30 maggio 2023

Le inchieste di Report – la ricostruzione dell’Ucraina, gli allevamento dei suini DOP

 TUTTI CONTRO YUKA di Lucina Paternesi e Giulia Sabella

Report torna ad occuparsi della battaglia sulle etichette alimentari: contro il Nutriscore (preferito dall’Oms) l’Italia ha sfoggiato il NutrInform Battery che Giorgetti aveva poi associato ad una app per leggere le etichette.

La puntata di Report è stata criticata perfino da una nota della Presidenza del Consiglio, l’algoritmo del Nutriscore sarebbe manipolabile, l’ex ministro Centinaia ha detto che l’informazione di Report è parziale. Nutri-score mira alla prevenzione, non ha pretese di dare indicazioni su come nutrirsi.
Report con Lucina Paternisi si occupa questa sera di Yuka, una app inventata in Francia nel cui Database sono censiti milioni di codici a barre, con tanto di additivi e coloranti, che ad ogni prodotto associa un indici.
L’applicazione segnala anche le dosi ammesse dalla legge di questi additivi che se presi anche a piccole dosi, a lungo tempo, creano problemi per la salute.
L’algoritmo associa un punteggio basso a salumi e insaccati: per questo Yuka è stata presa di mira dalla FICT, l’associazione della carne insaccata. La lobby degli industriali ha attaccato la app ma non le pratiche industriali delle aziende: tre tribunali hanno dato torto alla app, hanno chiesto 1,3 ml di danni.
Secondo gli industriali l’algoritmo influenza l’acquisto di altri prodotti alternativi alla carne: ma Yuka si difende dicendo che i loro azionisti sono pubblici.
C’è poi la questione dei nitriti e nitrati: Yuka penalizza gli insaccati e i salumi ed effettivamente in Francia degli studi stanno verificando che questi additivi causano dei tumori.

Il gelataio profeta Salvatore Baiardo di Paolo Mondani

Il 2 marzo Baiardo ha raccontato a Report le strategie del suo capo, Graviano: la fine dell’ergastolo ostativo, smontare il 41 bis, cambiare il presidente della Cassazione.

Graviano ne ha pieni i c…”: chi doveva capire ha capito, spiega Baiardo che, aggiunge, Graviano ha pure scritto un libro che uscirà a nome del gelataio.

E la storia delle foto?
L’avvocato di Berlusconi smentisce l’esistenza delle foto dell’ex presidente con Giuseppe Graviano, stessa mentita fatta dal fratello Paolo.
Dietro quelle foto si parlava della consegna di Riina, raccontate a Berlusconi dal generale Delfino: in ballo non ci sarebbe solo la cattura del capo dei corleonesi, i miliardi investiti dai Graviano su Berlusconi e ora Graviano che ora si sta stancando della galera.
Tutte menzogne – spiega oggi Baiardo, dopo l’intervista (inconsapevole) con Mondani: chi ha ragione dunque?

E cosa nasconde “la versione di Baiardo”, a che gioco sta giocando Baiardo e per conto di chi?

I CONSULENTI di Luca Chianca (camere di commercio e camerati)

Bucha, Maiupol, Dnipr sono tante le città martiri in Ucraina distrutte dalla guerra di aggressione di Putin: a Varsavia lo scorso febbraio si è organizzata la fiera Rebuild Ukraine per la ricostruzione del paese, tutti i paesi si sono messi a disposizione del paese tramite aiuti, supporto di vario genere.

Qualcuno sta guadagnando dalla ricostruzione, solo a parlarne, a guerra ancora in corso: Luca Chianca ha girato gli stand di Rebuild Ukraine, intervistando anche l’ex deputato leghista Togni.
“E’ chiaro che non sarà una donazione, come non sarà una donazione il piano Marshall” risponde a Report Walter Togni un rappresentante italiano dentro la fiera “in cambio del nostro aiuto chiediamo di poter far lavorare le nostre aziende”.

Walter Togni è stato un deputato leghista oggi è a capo della Camera di Commercio italiana per l’Ucraina: a Varsavia è riuscito a portare ben 34 aziende italiane. Aziende che fanno gruppi elettrogeni, ad esempio, che si sono presentate alla fiera in lista di attesa per una chiamata.

Ricorda per esempio quello che successe nel 2006 con l’Iraq” racconta a Report uno di questi imprenditori: non proprio un esempio limpido, nel 2006 le aziende e i contractor americani presero possesso e controllo dei beni del paese dopo la caduta di Saddam.
Nel 2006 l’Italia vinse l’appalto energetico e si ricostruì tutto, dalle centrali elettriche, generatori, gruppi elettrogeni: la differenza è che in Ucraina non si sa quando inizierà questo lavoro.

Tanti aziende si stanno infilando in questo affare: ci sono cifre importanti dietro la ricostruzione, chi ha oggi un posto in prima fila avrà assicurata una fetta degli affari e così, racconta Report che si arriva a pagare fino a 7500 euro (da parte di un imprenditore) per poter parlare con ministri ucraini ed europei.
Il ministro Urso ha rifiutato l’invito alla fiera: aveva abbandonato la politica per entrare nel mondo del commercio, per tornare a far politica dal 2015 nel partito di Meloni.

Oggi è ministro del made in Italy: per accedere al ministro però, molte aziende devono prima passare da una consulente.

Per sapere chi sia si deve parlare della STMicroeletronics : ST è diventata ancora più strategica per renderci indipendenti dalla produzione cinese, lo stabilimento di Catania ha ricevuto 300 ml di finanziamenti dallo Stato. A Catania oltre al ministro c’era una consulente, Carmen Zizza, “una facilitatrice” tra l’azienda ST e il ministero racconta un dirigente della St stessa.

Tutta colpa della burocrazia, racconta questo dirigente in forma anonima a Report, che aggiunge anche che il documento letto da Urso a Catania sarebbe stato preparato da Zizza e che avrebbe seguito partite importanti del ministero – lo racconta a Report una fonte dell’ex Mise.
Il ministro ha scelto di non rispondere alle domande di Report, tirando fuori una vecchia audizione ai tempi in cui era al Copasir (che non c’entra nulla).
La carriera di Carmen Zizza inizia a Milano all’autostrada Serravalle, poi alla Asam, la società che controllava l’autostrada milanese, diventando in poco tempo direttore generale con uno stipendio di 220mila euro l’anno: spende in due anni ben 254mila euro per alberghi, viaggi, auto a noleggio, corsi d’inglese e iscrizioni a club privati. Sono gli anni in cui la Provincia chiede di vendere le partecipazioni in Milano Serravalle e la Zizza va in giro per il mondo a tastare il terreno per trovare possibili investitori stranieri in quei mercati. “Solo per farsi aiutare a costruire il bando della Serravalle riuscì a spendere 390mila euro. Furono fatti tentativi a fine 2012, a luglio del 2013 e poi fu fatta un’altra asta a fine 2013. Tutte e tre fallite” ricorda Massimo Gatti già consigliere della provincia di Milano.

Viene licenziata per giusta causa dopo il cambio di governance alla Asam e poi, grazie alla vicinanza con Daffina (capo di Rotschild Italia), entra dentro ST Microelectronics pochi giorni prima della visita di Urso a Catania.
Daffina lavora nella banca d’affari Rotschild: partecipa ad importanti operazioni finanziarie come la fusione tra Intesa a San Paolo, la cessione di Ilva ad Arcelor Mittal e infine come advisors di Vivendì per la vendita della rete di Tim.
In questi tavoli con Tim e Vivendì era presente anche Zizza: alla fine il dossier passa a Palazzo Chigi ma alla fine, anche a causa delle prime domande di Report, il suo ruolo nel ministero inizia a calare.
Oggi Zizza ha uno stipendio da 6000 euro al mese dal ministero del made in Italy, sebbene il suo nome non sia indicato (a proposito della trasparenza).

Dalla consulente donna, al consulente uomo, a Trieste: la guerra in Ucraina ha dato slancio al porto, qui arrivano le merci dal porto di Odessa.

