere il buono spesa l’obbligo della residenza, e ha dato priorità a chi ha la cittadinanza italiana o europea. Ultimi i cittadini extra-Ue, e solo con permesso di soggiorno di lungo periodo. Come se la sarà cavata chi è rimasto bloccato sul territorio comunale per il lockdown? E il Comune avrà speso per intero il fondo dello Stato?

Chi ci ha guadagnato dalla pandemia

All'interno del fascicolo aperto sulle morti all'interno delle Rsa compaiono pochi nomi ma importanti, questo ha detto pochi giorni fa la procura di Brescia.
Report riprende l'inchiesta andata in onda ad aprile, “La zona grigia”, partendo da dove questa terminava: la mancata istituzione della zona rossa, le responsabilità all'interno della regione, dei sindaci e le pressioni degli industriali locali.

Quanti soldi della sanità pubblica finiscono a quella privata? E in quali paradisi fiscali?
L'inchiesta non riguarderà solo la Lombardia: il servizio si occuperà di tutta la sanità, dalla Lombardia al Lazio e alla Sicilia.


In questa regione, dice il giornalista di Report, l'Humanitas (Holding della sanità privata) “è tutta politica” perché dentro domina la famiglia del deputato regionale Luca Sammartino, recordman di preferenze alle passate elezioni.
La madre è direttrice sanitaria, lo zio è amministratore delegato, lui è passato in pochi anni dal centrodestra ad Italia Viva di Renzi, ed è indagato per corruzione elettorale.
L'Humanitas ha insistito con la regione Sicilia per diventare centro Covid, per capire perché – continua il giornalista – partiamo dalle dialisi.
Qui in Sicilia abbiamo 117 centri di dialisi, 36 pubblici, 81 privati – racconta l'ex DG dell'ospedale di Messina Michele Vullo – la cosa interessante è che in questi giorni è stata emanata una nota dall'assessorato in cui si dice che se dovessero esserci pazienti dializzati con Covid, questi vanno ricoverati nelle strutture pubbliche.
Ancora una volta c'è un meccanismo per cui tutti gli oneri sono a carico del pubblico, tutti i guadagni e i profitti a carico del privato. Ma la cosa interessante è un'altra: ad emanare la nota è la direzione dell'assessorato che è in mano al dottor La Rocca, la cui famiglia è titolare di una struttura privata di dialisi.

Mondani ne ha chiesto conto all'assessore alla salute Ruggero Razza, della convenzione (da 3 ml di euro) e della nota: “tutte le decisioni che sono assunte sulla materia che riguarda l'interesse in conflitto sono decise con un decreto del presidente della regione che ne affida la responsabilità all'altro direttore generale”.
In Sicilia per fare un direttore generale ce ne vogliono due? No, racconta Report, le decisioni più importanti le prende sempre La Rocca: lo scorso marzo il direttore firma un accordo quadro con l'Aiop (l'associazione italiana di ospedalità privata) con cui si realizzeranno posti letto Covid per terapia subintensiva a 700 euro al giorno cadauno e in intensiva a 1100 euro al giorno.
Si prevede così di sfondare il budget annuale della regione, ed ecco perché Humanitas sarebbe felice di rientrare nel giro dei Covid Hospital.

Notizia di questi giorni è l'arresto del coordinatore per l'emergenza Covid in Sicilia, con l'accusa di corruzione: Angelo Candela aveva vissuto per anni sotto scorta dopo aver denunciato le tangenti nella sanità siciliana.
E' stato arrestato dalla GDF di Palermo, a seguito di un'inchiesta su gare per la sanità regionale, su cui pendeva la mazzetta del 5%: Candela è accusato di aver intascato una stecca da 260mila euro da un'azienda di manutenzione.

