IL CONTO DELLO CHEF di Luca Bertazzoni
Report
ha fatto i conti in tasca agli chef stellati e ai ristoranti con le
stelle: come quello in riva al Lago di Como di proprietà di un
imprenditore con la passione per la vela, Giovanni Maspero.
Il
suo ristorante è costato più di 4 ml di euro: ma alla fine la sua
attività è finita nelle mani della Guardia di Finanze, le spese per
la società col ristorante erano drenati per sue spese.
Negli
anni ha accumulato debiti con lo Stato per 107 ml di euro e in dieci
anni ha rateizzato il debito, accumulando decreti di condanna.
Nel
suo ristorante oggi lavora uno chef che cerca di tener viva la stella
Michelin: ogni chef ha un imprenditore alle spalle, racconta ed
entrambi puntavano alla seconda stella.
Luca
Vissani l’ha vinta la sua seconda stella: ma nel suo ristorante
tira aria di magra, nel suo ristorante si lavoro solo metà giornate,
solo 16 giorni, lavora solo un forno.
LE spese non sono coperte
dai guadagni dei ristoranti stellati, spiega oggi Vissani, che nel
2020 ha perso la seconda stella.
Ma ci si guadagna o no con la
cucina stellata? Si parla di poche migliaia di euro l’anno, colpa
della tassazione raccontano padre e figlio Vissani.
Una
volta fatturavano più di un milione e oggi solo 750 mila euro:
dimezza il suo fatturato ma l’utile è sempre quello spiega il
consulente Bellavia a Report.
Vissani è stato condannato a sei
mesi di reclusione per le tasse non pagate, pena poi convertita con
una sanzione pecuniaria: “non sono un santo, devo trovare anche io
un modo di sopravvivere .. chiamiamola sopravvivenza”.
Ma
con le tasse si paga anche la sopravvivenza di altri, con ospedali e
scuole.
I ristoranti stellati sono strutture sostenibili dal
punto di vista commerciale?
Pare di no, vedendo il caso Vissani:
gli chef esaltano le caratteristiche della nostra cucina, vanno
sovvenzionati quando serve,
ma dobbiamo controllare come lavorano, per evitare soprusi e casi di
tasse non pagate.
Oggi
le chef non bastano, racconta Antonello Colonna: una volta generavano
reddito, oggi ci sono i social, dunque bisogna differenziarsi,
trovare quel qualcosa di diverso per attirare clienti.
Nel
suo ristorante ad esempio sembra di stare in una spa, con bagni
turchi e piscine.
Ma
tutto questo costa, sin nei dettagli, non solo i cuochi e il
personale: ma in ogni caso anche lui racconta che fa fatica a coprire
i costi.
Valerio Visintin è un critico culinario intervistato da Report: nasconde il suo volto per poter assaggiare in incognito le creazioni dei migliori ristoranti d’Italia, quelli stellati. Mangia in questi ristoranti i piatti elaborati, non semplici pastasciutte “molte di queste creazioni sono immaginifiche” racconta il critico “cose che non c’entrano niente con la cucina ma che giustificano l’allure di artista che si portano dietro gli chef più quotati.”
Ma non tutti i grandi cuochi stellati fanno così, ce ne sono altri come Giorgio Barchiesi che cucinano piatti molto meno elaborati, per quanto riguarda l’occhio ma non il palato. “Io do da mangiare nel senso che comunque preparo delle cose che non sono così complicate: come vedete cosa stiamo facendo [rivolto alla telecamera di Report], stiamo mettendo aromi e ciccia dentro una pentola.. Uno si deve divertire, se abbiamo l’ansia da prestazione anche in cucina diventa una tragedia, ma che stiamo a fare? La rivoluzione francese? Stiamo a cucinà..”.
Eppure alla presentazione della guida Michelin nel 2023 non sembrava che si stesse solo a cucinare: la Michelin non comunica come vengono assegnate le stelle, coi suoi 90 ispettori per tutta l’Europa. Ma alla fine, racconta Visentin, Michelin si concentra solo sui soliti stellati, è come se fosse l’oscar della cucina.
Dietro
le stelle c’è in realtà un mercato di nicchia, gli stellati
rappresentano infatti lo 0,2% dei ristoranti italiani e hanno un
fatturato che non raggiunge lo 0,4% del totale.
Ogni
stella fa aumentare il prezzo del pasto, ma anche i costi per i
ristoratori, per avere un ambiente di lusso, per avere dei cuochi
all’altezza.
Barchiesi
si prende la libertà di comprare carne e verdura di stagione,
prendendola dagli allevatori.
Ma in altri ristoranti sono legati
ad una offerta non sostenibile: “Sono
quasi tutti ristoranti che sono insostenibili dal punto di vista
economico ” racconta il critico “consumano come una Ferrari ma
vanno come una 500.”
Gli
chef
stellati
non ci guadagnano
nel ristorante:
l’essere
uno chef stellato genera notorietà, genera immagine che si riverbera
in modo positivo per lo chef stellato: come per Alessandro Borghese,
che condurrà in televisione un programma suo, un game show, dove
inserirà qualche elemento di cucina.
