La
prima inchiesta sull’Eni tra politica, servizi segreti, scandali
finanziari e nuove guerre, da Mattei a Renzi.
Un'inchiesta
che si doveva proprio fare, questa sull'Eni, un colosso industriale
controllato dallo Stato ma anche uno Stato nello Stato:“con 110
miliardi di euro di ricavi nel 2014, e nonostante la perdita del 2015
causata dal crollo del prezzo del petrolio a 30 euro al barile, il
gruppo occupa la venticinquesima posizione nella classifica di
Fortune sulle prime cinquecento aziende mondiali per fatturato..”.
Un'azienda
che alimenta le casse pubbliche grazie ai ricchi dividendi, specie ai
tempi dell'amministrazione scaroniana (ora un po' meno), un'azienda
che garantisce l'approvvigionamento delle risorse energetiche (gas e
petrolio) per il riscaldamento domestico, l'elettricità, per la
produzione industriale.
Un'azienda
che occupa 84000 dipendenti (circa un terzo in Italia), che è
presente in 80 paesi nel mondo, che fa esplorazioni in fondo al mare
(come al largo delle coste egiziane dove Eni si è appena aggiudicata
un promettente giacimento di gas) o poggia i tubi dei gasdotti (come
quello che ci collega con la Libia).
Un'azienda
strategica, per la sua stessa, duplice, funzione: lo aveva capito già
Enrico Mattei, il fondatore, come la forza industriale (e politica)
di una nazione dipenda dalla sua indipendenza energetica.
L'amministratore
delegato dell'Eni è dunque qualcosa di più di un manager che si
deve preoccupare di portare l'energia alle aziende e alle famiglie al
minor costo possibile e garantendo il giusto profitto all'azionista
(come altre aziende dello Stato, anche Eni è stata parzialmente
messa sul mercato dopo Tangentopoli).
L'AD
di Eni è più di un ministro degli Esteri, in quanto ha anche fare
direttamente con i paesi produttori, intreccia rapporti d'affari,
crea rapporti anche politici, apre dei ponti verso nuovi mondi: fu
Mattei che andò per primo in Russia, in piena guerra fredda,
suscitando le ire dell'alleato americano (e della stessa DC). Fu
sempre Mattei che appoggiò i movimenti indipendentisti algerini, in
cambio dei pozzi, suscitando altri malumori da parte dei francesi …
Eni
è dunque una potenza politico-industriale e anche uno snodo centrale
di molte vicende della nostra storia, dal boom, agli anni della P2 (e
poi delle P3 e P4), a Tangentopoli, alla ristrutturazione di Mincato,
fino ad oggi. Quando, dopo gli anni di Scaroni, dell'asse politico
con Putin e Gheddafi (che generò molte tensioni con
l'amministrazione americana, come raccontano i cablogrammi usciti con
Wikileaks), la nuova gestione di Descalzi sta portando l'azienda
verso una sua “terza
repubblica petrolifera”.
Parlare
di Eni significa parlare di politica estera, geopolitica, strategie
energetiche e industriali: ma anche dei tanti lati oscuri emersi nel
corso degli anni.
Le
tangenti ai partiti della prima repubblica, la pagina buia della
morte di Enrico Mattei, precipitato a Bascapè nell'ottobre del 1962,
la figura opaca di Eugenio Cefis e i collegamenti con Gelli.
E,
ancora oggi, le troppe inchieste di corruzione (alcune ancora da
vagliare processualmente) nel mondo: in Algeria, in Nigeria, in
Russia, in Kazakhistan.
Per
questo è importante questo libro, dedicato al giornalista di
Repubblica Peppe
d'Avanzo, che ha
spronato gli autori a scrivere questa inchiesta dicendo “voi questo
libro lo dovete fare”.
Un'inchiesta
che spiega da dove nasce l'espressione “Stato
parallelo”: azienda
Stato che si sostituisce o sovrappone alle funzioni di uno stato. Non
è stato semplicemente un lapsus quello di Matteo Renzi, quando ad
Otto e mezzo disse: "L'Eni
è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della
nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa
vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti".
