Le trame eversive nella
ricostruzione dei magistrati protagonisti delle inchieste (1969-1980)
Tra il 1969 e il 1980 l'Italia vive una stagione difficilissima. Sono gli anni della strategia della tensione, che vede susseguirsi centinaia e centinaia di attentati grandi e piccoli, di stragi purtroppo riuscite e di tante altre rimaste senza vittime solo grazie a un imprevisto, o per l'imperizia dei terroristi.Sono passati ormai cinquant’anni dal momento in cui quella drammatica stagione si è aperta. Ormai è giunto il momento di provare a capire cosa possiamo dire di sapere con certezza dopo così tanto tempo, quali sono le verità raggiunte e le piste che ancora si possono aprire. Questo è l'intento del libro.
Un libro per ricordare, un libro per
comprendere, un libro per tracciare le fila e cercare di fare ordine,
facendo parlare sulle stragi degli anni 1969-1980 alcuni magistrati
che su quei fatti hanno indagato.
Perché, a cinquant'anni dalla strage
di Piazza Fontana, non possiamo accettare che su questa parte della
nostra storia recente, cada l'oblio: occorre tener viva la memoria,
cancellare l'idea che quelle stragi siano solo misteri d'Italia di
cui non si può dire nulla.
Questo libro ha proprio questo fine: ci
racconta di queste stragi (piazza Fontana, piazza della Loggia,
Peteano, strage alla stazione di Bologna), dei mancati golpe (la Rosa
dei Venti, il golpe Borghese, il golpe di Edgardo Sogno) e per
ciascuna ci dice cosa è emerso dalle inchieste e i fatti provati. Le
responsabilità, i mandanti e chi, anche all'interno dello Stato,
sapeva e ha taciuto.
Chi scrive la storia, è stato osservato, per certi versi può essere paragonato a colui che compie un gesto simile a quello della sepoltura: da cioè pace alla memoria mentre ne rivitalizza il ricordo. Permette il sereno congedo dal passato per aprire una nuova pagina nella propria vita. Per parla di ciò che è avvenuto in Italia tra gli anni sessanta e settanta, è dunque arrivato il momento di passare dall'uso del condizionale all'uso dell'indicativo; dalle ipotesi a ciò che si sa per certo. In effetti le inchieste della magistratura si sono spinte molto più avanti di quanto l'opinione pubblica abbia percepito. Se non sempre sono riuscite a trovare le prive definitive per individuare i singoli colpevoli, hanno però identificato con precisione gli ambienti politici da cui la strategia eversiva è nata: i gruppi neofascisti e neonazisti, e in particolare Ordine Nuovo. Gruppi che hanno intrecciato la loro attività con settori dei Servizi segreti italiani e stranieri, delle forze armate, delle istituzioni, del mondo imprenditoriale e di organizzazioni a cavallo tra la dimensione nazionale e internazionale come la P2, nei suoi ulteriori oscuri intrecci con il mondo della criminalità organizzata.
Non è vero che non sappiamo niente,
che ormai sono passati troppi anni per scoprire la verità, che dalle
carte delle inchieste non è emerso nulla: nonostante molti processi
si siano conclusi senza condanne, conosciamo i nomi dei responsabili,
chi le ha pianificate e organizzate e di molte di queste, sappiamo
anche i perché.
Non solo: dal 2017 abbiamo una sentenza
definitiva che inchioda i fascisti veneti di Ordine Nuovo Maggi e
Digilio, per la strage di Piazza della Loggia.
Sappiamo anche delle complicità e dei
depistaggi di organi dello stato: l'armiere di Ordine Nuovo che era
pure informatore del SID, il nostro servizio segreto militare, il
quale non informò la magistratura né prima né dopo la strage di
Brescia.
Sappiamo che parte del depistaggio su
Piazza Fontana (la pista anarchica, i finti manifesti all'indomani
della bomba) partì dall'Ufficio Affari Riservati, il servizio
segreto del Viminale.