I proprietari dell'Humanitas sono i fratelli Rocca, ottavi nella classifica degli uomini più ricchi d'Italia, un piede nella sanità privata e un altro nell'acciaio.
Il gruppo è a capo della Techint, proprietario di una delle acciaierie più grandi d'Europa, la Tenaris di Dalmine in provincia di Bergamo: la fabbrica è rimasta aperta anche durante il blocco totale per il coronavirus.
“Obiettivo finale è produrre, la salute diventa un obiettivo secondario nella migliore delle ipotesi o un mezzo per arrivarci” racconta al giornalista un infermiere che lavora per la Humanitas.
Quali le condizioni di lavoro dentro l'Humanitas?
“Si lavora con organici ridotti, gli anni aumentano il personale già ridotto rimane lo stesso, quindi sono in un reparto, se servo in un altro devo andar nell'altro.. si lavora su più reparti”.
L'infermiere ha scelto di parlare a volto coperto, a nome di altri dieci dipendenti: per loro la carenza immediata di personale si traduce in turni massacranti.
“Quando uno fa la notte, è previsto che smonti alle 8 di mattina, riposi la giornata e riposi il giorno dopo, da noi non è così, quasi nella totalità dei casi. Smonti alle otto e riattacchi alle tredici del pomeriggio. Non c'è il giorno di riposo.”

Il gruppo Humanitas è arrivato a fatturare lo scorso anno 1 miliardo di euro, entrate che dipendono in larga parte dai soldi pubblici elargiti dalla regione Lombardia e che rendono Humanitas il secondo gruppo privato più ricco della Lombardia.
I ricavi passano da 438ml consolidati nel 2009 ai 790 del 2016 e nel 2018 si arriva a 921: una crescita esponenziale – commenta questi dati Giangaetano Bellavia, l'esperto spesso consultato da Report – nel momento della crisi più nera del sistema industriale italiano.
Humanitas è riuscita a crescere anche rispetto alle altre attività finanziarie dei Rocca: l'altra società, la Techint, che raggruppa le acciaierie e le attività industriali della famiglia è passato dal guadagnare 104 ml di euro di utili nel 2009 a perderne 33 nel 2019.
Le perdite dei Rocca sono state ampiamente ripianate dagli ospedali.
Soldi che poi finiscono all'estero, in particolare in Olanda: il presidente Fontana ha risposto che “i privati i soldi li spendono come vogliono”.
Anche gli ottanta milioni di euro di dividenti in dieci anni: “io penso a gestire la sanità della regione Lombardia”, commenta Fontana.
Ma sono i nostri soldi a finire in Olanda.

Giorgio Mottola ha seguito la situazione in Lombardia: qui gli ospedali privati si sono mossi in ritardo rispetto a quelli pubblici, lo dicono i numeri: il 4 marzo quando c'erano già oltre mille ricoverati per Covid, e gli ospedali pubblici erano stracolmi di contagiati, il gruppo San Donato a Bergamo ospitava 40 ammalati Covid su quasi 295 posti letto del policlinico di San Pietro e 26 malati Covid su 319 posti nell'ospedale San Marco.
Per far intervenire la sanità privata, a reggere il peso delle terapie intensive, è stato necessario chiederlo, con una delibera dell'8 marzo (della regione Lombardia, che ha bloccato le prestazioni non urgenti): a regime sono arrivati dopo, ma dal 23 abbiamo cominciato la collaborazione, ammette il presidente Fontana.
In Lombardia ha suscitato molte reazioni di critica anche il mega ospedale costruito in Fiera coi soldi raccolti dalle donazioni dei privati, come Fedez: Mottola ha chiesto al cantante come mai la scelta di quella donazione ad un privato.
La nostra prima scelta era di donare tutto al Sacco perché dalle comunicazioni che ci arrivavano sembrava l'ospedale lombardo e milanese più in prima linea in quel momento. Quindi scrivo un messaggio la domenica a Galli, dove lo sollecito, ma purtroppo non mi risponde.. perché penso sarà stato preso dall'emergenza. E non mi ha mai più risposto.”