Qui Urso ha lanciato un suo progetto di interconnessione tra il porto di Trieste, quello di Venezia con l’interporto di Verona, collegate alla città di Oronda in Ucraina, per lo scambio delle merci: il progetto non è stato ancora presentato, ma Urso è andato in visita all’Ucraina con il presidente Bonomi.
A marzo, alla fiera LetExpo, Urso parla dell’impor
tanza per l’Italia e per l’Europa della ricostruzione per il rilancio dell’economia: per questo serve creare un hub per lo scambio merci, con base a Verona. Il comune non ne sa ancora niente, ma Urso ha assunto come consulente strategico Umberto Formosa, un ex ultras dell’Hellas Verona, ed ex segretario dell’ex sindaco Sboarina, oggi è consulente del ministero del made in Italy (ex Mise) con un incarico da 70mila euro che sorprende anche l’attuale assessore al bilancio del comune veneto, “visto che nella sua carriera è più noto come pluri daspato ..”
Al congresso per le famiglie tenuto a Verona qualche anno fa faceva quasi da scorta all’allora ministro Salvini (ministero dell’Interno).
Chi sia questo consulente del made in Italy lo racconta il giornalista Berizzi di Repubblica: “Umberto Formosa detto il picchiatore, il suo soprannome, diventa l’uomo agenda di Sboarina, dalla curva passa al palazzo..”
Che fa oggi al ministero? Luca Chianca lo ha chiesto a Formosa stesso, ottenendo una risposta laconica “non vedo perché debba rispondere a queste domande”.

Fortezza Europa è un gruppo di dichiarata fede nazista, si identifica ai valori della destra, è contro gli immigrati, i gay ed è un gruppo incentrato attorno allo stadio.
Attorno al mondo del calcio ruota Antonio Polato, consigliere regionale di FDI, che ha dato un aiuto con le firme per Forza Nuova: si è incontrato più volte con Urso a Verona e la sua azienda ha sede nell’interporto
al centro del progetto dell'HUB voluto da
 Urso.

Un altra consulenza, forse, quello di Polato che però garantisce di voler dare solo una mano senza compensi.

A che titolo Urso ha preso questi consulenti, a parte forse la vicinanza politica?
Urso aveva messo in piedi una società per consulenze alle aziende che vogliono fare business in paesi stranieri, come l’Iran (perché prima gli affari poi i diritti).
Urso, nell’intervista concessa ai tempi con Report, spiegava che il suo compito era insegnare alle imprese come trattare con quei paesi, per entrare nella loro mentalità.

Report si è poi occupata anche degli affari di un imprenditore italiano, Pardi (su cui aveva indagato la nostra Aise), facilitato dallo stesso Urso.
Il servizio racconta anche di una vendita di arei per
pattugliamento che non potevano vendersi in Iran, in quanto armamenti dual use, vietati dall’Unione Europea.
Urso ha spiegato a Report che tutto questo non è vero, ma c’è un’inchiesta ancora in corso che dovrà verificare i fatti: fatti emersi grazie ad una indagine delle nostre agenzie di sicurezza controllate dal Copasir, di cui Urso diventa presidente nel 2021.

29 maggio 2023

Anteprima inchieste di Report –la ricostruzione dell’Ucraina e un servizio sugli allevamenti dei suini

La ricostruzione dell’Ucraina

Report è andata a visitare Rebuild Ukraine, una grande fiera tenuta a Varsavia lo scorso febbraio dove si sono incontrate domanda e offerta, come in un mercato. Essere presenti in questa fiera significa essere in prima fila per la ricostruzione di un paese ancora in guerra: noi li aiutiamo, loro fanno lavorare le nostre aziende – questo sembra il patto dietro la ricostruzione. “E’ chiaro che non sarà una donazione, come non sarà una donazione il piano Marshall” risponde a Report Walter Togni un rappresentante italiano dentro la fiera “in cambio del nostro aiuto chiediamo di poter far lavorare le nostre aziende”.


Walter Togni è stato un deputato leghista oggi è a capo della Camera di Commercio italiana per l’Ucraina: a Varsavia è riuscito a portare ben 34 aziende italiane. Aziende che fanno gruppi elettrogeni, ad esempio, che si sono presentate alla fiera in lista di attesa per una chiamata.

Ricorda per esempio quello che successe nel 2006 con l’Iraq” racconta a Report uno di questi imprenditori: non proprio un esempio limpido, nel 2006 le aziende e i contractor americani presero possesso e controllo dei beni del paese dopo la caduta di Saddam.
Nel 2006 l’Italia vinse l’appalto energetico e si ricostruì tutto, dalle centrali elettriche, generatori, gruppi elettrogeni: la differenza è che in Ucraina non si sa quando inizierà questo lavoro.
Perché nel frattempo la guerra sta andando avanti, in un crescendo in termini di armamenti mandati dai paesi della Nato all’Ucraina, anche nell’ottica di una offensiva con cui l’esercito dovrebbe riprendersi i territori occupati dalla Russia.
Ci sono città da ricostruire, cicatrici da sanare, semmai sarà possibile: alla fiera Report ha incontrato un architetto di Bucha, Naumov, la città dove è avvenuta una delle più gravi stragi di civili, le immagini dei morti lasciati lunga le strade della città hanno fatto il giro del mondo.
Anche Namov è qui per la ricostruzione delle case: a Varsavia hanno portato 4 progetti e ora stanno cercando investitori e anche chi darà loro una mano per questi.
Ad organizzare la fiera è stata la Premier Expo, una società Ucraina che ha già lavorato alla ricostruzione di Sarajevo e Belgrado, dopo la guerra in Jugoslavia: “il 70% delle infrastrutture è andato distrutto, tutti i nostri sforzi sono diretti alla costruzione di case, in questo momento stiamo cercando i soldi.”
Tra gli stand il giornalista di Report ha incontrato anche il vicesindaco di Mariupol, una delle città martiri oggi occupata dai russi: alla trasmissione racconta di essersi spostato a
Zaporižžja assieme a 120 mila persone, anche lui è qui per trovare finanziatori per la ricostruzione quando Mariupol sarà liberata.

Veniamo al ruolo dell’Italia: lo scorso aprile il governo italiano ha tenuto a Roma una conferenza bilaterale con quello ucraino sul tema ricostruzione, tra i ministri presenti c’era anche quello di Adolfo Urso, per il made in Italy. A Verona Urso ha arruolato un suo consulente, Umberto Formosa, ex ultras dell’Hellas Verona, ex segretario dell’ex sindaco Sboarina, oggi è consulente del ministero del made in Italy (ex Mise) con un incarico da 70mila euro che sorprende anche l’attuale assessore al bilancio del comune veneto, “visto che nella sua carriera è più noto come pluri daspato ..”
Al congresso per le famiglie tenuto a Verona qualche anno fa faceva quasi da scorta all’allora ministro Salvini (ministero dell’Interno).
Chi sia questo consulente del made in Italy lo racconta il giornalista Berizzi di Repubblica: “Umberto Formosa detto il picchiatore, il suo soprannome, diventa l’uomo agenda di Sboarina, dalla curva passa al palazzo..”
Che fa oggi al ministero? Luca Chianca lo ha chiesto a Formosa stesso, ottenendo una risposta laconica “non vedo perché debba rispondere a queste domande”.

La scheda del servizio: I CONSULENTI di Luca Chianca
Collaborazione Alessia Marzi, Carlo Tecce e Andrea Tornago

La guerra in Ucraina è ancora in corso e già si parla di ricostruzione. Dall'inizio del conflitto l'Ue, gli Stati membri e le istituzioni finanziarie europee hanno messo a disposizione dell'Ucraina 50 miliardi di euro. Secondo il World Economic Forum la somma necessaria per la ricostruzione e la ripresa dell'Ucraina si attesterebbe sui 540 miliardi di dollari. Anche se in ritardo rispetto a Francia e Germania, il governo Meloni ha organizzato la sua conferenza bilaterale a Roma, dove membri del governo ucraino hanno partecipato a una giornata di incontri con i nostri ministri per la ricostruzione dell’Ucraina.
Tra i ministri presenti Adolfo Urso, nominato al nuovo dicastero del Made in Italy per sostenere le nostre imprese e il nostro sistema paese. Ma come nasce l'esperienza del Ministro in questo settore? Urso è stato a lungo viceministro con delega al commercio estero, con più di 300 missioni internazionali in almeno 110 paesi. E oggi a dare una mano alle società che vogliono incontrare il Ministro, ci sono nuovi consulenti.

Le condizioni negli allevamenti

Abbiamo visto, nei servizi andati in onda in televisione, le immagini dei suini morti negli allevamenti in Emilia Romagna dopo l’alluvione e gli sforzi degli allevatori per salvarli dalle acque che hanno invaso i capannoni dove vengono fatti crescere.