Canavacciuolo
è uno degli chef televisivi, che ha vinto il massimo premio da
Michelin: guadagna sia dai ristoranti, sia dalle apparizioni
televisive, anzi più da quest’ultima, più di 1 ml di euro
l’anno.
Bottura ha un giro d’affari da 11 ml di euro, con
2,7ml di utile.
Bastanich ha un volume d’affari da 500mila
euro con utili da 3600 euro.
Cracco ha un giro da 700mila euro
con un utile da 250mila euro ma le sue società hanno debiti
cumulati.
Da 284 ml nel 2019, il fatturato dei ristoranti
stellati è passato a 327ml di euro, in crescendo: ma come ha
raccontato report, si guadagna di più facendo le apparizioni in
televisione e i programmi.
O
magari
inventandosi
un
gesto
particolare
per
costargere il sale sulla cane, come successo al macellaio turco, che
oggi ha aperto diversi ristoranti nel mondo, da Abu Dhabi a
Miami.
Posti dove una bistecca si paga anche 1600 euro.
Ci
sono
cuochi artigiani e cuochi come Gordon Ramsey, il cuoco cattivo,
terrore nelle cucine. O anche Joe Bastianich, suo allievo: istrioni,
feroci con gli altri cuochi, capaci di trasformare le cucine come
luogo di stress.
Cracco è invece un cuoco che si è pentito,
oggi si occupa a tempo pieno dei suoi
ristoranti e ha diminuito le apparizioni televisive: paga 1,2 ml di
euro d’affitto
in Galleria a Milano, dove il suo ristorante è in perdita. Eppure
nel suo bistrot i prezzi sono molto alti, 8 euro una bottiglia
d’acqua, un menù da degustazione da 200 euro.
Le società di
Cracco hanno debito per 16 ml di euro, “ma dicono che la pizza è
buona”, racconta Bellavia.
La TV ti
da un valore
aggiunto,
come
anche i social,
ma
questo
valore
non
appartiene
a te – ammonisce
“Giorgione”
di
fronte a Bertazzoni.
Alessandro
Borghese
è uno
chef
che
mesi
fa
ha
dichiarato
di
non
trovare personale perché i giovani non amano fare sacrifici.
Ma
oggi quanto conviene ai giovani lavorare dentro un ristorante?
A
Frignano (CE) a Villa Andrea si tengono tanti eventi, compleanni,
feste: dentro lavorano da 15 a 30 persone, ma a bilancio ci sono solo
5 dipendenti, il resto sono lavoratori a chiamata.
Ma c’è
anche l’altro lato della storia: sono i dipendenti della
ristorazione che protestano assieme ai sindacati di base, come
successo l’agosto scorso a Forte dei Marmi. Sono ragazzi che
lavorano per più di dieci ore, per pochi euro l’ora, meno del
costo delle pizze di Briatore.
Camerieri a chiamata, cuochi a chiamata: il mondo della ristorazione è fatto da giovani che hanno iniziato un ciclo di studi per diventare chef.
Ragazzi
che poi dalla scuola finiscono in uno stage, che per l’80% delle
volte viene mollato, perché non ce la fanno.
Borghese
dice che in pochi vogliono fare gli chef perché tutti pretendono
turni regolari: “sono
stato male interpretato”
racconta
a Report, il suo è un mestiere con tanti sacrifici, lavori quando
gli altri sono in vacanza.
Il problema e che si pretende senza
avere le basi, c’è da faticare, dovrebbero essere i giovani a
pagare per lavorare e fare esperienza – secondo Borghese.
I
bilanci dei ristoranti di Borghese sono in perdita mentre l’altra
sua società che si occupa di apparizioni televisive è invece in
attivo: conviene stare in televisione allora?
Il
business vero è la TV – spiega il consulente Bellavia a Report:
“il business vero è quello, non compra la carne, non paga la luce,
non paga l’affitto.”
Nonostante gli iscritti agli istituti professionali, per diventare cuochi, siano in calo, la voglia di lavorare dietro i fornelli c’è ancora: molti dei ragazzi (quelli che non hanno spirito di sacrificio) provano la via dei corsi nelle scuole di cucina. Ci sono corsi base da 5000 euro, racconta a Report una ragazza, mentre il corso superiore circa 13000: sono scuole che danno poi l’opportunità di frequentare degli stage, dove però i ragazzi trovano condizioni allucinanti, fino a 17 ore di lavoro, si inizia alle 8 di mattina per finire a mezzanotte. “La scuola sa di determinate strutture e come funzionano, mi è stato detto benvenuta nel mondo della ristorazione..”
Per gli stagisti valgono le 40 ore settimanali? Non proprio: “la scuola ci ha detto che se anche facciamo 11-12 ore al giorno sempre otto ore dobbiamo scriverci. Mi assentavo un attimo per andare in bagno e sentivo lo chef che urlava il tuo nome, mi metteva angoscia. A scuola ti fanno il brainwashing, ti dicono che questo è normale, quando tu devi iniziare questo percorso per poter fare carriera nella tua vita.”
