31 maggio 2016

Il business del proibizionismo – Da dove vengo io

Immagine presa da Internazionale
Immagine presa dal sito The New Yorker

17 gennaio 1920 , entra in vigore il Volstead act, la legge sul proibizionismo: è vietato vendere e consumare bevande con più dell'1% di alcool. L'America rimane a becco asciutto, scrivono i giornali: ma quello che per la legge è un divieto, per qualcun altro è un'opportunità, un business redditizio.
Importare in modo illegale scotch scozzese della miglior qualità, per innaffiare la buona società che non può rimanere senza il suo whisky preferito.
Serve qualcuno coi soldi e con le conoscenze giuste per trovare i fornitori giusti in Inghilterra. E questa persona si chiama Arnold Rothstein.
Però serve anche gente capace di gestire questo business, che conosce il territorio: e questi sono quei ragazzi ebrei e italiani che si sono fatti un nome sulla strada.
Gente come Salvatore Lucania o Charlie Luciano. E come Meyer Lansky:
«Questo è parlare da uomo. Ora vediamo se sai anche agire da uomo, ragazzo...» Dio quanto lo strascica quel ragazzo; alla fine però arriva al punto: «La domanda di whisky di qualità sta per crescere negli Stati Uniti. E quando dico di qualità, è esattamente quello che intendo. Non parlo di quella spazzatura torcibudella che i tuoi amichetti italiani stanno distillando in questo esatto istante nei loro vasi da notte nel Lower East Side.» Hai capito come? 
«Quella roba è ok. Ok per i poveri mentecatti che non conoscono niente di meglio ...» 
Meyer è tutt'orecchi. «Io intendo il miglior scotch d'Inghilterra. C'è da fare un'autentica fortuna importando quella roba negli Stati Uniti. Non una dozzina di casse o mezza stiva di quando in quando. Il proibizionismo è destinato a durare per un bel pezzo. E io vedo con questi occhi centinaia di persone violare la legge, pronte a pagare qualunque cifra per mettere le mani su liquore di qualità. So di che parlo perché frequento persone con ampie disponibilità finanziarie. Di qui a qualche mese sarà chic essere in grado di servire whisky pregiato ai propri ospiti. I ricchi faranno a gara per essere prodighi di scotch ...» 
Prodighi: una parola che fa vibrare. 
«Ed ecco dov'è la nostra opportunità: rifornirli di tutto il liquore con cui sono in grado di innaffiare i loro ospiti o che desiderano ammucchiare per gozzovigliare in solitaria ...» 
Gozzovigliare … 
«Potremmo fare una fortuna soddisfacendo questo bisogno. Sto mettendo in piedi un business per importare e distribuire scotch. Non è legale, certo, e comporterà dei rischi. Ma non credo che per te sarà un problema, dico bene?» 
Meyer annuisce. 
«Ho contatti per comprare la merce. Conosco i distillatori scozzesi e loro conoscono me. Ci ho giocato a poker, sfilato loro un sacco di soldi. Siamo buoni amici e non ci sono problemi. Che ne dici di parlarne col tuo socio italiano e farmi sapere, signor Lansky? Ma sappi che dobbiamo muoverci in fretta. Altre persone vogliono montare sul carro della banda.» 
Meyer sta sorridendo.Cazzo se sta sorridendo.


La scheda del libro sul sito di Marsilio.

Alla voce sicurezza

Ieri i due candidati sindaci di milano si sono finalmente incontrati al confronto televisivo su Sky.
I due candidati manager hanno raccontato agli elettori il loro modello di Milano. Si sono divisi almeno all'apparenza su un argomento: l'argomento sicurezza.
Da una parte Parisi che batteva il tasto della sicurezza e del senso di pericolo percepito dai milanesi.
Dall'altra Sala che non può abiurare il lavoro di Pisapia ma che, per tenere buono l'elettorato di centro e di centro destra cui si rivolge, aveva proposto l'uso dei militari nei quartieri a rischio. Proposta su cui Parisi e il centrodestra stesso aveva sbottato "ma è un'idea nostra, ci ha copiato il programma!".