Mario Riccio è primario all'ospedale pubblico di CasalMaggiore (Cremona): con Report usa la metafora della bistecca, che si mangia il privato, mentre l'osso viene lasciato al pubblico, che si rosicchia quel po' di carne che rimane.
In piena emergenza, quando sono iniziati a mancare i posti di terapia intensiva e i respiratori, il dottor Riccio ha dovuto fare delle scelte dolorose: “c'erano dei pazienti che sapevamo che non avrebbero risposto alla ventilazione, per condizioni cliniche, per anamnesi, per come erano arrivati. Ma quando mancano le risorse si applicano dei criteri, clinici, e l'abbiamo fatto.”
Vuol dire che il primario è stato costretto a scegliere chi intubare e chi no, in base alle maggiori aspettative di vita del paziente.
Mottola ha chiesto al primario quanto, questa emergenza, sia dipesa dal modello lombardo di sanità pubblica/privata convenzionata.
“Il problema della Lombardia è che ha mostrato tutta la debolezza di questo gigante dai piedi di argilla, perché la regione ha dato una grossa fetta di sanità al convenzionato, che però non ha obblighi di rispondere in queste situazioni di urgenza. Nell'emergenza si è parlato di trasformare le sale operatorie in sale per terapia intensiva, quelle private non l'hanno fatto. Probabilmente perché il contratto con la Lombardia non lo prevede.”
Si sarebbero potute salvare più vite?
“Se avessero accolto 5-6 pazienti ciascuna sarebbero quasi 300 posti.”

Il presidente Fontana, su questo punto, si è riservato di prendere una valutazione: “se qualcuno non ha voluto collaborare, valuteremo perché”.

Va aggiunto che in Lombardia i grandi gruppi privati, come Humanitas, hanno dato un grande contributo e per rivendicarlo pubblicamente hanno acquistato pagine sui giornali, dove compare anche il logo della regione.

“Questa emergenza ha dato dimostrazione di come il rapporto pubblico privato funzioni” è stato il commento di Fontana che ha citato dei numeri (prendendoli dalla stessa pagina pubblicitaria pagata dai privati)
- 8620 letti in totale in strutture accreditate
- 4975 sono stati destinati all'emergenza Covid

In sostanza, il messaggio che sta venendo fuori è che in Lombardia privato e pubblico sono sullo stesso piano, dove i privati possono prendere il marchio della regione e usarlo per farsi pubblicità.

Nel Lazio (e anche in Puglia) il signore delle cliniche private (ma anche delle RSA) è Antonio Angelucci: politico di Forza Italia, proprietario de Il Tempo, Libero e altri piccoli quotidiani locali, dalla regione Lazio incassa 111ml di euro l'anno per i suoi centri San Raffaele.
Ad aprile è scoppiato il problema Covid dentro la sua struttura di Rocca di Papa, su cui è aperta un'inchiesta della procura di Velletri, per le insufficienze nella sorveglianza sanitaria. La regione Lazio ha poi aperto la revoca dell'accreditamento.
Paolo Mondani ha intervistato Antonio Angelucci: “lei ha la sua controllante in Lussemburgo e perfino a Cipro, come mai?”
Non so di queste cose, non me ne occupo..

Angelucci va in Parlamento, ogni tanto, ma non va a votare, però sa di quale commissione fa parte, quella di Finanza.

La scheda del servizio: L'affaire Covid di Paolo Mondani, Giorgio Mottola
Quanto ha guadagnato con l’emergenza Covid-19 la sanità privata nel nostro paese? Nel Lazio gli ospedali accreditati mangiano oramai la fetta maggioritaria dei fondi stanziati dalla Regione per la sanità: ai privati infatti lo scorso anno è andato il 54 per cento delle risorse. E con il coronavirus si sono proposti per gestire l'emergenza. Come il gruppo Angelucci. Report ha intervistato in esclusiva il capo del gruppo sanitario privato, Antonio Angelucci, parlamentare di Forza Italia. In Lombardia invece l’inchiesta fa i conti in tasca ai principali gruppi privati, scoprendo che parte dei loro notevoli guadagni, senza essere tassata in Italia, finisce nei Paesi Bassi, dove il premier Mark Rutte è uno degli acerrimi nemici dell’Italia quando si parla di flessibilità sui conti. Il cantante e influencer Fedez rivela invece il retroscena inedito dietro alla donazione da 4 milioni e mezzo di euro fatta al San Raffaele di Milano.

