Il servizio principale però riguarderà
le medicine che prendiamo e che spesso sono prodotte in paesi con
meno controlli sulla sicurezza.
L'anteprima della puntata è, come di
consueto, dedicata ad un tema legato alla vita quotidiana: ovvero il
sale con cui condiamo i cibi che finiscono sulle nostre tavole.
Cinquanta
sfumature di Sale di Chiara De Luca
Da una parte c'è l'OMS, secondo cui
non dovremmo superare i 5 grammi di sale al giorno,dall'altra parte
c'è chi lo produce o lo importa, che pubblicizza i sali colorati
addirittura come benefici, vendendoli di conseguenza a prezzi
maggiorati.
Enzo Spisni, docente di fisiologia
della nutrizione a Bologna, racconta di come ci sia una volontà a
far ppassare un certo messaggio sul sale, “il sale costa poco, se
trovo il modo di venderlo a 50-60 volte il prezzo, faccio un bel
business”.
Rosa, viola, nero, grigio: sono i colori dei nuovi tipi di sale che negli ultimi anni si sono diffusi sul mercato. Nell'immaginario collettivo hanno fama di essere salubri. Alcuni produttori e importatori infatti li pubblicizzano come ottimi per la salute e ricchissimi di oligoelementi. Report proverà a capire se sia giusto dare questo tipo di informazione, dal momento che l’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia un uso moderato del sale. Effettivamente le etichette che dovrebbero informare il consumatore non danno le giuste specifiche: qual è il punto di vista di chimici e nutrizionisti e quello di chi questi sali li immette sul mercato?
Le medicine come gli smartphone o come
le magliette comprate a basso prezzo: oggi ci curiamo con medicine
prodotte in paesi lontani dove il costo della produzione è molto
basso (ma non il costo per il consumatore).
Ma il risparmio delle case
farmaceutiche corrisponde anche ad un risparmio sulla qualità e
sulla nostra sicurezza?
Giulio Valesini è andato in India, nel
distretto di Hyderabad, un medicinale su dieci, tra quelli che
arrivano da noi, è prodotto qui e gli effetti si vedono: le
industrie farmaceutiche sversano le acque usate nella loro
produzione, direttamente nel terremo, nei fiumi, che non sono più
limpidi e dove invece si vedono le schiume degli scarti della
lavorazione chimica.
Nel 2016 la Corte Suprema indiana ha
ordinato alle industrie farmaceutiche di applicare politiche di
produzione a “zero liquidi”: ufficialmente quegli impianti hanno
il trattamento in loco per le acque reflue, racconta al giornalista
Christopher Lubbert medico dell'ospedale di Lipsia – “ma molti
non funzionano a dovere perché così si risparmia”.
Il giornalista è andato a vedere come
si lavora dentro una di queste aziende del distretto, che produce
semilavorati per conto di queste aziende farmaceutiche: da una parte
raccontano che loro rispettano tutti gli standard di sicurezza che
vengono loro dati, ma poi, di fronte all'evidenza di essere in un
luogo poco sicuro, ammettono “se seguissimo standard più elevati i
costi si moltiplicherebbero”
Così nelle acque trovi, oltre ai
liquami fognari, anche antibiotici: campioni di acque e dei terreni
sono stati fatti analizzare proprio all'ospedale di Lipsia, che ha
trovato batteri farmaco resistenti ovunque.
Hyderabad oggi rischia di essere
l'epicentro di un pericolo che può arrivare in tutto il mondo.
“Non voglio spaventarvi, ma ogni
volta che c'è una nuova resistenza antibiotica in India, in Cina o
in Italia, non rimane lì. I batteri che stanno creando problemi in
Toscana (il batterio new
Delhi scoperto a settembre), sono molti simili a quelli che
abbiamo trovato a Hyderabad, la globalizzazione inversa ha trovato la
sua strada per l'Italia” - spiega il professor Lubbert.
E cosa è successo in Toscana? Mentre
nel paese si discuteva di immigrazione, tasse, evasori da mandare in
galera o meno, in Toscana ci sono un centinaio di pazienti
colonizzati dal batterio New Delhi, per cui non esiste ancora un
antibiotico specifico.
Giulio Valesini ha intervistato il
direttore dell'AIFA, Luca Li Bassi a cui ha chiesto se questo
distretto farmaceutico indiano, con tutto il proliferare di batteri
resistenti, sia sostenibile.
Assolutamente no, la risposta.
Non è ammissibile, tutto ciò:
basterebbe che Aifa e gli altri enti regolatori chiedessero a queste
aziende di produrre rispettando gli standard ambientali, altrimenti
non esportate più in Europa.
“Secondo me questa è un'ottima
proposta costruttiva e sarebbe bellissimo poterla implementare” -
la risposta del direttore.
Sul Fatto
Quotidiano, Virginia della Sala da un'anteprima del servizio:
Sull’opportunità di segnalare la
provenienza dovrebbe decidere l’Ema, che però è finanziata all’80
percento proprio dall’industria farmaceutica. Le aziende, infatti,
sostengono che Cina e India siano i posti migliori da cui rifornirsi,
da lì arrivano anche i principi attivi dei medicinali generici. La
filosofia dicono è andare dove costa meno ma solo se i produttori
sono bravi e verificati secondo gli standard europei. Peccato che le
ispezioni sono “pilotate” oppure rilevino macchinari arrugginiti
e condizioni igieniche insufficienti senza però apparenti
conseguenze.