Sappiamo che Licio Gelli, venerabile
maestro della Loggia P2 assieme ad altri ufficiali del Sismi,
Belmonte e Musimeci, cercarono di inquinare le acque dopo la strage
di Bologna, per montare la fantomatica pista libanese, la pista
internazionale e distogliere l'attenzione dei magistrati dalla pista
fascista (i NAR Fioravanti, Mambro e Cavallini) e dai mandanti del
livello superiore.
Ma il saggio di Ventrone fa un passo
in più: tutti gli episodi vengono raccontati secondo un unico
filo, quello della strategia della tensione, rispondendo ad una serie
di domane: a chi giovarono quelle stragi? Qual era il loro fine, sia
dal punto di vista politico che ideologico, andando a raccontare
dell'aspetto economico dietro le bombe: chi finanziava i terroristi e
che tornaconto aveva?
Una delle difficoltà nel far luce sui cosiddetti misteri d'Italia – spesso per nulla misteriosi -, e che ne mantiene taluni ancora irrisolti, consiste nella nebbia colorata di ideologia che nasconde la sostanza. Troppe volte si è andati infatti alla ricerca della logica del terrorista piuttosto che verificare l'interesse economico retrostante.La domanda «perché si uccide?» va spesso tradotta nella domanda, «chi paga per uccidere?».
La spiegazione di alcuni fenomeni – il viscerale anticomunismo, le appartenenze massoniche, le deviazioni dei servizi, la potenza della mafia, lo sviluppo straordinario in Italia della criminalità nelle sue varie forme, la corruzione endemica – non può esaurirsi attraverso l'interpretazione storico-ideologica-sociologica: richiede una ricostruzione anche in chiave economico-finanziaria.
Non c'è stato un grande vecchio,
dietro queste stragi, ma una serie di interessi geopolitici nati al
di fuori dall'Italia che ne hanno condizionato la politica, il
progresso del paese, sin dal dopo guerra.
In gioco, in questa guerra combattuta
in modo non ortodosso, non c'era una frontiera da abbattere, un paese
da conquistare: c'era da mantenere un equilibrio politico a qualunque
costo, per il nostro paese e per i paesi dell'Europa occidentale.
Mantenere e consolidare il blocco di potere attorno alla Democrazia
Cristiana, come era stato deciso a seguito dell'incontro di Yalta,
impedendo l'avanzata delle forze di sinistra che ne avrebbero
potuto prendere il posto al governo. A qualunque costo ha voluto
dire anche usando i neo fascisti, i nemici di ieri per gli Americani,
per compiere quelle azioni sporche che qualsiasi organo anche
militare di un paese democratico non avrebbe potuto fare.
Il mondo nel 1945 era diviso in due
blocchi. Il blocco comunista e quello occidentale. A Washington il
presidente Truman iniziò ad emanare questa dottrina con le sue
direttive, sin dal 1948: da esse la nascita della Cia (l'agenzia
segreta che prese il posto dell'OSS di Wild Bill Donovan), Gladio e
l'intera struttura di Stay Behind, ufficialmente creata per gestire
un'eventuale guerriglia in caso di invasione delle truppe del patto
di Varsavia nei paesi occidentali. Struttura nata nel 1956, con un
accordo che nemmeno è passato dal Parlamento.
Struttura che di fatto era solo una
copertura per una seconda struttura occulta, con dentro militari e
civili, esponenti della galassia neofascista come gli ordinovisti
Freda e Ventura, come Maggi e Digilio.
Da questa dottrina, di guerra sporca,
di guerra non ortodossa, nasce il Field Manual del generaleWestmoreland, un manuale in cui si spiega dell'infiltrazione dei
partiti e dei gruppi della sinistra, operazioni sotto falsa bandiera,
screditare le sinistre.
L'influenza delle logge massoniche,
stanze di compensazione dove far incontrare interessi, spesso
criminali. Militari, mafiosi, banchieri, giornalisti, neofascisti.
Alla fine della seconda guerra
mondiale, molti fascisti furono salvati dalle condanne per crimini di
guerra (come Junio Valerio Boghese, comandante della X Mas) e
arruolati in questa guerra. A partire dai primi anni sessanta molte
formazioni neofasciste (Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale) furono
arruolate (dai nostri servizi, il Sifar, di fatto diventati una depandance di quelli americani) in questa moderna crociata contro il comunismo, attirate
con l'idea di un colpo di stato di tipo militare che non ci sarebbe
mai stato.