Report con Giulia Innocenzi tornerà ad occuparsi di questi allevamenti, un pezzo importante dell’economia nella pianura padana, non solo in Emilia ma anche nel sud della Lombardia.
Il servizio mostrerà come venga usato in un allevamento di Cremona, con poca accortezza, il veleno per topi sparso negli spazi dove vivono i suini col rischio che venga ingerito: nelle indicazioni del veleno è scritto in modo chiaro che questo deve essere messo dentro contenitori per esche a prova di manomissione. Nell’anteprima si vedono le immagini dei topi morti lasciati dentro l’allevamento mentre, spiega Dario Buffoli veterinario e consulente per le forze dell’ordine, dovrebbero essere subito sgomberate nel più breve tempo possibile per evitare la trasmissione di malattie.

Ma ci sono anche i topi vivi che girano nell’allevamento e finiscono anche nel mangime dato ai maiali: entrano dai tombini e così entrano a contatti con gli animali finendo anche mangiati da loro in qualche caso, quando sono morti. Il rischio è, nel caso i topi siano morti dopo aver ingerito il veleno, che dei residui del veleno finiscano nelle masse muscolari dei maiali. Così se mangiamo il lardo ci facciamo il nostro rodenticida, conclude il veterinario.
Ancora più pericoloso è lasciare le carcasse degli animali morti all’aperto: le immagini
raccolte dall’associazione Last Chance Animals (https://twitter.com/IcaEurope) mostrano un suino morto lasciato fuori da capanni per tre giorni, la legge non lo consente perché queste carcasse dovrebbero essere tenute dentro in un contenitore refrigerato.
Il servizio di Report mostrerà, in un altro allevamento del cremonese, celle frigorifere lasciate aperte con dentro gli animali morti, senza refrigerazione perché le ventole sono ferme “lasciandola aperta si c
onsente l’arrivo di altri animali che diventano veicolo di patogeni, indirizzo che qui la biosicurezza è carente” commenta Dario Buffoli.
Il servizio racconterà anche di un allevamento nel mantovano dove viene aggiunta l’acqua ossigenata all’alimentazione dei maiali, cosa vietata dalla legge: nel video mostrato nell’anteprima del servizio si vede un operaio riempire una bacinella e versarla nel pentolone che contiene il siero di latte destinato agli animali. Il video, fatto nel 2016, riprende questa operazione su più giorni, come se fosse di routine.
Che conseguenze ha l’acqua ossigenata sui suini?

La scheda del servizio: CHE PORCI di Giulia Innocenzi
Collaborazione di Greta Orsi e Giulia Sabella

Sono circa 3600 gli allevamenti che fanno parte del circuito DOP del Prosciutto di Parma. A verificare che venga rispettato il disciplinare c'è il CSQA, l'ente certificatore più grande d'Italia, che ha assunto l'incarico nel gennaio del 2020, dopo che lo scandalo della genetica aveva travolto l'ente controllore precedente. Il nuovo corso doveva essere segnato da controlli rigorosi e intransigenti, ma a seguito di una segnalazione di alcuni dipendenti, il ministero dell'Agricoltura scopre che il CSQA è "più orientato ad assecondare le esigenze della filiera che preoccupato del rispetto della conformità al disciplinare" e decide così di sospenderlo. Ma a dicembre dell'anno scorso il ministero ora diretto da Francesco Lollobrigida conferma nuovamente l'incarico al CSQA per i controlli al Prosciutto di Parma per i prossimi tre anni. Sulla base di quali garanzie? Report mostrerà documenti e audio esclusivi che gettano un'ombra sull'imparzialità dell'ente. Sono casi isolati oppure rappresentativi dell'eccellenza del made in Italy?

La battaglia sulle etichette – terza puntata

Continua la battaglia sulle etichette dei prodotti alimentari che report ha raccontato nelle due puntate precedenti, suscitando la reazione del governo (che ha criticato il Nutriscore, difeso però da 40 scienziati ed esperti di alimentazione): questa sera si parla di Yuka, una app scaricata in tutto il mondo, e della causa intentata contro questa app dalle aziende del settore degli insaccati.

La scheda del servizio: TUTTI CONTRO YUKA di Lucina Paternesi e Giulia Sabella

Non solo Nutri-score e NutrInform Battery, la battaglia delle etichette diventa sempre più hi-tech. Per invogliare i cittadini a prendere confidenza con la proposta di etichetta fronte-pacco di stampo italiano, il Ministero dello Sviluppo economico ha lanciato lo scorso luglio un’applicazione per smartphone con cui scansionare i codici a barre dei prodotti, ma funziona? In Francia, invece, sulla base dell’etichetta a semaforo qualche anno fa è nata Yuka, l’app che assegna un punteggio agli alimenti segnalando anche gli additivi pericolosi, in base al principio di precauzione. Oggi più di 35 milioni di utenti l’hanno scaricata in tutto il mondo. I giudizi più severi sono riservati proprio agli alimenti ultra-processati e agli insaccati, proprio per l’eccessivo utilizzo di additivi e sale da parte dell’industria. La reazione non si è fatta attendere e la Federazione francese degli industriali della salumeria ha trascinato la start up in tribunale.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

27 maggio 2023

Sovranità limitata di Luciano Canfora

 

Prologo
Della sovranità limitata
Il 23 giugno del 1981 il Partito Comunista francese (Pcf) entrò a far parte del governo, con ben quattro suoi ministri. Il mese prima era stato eletto presidente della Repubblica Francois Mitterrand, che aveva fatto risorgere il partito socialista. Né l’ambasciata Usa a Parigi, né il Dipartimento di Stato a Washington, né altri osarono eccepire alcunché. Il Pcf, che rimase al governo per 3 anni era, ed era sempre stato, in Europa occidentale, il più òlegato all’Urss. Negli anni in cui fu al governo, a Mosca vi era Breznev, a Washington Reagan, ed era in corso una fase assai rischiosa della «guerra fredda»: il braccio di ferro sugli «euromissili».
Per l’Italia invece si dovette attendere l’autoscioglimento del PCI (1990-91), costellato di reiterati mea culpa retroattivi sul proprio passato, perché fosse consentito ai super-pentiti di accedere, con altri molti, al governo. In Italia non era consentito, da oltre Atlantico, ciò che in Francia era, ovviamente, riservato alle scelte degli elettori.

Come è potuto succedere?

Come è potuto succedere che un partito fondato da gerarchi ed altri ex fascisti, non pentiti, sia potuto entrare in Parlamento, arrivando oggi, attraverso il partito di Fratelli d’Italia (nato dalla sconfessione di Alleanza Nazionale) al governo?
Come è potuto succedere che un partito fondato da un gerarca della Repubblica Sociale, che formalmente combatteva gli alleati nella seconda guerra mondiale, entrare in Parlamento e, seppur tagliato fuori dall’area di governo, diventare stampella della DC quando conveniva (vedi esperienza del governo Tambroni)?

Come può definirsi atlantista, oggi, la presidente del Consiglio in carica, Giorgia Meloni, avendo come riferimento proprio Almirante?
La risposta la da questo breve saggio dello storico Luciano Canfora ed è la somma di due parole: “sovranità limitata”.
L’Italia è uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, sia l’atteggiamento ambiguo del re Savoia (che aveva firmato tutte le leggi fascistissime del regime, le leggi di discriminazione contro gli ebrei, avallato l’entrata in guerra), sia una certa sfiducia nel generale Badoglio (che rimaneva il condottiero che aveva riportato l’impero sui colli fatali) avevano convinto gli Americani del fatto che la nostra politica interna dovesse essere ben controllata da oltre oceano.

Nel destino dell’Italia invece pesarono l’ambiguità del re e la mediocre tortuosità con cui il governo Badoglio pervenne all’armistizio dell’8 settembre 1943, trasformato dopo oltre un mese (13 ottobre) nello status di «co-belligeranza»: che non significava «alleanza» ma affiancamento nel conflitto contro un nemico comune. Inoltre, la continuità delle persone era a dir poco imbarazzante: innanzi tutto il re, che aveva firmato la dichiarazione di guerra all’Inghilterra e alla Francia il 10 giugno 1940 (e agli Stati Uniti l’11 dicembre del ’41), mentre a capo del governo era il ‘conquistatore’ di Addis Abeba nel 1935. Tutto questo comportò che, a guerra finita, fossimo comunque considerati «paese vinto».

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita come sancisce la Costituzione, ma fino ad un certo punto: questo spiega il perché il Partito Comunista dovesse essere tenuto lontano dalle stanze del potere, come mai tanto nervosismo da parte di Washington per il disegno di Moro di allargare l’area di governo alle sinistre (con tanto di minacce). E questo spiegherebbe anche come è stato possibile ad un partito nato dal fascismo di poter fare politica: perché serviva a questo disegno di sovranità limitata, in quanto è dall’arcipelago nero, a destra del movimento sociale, che sono nate quelle formazioni di estrema destra responsabili degli episodi criminali della strategia della tensione.