Ecco, la sicurezza è una parola che può essere declinata in tanti modi: c'è la sensazione di insicurezza (alimentata dagli spot elettorali, da molti giornali) per la piccola criminalità.
L'insicurezza nei confronti dei tanti immigrati, l'invasione, le facce strane che si vedono per strada, questi giovani che ciondalano senza fare niente, a spese nostre .. Questo ci dicono tutti i giorni.
Ed ecco allora i militari, le telecamere, i poliziotti di quartiere, i vigili come i marines (by Bertolaso).

Ma c'è anche un'altra sicurezza (o insicurezza se vista dall'altra parte) di chi ha perso tutto col crac delle banche popolari.
Dei senza lavoro o di quanti campano coi voucher o coi contratti a termine (che non sono spariti con le miracolose riforme del lavoro).
Una pattuglia di militari armati di tutto punto magari ci darà più sicurezza, sebbene contro gli attentati l'unica cosa che funzioni è la prevenzione.
Ma una pattuglia può fare poco contro altri pericoli: la criminalità organizzata, per esempio. Per contrastare le mafie nell'economia, le mafie che portano voti, che chiedono favori ai candidati non servono telecamere o ronde. 

Ieri la cronaca ci ha raccontato un altro episodio di femminicidio: a Roma l'ex fidanzato ha ucciso la compagna non accettando la fine della relazione.
Quante donne sono costrette a convivere con la paura per le botte e le minacce dell'ex, del marito, non avendo altre scelte?
Quanti comuni investono soldi e risorse sulle case per le donne maltrattate? 
Ma queste sono insicurezze che non portano voti.
Come non porta voti puntare sulla qualità dell'aria, della vita, del proprio futuro.
E così la parola sicurezza (o insicurezza) si impoverisce di significato.

"sicurezza" La condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e simili.

30 maggio 2016

Da dove vengo io – la storia (criminale) dell'America

Prologo
Che volete che vi dica?La storia è tutta qui: Benjamin era il Fuoco, Frank il Calabrese la Terra, Meyer l'Ebreo l'Acqua e Chiarlie .. bé, Charlie era un gran figlio di puttana.

Dall'Italia all'America, anzi lamerica, come veniva chiamata dagli italiani che nel secolo passato attraversavano l'Oceano per cercare fortuna nella terra promessa, la terra delle opportunità, che dava chiunque la possibilità di arricchirsi.
Da dove vengo io è il primo volume di una serie che Simone Sarasso dedica alla storia criminale dell'America: una storia vista dalle strade dei quartieri del Les (Lower East side) di New York e fatta di sangue, coltelli, miseria, racket, pistole e tanta violenza.
Una storia che viene raccontata attraverso le storie di quattro ragazzini che nella nuova patria vollero farsi re.
Salvatore Lucania, arrivato in America da Lercara Friddi in Sicilia.
Meyer Lansky da Grodno, uno sperduto paese polacco, in mano ai russi.
Francesco Castiglia, che poi diventerà Frank Costello e che in America è arrivato col suo vestitino alla marinara.
E poi Benjamin Siegel, nato da genitori ucraini (o forse austriaci, vai a sapere) in una cucina a Hell's Kitchen a Brooklin.

Un inizio che è anche una fine:
8 febbraio 1946, Ellis Island, NY«Allora è proprio qui che doveva finire? Dove tutto è cominciato ..» Charlie aveva gli occhi lucidi. O così pareva a Meyer, ma forse era soltanto il vento.Le onde, la passarella, gli enormi fumaioli della Laura Keene. Il Pier 7 odorava di pesce e coscienze sporche.Meyer indicò la fiancata: «Si chiama come quell'attrice, hai capito come?»Charlie schioccò la lingua sul palato.Dannati siciliani.«La tizia che recitava non so cosa quando hanno ammazzato Lincoln.»Charlie sospirò nebbia gelata: «A me pare il Titanic, cumpà..»Mejyer si fece sotto e tese la destra. Ossa piccole e forti, l'Ebreo: «L'shono habo'o byY'rusholayim.»Il prossimo anno a Gerusalemme.Charlie gliela strinse, poi s'incamminò sul legno marcio.Era sul punto di sparire nella pancia del mostro, ma si voltò senza pensare: «Cent'anni» disse.Cent'anni, vecchio figlio di puttana.