Si trattava, in realtà, di creare un clima di forte allarme in sede istituzionale e di acuta tensione sociale per spianare la strada e favorire il successo delle programmate operazioni di stabilizzazione, con il «ritorno al centrismo» delle forze politiche moderate e l'allontanamento di quelle di sinistra dall'area di governo. E' ben possibile che gli strateghi statunitensi, d'accordo con quelli italiani, abbiano fatto credere ai neofascisti la concreta evenienza di uno sbocco rivoluzionario, anche se non previsto, anzi escluso dai loro protocolli segreti.
Attraverso i capitoli del saggio, ci
viene raccontata la genesi e i perché della strategia della
tensione, la sua prima fase con le bombe di destra e i tentativi di
golpe, necessari per destabilizzare ma che, nell'idea dei pupari non
dovevano portare ad un vero regime: era sufficiente lanciare un
messaggio, il “tintinnar di sciabole” come ai tempi del Piano
Solo, per bloccare tentativi di governo troppo spostati a sinistra.
Lo spartiacque attorno al 1974, quando
le inchieste sulle piste nere portarono ai primi risultati, puntando
anche ai vertici del SID, l'andreottiano Miceli (pure iscritto alla
P2), che di fronte ai magistrati lanciò
una pesante allusione “d'ora in poi non sentirete più
parlare di terrorismo nero, ma solo di quegli altri”.
Gli altri, la
concorrenza, cioè il terrorismo rosso, le Brigate rosse che dal 1974
cambiarono la strategia, a colpi di pistola e non più con rapimenti.
Così come si racconta anche del potere
della loggia P2, del passaggio dalla strategia con le bombe, allo
svuotamento della democrazia un pezzo alla volta, come spiegato da
Gelli nel suo piano di rinascita democratico.
L'intenzione è dunque quella di svuotare il sistema costituzionale dall'interno attraverso operazioni occulte, che possono ben definirsi di golpismo strisciante.Ecco, ad esempio, come viene esplicitato il primo obiettivo del piano: «Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo politico-finanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi [di lire] sembra sufficiente a permettere a uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare posizioni chiave necessarie per il loro controllo»
Cambiano i mezzi, ma non l'obiettivo:
destabilizzare il paese, condizionarne la sua politica, cambiarne gli
assetti istituzionali, da una repubblica parlamentare ad una
presidenziale.
Avremmo potuto essere un paese diverso,
più moderno, non soffocato dalle ingerenze esterne, non inquinato
dal fango fascista, con le sue complicità in seno ai servizi, al
giornalismo, nell'esercito, nei servizi americani.
Eppure il paese ha resistito, la
democrazia, pur con mille difficoltà, ha retto l'urto:
Libero Mancuso, il magistrato che ha
seguito l'inchiesta per la bomba di Bologna ha detto: "ci
avete sconfitti, ma sappiamo chi siete".
Che suona come quel Io so, di Pasolini.
Ecco, ora possiamo dire io so, so i
nomi e ho anche le prove.
I capitoli del libro:
La storia contro il tempo e l'oblio –
Angelo Ventrone
La strategia della tensione e la strage
di piazza Fontana – Pietro Calogero
Il mancato golpe Borghese e la loggia
P2 – Pietro Calogero
Peteano 31 maggio 1972 – Pietro
Calogero
Questura di Milano 17 maggio 1973, via
Fatebenefratelli– Pietro Calogero
La rosa dei venti ottobre 1973 –
Pietro Tamburino
Piazza della Loggia 28 maggio 1974 –
Giampaolo Zorzi
Il treno Italicus 4 agosto 1974 –
Pietro Grassi
Il golpe bianco di Edgardo Sogno agosto
1974 – Giovanni Tamburino
Stazione di Bologna 2 agosto 1980 –
Vito Zincani
P2 e destra eversiva – Giuliano
Turone
La continuità del progetto stragista –
Claudio Nunziante
La scheda del libro sul sito di
Donzelli
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