La fine della guerra fredda, anziché liberare il mondo dall’incubo del nucleare, dalle tensioni del mondo diviso in blocchi, hanno di fatto posto la fine della sinistra, quello che era politicamente in Italia, la fine del blocco costituzionale che teneva fuori dal governo il Msi, che poi divenuto Alleanza Nazionale e abiurato al fascismo (almeno secondo quanto diceva il suo segretario Fini) è potuto entrare al governo nel 1994.
Da allora la marcia trionfale, sempre in crescita, dove quelle origini non hanno mai costituito un ostacolo, ha proseguito fino ad oggi.

Cosa ha favorito la crescita dei partiti a destra della DC, finanche il movimento sociale e ora Fratelli di Italia (fratelli e parenti)? Si dovrebbe parlare del suicidio della sinistra, abbagliata dalla terza via blairiana, pronta a sconfessare sé stessa appena arrivata al potere. Si dovrebbe parlare di un paese che ha visto crescere la povertà, le disuguaglianze, le ricchezze concentrate nelle mani di poche, nella precarizzazione del lavoro, sempre più sfruttato e povero.

L’autore ricorda una riflessione di Giorgio Amendola, storica figura del PCI che nel 1973 su l’Espresso dal titolo emblematico “Prima che il sud diventi fascista”: la povertà e la disoccupazione sono un serbatoio enorme per questa destra capace di cavalcare il malcontento presentandosi come difensore degli ultimi. Ma non è così.

Una ventina d'anni dopo sul Corriere della sera (1 giugno 1994, pagina 33) Orazio Maria Petracca (1917 2008) equilibrato conoscitore della nostra storia Repubblica nonché consigliere politico confindustriale, formulava lucidamente i temi della questione all'indomani delle dichiarazioni rassicurarti del leader di AN (a ridosso della prima vittoria elettorale di Berlusconi): «Altro non può essere oggi in Italia il fascismo se non una sotto specie della tipologia democratica [..] Un regime formalmente democratico nelle sue fonti di legittimazione, ma strutturalmente caratterizzato da una forte concentrazione del potere e da una gestione del conflitto sociale sbilanciato a vantaggio degli interessi egemonici.»

Vi ritrovate in quanto scritto tanti anni fa con quanto sta avvenendo oggi, con l’occupazione delle Rai, delle commissioni, col taglio al reddito di cittadinanza da una parte e l’occhio benevolo verso le imprese che vogliono fare e che dunque non dovranno temere controlli da parte dello Stato?

A tutto questo va aggiunta la memoria breve degli italiani, l’abbandono da parte della sinistra dell’antifascismo (nel senso di quei valori alla base della nostra Costituzione, non solo nel giorno del 25 aprile) e dall’altra parte un continuo sdoganare, un pezzo alla volta, del fascismo, che, ci dice la sempiterna propaganda, ha fatto anche cose buone e cosa importa del manganello, della soppressione delle libertà, della chiusura del Parlamento.
Tanto, continuano a ripetere, il fascismo è morto nel 1945. E se il fascismo è morto che senso ha continuare a tirar fuori questo inutile fardello che è l’antifascismo?

Ma nemmeno questo basta a spiegare quanto è successo in questi anni (un partito da pochi punti % che oggi si trova a comandare – nel senso stretto direi – il paese).

La decisione di schierare truppe Nato, anche italiane, in Lettonia a partire dal 2018 è una idiozia degna della fallimentare politica estera di Barack Obama. L’Europa e l’Italia non hanno alcun interesse a creare un clima di guerra fredda con la Russia.

Tweet di Giorgia Meloni del 14 ottobre 2016

Si deve tornare a parlare di fedeltà atlantica, una sorta di assicurazione che copre tutti i danni, anche per esempio aver per anni guardato al modello putiniano (e anche Orbaniano, in senso di Orban, il presidente dell’Ungheria) di gestione del potere: un modello di sicuramente si vota, ma che non può essere definito una democrazia perché mancano i suoi tratti distintivi, la separazione dei poteri tra parlamento, esecutivo e magistratura, l’indipendenza dei mezzi di informazione, la possibilità di manifestare il dissenso..

L’aspettativa di vita di un governo che per durare punta sul baratto (presidenzialismo in cambio dell'autonomia) è in realtà legata piuttosto alla prosecuzione dell’attuale guerra in Europa. Finché dura tale emergenza in noi cantiamo in prima fila, il Grande Fratello [americano] non negherà il sostegno ed il governo armigero resterà sui suoi scranni. Non parrebbe, ad oggi, aver molto da temere dalle opposizioni parlamentari tutt'ora tra loro divise.

Si torna al tema di partenza, l’occhio lungo del Grande Fratello americano (come lo chiama l’autore) sulla politica estera italiana, che i governi Berlusconi avevano tanto preoccupato e che erano stati accettati solo per l’appoggio alle guerra americane per esportare la democrazia (e per il supporto bellico).
Nonostante tutto il patriottismo e l’amor patrio sventolato per ogni dove rimaniamo un paese a sovranità limitata: dall’Europa per quanto riguarda la politica economica, fatta nel segno dell’austerità che di fatto ha accentuato la crisi sociale e il mancato sviluppo del nostro paese.

E da Washington per quanto riguarda la politica estera: niente via della Seta, niente ambiguità col nemico russo, niente avventure nei paesi dall’altra parte del Mediterraneo che possano creare problemi con gli altri paesi del fronte atlantico.

A proposito, mi chiedo se non ci sia stata della crudele ironia da parte della presidente nel chiamare piano Mattei il piano per i paesi africani: investimenti (a favore delle multinazionali europee) nei paesi africani in cambio del contenimento dei flussi migratori, secondo il modello libico.

Mattei non avrebbe gradito, non per filantropismo, ma solo perché era un imprenditore che sapeva guardare lontano, consapevole che trattare alla pari i paesi africani, ovvero con commissioni più alte, sarebbe stato conveniente per tutti.

Dove questo paese ha invece una sovranità non limitata, anzi illimitata? Nella politica sui (o contro) i migranti: da quel punto di vista nessuno, né la democratica e civile Europa e nemmeno la grande democrazia americana hanno nulla da dire sui respingimenti, sui finanziamenti alla guardia costiera libici, sui lager in Libia, sulla stretta contro le ONG, che questo governo Meloni ha considerato così urgente tanto da dover essere affrontata sin dai primi mesi (assieme alla stretta contro i rave party).

Questa è la nostra sovranità, dunque, in evidente contrasto con la propaganda di un partito che ha fatto del sovranismo la sua chiave.

La scheda del libro sul sito di Laterza, l’indice dei capitoli e il pdf del primo capitolo.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


25 maggio 2023

Sorelle di Maurizio De Giovanni

 


Una storia di Sara

La seconda volta ricordò, e rimase immobile. La testa sopra il cuscino, appoggiata al lato sinistro del viso; la mano destra a coprire il seno, le dita che coprivano la base del collo; le gambe disallineate, il ginocchio di una sulla coscia dell’altra. Mantenne perfino il respiro regolare, non cedendo alla tentazione di renderlo più profondo per fare scena.
La prima volta era stata colta di sorpresa. Un gemito, un trasalimento, qualche parola pronunciata a fior di labbra, o almeno così le era sembrato di aver fatto. E allora ecco subito l’ago in vena, e di nuovo il buio.

Che cosa ci fa Teresa, “bionda”, rinchiusa e legata, in un posto abbandonato, tenuta in stato di semi incoscienza da un carceriere senza volto? E chi è Marco, questa persona che appare nei suoi sogni indotti chimicamente e che le dice, troppo sinceramente, di quanto sia fragile “sembri forte, e sei fragile. Sembri amara ma sei dolce…”.
Tutto è legato al finale del precedente romanzo della serie con Sara, “mora”, “Un volo per Sara” in cui lo strano gruppo investigativo composto da un disabile, un’anziana signora all’apparenza insignificante, una giovane madre e un ispettore a rimorchio di un bernese avevano fatto luce su un mistero nascosto dietro un incidente aereo. Una storia di ricatti, di un imprenditore al centro di troppi segreti e traffici compromettenti.
In quella indagine Sara, Andrea, Viola e Pardo aveva ricevuto un decisivo aiuto da Teresa, l’amica di una vita, collega dentro l’Unità speciale dei servizi dentro cui tutte e due avevano lavorato, un’unità periferica che negli anni a cavallo tra prima e seconda repubblica si era occupata di monitorare personaggi sensibili per lo Stato, andando a intercettarne le conversazioni, captarne le voci, le espressioni, per cercare di carpirne i segreti. Questo era stato il compito di Sara, prima di abbandonare l’Unità per seguire gli ultimi mesi di vita del suo grande amore, Massimiliano, che era anche suo capo nell’unità e per cui aveva abbandonato un marito e il figlio.