Cent'anni, come l'augurio che veniva fatto a quanti partivano per l'America.
Cent'anni come gli anni che coprirà la serie di Simone Sarasso coi prossimi romanzi della serie.

Buona lettura!


La scheda del libro sul sito di Marsilio.

Resistenza passiva – Report e l'inchiesta sull'abuso degli antibiotici

Anche una buona notizia: quando sei indebitato c'è una legge che ti permette di uscire dalla spirale dei debiti.
Poi la cassa dei poligrafici.
Ma prima, l'abuso degli antibiotici, già previsto 70 anni fa da Fleming: antibiotici prescritti spesso in modo superficiale dai medici, antibiotici che assumiamo nei cibi e antibiotici usati negli allevamenti intensivi.
Con tutti i rischi che ne seguono: il servizio di Sabrina Giannini – resistenza passiva

Il batterio killer nei cetrioli, nei germogli di soia avevano suscitato una psicosi in Germania e Spagna: il batterio era dell'escherichia coli, mutata geneticamente in modo da resistere agli antibiotici.
La teoria dell'evoluzionismo applicata ai batteri che diventano super batteri e si insediano nel nostro organismo e in quello degli animali: la metà del consumo di questi prodotti avviene negli allevamenti di animali e così l'Europa ha stabilito che si dovessero fare controlli negli allevamenti, ad anni alterni.

Abbiamo un elevata presenza di elementi resistenti, negli intestini degli animali, polli e tacchini negli allevamenti italiani.
Quei colibatteri contaminano le carne che mangiamo? Lo sapremo presto, oggi uscirà il report sul contaminazione della carne nei nostri supermercati.
Al momento conosciamo il report fatto in Inghilterra: le carne che si mangiano lì sono contaminate e causano centinaia di morti l'anno.
500 mila persone infettate da questi super microbi: non basta cuocere la carne, è sufficientemente toccare la carne per la preparazione. Dopo averla toccata bisognerebbe lavarsi le mani: così dice una spot tedesco, ma nemmeno lì si fa nullo per fermare la causa del problema, il proliferare degli antibiotici.
Sabrina Giannini ha fatto analizzare campioni di carne prese dagli scaffali dei nostri supermercati: cosa c'è dentro?

In Danimarca alcuni allevatori hanno perso la vita, per contaminazione dei batteri nei suini: l'epidemia è causato da uno stafilococco, presente negli intestini nei suini, si è poi trasferito sull'uomo e per ora gli antibiotici per curare la malattia non sembrano efficaci.
Una giornalista inglese ha controllato la carne danese, esportata: nel 10% dei pacchetti c'era il batterio.

Vedere allevatori di maiali entrare nelle stalle bardati come se dovessero entrare in una centrale nucleare fa impressione: in Europa non esiste restrizione per non macellare maiali con questo batterio.
Ma il batterio si trova anche nei nostri allevamenti: come a Manerbio, dove i casi di contaminazione sull'uomo stavano passando sotto silenzio.
E l'Istituto superiore della sanità sembra non interessarsi al caso: basterebbe fare un tampone agli allevatori, in Danimarca tutti gli allevatori sono informati, a scopo precauzionale.
In Italia niente.

E le 30 confezioni di carne analizzate? Una di queste confezioni era contaminata, ha scoperto la giornalista.
Anche in Olanda si usavano tanti antibiotici: dopo la scoperta di un caso di colonizzazione di un batterio dentro i maiali e l'infezione in alcuni allevatori, hanno deciso di ridurre l'uso di queste medicine, anche negli allevamenti intensivi.

Dentro un allevamento italiano: siamo in Emilia Romagna e la giornalista, in un allevamento protetto da biosicurezza trova topi, maiali costretti in luoghi angusti, feriti, su un pavimento pieno di escrementi.
Non è il problema dei soli topi, che pure si trovano nei pollai di campagna: è la sicurezza che manca. L'allevamento è del gruppo Amadori: non si rispettano le norme di sicurezza e di igiene.
30 ml di tonnellate di antibiotici sono usati in Italia, senza che ci sia nessuna tracciatura da parte del ministero, sull'uso di questi farmaci.

