Da Gelli al caso Moro, da Gladio alle stragi di mafia.
Dalla
prefazione dell'autrice: “Questo libro”
“Un perverso
intreccio di potere e interessi ha insidiato la democrazia dagli anni
Settanta a oggi –afferma – facendo perdere la visione d’insieme
della società come idea di ‘bene comune’. Eppure c’è chi,
anche in buona fede, è convinto che sia meglio non sapere come sono
andate le cose… Costoro chiedono semplicemente di partecipare al
‘gioco’, il ‘gioco grande del potere’, per dirla con le
parole di un magistrato, Giovanni Falcone”.
In Italia è
come se esistessero due paesi: due paesi divisi da un muro. Non un
muro fisico, come quello di Berlino (sebbene il muro di Berlino
c'entri con la storia del nostro paese, ma per altri motivi). Ma un
muro, non sufficientemente impermeabile che separa Stato da Anti
stato.
Lo stato democratico, quello delle leggi uguali per
tutti dove le scelte e le decisioni vengono prese dalla politica
nelle sedi istituzionali, alla luce del sole.
Esiste però un altro stato, il suo duale: l'anti stato delle
stanze buie delle logge segrete, come la P2 di Gelli. L'anti stato
che ha usato la ragione di stato e la fedeltà atlantica come
copertura per nascondere accordi con forze eversive, di quell'estrema
destra fascista che non è mai stata sconfitta. Come un fiume
carsico, l'estrema destra ha saputo rimanere nascosta sotto terra,
per tornare in superficie quando il nostro paese affrontava snodi
politici importanti.
Parlo dell'antistato che ha coltivato e
poi protetto i rapporti con Ordine Nuovo, prima della bomba di Piazza
Fontana, il dicembre del 1969. La bomba piazzata in una banca
affollata un venerdì sera, per imprimere una svolta reazionaria,
conservatrice, al nostro paese.
Per impedire che questo paese, che lo Stato riuscisse ad
emanciparsi in senso progressista, magari portando al governo forze
fresche.
È anche l'antistato che è sceso a patti con la mafia, al sud (ma
ora anche nel resto del paese, anche qui al nord in Lombardia):
l'antistato degli antipolitici che alle mafie si sono rivolti per
prendere voti.
Che hanno usato la mafia come manovalanza per
frenare e reprimere svolte riformiste nel sud del paese: la terra ai
contadini, la fine del latifondo, la garanzia dei diritti
fondamentali anche per i cittadini del sud.
L'antistato che ha
permesso la strage di Portella della Ginestra, che ha fatto affari e
preso voti con i mafiosi e che dopo l'omicidio dell'onorevole Salvo
Lima (il rappresentante della corrente andreottiana in Sicilia,
ritenuto il collegamento tra antistato e cosa nostra) ha scelto la
strada della trattativa. Sacrificare le vite dei magistrati Falcone e
Borsellino, delle loro scorte e di inermi cittadini, affinché nuovi
accordi venissero trovati tra i nuovi vertici della mafia e i nuovi
referenti di questa anti politica.
Sandra Bonsanti per anni
è stata per anni una delle poche giornalista che hanno voluto
gettare uno squarcio di luce su questo anti stato.
I suoi articoli
scritti per “Il mondo”, “Epoca”, “Panorama”, “La
Stampa”, “Repubblica” e “Il Tirreno” hanno raccontato per
primi agli italiani chi fossero Licio Gelli e la sua Loggia
Propaganda 2.
Si è chiesta dei legami tra massoneria deviata ed
estrema destra, Ordine Nuovo e P2: le stesse domande che costarono la
vita al giudice Vittorio Occorsio, ucciso da un commando di Ordine
Nuovo nel 1976.
Si è chiesta quali fossero i veri obiettivi di
Gelli e della sua Loggia: come fosse stata possibile la sua rapida
carriera negli anni '70, come fosse possibile che tanti uomini delle
istituzioni (anzi, della parte negativa delle istituzioni) ne
facessero parte. Generali, direttori dei servizi, politici, e poi
giornalisti, banchieri, imprenditori (come per esempio Silvio
Berlusconi, tessera 1816).