Quell’aiuto non era passato inosservato da parte di tutto quel sottobosco dentro la parte grigia delle istituzioni, quel mondo a cavallo tra politica, interessi privati, interessi che non si possono confessare in pubblico, con la protezione di qualche pezzo dei servizi, deviati o meno, non di certo al servizio dell’interesse del paese.

«Dottore, non credo proprio di doverle ricordare di chi stiamo parlando, vero? I nostri amici, tutti, sono persone che non contemplano l’esistenza di problemi. Da molti anni, in alcuni casi da sempre, a loro le situazioni arrivano già risolte. Loro determinano le strategie, indicano i processi. Guardano lontano, a lungo termine. Siamo noi, lei, io e pochi altri, a dover fare in modo che ignorino l’esistenza di problemi.»

Ecco il rapimento. Ecco quel tenerla nascosta: chi l’ha fatta sparire ha organizzato le cose perbene, in modo che nessuno si ponga domande sull’assenza prolungata di Teresa Pandolfi, dirigente di quell’Unità dei servizi periferica (sopravvissuta dopo tanti anni, nonostante i tagli, nonostante i cambiamenti), impegnata in attività di osservazione, per poi riferire a Roma.
Ma Sara non è solo un’amica di Teresa: il loro rapporto è cresciuto, si è consolidato negli anni a fianco dentro l’Unità, ed era arrivato anche ad incrinarsi, quando le loro storie personali erano arrivate ad un punto di svolta.

E oggi Sara è preoccupata dell’assenza dell’amica, non è da lei sparire senza lasciare un messaggio: abituata a decifrare un’espressione, uno sguardo, un tono di voce, Sara comprende che c’è qualcosa che non va mettendo assieme tutti i puntini, fino all’epilogo della vicenda del “Bombardiere”: ne parla con Andrea Catapano, l’esperto di voci dentro l’Unità, con cui condivide i suoi timori

«Prendi subito questo contatto, Andrea. Ti prego. Appena saprai la risposta, ci riuniamo con Pardo e Viola; ci mettiamo in movimento. Perché se l’hanno fatta sparire ...»
Lui disse, piano:
«Dipende tutto dall’assicurazione. Se non ce l’ha, è già morta, lo sai».

L’assicurazione, già. Ovvero aver messo da parte dei documenti raccolti nel corso delle indagini, documenti con informazioni che, se divulgate, potrebbero creare problemi a qualche personalità influente, a qualche ex finanziere d’assalto che oggi fa parte del circolo ristretto che tira le fila della politica e degli affari. Un modo per sopravvivere usando quei ricatti, in un gioco pericoloso dove c’è gente disposta ad uccidere per quei ricatti, per quei documenti. Senza farsi troppi problemi, come fosse gramigna da estirpare se si vuole salvare il “raccolto”, basta un piccolo incidente, una rapina finita male, una macchina che sbanda e investe una persona mentre attraversa..

«Ai nostri tempi succedeva, ed è probabile succeda ancora, che da qualche parte si conservassero documenti compromettenti. Serviva proprio per non correre il rischio di essere epurati..»

Sara deve salvare Teresa, a tutti i costi, al costo di dover andare ancora una volta a scavare nel passato, nell’archivio segreto di Massimiliano, dentro la memoria di quelle indagini, non tutte finite sui giornali, anche a costo della sia incolumità. Perché Sara e Teresa, Mora e Bionda come venivano chiamate dentro l’Unità, non sono solo ex colleghe, amiche. Sono sorelle: si sono trovate nella vita e si sono scelte:

Noi due siamo diverse, io ti prenderei a calci almeno dieci volte al giorno, e siamo due colleghe che fanno uno strano mestiere, di quelli che non si possono raccontare in giro; ma siamo anche qualcos’altro. Siamo due sorelle che si sono scelte, che non si sono trovate per caso nello stesso posto e nella stessa famiglia.

Così diverse e così legate: tanto fragile all’apparenza, Sara, ma capace di abbandonare la sua famiglia per amore. Tanto dura all’esterno Teresa, quanto fragile dentro. Andando a ripescare avvenimenti del passato, scopriremo cosa è successo tanti anni prima, nel 1993, che ha causato la prima rottura tra le due “sorelle”, i primi sensi di colpa per una non aveva saputo fare le stesse scelte dell’altra, condannando Teresa ad un ergastolo di non amore.

Come nei capitoli precedenti della serie con Sara Morozzi, anche questo romanzo alterna pagine molto intime sulle due protagoniste, così diverse ma così legate, ciascuna costretta ad indossare la sua maschera, con pagine in cui l’autore ci fa intravedere quella zona grigia a metà tra criminalità e impresa, con imprenditori senza scrupoli, con la connivenza di una parte della politica, servizi più o meno deviati. Un potere segreto che non ha nomi ma solo titoli a volte anche grotteschi, come il giardiniere, il dottore, l’avvocato, l’eminenza, persone rispettabili implicate in business “sporchi” come per esempio quello dei rifiuti tossici.
Nonostante le apparenze, questo è un romanzo che lancia un messaggio politico che arriva alla fine della lettura: si parla del potere segreto e criminale, certo, un tema molto attuale, ma si parla anche di relazioni che vanno oltre la famiglia e le relazioni familiari.

La scheda del libro sul sito dell'editore Rizzoli e il pdf del primo capitolo.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

23 maggio 2023

Report – l’arresto di Messina Denaro, la latitanza, la trattativa

La verità, vi prego, sulla mafia, sull’arresto di Messina Denaro e su chi ne ha garantito la latitanza – viene da parafrasare il poeta Auden, per questa puntata di Report, all’indomani delle celebrazioni sulla morte del giudice Giovanni Falcone ucciso a Capaci 31 anni fa assieme alla moglie e ai componenti della scorta.

Sos Emilia Romagna

Ma l’anteprima della puntata è dedicata all’alluvione in Emilia Romagna, con le immagini dei campi allagati, gli allevamenti dove gli animali rischiano di affogare nell’acqua.
L’acqua nei campi ha raggiunto l’altezza di 1 metro e venti centimetri: significa la morte delle piante, dei laboratori, dei frigoriferi, di tutte le strutture nelle aziende agricole o negli allevamenti.
Andrea Benzenati – l’allevatore che ha aperto a Report il suo allevamento deve salvare le sue scrofe che sono rimaste nell’acqua fredda per più di 24 ore.

Passata l’emergenza arriverà poi il momento della conta dei danni.

La pupiata di Paolo Mondani

Nei vocali presi dal telefono di MMD si sente parlare il boss della sua vita privata: la cattura del boss è diventata una soap opera, le amanti che litigano, il paese omertoso sullo sfondo, la sua cartella clinica squadernata davanti a tutti.

Possibile che la sua rete di fiancheggiatori finisca con l’alter ego, il medico massone e l’autista?

Ancora mancano pezzi della cattura, non sappiamo chi abbia garantito la sua latitanza: il giudice Di Matteo parla di garanzie ad alto livello, in una provincia, Trapani, che non è una provincia qualsiasi. Qui si legano mafia, logge massoniche, servizi segreti.
Nelle logge si ritrovano mafiosi, politici che si ritrovano assieme. A Trapani si trovava la base dell’aeronautica usata da Gladio: dopo l’arresto di MMD si scoprì che il suo fiancheggiatore era il medico Tumbarello, i cui contatti cui servizi erano noti da anni, medico anche iscritto alla massoneria.