Il governo inglese ha chiesto un rapporto sull'abuso degli antibiotici, dove si prevede una pandemia che comporterebbe milioni di morti, crisi economiche.
Il rapporto chiede la riduzione negli allevamenti degli antibiotici, separare l'uso per animali da quello per gli uomini.
Anche Obama è edotto del problema dei batteri farmaco resistenti: ha messo in piedi una task force, per provare ad imporre una correzione di rotta anche in America, negli allevamenti americani.

In Italia le stime parlano di 5000 morti l'anno: siamo un paese dove si consumano troppi antibiotici con uno squilibrio tra nord e sud, dove si consuma di più (stranamente).

A Catania si studiano gli stafilococchi, per trovare il modo di combatterlo: hanno chiesto finanziamenti al pubblico ma spesso i soldi sono arrivati dai privati.
In Italia non esiste un centro unico sugli antibiotici e sui batteri resistenti: anche il ministro Lorenzin è consapevole che serve ridurne l'uso negli allevamenti.
E per gli uomini? Negli ospedali italiani si muore anche per questi batteri killer, è una emergenza nazionale, sostiene la ricercatrice a Catania.
Ma il ministero non sa i numeri dell'infezione: all'istituto superiore della sanità scaricano le colpe sulle regioni, tutta colpa dell'organizzazione burocratica .. e così senza alcun controllo il batterio si è diffuso su tutto lo stivale.

E in alcune regioni si stanno muovendo, ma in modo non organico: in Emilia, ad esempio, cercano di limitare i contagi negli ospedali.
Specie per le persone che arrivano a curarsi dai paesi stranieri, come la signora Boni, una vittima dell'attentato dell'Isis a Bardo.
Fare il tampone a tutti i degenti, scegliere la cura, usando gli antibiotici con cautela: fanno quel monitoraggio che dovrebbe fare il ministero, ma questo richiede tanto lavoro.
Ma così si evitano quei evitano quei casi di setticemia, che hanno ucciso due persone a Genova: si entra in ospedale per curarsi e se ne esce morti.
Dovremo limitare anche noi umani l'uso degli antibiotici, come in Olanda, dove le ricette arrivano direttamente ai farmacisti, che producono le confezioni con dentro il giusto numero di pezzi.
In Olanda i medici non ricevano nemmeno gli informatori scientifici, perché per cultura non si devono informare da chi vende farmaci.
Perché in Italia non si fa un monitoraggio sulle prescrizione di antibiotici da parte dei medici?

Lato nostro, quello che possiamo fare è lavarci le mani quando si tocca la carne, pretendere visite accurate e non prendere antibiotici senza prescrizione.


29 maggio 2016

La resistenza agli antibiotici, la cassa dei giornalisti e i debiti delle famiglie

Tre inchieste su tre argomenti diversi: l'abuso degli antibiotici che porta all'indebolimento delle nostre stesse difese, i soldi della cassa dei giornalisti e l'indebitamento delle famiglie italiane.

Partiamo dagli antibiotici: è notizia di questi giorni la scoperta negli Stati Uniti di un batterio resistente a tutti gli antibiotici, si tratta di una specie di “escherichia coli”, scoperta nelle urine di una donna:
Il dettaglio più allarmante è che l’agente patogeno in questione - spiega il rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia «Antimicrobial Agents and Chemotherapy» -è resistente persino all’antibiotico di ultima generazione «colistin». La colistina infatti è considerata l’ultima spiaggia degli antibiotici e se un batterio riesce a sopravvivere anche a questa è impossibile fermarlo. Potrebbe essere, scrivono i media americani, «la fine della strada» per gli antibiotici.

La fine della lunga guerra tra antibiotici e batteri che, alla lunga sembra essere vinta dai batteri, diventati più resistenti e forti.
Spiega nell'anteprima della puntata Milena Gabanelli: “troppi antibiotici, presi perché prescritti anche quando non serve, presi di nostra iniziativa, assunti anche con il cibo a nostra insaputa. …
Alla fine non combattono più nulla. Il problema è veramente mondiale”.