Le sigarette a tabacco riscaldato

L'università di Stanford ha pubblicato un documento sulla strategia di marketing di Philip Morris per rendere popolare il suo prodotto “a tabacco riscaldato”: party, festival, design accattivante, il dossier si concentra su come sono stati usati i social e in particolar modo Instagram, usato dai più giovani.
“Queste aziende usano musicisti, modelle, attori per far vedere i loro prodotti” spiega Robert Jackler del gruppo di ricerca sulla pubblicità del tabacco di Stanford: “l'Italia sembra aver il numero più alto di non fumatori che usano Iqos, che possono diventare una rampa per creare dipendenza da nicotina, soprattutto per gli adolescenti”.
Chi ha pubblicizzato questi prodotti di Philip Morris E British American Tobacco è stata una influencer, Chiara Biasi, su FB nel 2018 regalava i codici per comprare gli Iqos a prezzi scontati.
LE aziende dovrebbero controllare che le sponsorizzazioni di influencer non arrivino a minorenni, che laddove siano invitati a promozioni sponsorizzate, queste siano ben indicate.
E' lecito fare pubblicità a questi prodotti, dell'industria del tabacco, in questo modo, sui social (dove sono presenti molti minorenni)?
E' la domanda che si pone Massimiliano Dona, Presidente dell'Unione Nazionale Consumatori, che ha presentato un atto di verifica all'autorità Antitrust, dove hanno denunciato queste pratiche scorrette.

La scheda del servizio: Segnali di fumo di Giulio Valesini in collaborazione di Elisa Bruno e Laura Nesi
Dopo anni di lotta al fumo e diminuzione dei fatturati da sigarette tradizionali, le grandi aziende del settore hanno lanciato prodotti alternativi, tra cui quelli a tabacco riscaldato: gli HTP. Si assume nicotina ma senza combustione. All'apparenza gli HTP dovrebbero essere meno rischiosi per la salute, ma una relazione dell'Istituto Superiore di Sanità di cui Report è in possesso lo smentisce. Eppure l'Iqos di Philip Morris e gli HTP delle altre aziende sono sottoposti a una tassazione molto più favorevole delle sigarette tradizionali. Chi lo ha deciso? Perché? Report, insieme ad altri dodici media internazionali coordinati dal Consorzio di giornalismo investigativo OCCRP nel progetto “Blowing Unsmoke”, lo racconterà, anche chiedendo conto a quei centri di ricerca che dicono di combattere il fumo ma sono finanziati dalle industrie del tabacco.

23 maggio 2020

Il sacrificio di Falcone, l'esigenza di verità

Una volta messo sull'altarino, una volta creata l'icona, poi diventa difficile riportare fatti e persone alla realtà.
Mi riferisco alla storia personale e professionale del giudice Giovanni Falcone di cui oggi ricorre l'anniversario della morte, a Capaci, l'attentatuni che lo uccise assieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della sua scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo .


C'è l'icona Falcone, il giudice che lottò contro la mafia, riservato, che non parlava con la stampa, che non seguiva la cultura del sospetto.
E poi c'è la storia vera di un magistrato che, in vita, subì ogni genere di accuse, perfino da ambienti dell'antimafia (penso alle accuse del sindaco Orlando): dalle lettere del corvo che lo accusavano di usare i pentiti per fare omicidi di stato alle accuse di disturbare la quiete pubblica per il suono delle sirene della scorta.