MMD aveva messo in piedi una rete massonica tutta sua: è stato l’architetto Tuzzolino a raccontarlo alla magistrata Principato. Alcune sue rivelazioni si sono rivelate false e ne hanno causato l’arresto, ma altre sono state riscontate: come quelle sui rapporti tra Messina Denaro e l’ex sottosegretario D’Alì, sul fatto che quest’ultimo fosse iscritto alla loggia La Sicilia, come un Gran Maestro.
Le indagini sulla massoneria si sono poi fermate: a queste super logge segrete appartenevano imprenditori trapanesi e politici che tutelavano la latitanza del boss.
Tuzzolini incontrò Messina Denaro più volte, in diversi incontri che gli diede una mano in un suo progetto a New York.
La Loggia La Sicilia era una diretta emanazione della P2 – racconta il servizio: sin dai tempi di Bontade la mafia era in contatto con la loggia di Gelli. Diversi pentiti hanno dettagliato di viaggi in Sicilia di Gelli in Sicilia, dove questi si incontrava coi boss mafiosi.
Dunque la rete di protezione di MMD (scoperta dalla pm Principato) è di derivazione da quella di Gelli: politici, giornalisti, professionisti, tutti dentro questa loggia itinerante, senza sede, che dava consigli e contatti per chi voleva investire all’estero.

Dentro questa loggia, raccontano i pentiti, anche l’ex senatore D’Alì, lo zio era iscritto alla loggia P2: oggi l’ex senatore è in carcere per la condanna di concorso esterno.

L’ex collaboratore Morsicato ha raccontato a Report dei familiari di MMD con cui era entrato in contatto: si sapeva che il boss era protetto da uomini dello stato. Lo stesso Tuzzolino spiega come nelle logge fossero presenti uomini delle forze dell’ordine e dei servizi.

Giovanni Savalle è un imprenditore che è stato considerato dalla GDF come il tesoriere di MMD: lo scorso anno è caduta l’accusa di essere in relazione col boss, per tramite di altri imprenditori, come Gianfranco Becchina. Secondo la DIA Becchina sarebbe a capo di una rete di trafficanti in opere d’arte. Altri rapporti con Maria Guttadauro, figlia di Filippo Guttadauro (sposato con la sorella di MMD), con Luca Bellomo (nipote del boss).. Buoni rapporti non solo coi parenti del boss ma anche con la politica, di destra o di sinistra: Totò Cuffaro gli aveva chiesto di candidarsi.

Tumbarello, il medico massone di MMD, era una fonte dei servizi: lo si sapeva da anni – racconta una fonte a Report che lavorava nella polizia giudiziaria: l’ex sindaco di Castelvetrano Vaccarino aveva proprio Tumbarello come tramite per raggiungere Messina Denaro. L’operazione Vaccarino era gestita dal Sisde e serviva per concordare la consegna spontanea del boss: una sorta di pre tavolo di trattativa.

Nelle lettere che MMD scrive a Vaccarino il boss spiega le sue condizioni, a modo suo: al centro della trattativa c’è l’ergastolo, il 41 bis.

Poi arriva la malattia e le abitudini del boss cambiano: è come se volesse lasciare delle briciole nel suo percorso per farsi arrestare, come il cellulare lasciato ad altre pazienti della clinica.

O era troppo fiducioso della rete di protezione oppure si è lasciato arrestare.

Il funzionario di polizia giudiziaria che è stato sentito da Report racconta della mancata cattura nel 2022: c’è un’ultima lettera con dentro dei pizzini, in cui MMD parla in codice “è andato tutto a scatafascio”, come se sapesse dell’indagine grazie ad una talpa.
Le indagini erano fatte da polizia e carabinieri, le cimici nella casa della sorella Rosalia erano state inserite dalla polizia e i carabinieri volevano inserirne una nel bagno
nel dicembre 2022.
Qui c’è un mistero, un pizzino che prima c’è, poi scompare: un pizzino dove si parla della malattia del capomafia, quel pizzino poi servì ai carabinieri per arrivare alla cartella clinica e poi arrivare alla cattura.
La sorella Rosalia si accorge dei movimenti di polizia e carabinieri, che si pestano i piedi: nel pizzino il boss dichiara di non voler usare la posta perché non sicura, ma rimane a Campobello, dove si sentiva sicuro.

I servizi segreti non vogliono che Matteo Messina Denaro fosse catturato nel maggio 2022, col governo Draghi”: sarebbe cioè il secondo round di una trattativa partita tramite uno scambio di lettere (le lettere a Svetonio) tra il mafioso e l’ex sindaco Vaccarino.
Lettere dove si parla del 41 bis, che rimane ancora un nervo scoperto per la mafia: quelle lettere servivano a preparare il terreno per la consegna di Messina Denaro.

L’arresto del latitante era stato annunciato da Salvatore Baiardo: nel processo del 2020 Ndrangheta Stragista aveva parlato di aver incontrato coi Graviano l’ex presidente Berlusconi.

Massimo Giletti aveva ospitato a La7 Baiardo dove quest’ultimo aveva annunciato l’arresta di Messina Denaro come regalo al governo, “quando allo stato farà comodo..”
L’arresto dei corleonesi in cambio della fine del 41 bis?

Report ha chiesto conto a Baiardo di questa cattura annunciata? Chi lo ha detto a Baiardo?
A Report Baiardo parla di un coinvolgimento dei servizi, che avrebbero interloquito col boss.

A Omegna sarebbe stata scattata la foto di Graviano con Berlusconi e l’ex generale Delfino: ex generale del Sismi, indagato per gli attentati del 1993. Cosa ci faceva sul lago D’Orta assieme ai Graviano? Quelle foto esistono veramente?
“Se non va tutto come deve andare le foto escono nel libro” racconta poi a Mondani: le foto sono state mostrate a Paolo Berlusconi – racconta ancora Baiardo.
L’avvocato di Paolo Berlusconi racconta di insinuazioni, si tratta solo di una richiesta di denaro.

Dopo la chiusura della trasmissione di Giletti e dopo l’uscita della storia delle foto, Baiardo inizia a ritrattare tutto facendo dei video su Tik Tok.
Altro che foto, sono tutte fesserie..

Ma all’autorità giudiziaria Giletti racconta di questa foto polaroid dove ha riconosciuto Berlusconi, l’ex generale Delfino e poi un’altra persona che Giletti non ha riconosciuto.

In uno scambio di messaggi Baiardo fa riferimento ad una data, l’8 marzo, data in cui la Cassazione inizia a discutere dell’ostacolo ostativo: a che gioco sta giocando Baiardo e per conto di chi?

Strane coincidenze in questa storia: la profezia del veggente Baiardo che da Giletti annuncia il regalo al governo Meloni, l’arresto del latitante Messina Denaro il 15 gennaio.

E, anni prima, la profezia del generale Delfino che nel 1992 annuncia la cattura di Riina, come favore al ministro Martelli.

Graviano, in una deposizione, racconta di essere venuto a conoscenza del pentimento di Balduccio Di Maggio, di cui non avvisò però Riina.

Oggi Martelli racconta di una visita, nell’estate del 1992, del generale Delfino: “non si preoccupi, le portiamo noi Riina” gli disse.
Già a luglio qualcuno nello stato sapeva della disponibilità di Di Maggio nel consegnare proprio Riina?
Era stato Graviano a portare Di Maggio a Borgomanero – racconta Baiardo oggi: è stato poi Graviano a portare Di Maggio dal generale Delfino, vendendo così Riina allo stato.
Questo si incastra con le rivelazioni fatte da Spatuzza, quando a Roma Graviano felice, spiega al suo soldato che avevano aggiustato tutto con quello di canale 5 e col paesano di Palermo.

I fratelli Graviano erano ad un passo di Berlusconi, sempre smentiti da quest’ultimo.
E questo porta
a raccontare di due verbali della Dia dimenticati nel cassetto: nel 1996 Francesco Messina era alla Dia e indagava sulle stragi del '93 insieme al magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi, quando firmò due verbali con le rivelazioni di un confidente fino ad allora sconosciuto, Salvatore Baiardo. Quest’ultimo confessa a Francesco Messina di aver assistito nella sua casa tra il 1991 – 92 a conversazioni telefoniche tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri dalle quali si evinceva che i due avevano interessi economici comuni in Sardegna.

Oggi il prefetto Messina è direttore del servizio centrale anticrimine e racconta a Mondani di quel verbale: “disse di aver assistito ad una conversazione telefonica tra Graviano e un tale Marcello, questo bisogna dirlo per onore della cronaca.”

Baiardo aveva capito tramite un commercialista di Palermo, Fulvio Lima parente del politico Salvo Lima (ucciso dalla mafia nel marzo 1992), che venivano trasferiti ingenti capitali proprio a Marcello Dell’Utri: “parlò di questo interessamento anche di Fulvio Lima a questo trasferimento di denaro, ma anche questo fu riferito all’autorità giudiziaria.”
La villa dove i Graviano stavano dopo le stragi del 1993 era ubicata a Punta Volpe (in Sardegna) ed è Baiardo che paga l’affitto per conto dei Graviano: “Baiardo raccontò di aver dovuto recapitare una valigia ai fratelli Graviano che si trovavano in vacanza in Sardegna e che questa valigia ad un certo punto fu recapitata in una villa che era nel comprensorio
vicino alla villa del prossimo presidente del Consiglio..”
Cosa aveva intuito Chelazzi (il pm fiorentino che indagò sulla bomba ai Georgofili) alla fine del suo percorso investigativo sulla strage di Firenze, sulla strage di Milano e sulle stragi del 1993?