Da dove arrivano questi batteri super-resistenti? Dagli allevamenti intensivi (circa il 70%), dove i controlli e i trattamenti sanitari non sempre riescono a bloccarli prima che arrivino sulle nostre tavole.
Siamo ad un passo della pandemia – dice il rapporto commissionato dal governo Cameron:
“I find it incredible that doctors must still prescribe antibiotics based only on their immediate assessment of a patient’s symptoms, just like they used to when antibiotics first entered common use in the 1950s”.

Forse è il rapporto che è troppo allarmistico, ma cosa sta facendo la politica, in Italia e in Europa?
Forse, più che dell'invasione degli immigrati, dovremmo iniziare a riconsiderare l'industria della carne, che a quanto pare, ha ancora una grossa influenza su chi dovrebbe scrivere le leggi.
La resistenza agli antibiotici è un problema più grave di Zika, che infatti non è arrivato nel nostro paese. Mentre ora persone muoiono negli ospedali, in Europa, per infezioni che non si riescono più a curare con gli antibiotici.

L'anteprima su Reportime:

Dopo 4 mesi di indagini in Italia e in Europa questa sera a Report è in onda il servizio sull'antibiotico resistenza, due giorni dopo la pubblicazione della notizia del super-batterio di Escherichia Coli resistente a qualsiasi farmaco antibiotico, trovato nelle urine di una donna in Pennsylvania. Ma ogni giorno i batteri resistenti stanno uccidendo fuori e, soprattutto, dentro gli ospedali. E in particolar modo in Italia. Come mai altri paesi non hanno il flagello chiamato Klebsiella? Come mai in Italia non vengono ancora usate ovunque le pratiche igieniche essenziali per ridurre i contagi? Quanto è pericoloso il contagio attraverso il cibo?Possono i batteri degli animali se resistenti trasferirsi a noi? La risposta è sì, possono. Il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo finisce negli allevamenti intensivi. In quelli avicoli, per esempio, analisi commissionate dall’Unione Europea hanno trovato elevate percentuali di batteri resistenti. Batteri che ritroviamo nel piatto perché le linee di macellazione non proteggono integralmente dalla contaminazione. I controlli, comunque, sono sempre molto meno del necessario.
Da Obama a Lorenzin, la politica mondiale non fa che evocare lo spettro dell'apocalisse antibiotica e il sopravvento di alcuni batteri che annienteranno la popolazione. Ma la politica, al di là degli annunci, cosa sta facendo, realmente, per sradicare il problema alla radice? Poco o niente. Per esempio non si mette in discussione una delle cause principali: gli allevamenti intensivi dentro cui finisce il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo. Se negli ultimi novant’anni gli antibiotici hanno consentito il progresso della medicina e hanno sconfitto i batteri patogeni, adesso sono sempre meno efficaci contro quelli che colonizzano l’uomo, l’ambiente e gli animali che mangiamo. L’Unione Europea ha analizzato gli intestini degli avicoli al macello provenienti dagli allevamenti intensivi e ha trovato percentuali di batteri resistenti preoccupanti. Batteri cheritroviamo nel piatto perché le linee di macellazione non proteggono integralmente dalla contaminazione. Comunque, la Commissione Europea si è accorta del problema tardi e si limita a fare pochi controlli; Report ha fatto analizzare trenta confezioni di carni suine comprate in tre grandi distribuzioni per cercare la presenza di un clone di stafilococco aureus, uno dei più pericolosi perché resistente agli antibiotici. Diremo l'esito nel corso della trasmissione. Secondo un rapporto commissionato dal governo Cameron all'economista Lord O'Neil, siamo ormai a un passo dalla pandemia, ovvero a un’epidemia estesa a livello globale, che nel 2050 rischia di fare dieci milioni di vittime all’anno, più del cancro. Il conto per l’economia mondiale sarebbe devastante. La Danimarca, e soprattutto i Paesi Bassi, hanno ridotto il rischio di infezione negli ospedali facendo progressi importanti, e in Italia? Nonostante gli esperti conoscano le cause non si mette mano seriamente al problema, anzi: non sembra esserci interesse a renderlo noto. Eppure, il tasso di resistenza è tra i più elevati d’Europa, per i batteri più pericolosi.

Dove sono finiti i soldi della cassa?