Quale fosse il vero obiettivo del
Piano di Rinascita Democratica, un tentativo di golpe “democratico”
(dopo il fallimento dei tentativi di Golpe da parte della destra
politica): un golpe strisciante che tendeva a concentrare in poche
mani le leve del potere, levando i contrappesi e i meccanismi di
controlli previsti dalla Costituzione.
Quella Costituzione che sia
i golpisti che i piduisti volevano riformare perché considerata come
un panno liso. Meglio la repubblica presidenziale: così diceva Gelli
(e Cosentino, l'estensore del documento, ma anche segretario generale
della Camera, fin qui era arrivato Gelli!), ma così dicevano anche
Craxi e altri presunti riformisti.
Controllo dell'informazione,
assoggettamento della magistratura, svuotamento delle prerogative e
dei poteri del Parlamento. Vi suona familiare tutto ciò?
Sandra
Bonsanti ha saputo fare un parallelo tra quanto aveva raccontato nei
suoi articoli (e quanto conservato nei suoi lunghi appunti tenuti nel
corso degli anni) e quanto è successo negli anni recenti.
Gli
anni del berlusconismo: di una politica erede cioè, del Piano di
Rinascita (come ammesso anche dallo stesso Gelli) e delle idee
dell'ex segretario socialista.
A partire dall'intervista col giudice della corte di Appello
Spagnuolo (“Tutte le storie cominciano in Sicilia”),
l'uomo che aveva il compito di difendere lo Stato, ma che invece
difese più il suo rovescio (Spagnuolo partecipò ad una riunione con
Gelli a villa Wanda assieme ad alti generali dei carabinieri, nel
1973), il libro è un lungo viaggio nel tempo.
Sandra Bonsanti
racconta di Sindona e di Calvi, i due banchieri di Dio ma
anche della mafia. Il primo suicida (o ucciso) nel carcere di
Voghera, il secondo ucciso (seguendo un rituale di ispirazione
massonica) sotto un ponte di Londra. Entrambi legati a Gelli, allo
Ior, al mondo politico (Sindona ad Andreotti che lo definì salvatore
della Lira, Calvi genericamente ai partiti di governo, per le
tangenti che uscivano dalla sua banca per finire su conti
all'estero). Entrambi morti, condannati alla pena più grave perché
avevano tradito la fiducia dei loro interlocutori, perché ormai
ritenuti non più utilizzabili, perché custodi di segreti
imbarazzanti.
Del rapimento e dell'omicidio del presidente
Moro (e della sua scorta): Moro prigioniero delle Br (che si
ritenevano nella loro assurda ideologia i portatori dei valori
traditi della resistenza) ma anche dell'antistato.
Dei due omicidi
da parte delle Br: l'agente Gramato e il giudice Minervini.
Fedeli servitori dello Stato, forse non lo stesso di cui il
criminologo Senzani (dirigente delle stesse Br) era consulente.
Anche
questo è successo in Italia.
Della scoperta della lista degli
appartenenti alla P2, delle pressioni affinché non venissero
divulgate, degli attacchi ai magistrati che le avevano scoperte (non
ai piduisti, non a Gelli).
Di Cossiga e Andreotti, le
due anime della Democrazia Cristiana. Il primo diventato presidente
della Repubblica dopo una vita dentro lo stato e diventato (con la
caduta del muro di Berlino) picconatore di quello stesso Stato di cui
erano l'apice istituzionale. Gli attacchi ai giudici ragazzini, la
difesa dei gladiatori, dei galantuomini della P2.
Il secondo,
bloccato alla soglia del colle più alto dalle bombe di Capaci. Dopo
una lunga carriera governativa (sette volte primo ministro): carriera
chiacchierata, terminata però con la condanna per mafia (reato poi
prescritto).
Cossiga e Andreotti: gli uomini dei segreti, degli
accordi indicibili e delle sovrastrutture nascoste nelle pieghe delle
istituzioni (da Gladio al Noto Servizio).
Ma non ci sono solo personaggi rappresentativi dell'antistato in
questo lungo racconto: la nostra Democrazia, lo Stato (con la S
maiuscola) negli anni è stato difeso strenuamente da un gruppo di
persone che si sono battute: sono Ugo La Malfa e Sandro Pertini (il
presidente partigiano che non volle stringere nemmeno la mano a
quelli della lista di Gelli), Nilde Iotti (il presidente della
Commissione parlamentare sulla P2), Giorgio Ambrosoli (il commissario
liquidatore della banca di Sindona che bon si lascio corrompere dalle
pressioni) , Norberto Bobbio, il commissario di polizia Santillo, il
primo ad intuire la pericolosità per lo Stato della loggia di
Gelli.