Io credo che lui avesse percepito chiaramente da tempo che dietro a questi fatti non c’era soltanto l’ala militare di cosa nostra corleonese.”

Baiardo è stato interrogato dal pm Tescaroli a Firenze sulle stragi di Firenze e Milano: erano stragi per spazzar via la vecchia mafia e far emergere la mafia nuova, l’ala di Provenzano.
Sulla trattativa stato mafia la Cassazione ha confermato le assoluzioni a politici e carabinieri, il fatto non è reato: ma nella sentenza di appello era stato scritto come Dell’Utri aveva tramato per favorire interessi dei mafiosi.
Oggi l’indagine sui mandanti esterni per queste stragi si sono riaperte, gli investigatori stanno cercando le tracce di denaro tra i Graviano e Berlusconi (secondo i Graviano erano investimenti fatti nelle sue aziende).

Sulla strage di via dei Georgofili il pentito Spatuzza ha detto che questi morti non ci appartengono: o mafiosi non avevano tutto quell’esplosivo poi fatto esplodere sotto la torre. Secondo il giudice Donadio altri (chi?) hanno messo altro esplosivo oltre a quello dei mafiosi: i periti, sentiti da Report, parlano di Tritolo, Pentrite, T4, esplosivi che si ritrovano anche per uso civile.
Un ex agente della polizia giudiziaria di Firenze ha raccontato di una indagine svolta: la Torre dei Pulci poteva essere un obiettivo diverso,
perché quella Torre era ospitato un centro forse collegato ai servizi (forse dietro al scelta di quell’obiettivo c’erano altre menti raffinatissime?).
Un ex carabiniere poi passato ad una società privata avvisò gli investigatori con una minaccia nemmeno troppo velata. L’indagine fu poi troncata da un importante magistrato.

A Milano e a Firenze diversi testimoni parlano di una bionda e di una bruna: di questi strani agenti parla l’ex compagna del poliziotto Peluso, Marianna Castro, che parla di una rete (di agenti o ex agenti) composta da "faccia da mostro" e dall'ex funzionario del Sisde Contrada.

Da Firenze a Milano: il 27 luglio 1993 in via Palestro a Milano esplode una bomba uccidendo 5 persone ferendone 12. I magistrati ritengono che ci sia un buco di 48 ore nella ricostruzione della preparazione della strage, perché nessuno dei collaboratori di giustizia sa dire cosa accadde dopo, come se i mafiosi avessero passato nelle mani di altri l’esecuzione.
Altri chi? Ma non era stata solo la mafia a preparare e gestire quelle bombe?
Il giornalista Fabrizio Gatti nel 2019 ha scritto
Educazione americana, la storia di un agente della Cia di stanza a Milano che gli rivela i retroscena della strage.
“Dice di chiamarsi Simone Pace, il suo nome convenzionale, quindi credo che sia anche il nome finto, racconta e rivela che in quegli anni degli attentati, così come prima e negli anni successivi esiste in Italia e anche a Milano una squadra clandestina della Cia, formata da cittadini italiani e americani. In particolare lui, nei mesi precedenti all’attentato di via Palestro viene coinvolto dal suo capo americano, che dice di chiamarsi Viktor, viene coinvolto in un sopralluogo in via Palestro.”

Ancora Gatti racconta che Viktor chiese a Pace di comprare dei componenti chimici per realizzare una bomba: poco distante dalla casa di Viktor stavano i due mafiosi che hanno portato l’esplosivo per Milano.

Pace si definiva un facilitatore della storia, uno che fa si che la storia segua un certo corso – spiega Gatti a Mondani.

La nostra storia è stata facilitata grazie alle bombe, alle stragi, dietro cui si ritrovano spesso le stesse facce: un paese che non teme la mafia, che non ha nulla a che spartire con mafia e terrorismo (di tutto i colori), che non teme i ricatti dei mafiosi DEVE sapere svelare questi misteri, queste facce.

Sarà questo il compito della prossima commissione antimafia? Sarà questo l'obiettivo di questo governo?

22 maggio 2023

Anteprima inchieste di Report – Messina Denaro e il suo arresto, la selezione a Sanremo e la trasparenza delle etichette

Cosa è stato l’arresto di Matteo Messina Denaro

Degli ultimi mesi della latitanza di Matteo Messina Denaro sappiamo tutto: abbiamo i vocali su whatsapp (dove raccontava “io in genere sfuggo dal farmi riconoscere”), abbiamo i selfie che si è fatto assieme ad altri pazienti nel centro presso dove si curava per il tumore, abbiamo potuto persino vedere la sua cartella medica.

Matteo Messina Denaro è stato l’ultimo dei mafiosi responsabili delle stragi del 1992-93 ad essere arrestato: ma la sua fine il 16 gennaio 2023 non ha permesso di fare chiarezza sui tanti punti oscuri su quelle bombe, sul ricatto allo Stato (che non esiste, che non è reato a quanto ci dice la Cassazione), sul perché la mafia decise di portare avanti quella strategia terroristica.
Ancora oggi, chi fa veramente lotta alla mafia e non fiction si interroga su chi possano essere i mandanti esterni, i suggeritori di Riina e dei corleonesi, chi suggerì quella strategia del muro contro muro con lo Stato, chi indicò gli obiettivi da colpire a Firenze, Roma e Milano.  
Perché esistono queste persone, nello Stato, nel mondo della società civile.

L’arresto del boss, latitante da 30 anni, si è subito trasformata in una fiction: le sue amanti,i suoi figli segreti, i suoi libri, le foto nel suo covo con l’immagine de Il padrino e di Jocker: i pettegolezzi sulla sua vita sono stati spacciati come segreti, il suo omertoso paese (di cui si è occupato il passato servizio di Claudia di Pasquale) che fa da scenario, come se avesse gestito affari da 5 miliardi di euro tutti da Campobello di Mazara.
In uno di questi vocali sentiamo il boss, direttamente dalla sua voce, dire di non aver vissuto nel suo salottino in ciabatte, “io sono stato un tipo che il mondo lo ha calpestato”.
Come se bastasse il medico Tumbarello, l’alter ego Bonafede e l’autista a raccontare i suoi fiancheggiatori. Ma, come racconta nell’anticipazione del servizio
di Mondani, niente è stato raccontato, mancano pezzi decisivi della dinamica dell’arresto e soprattutto continuiamo a non sapere nulla delle protezione di cui ha goduto per 30 anni. È un vero boss questo Messina Denaro o solo un simbolo utile a dichiarare la mafia sconfitta?

Il servizio di Paolo Mondani intervisterà il magistrato Nino di Matteo: “io penso che neppure il mafioso più potente possa rimanere latitante per tanti anni senza godere di protezioni anche molto alte..”

Non possiamo non includere, oltre al livello politico, anche le logge massoniche che Messina Denaro frequentava, e a cui anche il medico Tumbarello era iscritto (e da cui oggi è stato sospeso, dopo la notizia delle indagini sul suo conto – racconta il gran maestro a Report).
Della rete di protezione di Messina Denaro, la rete di professionisti che hanno gestito i suoi beni (il commercialista che era considerato il tesoriere di Messina Denaro).

Torniamo allora alle bombe del 1992-1993: il 27 luglio 1993 in via Palestro a Milano esplode una bomba uccidendo 5 persone ferendone 12. I magistrati ritengono che ci sia un buco di 48 ore nella ricostruzione della preparazione della strage, perché nessuno dei collaboratori di giustizia sa dire cosa accadde dopo, come se i mafiosi avessero passato nelle mani di altri l’esecuzione.
Altri chi? Ma non era stata solo la mafia a preparare e gestire quelle bombe?
Il giornalista Fabrizio Gatti nel 2019 ha scritto
Educazione americana, la storia di un agente della Cia di stanza a Milano che gli rivela i retroscena della strage.
“Dice di chiamarsi Simone Pace, il suo nome convenzionale, quindi credo che sia anche il nome finto, racconta e rivela che in quegli anni degli attentati, così come prima e negli anni successivi esiste in Italia e anche a Milano una squadra clandestina della Cia, formata da cittadini italiani e americani. In particolare lui, nei mesi precedenti all’attentato di via Palestro viene coinvolto dal suo capo americano, che dice di chiamarsi Viktor, viene coinvolto in un sopralluogo in via Palestro.”


