28 ottobre 2019

Le inchieste di Report – la sicurezza dei farmaci, la fabbrica della paura e i colori del sale

Visto che Report fa informazione seria, non si occupa di Salvini solo prima delle elezioni, come maliziosamente hanno detto in tanti (sopo il servizio dedicato ai rapporti con gli oligarchi russi): anche questa sera uno dei servizi della puntata sarà dedicato al segretario della Lega e alla sua fabbrica della paura.

Il servizio principale però riguarderà le medicine che prendiamo e che spesso sono prodotte in paesi con meno controlli sulla sicurezza.

L'anteprima della puntata è, come di consueto, dedicata ad un tema legato alla vita quotidiana: ovvero il sale con cui condiamo i cibi che finiscono sulle nostre tavole.

Cinquanta sfumature di Sale di Chiara De Luca

Da una parte c'è l'OMS, secondo cui non dovremmo superare i 5 grammi di sale al giorno,dall'altra parte c'è chi lo produce o lo importa, che pubblicizza i sali colorati addirittura come benefici, vendendoli di conseguenza a prezzi maggiorati.
Enzo Spisni, docente di fisiologia della nutrizione a Bologna, racconta di come ci sia una volontà a far ppassare un certo messaggio sul sale, “il sale costa poco, se trovo il modo di venderlo a 50-60 volte il prezzo, faccio un bel business”.

Rosa, viola, nero, grigio: sono i colori dei nuovi tipi di sale che negli ultimi anni si sono diffusi sul mercato. Nell'immaginario collettivo hanno fama di essere salubri. Alcuni produttori e importatori infatti li pubblicizzano come ottimi per la salute e ricchissimi di oligoelementi. Report proverà a capire se sia giusto dare questo tipo di informazione, dal momento che l’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia un uso moderato del sale. Effettivamente le etichette che dovrebbero informare il consumatore non danno le giuste specifiche: qual è il punto di vista di chimici e nutrizionisti e quello di chi questi sali li immette sul mercato?


Le medicine come gli smartphone o come le magliette comprate a basso prezzo: oggi ci curiamo con medicine prodotte in paesi lontani dove il costo della produzione è molto basso (ma non il costo per il consumatore).
Ma il risparmio delle case farmaceutiche corrisponde anche ad un risparmio sulla qualità e sulla nostra sicurezza?
Giulio Valesini è andato in India, nel distretto di Hyderabad, un medicinale su dieci, tra quelli che arrivano da noi, è prodotto qui e gli effetti si vedono: le industrie farmaceutiche sversano le acque usate nella loro produzione, direttamente nel terremo, nei fiumi, che non sono più limpidi e dove invece si vedono le schiume degli scarti della lavorazione chimica.
Nel 2016 la Corte Suprema indiana ha ordinato alle industrie farmaceutiche di applicare politiche di produzione a “zero liquidi”: ufficialmente quegli impianti hanno il trattamento in loco per le acque reflue, racconta al giornalista Christopher Lubbert medico dell'ospedale di Lipsia – “ma molti non funzionano a dovere perché così si risparmia”.
Il giornalista è andato a vedere come si lavora dentro una di queste aziende del distretto, che produce semilavorati per conto di queste aziende farmaceutiche: da una parte raccontano che loro rispettano tutti gli standard di sicurezza che vengono loro dati, ma poi, di fronte all'evidenza di essere in un luogo poco sicuro, ammettono “se seguissimo standard più elevati i costi si moltiplicherebbero”


Così nelle acque trovi, oltre ai liquami fognari, anche antibiotici: campioni di acque e dei terreni sono stati fatti analizzare proprio all'ospedale di Lipsia, che ha trovato batteri farmaco resistenti ovunque.
Hyderabad oggi rischia di essere l'epicentro di un pericolo che può arrivare in tutto il mondo.

“Non voglio spaventarvi, ma ogni volta che c'è una nuova resistenza antibiotica in India, in Cina o in Italia, non rimane lì. I batteri che stanno creando problemi in Toscana (il batterio new Delhi scoperto a settembre), sono molti simili a quelli che abbiamo trovato a Hyderabad, la globalizzazione inversa ha trovato la sua strada per l'Italia” - spiega il professor Lubbert.

E cosa è successo in Toscana? Mentre nel paese si discuteva di immigrazione, tasse, evasori da mandare in galera o meno, in Toscana ci sono un centinaio di pazienti colonizzati dal batterio New Delhi, per cui non esiste ancora un antibiotico specifico.
Giulio Valesini ha intervistato il direttore dell'AIFA, Luca Li Bassi a cui ha chiesto se questo distretto farmaceutico indiano, con tutto il proliferare di batteri resistenti, sia sostenibile.
Assolutamente no, la risposta.
Non è ammissibile, tutto ciò: basterebbe che Aifa e gli altri enti regolatori chiedessero a queste aziende di produrre rispettando gli standard ambientali, altrimenti non esportate più in Europa.
“Secondo me questa è un'ottima proposta costruttiva e sarebbe bellissimo poterla implementare” - la risposta del direttore.