Dice l'autrice: “poche minoranze intransigenti e
memori. Poche persone, ma speciali. Poche comunità, ma fedeli. Pochi
maestri, ma grandi maestri”
Di questo elenco di persone , che dovrebbe essere presente nel
pantheon dei nostri partiti politici, scrive nella postfazione
Gustavo Zagrebelsky “Un elenco, per ora, di sconfitti che ci
domandano: chi crede davvero nello Stato? Se la politica non si
rianima e se i suoi protagonisti – partiti, forze culturali e
sociali – restano inerti, la partita è persa. Ma, si dirà, dove
trovare le ragioni della riscossa democratica? La risposta è chiara:
nella Costituzione”.La
genesi del dualismo Stato anti Stato ha genesi antiche, racconta
ancora l'autrice citando i lavori degli storici Nicola Tranfaglia e
Giuseppe Casarrubea: nasce dalla fine della seconda guerra mondiale,
gli accordi di Yalta, la santa trinità
mafia-politica-Vaticano:
“Sempre è
stata sollevata l'obiezione: ma se accusate Andreotti per tutte le
trame della nostra storia e, soprattutto, per le sue amicizie
mafiose, significa che questo paese, questa Repubblica è stata
«sempre» nelle mani di magiosi ed eversori, dal momento che
Andreotti è stato sempre al potere. E questa, sostengono, è una
ricostruzione che non si può accettare, essendo il nostro un grande
paese democratico ..
Allora mi viene da sorridere. Sì, questa
Repubblica è stata sempre, sin dall'inizio, strattamente intrisa di
fascismo e di elementi non democratici, percorsa da sintomi molto
pericolosi. È vero, ce l'abbimao sempre fatta, o quasi sempre.
Perché? Come è stato possibile? Stato e antistato, se nacquero
insieme, furono anche una cosa sola?
Questo è un problema che
continua a coinvolgermi , un problema che attiene la cronaca e gli
individui che ho conosciuto e sui quali ho scritto, ma anche e
soprattutto la storia. È la storia che potrà, sprero presto, darci
quella verità che resti nel tempo c che spieghi quell'eccesso di
sevilismo che fu profuso, sin da subito, nei confronti dell'alleato
americano. Lo pretendeva lui o eravamo noi a offrirlo? Noi servi,
loro padroni”.
Conclude
l'autrice, con un velo di speranza: Abbiamo
avuto Andreotti e Sindona, ma anche Ugo La Malfa e Giorgio Ambrosoli.
Abbiamo avuto Carmelo Spagnuolo e Cossiga e Gladio, ma anche Sandro
Pertini. Abbiamo avuto Berlusconi e Dell'Utri, ma anche Falcone e
Borsellino. Abbiamo avuto Licio Gelli ma anche Occorsio e Minervini e
Tina Anselmi e Norberto Bobbio.
L'elenco potrebbe continuare
ancora, ma non all'infinito. Abbiamo sempre avuto qualcuno,
apparentemente isolato, apparentemente debole, che ha tenuto saldi i
principi della democrazia.
Dunque lo Stato è esistito e resiste
oltre l'antistato che è in lui. Per questo è ancor aoggi possibile
distinguere e credere. Pur sapendo che sono nati insieme, che molto
probabilmente sono stati anche «una cosa sola» che però torna a
distinguersi e separarsi nel momento stesso in cui c'è chi si alza e
ricorda ce c'è un'Italia migliore, libera e forte.
«Gente
pacifica ma dura» aveva scritto Giovanni Ferrara. Gente che
continuerà a fare sempre quello che può e «certo sarà più che
nulla».
La presentazione del libro, da parte
dell'autrice:
L'articolo su Micromega
Bonsanti: l’Italia, uno stato di diritto continuamente minacciato.
Uno stralcio dal capitolo "Le larghe intese Gelli-Craxi".
La scheda del libro sul sito di Chiarelettere.
Il
link per ordinare il libro su Ibs
e Amazon.
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