Tentare
di riassumere qui tutti gli aspetti toccati dal libro sull'Eni
sarebbe cosa impossibile, tanto è dettagliato e ampio nel riportare
dati e cifre della multinazionale, quasi da appesantirne la lettura
Nei
capitoli del libro i due autori toccano diversi aspetti, finora
inediti della storia dell'Eni, che ci permettono di comprenderne
meglio la sua natura di “Stato parallelo”.
A
cominciare dagli affari con la Russia,
col tentativo da parte della Gazprom
di entrare direttamente nel mercato della distribuzione in Italia,
attraverso una terza società di Bruno Mentasti
(e la Centrez),
all'epoca produttore di acqua minerale e amico di Berlusconi. Un
accordo passato sopra la testa dell'allora AD Mincato, che limitava
le possibilità di rivendere il gas in eccesso poiché Gazprom si
sarebbe presentata alla frontiera di Tarvisio e non in Austria. Alla
fine l'affare saltò grazie alle rilevazioni dell'Antitrust, sebbene
poi Scaroni abbia stipulato accordi a lungo termine con Gazprom, poco
vantaggiosi in anni di calo della domanda che oggi Descalzi ha
rinegoziato.
C'è
la storia, raccontata dagli autori, degli affari nel gas di
Berlusconi in Georgia, della spoliazione dei pezzi della Yukos
(società petrolifera di un nemico di Putin) comprata dall'Eni e che
si presume un favore al monopolista russo Gazprom.
Si
racconta anche la storia del campo petrolifero di Chinarevskoye,
della Zhaikmunay, già raccontata dal servizio di Report
“Ritardi con Eni” dove un dirigente Eni, sotto
anonimato, raccontava al giornalista:
«Per favorire i russi, il governo
Berlusconi ha svenduto gli idrocarburi in loco, e ha appoggiato il
gasdotto
South Stream, così è Gazprom a
imporre il prezzo del gas e l’Eni, che appoggiando il gasdotto
alternativo Nabucco avrebbe potuto ridurre i prezzi, si è tagliata
le palle».
Secondo
questa persona :
«all’ad Paolo Scaroni glielo ha detto
Berlusconi, che ha i suoi rapporti con Putin. È una questione
geopolitica e di interessi personali: l’Italia ci perde, ma qualche
italiano ci guadagna. Esiste una società kazaka chiamata Zhaikmunai
controllata dai paradisi fiscali, che ha un piccolo campo di
esplorazione in Kazakistan e tira su dei ricavi nell’ordine di un
milione di dollari al giorno con margini del 50%. Io chiesi a Eni chi
erano i proprietari e mi dissero: occupati del tuo lavoro e non
rompere i coglioni. Parlai con dei dirigenti della petrolifera di
stato kazaka: mi dissero che in Zhaikmunai si nascondono
interessi di politici kazaki e
italiani».
Chi?
«Uomini importanti del centrodestra, i soliti.
I nomi me li hanno fatti, poi in Eni mi hanno chiaramente detto di
stare attento al fuoco amico, quindi io sto zitto».
Gli
anni di Tangentopoli e l'epoca di risanamento portata avanti da
Bernabè.
Dice
Flavio Fiorini, ex direttore finanziario, agli autori:
“Il
metodo era di una trasparenza impressionante. I segretari mandavano a
Cefis una nota con le richieste di pagamento delle varie correnti,
Cefis le vistava il sabato e io il lunedì le portavo ad Arcaini, che
girava i soldi ai partiti ..”.
Come
tutte le altre aziende dello Stato, anche Eni aveva un presidente
espressione dei partiti e un flusso di cassa di ritorno che
costituiva finanziamento illecito. Era facile per Eni, avendo dei
flussi di cassa verso l'estero, fare del nero che passava poi per
finanzieri compiacenti come Pacini
Battaglia.
Le tangenti ai partiti
arrivavano attraverso la Karfinko di Pacini Battaglia, coi suoi 500
miliardi di fondi neri scoperti dai magistrati di Mani pulite che
indagavano sulla maxi tangente Enimont.