Falcone, che viveva sotto scorta sin dall'inizio degli anni '80, quanto entrò nell'Ufficio Istruzione a Palermo (ufficio poi cancellato dalla riforma penale del 1989) doveva guardarsi le spalle da Cosa Nostra e anche dai nemici all'interno dello Stato. Bocciato al ruolo di capo ufficio Istruzione, dopo Caponnetto, bocciata la sua candidatura al CSM, bocciato al ruolo di capo della Procura Nazionale Antimafia (da lui voluta quando fu chiamato al ministero della Giustizia da Martelli).

Falcone, con Borsellino, dovette rispondere di fronte al CSM per delle sue dichiarazioni alla stampa quando, dopo il maxi processo, il famoso pool antimafia fu smantellato.
Falcone che fu accusato, davanti a milioni di italiani, da un giovane democristiano Salvatore Cuffaro al Costanzo Show, di fare indagini solo per attaccare la Democrazia Cristiana.
Indagini politiche.

Il metodo Falcone, che poi era il metodo del Pool, inventato dal giudice Chinnici (e ripreso da quanto aveva fatto Caselli a Torino contro il terrorismo), aveva per la prima volta fotografato la mafia, le dato una struttura, aveva capito il suo modo di ragionare, di prendere delle decisioni.
Aveva messo assieme tanti episodi criminali che una volta venivano giudicati singolarmente, senza riuscire a comprenderli.

Anche grazie al contributo di pentiti come Buscetta, Contorno, Mannoia (l'ala perdente di Cosa nostra, distrutta dal golpe dei corleonesi di Riina e Provenzano) il pool di Palermo portò alla sbarra e alla condanna per ergastolo, decine di mafiosi importanti.

Non solo, aveva capito il gioco grande del potere, di come dietro molti dei delitti politici avvenuti in Sicilia e a Palermo dalla fine degli anni settanta (una scia di sangue unica in Italia e al mondo) non c'era solo Cosa nostra. Gladio, massoneria, il mondo finanziari e il mondo politico.
E quelle “menti raffinatissime”capaci di colpire l'immagine di un giudice scomodo, fargli arrivare certi messaggi: i cadaveri lasciati davanti alle caserme dei carabinieri come successo al prefetto Dalla Chiesa, le lettere del corvo, l'attentato fallito all'Addaura (che si era fatto da solo, scrissero i calunniatori).

Non c'erano solo personaggi singolari come Totò Riina, il congato Bagarella, Bernardo Provenzano.
Ce lo dicono i buchi neri rimasti, a 28 anni di distanza, sulla strage di Capaci (e sulle stragi successive, da quella di via D'Amelio a quelle in continente nel 1993).
Non può essere stata la mafia a lasciare quei pizzini vicino al cratere sull'autostrada con numeri che riportano al Sisde.
Non può essere stata la mafia ad entrare nel pc di Falcone (e nel suo palmare) a cancellare i dati.
Come non può essere stata la mafia ad inventarsi il depistaggio di Stato con Scarantino.

Ancora oggi mettere in discussione la verità ufficiale su Capaci (e sulla strage in cui morirono Borsellino e la sua scorta, e sulla trattativa non più “presunta”) è fonte di notevoli polemiche.
A Capaci è stata solo la mafia, lo Stato ha vinto la sua battaglia e oggi la mafia molto meno potente.
Una verità falsa che dopo tanti annidà solo fastidio (se non peggio, facendo sollevare brutti sospetti di non voler toccare certi argomenti ancora tabù, come il rapporto mafia politica e imprenditoria).

E' un dovere dello Stato fare giustizia sulla strage di Capaci, nonostante siano passati tutti questi anni. E' un dovere nei confronti delle vittime.
E' un dovere nei confronti del paese che non può più convivere con certi segreti, zone grigie.
Zone grigie che sopravvivono ancora oggi: ce lo dice la latitanza di Messina Denaro (iniziata in quel 1992), la sua rete di prestanome, tra cui l'imprenditore Nicastri (e i suoi rapporti con Arata Sr).