Così si arriva in India dove c’è
la fabbrica della Saraca, una di quelle che vende la ranitidina
contaminata utilizzata anche per i farmaci in vendita in Italia. È
al centro di un distretto farmaceutico a sud dell’India, uno dei
più importanti al mondo con 170 impianti. Qui c’è anche
Aurobindo, il gigante indiano fornitore dei generici, ma soprattutto
ci sono le aziende che forniscono i prodotti intermedi necessari per
scatenare le reazioni chimiche che poi portano al principio attivo.
Le telecamere di Report mostrano solventi chimici, sporcizia,
macchinari arrugginiti, reattori, barili diplastica. “Non sembra
igienico”dice il giornalista. “Noi qui facciamo semilavorati e
seguiamo i loro standard risponde il titolare . Se ne seguissimo di
più alti, i costi si moltiplicherebbero e la gente comune non
potrebbe permettersi farmaci a costo più basso”.
Cosa farà l'AIFA? E il ministero della
salute?
Riusciranno ad imporsi alle aziende,
alle multinazionali del farmaco?
La scheda del servizio: PRINCIPI
CATTIVI di di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella in
collaborazione di Simona Peluso e Alessia Pelagaggi
Quando pensiamo alla
globalizzazione, immaginiamo scarpe da tennis fatte in Thailandia e
smartphone prodotti in Corea. Ma anche le medicine che assumiamo ogni
giorno sono prodotte in stabilimenti lontani e spesso privi di
controlli stringenti. Così si possono offrire prezzi bassi ai
pazienti e fare anche un buon margine di profitto. Ma a forza di
tagliare i costi, in alcuni casi il farmaco può venir fuori
contaminato da impurezze.
Come per numerosi lotti di Valsartan, medicinale contro la pressione alta, che le autorità europee del farmaco, compresa l’italiana Aifa, hanno ritirato negli scorsi mesi perché contenenti nitrosammine, cioè agenti potenzialmente cancerogeni. A produrre le medicine era una società cinese, la Zhejiang Huahai, che pur di produrre più velocemente ha immesso per anni sul mercato un prodotto dannoso. Report farà un viaggio a ritroso a partire da una compressa per vedere cosa c’è dietro la sua catena di produzione, fra inquinamento dell'ambiente, proliferazione di batteri antibioticoresistenti e sfruttamento di cavie umane per i test clinici.
Come per numerosi lotti di Valsartan, medicinale contro la pressione alta, che le autorità europee del farmaco, compresa l’italiana Aifa, hanno ritirato negli scorsi mesi perché contenenti nitrosammine, cioè agenti potenzialmente cancerogeni. A produrre le medicine era una società cinese, la Zhejiang Huahai, che pur di produrre più velocemente ha immesso per anni sul mercato un prodotto dannoso. Report farà un viaggio a ritroso a partire da una compressa per vedere cosa c’è dietro la sua catena di produzione, fra inquinamento dell'ambiente, proliferazione di batteri antibioticoresistenti e sfruttamento di cavie umane per i test clinici.
I
rapporti tra la Lega e la Russia (secondo capitolo)
Report e Giorgio Mottola tornano ad
occuparsi dei rapporti tra leghisti e russi, della fabbrica delle
fake news e dei profili falsi sui social con cui queste vengono
diffuse (e questo non riguarda solo la Lega).
Su Repubblica
trovate un'anteprima del servizio:
Se la settimana scorsa si parlò
della ricerca di finanziamenti russi per alimentare la "macchina
della paura”, stavolta la trasmissione racconta ideologia,
strategie e anomalie del network sui social della destra
internazionale. Ma sempre al denaro si tornerà, perché serve quello
per foraggiare le inserzioni su Facebook: sempre più focalizzate —
da parte di Salvini — per arrivare anche agli iscritti sul social
tra i 13 e i 17 anni.
La scheda del servizio: LA MACCHINA
DELLA PAURA di Giorgio Mottola in collaborazione di Norma
Ferrara e Simona Peluso
Su internet la macchina della paura non dorme mai. Produce notizie false, manipola le informazioni e propaganda dati truccati. Oggi la disinformazione è diventata il principale strumento di lotta politica e il campo di battaglia sono i social network. Facebook e Youtube si sono trasformati nel principale megafono della propaganda neonazista, rilanciata ormai apertamente anche dai leader nazionali dei partiti di destra. I contenuti della macchina della paura diventano virali grazie a inserzioni a pagamento, reti di pagine farlocche e account automatizzati. Si chiamano bot e sui social simulano il comportamento umano per diffondere e amplificare la propaganda di un leader o di un partito. In Italia li usano tutti: politici, giornali e aziende private. Report ha intervistato in esclusiva, a volto scoperto, uno dei più importanti programmatori di bot che su Facebook e Twitter è riuscito a rendere virali i messaggi di uno dei partiti oggi al governo.
Su internet la macchina della paura non dorme mai. Produce notizie false, manipola le informazioni e propaganda dati truccati. Oggi la disinformazione è diventata il principale strumento di lotta politica e il campo di battaglia sono i social network. Facebook e Youtube si sono trasformati nel principale megafono della propaganda neonazista, rilanciata ormai apertamente anche dai leader nazionali dei partiti di destra. I contenuti della macchina della paura diventano virali grazie a inserzioni a pagamento, reti di pagine farlocche e account automatizzati. Si chiamano bot e sui social simulano il comportamento umano per diffondere e amplificare la propaganda di un leader o di un partito. In Italia li usano tutti: politici, giornali e aziende private. Report ha intervistato in esclusiva, a volto scoperto, uno dei più importanti programmatori di bot che su Facebook e Twitter è riuscito a rendere virali i messaggi di uno dei partiti oggi al governo.
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