Le casse previdenziali degli enti (medici, ragionieri, commercialisti..) sono state usate, in questi anni, per arricchimenti personali, per carriere politiche: un buco nero dove sono spariti i soldi che servono per le future pensioni degli iscritti.
Il servizio di Giorgio Mottola si occuperà, in particolare, della cassa previdenziale dei giornalisti, l'Inpgi e del fondo di previdenza dei poligrafici: il disavanzo tra entrate e uscite è oggi in negativo di 111 ml , ma i giornalisti continuano ad andare in pensione a 57 anni, nel 2009 il governo Berlusconi ha reso più semplice mandare i giornalisti in pensione, in previsione di una futura crisi dei giornali. Ovvero, Inpgi è stata usata assieme ai soldi dello stato, come un ammortizzatore sociale, per aiutare gli editori italiani.
Un futuro poco roseo per i giornalisti di oggi che domani non sanno se vedranno una pensione (e che probabilmente andranno in pensione più tardi).
L'anteprima di Reportime:


La scheda del servizio: A fondo di Giorgio Mottola
L’Inpgi, la cassa previdenziale dei giornalisti, ha i conti in rosso e nel giro di qualche anno potrebbero non esserci più i soldi per pagare le pensioni. Oltre agli scandali giudiziari, hanno aggravato la situazione alcuni privilegi dei giornalisti, come la possibilità di andare in pensione a 57 anni, e soprattutto le centinaia di milioni di euro usciti negli ultimi sei anni da Inpgi per pagare la crisi degli editori italiani. Il possibile futuro fosco dell’Inpgi è già realtà al Fondo Fiorenzo Casella, la cassa di previdenza complementare dei poligrafici: lo scorso anno tutti gli iscritti si sono visti improvvisamente dimezzata la pensione. I soldi in cassa sono finiti ma fino a poco tempo fa il Casella aveva disponibilità di oltre novanta milioni di euro. Che fine hanno fatto?
Ultimo servizio riguarda la crisi delle famiglie italiane: esiste una strada per permettere di uscire dalla spirale dei debiti, alla stessa stregua delle aziende private

La scheda del servizio: Fuori dal tunnel di Emilio Casalini
Oltre un milione di famiglie italiane è in una condizione di sovra-indebitamento, ossia nell'impossibilità di onorare i debiti contratti, strangolate in una spirale da cui non sembra esserci via di scampo. Pochi infatti sanno che esiste una legge, simile al percorso fallimentare per le aziende, che permette ai singoli consumatori e a determinate condizioni, di uscire completamente dal tunnel dei debiti.Sotto il controllo di un giudice si restituisce tutto il possibile e si può ricominciare da capo, finalmente liberi dall'incubo dei creditori. 

28 maggio 2016

La lezione di Walter Tobagi

Oggi è il 28 maggio, e per ricordare la strage di Piazza della Loggia e il contesto storico in cui è avvenuta, ho usato il bel libro di Benedetta Tobagi.
Ma purtroppo è anche una data in cui si deve ricordare il giornalista Walter Tobagi, papà di Benedetta cui la scrittrice ha dedicate un altro suo libro “Come mi batte forte il tuo cuore”.
Tobagi, giornalista del Corriere, ucciso da uno dei tanti gruppi armati dell'estrema sinistra, che intendevano così accreditarsi (che brutta parola, lo so) presso le Brigate Rosse.
Così scriveva, del terrorismo rosso (dove scrive anche che i brigatisti non sono samurai invincibili):
La lezione pare fin troppo chiara: le lotte sindacali più dure, quelle oltre i limiti convenzionali della legalità, sono servite agli arruolatori delle Br come un primo banco di prova e di selezione. Il sindacato dovrà tenerne conto, giacché i proclami nobili vanno accompagnati con revisioni coerenti. Questo può implicare anche una temporanea diminuzione del potere sindacale in fabbrica. Ma la scelta non ammette grandi alternative, se è vero come è vero (e tutti i dirigenti sindacali lo ripetono) che il terrorismo è l’alleato «oggettivamente» più subdolo del padronato, e se non viene battuto può ricacciare indietro di decenni la forza del movimento operaio.
La sconfitta politica del terrorismo passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare. Tenendo conto che i confini della risaia sono meglio definiti oggi che non tre mesi fa. E tenendo conto di un altro fattore decisiv l’immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze. E forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascano non dalla paura, quanto da dissensi interni, laceranti sull’organizzazione e sulla linea del partito armato.


