15 ottobre 2019

Presadiretta – vertenza Italia

Ultima puntata della stagione di Presadiretta dedicata all'AIDS, ai nuovi sieropositivi, giovani che fanno sesso senza la percezione del rischio.
E poi un servizio sulle varie crisi industriali oggi aperte.

Spezziamo la catena sull'AIDS

l'HIV è stata la peste del ventesimo secolo: fino al 1999 quando a Vancouver la comunità scientifica annunciò la scoperta di farmaci che curavano la malattia.
Così, passata la crisi, le persone hanno smesso di prendere quelle precauzioni quando fanno sesso: oggi, ogni giorni ci sono 10 nuove diagnosi, significa che il virus in Italia c'è e che per questo la gente si ammala e muore.
Il virus dell'HIV è subdolo, non dà sintomi inizialmente, se non si cura per tempo: può essere asintomatico fino a 10 anni.
I farmaci oggi danno aspettative di vita buone, ma vanno presi tutti i giorni affinché la terapia sia efficace: in Italia la cura all'AIDS si fa bene, racconta il professor Gori, dell'Anlaids, cura che viene fatta con fondi pubblici.
“Il nostro problema dal punto di vista epidemiologico sono le persone che non sanno di essere sieropositive e se ne accorgono troppo tardi” - racconta alla giornalista Sabrina Carreras Andrea Gori: questo è il nostro problema, raggiungere le persone che nemmeno sospettano di essere sieropositivi anche se hanno avuto rapporti sessuali a rischio.

E' un problema che non riguarda solo gli omosessuali, ma in base alle statistiche la maggior parte delle infezioni riguarda persone eterosessuali. Ma ci si vergogna, della sieropositività, si preferisce far finta di niente.
Molti non sanno che se si è in cura non si è contagiosi, non si trasmette nessun virus.

Bisogna rompere la catena del contagio, come? I volontari di Arcigay portano i test per l'HIV fuori dalle discoteche, nei locali.
E poi nelle scuole, parlando di sessualità, come han fatto al liceo Volta a Milano.
Sempre a Milano si trova il Check point Milano: qui fanno profilassi pre esposizione, la Prep, due farmaci che impediscono al virus di attecchire.
Si deve essere certi di non avere il virus in atto.

A Roma c'è l'istituto Spallanzani: il professor Girardi parla del suo obiettivo, 90 – 90 – 90, raggiungere il 90% dei contagiati che ancora non lo sanno, far fare il 90% di loro la terapia e salvarne il 90%...

Purtroppo, sull'AIDS, ci sono anche i negazionisti: di AIDS non si muore più perché ci sono farmaci che bloccano il virus – racconta il dottor Burioni, che ha seguito tante storie di ignoranza scientifica, da Stamina ai vaccini: “dovremo insegnare a tutti quanti la differenza tra un'opinione e una verità scientifica”.


Almaviva, Whirlpool, Alitalia, Ilva, le tante crisi del sistema Italia ancora aperte: significa posti di lavoro persi o a rischio, competenze industriali perse.

Il viaggio nelle crisi industriali parte da Taranto, dall'ILVA: due gruisti sono morti nella stessa gru, sul porto di Taranto, a distanza di 9 anni. Sono solo due delle vittime dell'acciaieria, le morti sul lavoro e le morti per l'inquinamento ambientale.
Può l'ex Ilva essere compatibile con l'ambiente?
L'acciaieria è attaccata alla città, vicina al porto che alimenta l'impianto a ciclo integrato: i minerali di ferro e carbone arriva dalle navi e viene lavorato negli altiforni, da cui si produce la ghisa e poi i laminati d'acciaio.

I parchi minerari inquinano per le polveri sottili, assieme agli idrocarburi, la diossina, il piombo: le perizie certificano l'ingente inquinamento dell'Ilva fino al 2011 e le conseguenti malattie contratte dalla popolazione.
Ci sono poi casi superiori alla media regionale, di bambini nati con deformazioni: malattie la cui tendenza è oggi al ribasso per la minore esposizione agli inquinanti e alle emissioni.

A che punto è il piano ambientale? Le strade dell'impianto sono bagnate costantemente, come da prescrizione.
L'80% di queste prescrizioni sono state realizzate dal 2015 al 2018 durante l'amministrazione commissariale: nastri trasportatori chiusi, torri di smistamento sigillate che non disperdono polveri, un'area di discarica separata distinta per rifiuti pericolosi e una seconda per rifiuti non pericolosi.

Ad ottobre 2018 arriva il nuovo gestore, Arcelor Mittal, con un piano di prescrizione da rispettare, che dura fino al 2023: il punto più importante è la copertura dei parchi minerari, per azzerare la dispersione sulla città del particolato industriale.