Il servizio tornerà poi a parlare di due verbali della Dia dimenticati nel cassetto: n
el 1996 Francesco Messina era alla Dia e indagava sulle stragi del '93 insieme al magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi, quando firmò due verbali con le rivelazioni di un confidente fino ad allora sconosciuto, Salvatore Baiardo. Quest’ultimo confessa a Francesco Messina di aver assistito nella sua casa tra il 1991 – 92 a conversazioni telefoniche tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri dalle quali si evinceva che i due avevano interessi economici comuni in Sardegna.

Oggi il prefetto Messina è direttore del servizio centrale anticrimine e racconta a Mondani di quel verbale: “disse di aver assistito ad una conversazione telefonica tra Graviano e un tale Marcello, questo bisogna dirlo per onore della cronaca.”
Baiardo aveva capito tramite un commercialista di Palermo, Fulvio Lima parente del politico Salvo Lima (ucciso dalla mafia nel marzo 1992), che venivano trasferiti ingenti capitali proprio a Marcello Dell’Utri: “parlò di questo interessamento anche di Fulvio Lima a questo trasferimento di denaro, ma anche questo fu riferito all’autorità giudiziaria.”
La villa dove i Graviano stavano dopo le stragi del 1993 era ubicata a Punta Volpe (in Sardegna) ed è Baiardo che paga l’affitto per conto dei Graviano: “Baiardo raccontò di aver dovuto recapitare una valigia ai fratelli Graviano che si trovavano in vacanza in Sardegna e che questa valigia ad un certo punto fu recapitata in una villa che era nel comprensorio dove era situata la villa del prossimo presidente del Consiglio..”
Cosa aveva intuito Chelazzi (il pm fiorentino che indagò sulla bomba ai Georgofili) alla fine del suo percorso investigativo sulla strage di Firenze, sulla strage di Milano e sulle stragi del 1993?

Io credo che lui avesse percepito chiaramente da tempo che dietro a questi fatti non c’era soltanto l’ala militare di cosa nostra corleonese.”

La scheda del servizio: La pupiata

di Paolo Mondani

Collaborazione di Marco Bova e Roberto Persia
Immagini di Dario D’India, Cristiano Forti e Alessandro Spinnato
Montaggio di Elisa Carlotta Salvati e Giorgio Vallati

Siamo alla ricerca della verità sui fatti di mafia e sulle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Sono passati oltre trent’anni e ancora siamo alla ricerca della verità sui fatti di mafia e sulle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese. Con l’esperienza di quella stagione l’arresto di Matteo Messina Denaro pone interrogativi sulla sua cattura e la sua latitanza. Trent’anni sono passati dalla strage di Firenze in via dei Georgofili. La mafia in quegli anni metteva bombe qua e là per il Paese, ma non era sola nella pianificazione della strategia stragista. Grazie al recentissimo lavoro della Commissione parlamentare antimafia aggiungiamo pezzi di verità sui mandanti e sugli esecutori.

Come si arriva a Sanremo?

In che modo un cantante può arrivare a cantare a Sanremo? Ci sono favoritismi anche sulle selezioni per arrivare al festival?
Emanuele Bellano ha contattato due cantanti escluse dalla fase finale del concorso Area Sanremo nel 2014 (su cui oggi sta indagando la magistratura): Aurora Pacchi racconta al giornalista di aver preso voti alti al concorso di selezione organizzato dal comune sanremese, per un giudizio complessivo di 9+.. L’altro concorrente contattato da Report, Michelangelo Giordano, racconta della domanda ricorrente che si fa dal 2014 “ma gli altri 40 concorrenti passati in finale possibile che hanno preso tutti voti superiori a questi”. Anche lui al concorso aveva preso voti alti per essere poi escluso. Come per ogni concorso pubblico, anche questo prevede per i concorrenti la possibilità di fare accesso agli atti così sia Michelangelo che Aurora chiedono le schede dei concorrenti passati in finale, scoprendo che persone con voti più bassi hanno avuto accesso alla fase successiva che avrebbe poi dato accesso al festival.
Report ha intervistato il presidente di Area Sanremo nonché presidente dell’orchestra sinfonica di Sanremo, Livio Emanueli, che oggi si dice stupito di quanto è accaduto, il criterio di selezione è quello legato all’ascolto dei brani da parte di una commissione tecnica, “sulla base di queste valutazioni noi facciamo accedere al livello successivo i ragazzi”.

La graduatoria finale viene dunque stabilita in base ai voti presi dai giurati durante le audizione dunque chi è passato avrebbe dovuto avere voti più alti.

La scheda del servizio: La selezione

di Emanuele Bellano

Collaborazione di Greta Orsi
Immagini di Giovanni De Faveri

Come si accenderebbe veramente a Sanremo?
Il Festival di Sanremo consente ogni anno a otto giovani cantanti di accedere al palco dell'Ariston e di cantare in diretta TV davanti a milioni di spettatori in tutto il mondo. La selezione degli otto talenti avviene attraverso due strade: una organizzata direttamente dalla commissione RAI, l'altra attraverso un concorso chiamato Area Sanremo organizzato dal comune di Sanremo. Come rivela uno dei giudici che hanno fatto parte più volte della commissione giudicatrice di Area Sanremo, le pressioni sui giudici e sull'organizzazione sono molto forti e sarebbero finite anche in tentativi di corruzione. Nel 2014 di fronte all'esclusione dalla fase finale, due concorrenti di Area Sanremo fanno accesso agli atti e scoprono che la loro esclusione è anomala e che ci sarebbero state circostanze oscure nella selezione dei finalisti.

Le etichette dei prodotti alimentati

La scorsa settimana Report aveva messo a confronto il sistema di etichettatura francese, il Nutriscore, che usa la metafora del semaforo che, in base alle indicazioni raccolte dagli utenti intervistati nel corso del servizio, sembra più semplice da comprendere rispetto al modello scelto dall’Italia, il Nutrinform.
In Francia, oltre a Nutriscore, hanno sviluppato una App Yuka (scaricabile anche in Italia), che assegna un punteggio agli alimenti in base all’etichetta, segnalando anche gli additivi pericolosi, in base ad un principio di precauzione. Basta selezionare con lo smartphone il codice a barre del prodotto per scoprire cosa c’è dentro: nel suo Database sono schedati circa 4 ml di codici a barre, prodotti alimentari ma anche cosmetici. Il punteggio finale che da al prodotto è basato sulla qualità nutrizionale, gli additivi e la dimensione biologica per avere così una visione globale. L’algoritmo si basa su fonti scientifiche che sono tutte menzionate nell’applicazione.
Lucina Paternesi ne ha chiesto conto alla dottoressa Renata Alleva, nutrizionista: “su questo punto i francesi stanno lavorando molto, noi non abbiamo una regolamentazione che ci fa capire quant’è la tossicità legata al cocktail che noi abbiamo.. ”
Questa app è finita in tribunale a causa della reazione delle industrie degli insaccati.

La scheda del servizio: Tutti contro Yuka

di Lucina Paternesi e Giulia Sabella

Immagini di Davide Fonda
Montaggio di Sonia Zarfati
Grafiche di Giorgio Vallati

Come finirà la guerra delle etichette?
Non solo Nutri-score e NutrInform Battery, la battaglia delle etichette diventa sempre più hi-tech. Per invogliare i cittadini a prendere confidenza con la proposta di etichetta fronte-pacco di stampo italiana, il Ministero dello Sviluppo economico ha lanciato lo scorso luglio un’applicazione per smartphone con cui scansionare i codici a barre dei prodotti, ma funziona? In Francia, invece, sulla base dell’etichetta a semaforo qualche anno fa è nata Yuka, l’app che assegna un punteggio agli alimenti segnalando anche gli additivi pericolosi in base al principio di precauzione. Oggi più di 35 milioni di utenti l’hanno scaricata in tutto il mondo perché nei suoi database sono schedati oltre 4 milioni di codici a barre: alimenti ma anche cosmetici. I giudizi più severi sono riservati proprio agli alimenti ultra-processati e agli insaccati: prosciutti, salami e carni trasformate sono sempre giudicati negativamente dall’app, proprio per l’eccessivo utilizzo di additivi e sale da parte dell’industria. La reazione non si è fatta attendere e la Federazione francese degli industriali della salumeria ha trascinato la start up in tribunale.




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