Sul Fatto Quotidiano, Virginia della Sala da un'anteprima del servizio:
Sull’opportunità di segnalare la provenienza dovrebbe decidere l’Ema, che però è finanziata all’80 percento proprio dall’industria farmaceutica. Le aziende, infatti, sostengono che Cina e India siano i posti migliori da cui rifornirsi, da lì arrivano anche i principi attivi dei medicinali generici. La filosofia dicono è andare dove costa meno ma solo se i produttori sono bravi e verificati secondo gli standard europei. Peccato che le ispezioni sono “pilotate” oppure rilevino macchinari arrugginiti e condizioni igieniche insufficienti senza però apparenti conseguenze.
Così si arriva in India dove c’è la fabbrica della Saraca, una di quelle che vende la ranitidina contaminata utilizzata anche per i farmaci in vendita in Italia. È al centro di un distretto farmaceutico a sud dell’India, uno dei più importanti al mondo con 170 impianti. Qui c’è anche Aurobindo, il gigante indiano fornitore dei generici, ma soprattutto ci sono le aziende che forniscono i prodotti intermedi necessari per scatenare le reazioni chimiche che poi portano al principio attivo. Le telecamere di Report mostrano solventi chimici, sporcizia, macchinari arrugginiti, reattori, barili diplastica. “Non sembra igienico”dice il giornalista. “Noi qui facciamo semilavorati e seguiamo i loro standard risponde il titolare . Se ne seguissimo di più alti, i costi si moltiplicherebbero e la gente comune non potrebbe permettersi farmaci a costo più basso”.

Cosa farà l'AIFA? E il ministero della salute?
Riusciranno ad imporsi alle aziende, alle multinazionali del farmaco?

La scheda del servizio: PRINCIPI CATTIVI di di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella in collaborazione di Simona Peluso e Alessia Pelagaggi
Quando pensiamo alla globalizzazione, immaginiamo scarpe da tennis fatte in Thailandia e smartphone prodotti in Corea. Ma anche le medicine che assumiamo ogni giorno sono prodotte in stabilimenti lontani e spesso privi di controlli stringenti. Così si possono offrire prezzi bassi ai pazienti e fare anche un buon margine di profitto. Ma a forza di tagliare i costi, in alcuni casi il farmaco può venir fuori contaminato da impurezze.
Come per numerosi lotti di Valsartan, medicinale contro la pressione alta, che le autorità europee del farmaco, compresa l’italiana Aifa, hanno ritirato negli scorsi mesi perché contenenti nitrosammine, cioè agenti potenzialmente cancerogeni. A produrre le medicine era una società cinese, la Zhejiang Huahai, che pur di produrre più velocemente ha immesso per anni sul mercato un prodotto dannoso. Report farà un viaggio a ritroso a partire da una compressa per vedere cosa c’è dietro la sua catena di produzione, fra inquinamento dell'ambiente, proliferazione di batteri antibioticoresistenti e sfruttamento di cavie umane per i test clinici.


Report e Giorgio Mottola tornano ad occuparsi dei rapporti tra leghisti e russi, della fabbrica delle fake news e dei profili falsi sui social con cui queste vengono diffuse (e questo non riguarda solo la Lega).
Su Repubblica trovate un'anteprima del servizio:

Se la settimana scorsa si parlò della ricerca di finanziamenti russi per alimentare la "macchina della paura”, stavolta la trasmissione racconta ideologia, strategie e anomalie del network sui social della destra internazionale. Ma sempre al denaro si tornerà, perché serve quello per foraggiare le inserzioni su Facebook: sempre più focalizzate — da parte di Salvini — per arrivare anche agli iscritti sul social tra i 13 e i 17 anni.

La scheda del servizio: LA MACCHINA DELLA PAURA di Giorgio Mottola in collaborazione di Norma Ferrara e Simona Peluso

Su internet la macchina della paura non dorme mai. Produce notizie false, manipola le informazioni e propaganda dati truccati. Oggi la disinformazione è diventata il principale strumento di lotta politica e il campo di battaglia sono i social network. Facebook e Youtube si sono trasformati nel principale megafono della propaganda neonazista, rilanciata ormai apertamente anche dai leader nazionali dei partiti di destra. I contenuti della macchina della paura diventano virali grazie a inserzioni a pagamento, reti di pagine farlocche e account automatizzati. Si chiamano bot e sui social simulano il comportamento umano per diffondere e amplificare la propaganda di un leader o di un partito. In Italia li usano tutti: politici, giornali e aziende private. Report ha intervistato in esclusiva, a volto scoperto, uno dei più importanti programmatori di bot che su Facebook e Twitter è riuscito a rendere virali i messaggi di uno dei partiti oggi al governo.

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