Ultima puntata della stagione di
Presadiretta dedicata all'AIDS, ai nuovi sieropositivi, giovani che
fanno sesso senza la percezione del rischio.
E poi un servizio sulle varie crisi
industriali oggi aperte.
Spezziamo la catena sull'AIDS
l'HIV è stata la peste del ventesimo
secolo: fino al 1999 quando a Vancouver la comunità scientifica
annunciò la scoperta di farmaci che curavano la malattia.
Così, passata la crisi, le persone
hanno smesso di prendere quelle precauzioni quando fanno sesso: oggi,
ogni giorni ci sono 10 nuove diagnosi, significa che il virus in
Italia c'è e che per questo la gente si ammala e muore.
Il virus dell'HIV è subdolo, non dà
sintomi inizialmente, se non si cura per tempo: può essere
asintomatico fino a 10 anni.
I farmaci oggi danno aspettative di
vita buone, ma vanno presi tutti i giorni affinché la terapia sia
efficace: in Italia la cura all'AIDS si fa bene, racconta il
professor Gori, dell'Anlaids, cura che viene fatta con fondi
pubblici.
“Il nostro problema dal punto di
vista epidemiologico sono le persone che non sanno di essere
sieropositive e se ne accorgono troppo tardi” - racconta alla
giornalista Sabrina Carreras Andrea Gori: questo è il nostro
problema, raggiungere le persone che nemmeno sospettano di essere
sieropositivi anche se hanno avuto rapporti sessuali a rischio.
E' un problema che non riguarda solo
gli omosessuali, ma in base alle statistiche la maggior parte delle
infezioni riguarda persone eterosessuali. Ma ci si vergogna, della
sieropositività, si preferisce far finta di niente.
Molti non sanno che se si è in cura
non si è contagiosi, non si trasmette nessun virus.
Bisogna rompere la catena del contagio,
come? I volontari di Arcigay portano i test per l'HIV fuori dalle
discoteche, nei locali.
E poi nelle scuole, parlando di
sessualità, come han fatto al liceo Volta a Milano.
Sempre a Milano si trova il Check point
Milano: qui fanno profilassi pre esposizione, la Prep, due farmaci
che impediscono al virus di attecchire.
Si deve essere certi di non avere il
virus in atto.
A Roma c'è l'istituto Spallanzani: il
professor Girardi parla del suo obiettivo, 90 – 90 – 90,
raggiungere il 90% dei contagiati che ancora non lo sanno, far fare
il 90% di loro la terapia e salvarne il 90%...
Purtroppo, sull'AIDS, ci sono anche i
negazionisti: di AIDS non si muore più perché ci sono farmaci che
bloccano il virus – racconta il dottor Burioni, che ha seguito
tante storie di ignoranza scientifica, da Stamina ai vaccini:
“dovremo insegnare a tutti quanti la differenza tra un'opinione e
una verità scientifica”.
Almaviva, Whirlpool, Alitalia, Ilva, le
tante crisi del sistema Italia ancora aperte: significa posti di
lavoro persi o a rischio, competenze industriali perse.
Il viaggio nelle crisi industriali
parte da Taranto, dall'ILVA: due gruisti sono morti nella stessa gru,
sul porto di Taranto, a distanza di 9 anni. Sono solo due delle
vittime dell'acciaieria, le morti sul lavoro e le morti per
l'inquinamento ambientale.
Può l'ex Ilva essere compatibile con
l'ambiente?
L'acciaieria è attaccata alla città,
vicina al porto che alimenta l'impianto a ciclo integrato: i minerali
di ferro e carbone arriva dalle navi e viene lavorato negli
altiforni, da cui si produce la ghisa e poi i laminati d'acciaio.
I parchi minerari inquinano per le
polveri sottili, assieme agli idrocarburi, la diossina, il piombo: le
perizie certificano l'ingente inquinamento dell'Ilva fino al 2011 e
le conseguenti malattie contratte dalla popolazione.
Ci sono poi casi superiori alla media
regionale, di bambini nati con deformazioni: malattie la cui tendenza
è oggi al ribasso per la minore esposizione agli inquinanti e alle
emissioni.
A che punto è il piano ambientale? Le
strade dell'impianto sono bagnate costantemente, come da
prescrizione.
L'80% di queste prescrizioni sono state
realizzate dal 2015 al 2018 durante l'amministrazione commissariale:
nastri trasportatori chiusi, torri di smistamento sigillate che non
disperdono polveri, un'area di discarica separata distinta per
rifiuti pericolosi e una seconda per rifiuti non pericolosi.
Ad ottobre 2018 arriva il nuovo
gestore, Arcelor Mittal, con un piano di prescrizione da rispettare,
che dura fino al 2023: il punto più importante è la copertura dei
parchi minerari, per azzerare la dispersione sulla città del
particolato industriale.
Arpal sta monitorando la situazione con
una rete che monitora l'aria di Taranto: ad oggi rilevano la presenza
di inquinanti, sotto i limiti di legge. Ma siamo ancora ad una
produzione bassa, va verificato cosa succederà quando l'impianto
andrà a regime.