La
crisi della prima repubblica e gli scandali emersi con Tangentopoli
costrinsero Amato ad un cambio di rotta, con la nomina di Bernabè
come amministratore, che scelse un CDA fuori dai giochi politici.
Sono gli anni del risanamento (la “seconda
repubblica petrolifera”),
della privatizzazione.
I
due autori raccontano che, quando Franco Bernabé diventa AD nel
1993 per bonificarla, allestisce all’interno dell’azienda una
“unità di crisi” per “affrontare i problemi” che emergevano
con le inchieste giudiziarie, per cercare di prevenire le inchieste
giudiziarie e aprendosi così alla collaborazione coi magistrati.
Gli
anni dei fondi neri, della P2, Cefis, Gelli.
Mattei stesso si vantava di
usare i partiti come i taxi, ovvero li pagava per raggiungere i fini
dell'azienda, che non erano l'arricchimento personale, come avvenne
poi alla sua morte.
Con la sua morte si capovolse la
situazione coi i partiti e i vertici aziendali che usarono l'azienda
per i loro fini di potere: il salvataggio di Calvi da parte di Cefis,
il sospetto che usò i soldi dell'Eni per la scalata di Montedison,
E poi,
il vero ruolo della P2,
di cui si sospetta che fosse Cefis il puparo, ben prima di Gelli, le
accuse rivoltegli per il tentativo di golpe.
C'è un filo che lega la P2,
con le successive P2 e P4:
nel corso del libro i due giornalisti citano spesso il nome di
Bisignani, uno nella lista di Gelli, persona dalle molte conoscenze
nei posti che contano e che spesso viene consultato dai politici
quando c'è una nomina da fare.
Questo punto viene sottolineato
su Repubblica anche da Alberto Statera:
“soccorrere
gli amici nei guai con la giustizia, controllare l'assegnazione di
appalti pubblici, orientare le nomine al vertice di istituzioni e
aziende di Stato, condizionare quel che resta della politica,
attraverso un network tuttora potente che vede muoversi, accanto ad
alti ufficiali e dirigenti collocati in ruoli-chiave, una cupola
nella quale con il "figlioccio" Bisignani, compaiono tra
gli altri Gianni Letta, l'ex banchiere Cesare Geronzi, Guido
Bertolaso e, da ultimo in un ruolo crescente, Denis Verdini”.
Gli
anni di Scaroni
Sono gli anni dove cambia
l'asse politico dell'azienda, che si sposta dall'AD direttamente
nelle mani dell'allora presidente del Consiglio Berlusconi e dove
l'Eni deve assecondare i suoi interessi economici e politici. Gli
anni dove si stipulano i contratti take or pay, poco lungimiranti e
costosi, delle generose cedole staccate all'azionista Stato, del
titolo in borsa in calo mentre gli emolumenti dell'AD crescono (nel
corso degli anni gli autori stimano in 45ml di euro il totale dei
compensi di Scaroni).
L'ossessione per la sicurezza
interna, quando la security arrivò ad avere un budget da 20 ml di
euro l'anno
“La
sicurezza stessa divenne un affare milionario attraverso la Italgo,
di cui era maggiore azionista Francesco Micheli, che aveva lavorato
per Cefis alla Montedison, e amministratore delegato Anselmo
Galbusera, intimo di Bisignani, che attraverso il faccendiere
pregiudicato intercettava commesse nel settore pubblico. Dell'Italgo
rimane, come simbolo della grandeur di Scaroni, la "sala di
crisi" dell'Eni costata 5,4 milioni di euro e degna del
Pentagono. Spiccioli rispetto ai 200 milioni l'anno assegnati al
budget delle Relazioni esterne per la fabbrica del consenso o ai
45milioni di compensi ufficiali incassati da Scaroni negli anni
trascorsi all'Eni, che sono andati a rimpinguare "The Paolo
Scaroni Trust" e il tesoretto piazzato alle Isole Vergini”.
Anche sul versante della
comunicazione e delle sponsorizzazioni si caratterizzò la gestione
di Scaroni: il budget per questo settore arrivò a 200 ml l'anno,
investiti in pubblicità, eventi, spot sulla Rai, anche negli anni
della crisi economica (la spesa in pubblicità passò nel 2011 da 52
a 70 milioni).