Arpal sta monitorando la situazione con una rete che monitora l'aria di Taranto: ad oggi rilevano la presenza di inquinanti, sotto i limiti di legge. Ma siamo ancora ad una produzione bassa, va verificato cosa succederà quando l'impianto andrà a regime.
Servirebbe la completa decarbonizzazione dell'impianto..

Secondo Alessandro Marescotti il piano di Arcelor Mittal è insufficiente: è un esperimento senza molte garanzie, fino al 2023 comunque gli impianti non sono a norma.
Andrebbero dunque bloccati, così la multinazionale sarebbe costretta a stringere i tempi per la messa a norma invece si è proceduto di proroga in proroga.

Anche il presidente della regione Puglia pensa che il piano sia vecchio: stanno lavorando ancora col carbone, pur mantenendo nei limiti di legge, potrebbero usare tecnologie più moderne.

E se Arcelor Mittal non accettasse la decarbonizzazione, cosa facciamo?
Secondo il presidente Emiliano si doveva scegliere un altro partner, il governo precedente doveva porre questo vincolo: Calenda, ex ministro, ha risposto alle obiezioni.
Non esistono tecnologie senza carbone, a meno di garantire un prezzo del gas a valore inferiore a quello di mercato, l'altra opzione di Jindal non dava garanzie dopo il 2023.

Che fare per abbattere le emissioni di carbone? Senza carbone si rischia di svuotare l'impianto di Taranto e questo non ce lo possiamo permettere (che è quello che è successo a Piombino).
Fino al 2023 la fabbrica inquinerà: ma il governo ha messo dei vincoli bassi alla produzione che contengono i livelli delle emissioni.

Iacona ha intervistato il Vice Presidente e Amministratore Delegato di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl, per la prima volta in televisione con un’intervista in esclusiva per PresaDiretta.

Nel piano ambientale per l'ilva è stato messo 1 miliardo e 200 milioni: 300 ml vengono dal tesoretto nascosto dei Riva, il resto sono soldi di Arcelor Mittal.
Alla domanda su come siamo messi, su questo piano di risanamento, il vicepresidente ha risposto che, dal loro punto di vista sono a posto.
I lavori stanno andando avanti, per la copertura, come previsto dal contratto firmato col governo: ma questo è solo la parte visibile dell'iceberg, ma c'è anche una parte non visibile.
Arcelor Mittal sta lavorando su tutti gli aspetti che hanno impatto sull'ambiente – ha spiegato Matthieu Jehl - sulla copertura e sulle polveri diffuse, ma lavoriamo anche su sui camini per trovare una soluzione per le emissioni che escono nell'aria, sul suolo e nell'acqua.
L'idea con questo piano, che è il più ambizioso che avevo mai fatto, come Arcelor Mittal, è arrivare ad un impatto ambientale che sarà il migliore in tutta Europa”.

Il sito di Taranto è il più monitorato d'Europa, vogliono lavorare in trasparenza con Ispra, con Asl e i dati in possesso sono positivi.
La soluzione per la decarbonizzazione la accettiamo, ma Arcelor Mittal ha come data il 2050, perché questo investimento ha tempi lunghi.
Che futuro c'è per la crisi dell'acciaio?
Il vicepresidente ha spiegato che la crisi non è ancora finita, vedremo tra qualche anno.

Arcelor non ha chiesto impunità, ha chiesto di non dover rispondere dei reati commessi nel passato: se saltasse questa copertura legale, Arcelor andrebbe via e dovrebbero tornare i commissari.

Il ministro Patuanelli ha garantito che la tutela penale rimane, anche se l'ultima parola l'ha il Parlamento: la tutela non è nel contratto, ma questa norma esiste già nelle attuali leggi.

Melucci, il sindaco di Taranto, nonostante i miglioramenti della situazione a Taranto si è detto preoccupato dei rischi sanitari sulla popolazione e sui bambini, fino al 2023.
Si aspettava un supporto maggiore da parte di Arcelor Mittal, si dovrebbe pensare ad un impianto più piccolo, senza l'area a caldo.

Dopo l'ex Ilva, il caso Whirlpool, la multinazionale che ha deciso di cedere lo stabilimento di Napoli.
Nessuno, tra gli operai, vuol sentir parlare di riconversione degli impianti: di Whirlpool non si fidano, avendo disatteso gli accordi firmati pochi mesi prima.
La trattativa è saltata, nel mentre del passaggio tra il Conte 1 e 2: la multinazionale vorrebbe vendere l'azienda ad una nuova società, sconosciuta, che si occupa di impianti refrigeranti.
Il ministero dovrebbe fare approfondimenti su chi entra, in una riconversione, per evitare nuovi casi Embraco o ex Fiat a Termini Imerese.

Gli operai sono preoccupati per loro, per il lavoro, per il loro futuro: temono che la parola re industrializzazione ne nasconda un'altra, ovvero de indistrializzazione.
Ovvero deserto industriale, disoccupazione, per i dipendenti della Whirlpool e anche dell'indotto.

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