Ma
il problema non è solo la gavetta, anche chi torna dall’estero
trova in Italia un sistema con nero, turni fuori contratto, tutto con
la scusa che lavori con uno chef stellato.
Che offerte di lavoro trovano gli chef che arrivano a Milano? “Se ti va bene facciamo 15 giorni senza contratto e ti do mille euro” racconta a Report un altro testimone di questo sistema “noi abbiamo uno staff del bangladesh che non vanno mai a casa perché abitano lontano, quindi si riposano qui dentro, sui divani e poi riattaccano loro alle 5.30 – 6.00. Sono macchinette che camminano e lavorano molto bene.”
1000
euro in nero per 15 giorni di prova, questa la prima offerta
ricevuta, nel secondo colloquio almeno si parla di un contratto ma il
livello e lo stipendio non sono adeguati alla posizione di
chef.
Sempre da una conversazione carpita tra un datore di
lavoro e uno di questi chef venuti a lavorare da fuori: “Tu mi hai
accennato al telefono ad un quinto livello, ma il ruolo di
responsabile della cucina è un primo o un secondo livello..”
“Il
livello primo e secondo non possiamo permettercelo, è solo una
questione di costi, quindi che mi stai chiedendo?”
“2200
tutto dentro è meglio, so che a te costa molto di più, però lì
dentro ci sono anche i contributi che poi vanno alla mia pensione.”
E
come funzionano i controlli degli ispettori del lavoro?
A Roma
Report ha seguito il lavoro di queste persone: controllo dei
contratti di chi lavora nelle cucine, evitando le scene di fuga.
E
così si imbattono tanti lavoratori in consulenza, il 40% dei
lavoratori in nero, che porta poi ad una multa per il ristoratore,
con tanto di minaccia, se non assumi il ristorante viene chiuso.
Ma
gli ispettori sono pochi, rispetto ai locali in Italia.
Così
in Italia gli iscritti agli istituti alberghieri sono in calo, quello
nei ristoranti non è più un lavoro che attira, è finito l’effetto
masterchef,
Ma noi italiani non siamo nemmeno bravi a tutelare il nostro made in Italy, come ha raccontato il servizio di Emanuele Bellano LA GUERRA DEL DOP.
Tutto
questo perché tra Italia e Stati Uniti non esistono accordi per la
tutela dei marchi e in questo vuoto normativo, con marchi americani
che vendono prodotti dall’italian sounding (asiago, fontina,
gorgonzola) che passano per italiani.
Si
tratta di una concorrenza sleale, ci sono produttori che fanno il San
Marzano secondo le regole del DOP e ci sono produttori che invece le
regole non le rispettano, sempre col nome San Marzano.
Tanto
basta mettere sul barattolo la scritta certified, con tanto di ente
certificatore che fa “una certificazione volontaria”, che
nemmeno potrebbe essere apposta sul barattolo, perché fasulla.
Sono
produttori italiani che vendono negli Stati Uniti, dove i pomodori
“normali” non San Marzano senza bollino hanno quasi lo stesso
prezzo del dop.
Ma
nel business si sono buttati anche produttori locali creando un far
west totale delle denominazione dei nomi: ma
vai a spiegare ai consumatori che esiste una differenza tra il san
Marzano vero col dop e l’etichetta col marchio che suona come fosse
italiano.
Report ha intervista Beatrice Ughi di Gustiamo Inc, una società che importa dall’Italia solo prodotti di alta qualità, certificati da dop e igp: hanno però difficoltà perché sono invasi dall’italian souding o l’italian fake.
Come è possibile? Risponde il presidente dell’istituto italiano del commercio estero a NY: dipende dalle normative che devono essere regolamentate da accordi bilaterali, questi accordi non ci sono stati, sono accordi sulla protezione dei marchi dop. In questo vuoto di normative operano quei produttori che fanno cattiva concorrenza ai nostri prodotti.
Tutto colpa del conflitto tra Boeing e Airbus, se in America troviamo il provolone dal Maryland.
La
Belgioioso Cheese è nata da un produttore italiano trasferito negli
USA dove produce formaggi italiani che però non possono essere
venduti in Europa perché violano le regole del dop.
Tutta
colpa dello scontro tra USA ed Europa sulle sovvenzioni per l’Airbus,
dentro cui si è inserita la lobby dei produttori di formaggi
americani che è stata accolta dai senatori americani e dal
presidente Trump.
USCIRE DAI GHETTI di Bernardo Iovene
Le persone che raccolgono i prodotti del nostro made in Italy sono l’argomento del servizio di Iovene, che racconta dei ghetti nel sud.
Ma Iovene racconta anche della storia di Soumahoro, come l’ha raccontata dal Francesco Caruso, sindacalista dell’USB: le loro strade si sono separate, dopo una raccolta di fondi ai tempi del lockdown, soli che in parte sarebbero spariti secondo Caruso.
Il deputato ha creato una sua lega braccianti, non un sindacato: Iovene l’ha incontrato in un ghetto di Foggia dove aiutano i braccianti nei loro rapporti con la burocrazia.