La
terza repubblica petrolifera
Nel 2014 il presidente del
Consiglio Renzi nomina, di fatto, il nuovo AD Descalzi, fino a poco
prima dirigente nel ramo esplorazione petrolifera: una rottamazione
della vecchia gestione o un tentativo da parte di Renzi di mettere
una sua persona anche in questa azienda?
Probabilmente entrambe le cose:
in questi ultimi due anni Descalzi ha iniziato un'opera di
dimagrimento per le spese non ritenute necessarie, come la security e
la comunicazione.
Ha cercato di vendere assett che
zavorrano i costi come Saipem (un'altra multinazionale che si occupa
di lavori di ingegneria non solo per Eni), sta cercando di dismettere
il settore della chimica della Versalis, con tutti i rischi per le
ricadute occupazionali.
Eni sta tornando ad investire
nell'esplorazione e nella ricerca in nuovi paesi dove
sia conveniente investire: importante sottolineare come l'asse
geopolitico si sia spostato dal nord a sud, verso l'Africa (Egitto e
Libia), cercando un'autonomia dalle forniture russe (cui ancora non
possiamo fare a meno): Descalzi ha infatti rivisto i contratti take
or pay (definiti in un'intervista un cappio al collo), sconfessando
di fatto la precedente gestione .
Ci sono le tante, troppe
inchieste sulla corruzione:
dalla Nigeria, alla presunta tangente pagata per il giacimento OPL
245 (raccontata da un'inchiesta di Report), l'inchiesta sulla Saipem
e su una commissione ad una società fittizia, da cui Scaroni è
stato prosciolto (perché non sapeva, ma allora perché si è dato da
fare per trovare un altro posto al manager poi allontanato?), la
storia della Petrolbras in Brasile ….
C'è tutto il filone russo che
l'ex manager Mario Reali ha raccontato agli autori: la dismissione
della ex Yukos, che si è aggiudicata Eni, il finto audit sulle
tangenti in Kazakhistan, il giacimento di Kashagan e le tangenti in
Azerbajan ai ras locali (che certo non devono far piacere agli
stakeholders).
Ci
aspetta un futuro che è difficile da decifrare, imprevedibile: chi
si sarebbe mai aspettato, anni fa, il crollo del valore del barile di
petrolio? Che lo shale gas avrebbe preso piede, aprendo nuove
possibilità?
La
precarietà geopolitica nel mondo, specie nelle zone di
approvvigionamento delle risorse da parte dell'Eni (la Libia, l'Iraq,
la Nigeria e l'Egitto ). Eni deve guardarsi anche dall'aggressività
degli stati petroliferi emergenti, dai rischi di sporcarsi le mani
nuovamente con dittatori (in Egitto, per esempio).
Il
paese ha bisogno di un'Eni forte e competitiva e viceversa, anche Eni
ha bisogno alle spalle di una politica che sappia proteggere questa
importante risorsa.
Sperando
solo che Renzi e Descalzi non compiano gli stessi errori dei loro
precedessori nel passato.
I
capitoli del libro
Le
origini dello Stato parallelo
Tutti
gli affari con la Russia
La
seconda repubblica petrolifera
Cinquant'anni
di fondi neri
Gli
intrighi della P2 e i maneggi della P4
Gli
anni d'oro della crescita
Il
Cane torna al guinzaglio
Servizi
segreti e fabbrica del consenso
Il
fallimento dei controlli e la corruzione endemica
La
Terza Repubblica petrolifera
Alcuni
post sul libro:
La
P2, Cefis e Gelli: il discorso del presidente Eni sull'Europa
delle multinazionali e la fine degli stati nazionali
La
gestione di Scaroni: il cane messo a guinzaglio e l'Eni con
Berlusconi che dettò la linea energetica del paese, di cui ancora
oggi paghiamo le conseguenze
L'articolo
di Stefano
Feltri sui rapporti opachi con Mosca ai tempi di Berlusconi e i
fondia pioggia per la pubblicità, per farsi amici giornali e tv
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