Tobagi come Guido Galli, come Guido Rossa, come Emilio Alessandrini, uccisi proprio perché sapevano fare bene il proprio lavoro: perché dimostravano ogni giorno, con le loro dee e con il loro impegno che lo Stato non era un nemico da abbattere, ma una istituzione capace di funzionare.
Una guerra, sì ma una guerra asimmetrica, contro cittadini inermi e indifesi.  

Ricordando Piazza della Loggia, le vittime e il contesto storico

Manlio Milani, mentre soccorre la moglie Livia morente, per la bomba in piazza della Loggia
28 maggio 1974: una bomba esplode dentro un cestino dei rifiuti ai margini di Piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione indetta dalla CGIL, in protesta contro la scia di attentati di matrice fascista.
8 morti e decine di ferite: molti di questi erano insegnanti, come Livia la moglie di Manlio Milani, oggi presidente dell'associazione delle vittime della strage.
Ritengo che si possa veramente portare innanzi la lotta per una società migliore, più giusta e più colta, passando attraverso le battaglie con la decisione che può nascere soltanto dalla consapevolezza di contribuire a una causa profondamente umana e giusta. Io cerco di dare tutto ciò che è nelle mie possibilità, ben consapevole dei miei limiti angutissimi, ma altresì orgoglioso di poter collaborare ad una lenta ma continua trasformazione della società verso il riconoscimento dei veri valori ideali e sociali”.
Un pezzo della nostra memoria da tenere in vita affinché nessuno dimentichi come, in questo strano e sfortunato paese, si siano usate le bombe, le stragi, il terrorismo e la paura per fermare l'orologio del progresso civile.

Portella della Ginestra, maggio 1947
Piazza Fontana, Milano, 1969.
Piazza della Loggia Brescia, 1974.
Bomba sul treno Italicus, 1974.
Bomba alla stazione di Bologna, 1980.
Ustica, 1980.
Bomba sul treno 804, 1985
Strage Capaci, 1992.
Strage di via D'Amelio, 1992.