Servirebbe la completa
decarbonizzazione dell'impianto..
Secondo Alessandro Marescotti il piano
di Arcelor Mittal è insufficiente: è un esperimento senza molte
garanzie, fino al 2023 comunque gli impianti non sono a norma.
Andrebbero dunque bloccati, così la
multinazionale sarebbe costretta a stringere i tempi per la messa a
norma invece si è proceduto di proroga in proroga.
Anche il presidente della regione
Puglia pensa che il piano sia vecchio: stanno lavorando ancora col
carbone, pur mantenendo nei limiti di legge, potrebbero usare
tecnologie più moderne.
E se Arcelor Mittal non accettasse la
decarbonizzazione, cosa facciamo?
Secondo il presidente Emiliano si
doveva scegliere un altro partner, il governo precedente doveva porre
questo vincolo: Calenda, ex ministro, ha risposto alle obiezioni.
Non esistono tecnologie senza carbone,
a meno di garantire un prezzo del gas a valore inferiore a quello di
mercato, l'altra opzione di Jindal non dava garanzie dopo il 2023.
Che fare per abbattere le emissioni di
carbone? Senza carbone si rischia di svuotare l'impianto di Taranto e
questo non ce lo possiamo permettere (che è quello che è successo a
Piombino).
Fino al 2023 la fabbrica inquinerà: ma
il governo ha messo dei vincoli bassi alla produzione che contengono
i livelli delle emissioni.
Iacona ha intervistato il Vice
Presidente e Amministratore Delegato di ArcelorMittal Italia,
Matthieu Jehl, per la prima volta in televisione con un’intervista
in esclusiva per PresaDiretta.
Nel piano ambientale per l'ilva è
stato messo 1 miliardo e 200 milioni: 300 ml vengono dal tesoretto
nascosto dei Riva, il resto sono soldi di Arcelor Mittal.
Alla domanda su come siamo messi, su
questo piano di risanamento, il vicepresidente ha risposto che, dal
loro punto di vista sono a posto.
I lavori stanno andando avanti, per la
copertura, come previsto dal contratto firmato col governo: ma questo
è solo la parte visibile dell'iceberg, ma c'è anche una parte non
visibile.
Arcelor Mittal sta lavorando su tutti
gli aspetti che hanno impatto sull'ambiente – ha spiegato Matthieu
Jehl - sulla copertura e sulle polveri diffuse, ma lavoriamo anche
su sui camini per trovare una soluzione per le emissioni che escono
nell'aria, sul suolo e nell'acqua.
“L'idea con questo piano, che è
il più ambizioso che avevo mai fatto, come Arcelor Mittal, è
arrivare ad un impatto ambientale che sarà il migliore in tutta
Europa”.
Il sito di Taranto
è il più monitorato d'Europa, vogliono lavorare in trasparenza con
Ispra, con Asl e i dati in possesso sono positivi.
La soluzione per la
decarbonizzazione la accettiamo, ma Arcelor Mittal ha come data il
2050, perché questo investimento ha tempi lunghi.
Che futuro c'è per
la crisi dell'acciaio?
Il vicepresidente
ha spiegato che la crisi non è ancora finita, vedremo tra qualche
anno.
Arcelor non ha
chiesto impunità, ha chiesto di non dover rispondere dei reati
commessi nel passato: se saltasse questa copertura legale, Arcelor
andrebbe via e dovrebbero tornare i commissari.
Il ministro
Patuanelli ha garantito che la tutela penale rimane, anche se
l'ultima parola l'ha il Parlamento: la tutela non è nel contratto,
ma questa norma esiste già nelle attuali leggi.
Melucci, il sindaco
di Taranto, nonostante i miglioramenti della situazione a Taranto si
è detto preoccupato dei rischi sanitari sulla popolazione e sui
bambini, fino al 2023.
Si aspettava un
supporto maggiore da parte di Arcelor Mittal, si dovrebbe pensare ad
un impianto più piccolo, senza l'area a caldo.
Dopo l'ex Ilva, il
caso Whirlpool, la multinazionale che ha deciso di cedere lo
stabilimento di Napoli.
Nessuno, tra gli
operai, vuol sentir parlare di riconversione degli impianti: di
Whirlpool non si fidano, avendo disatteso gli accordi firmati pochi
mesi prima.
La trattativa è
saltata, nel mentre del passaggio tra il Conte 1 e 2: la
multinazionale vorrebbe vendere l'azienda ad una nuova società,
sconosciuta, che si occupa di impianti refrigeranti.
Il ministero
dovrebbe fare approfondimenti su chi entra, in una riconversione, per
evitare nuovi casi Embraco o ex Fiat a Termini Imerese.
Gli operai sono
preoccupati per loro, per il lavoro, per il loro futuro: temono che
la parola re industrializzazione ne nasconda un'altra, ovvero de
indistrializzazione.
Ovvero deserto
industriale, disoccupazione, per i dipendenti della Whirlpool e anche
dell'indotto.
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