La strage di Piazza della Loggia è questo, oltre al sangue delle vittime e al dolore dei parenti e dei sopravvissuti, a cui il marchio della storia impedisce di dimenticarsi.
Una storia di depistaggi di stato, che hanno mandato i magistrati a seguire false piste e falsi colpevoli (il mostro Buzzi).
Di investigatori che cancellarono le prove, volontariamente o meno, e che pure continuarono la loro carriera come servitori (infedeli) dello Stato. Degli spioni dei servizi che si tenevano per loro le carte, senza passarle ai magistrati inquirenti.
Una storia di inchieste, assoluzioni, archiviazioni e, nell'ultimo processo, finalmente delle condanne per diversi neofascisti di Ordine Nuovo (gli stessi coinvolti e poi assolti per la bomba di Milano alla Banca dell'Agricoltura).
Dopo tutti questi anni, però, non ci si può più affidare alla sola magistratura per arrivare ad una verità giudiziaria: troppi anni sono passati, molti dei protagonisti sono morti o non dimenticano, le prove sbiadite ..
Esiste la verità storica, quella portata avanti dai parenti stessi delle vittime, come Manlio
«Non è più tempo di ripetere “io so, ma non ho le prove”, - osserva Manlio dopo l'ultima sentenza -. Oggi è il contrario: abbiamo moltissime prove». Sapiamo del contesto delle dinamiche, dei gruppi. Non sappiamo i nomi degli esecutori, ma conosciamo quali meccanismi ci hanno impedito di incastrarli, e in taluni casi anche chi li ha messi in moto. Sappiamo cos'hanno fatto Gian Adelio Maletti a Manlio Del Gaudio [ufficiali del Sid, entrambi iscritti alla P2]. Conosciamo gli effetti dei «plurimi atti abusivi» consumati da Francesco Delfino [capitano dei carabinieri, investigatore della rima falsa pista Buzzi]. È assai meno suggestivo, ma indispensabile, confessare ciò che non possiamo sapere, e al tempo stesso esercitare un paziente vaglio critico per non lasciar affondare nel mare dell'indistinzione quanto invece possiamo argomentare con persuasività, se non affermare con certezza. È tempo di lasciarsi alle spalle l'incantesimo di Pasolini.Pagina 407
E poi:
Di tante cose abbiamo le prove. Con l'ultimo processo resta accertato che Maggi ricopriva un ruolo apicale nel gruppo di Ordine Nuovo, già parzialmente rigeneratosi nella struttura clandestina di Ordine Nero e sigle affini, la cui pericolosità è ben nota e provata. Stava lavorando al suo rafforzamento per portare avanti una strategia stragista, come confermano, scrive la Corte d'assise d'appello bresciana del 2012, «numero e significativamente concordanti dichiarazioni testimoniali». Sappiamo che nel 1974, l'anno in cui accadono due stragi e vengono a galla almeno tre trame golpiste, Maggi e i suoi sodali volevano fare proprio le stragi, per arrivare al colpo di Stato. Avevano la volontà, gli esplosivi, le competenze e gli uomini per mettere in atto il loro programma, e godevano della disattenzione degli uomini del Sid. Sappiamo che Maggi era ben noto ai servizi come soggetto assai pericoloso, sin – almeno – dal dicembre del 1973. Ma non sarà mai lambito da inchieste o indagini, fino al 1982. La bomba passata per le mani di Digilio e Soffiati rimanda all'ideazione della strage di piazza della Loggia agli uomini della galassia di Ordine Nuovo, ancora una volta, come quella di piazza Fontana. Pagina 409
La destra fascista, uno stato che non è in grado o non vuole arginare questo pericolo, che anzi usa la manovalanza fascista per destabilizzare, creare caos, scacciare la gente dalle piazze, creare terrore.
Anche nel 1974 l'estrema destra, chiamiamola destra fascista e basta, intendeva mettere fine al regime corrotto che ha portato l'Italia allo sfacelo: sui tentativi di golpe, secondo Benedetta Tobagi
Chi voleva sovvertire il sistema, insomma, dichiarava di essere in lotta contro un sistema vecchio e malato. Gli attacchi alla «farsa democratica» e a a una politica marcia e pletorica hanno sempre avuto gioco facile, in Italia. Insieme all'anticomunismo, questi argomenti sono stati la «placenta del golpe»[..]
La corruzione diffusa, la crisi di governabilità, la necessità di interventi forti in materia economica erano argomenti reali. Già negli anni settanta, infatti, il sistema aveva un livello di efficienza pateticamente basso: uno dei tanti frutti avvelenati della democrazia «bloccata» della guerra fredda. Certi della propria insostituibilità, la Democrazia Cristiane e i partiti a lei consociati al governo perfezionarono un sistema di potere clientelare, spartitorio e diffusamente corrotto.”
La corruzione diffusa, la crisi di governabilità, la necessità di interventi forti in materia economica erano argomenti reali. Già negli anni settanta, infatti, il sistema aveva un livello di efficienza pateticamente basso: uno dei tanti frutti avvelenati della democrazia «bloccata» della guerra fredda. Certi della propria insostituibilità, la Democrazia Cristiane e i partiti a lei consociati al governo perfezionarono un sistema di potere clientelare, spartitorio e diffusamente corrotto.”
E ora pensate a questo paese e a questa Europa, che con le sue ottuse politiche di austerità ha portato i paesi in crisi a seguire ricette sbagliate di tagli alla spesa sociale, e che sta spalancando le porte del governo ai partiti di destra, populisti, nostalgici delle frontiere, dell'isolazionismo, di radici che nella realtà non esistono. Non si deve smettere mai di ricordare, per non essere costretti a rivivere il passato.

Tutte le citazioni di Manlio Milani sono state prese dal libro di Benedetta Tobagi, “Una stella incoronata di buio” (Einaudi).

27 maggio 2016

Fare i conti

Peccato, la presenza dei due marò a fianco del presidente, alla sfilata militare del 2 giugno, sarebbe stata proprio un bello spot in vista delle amministrative prossime.
Così in bilico per cui per prendere qualche voto val la pena di strizzare l'occhio alla destra nostrana ("e i marò?").
Cose che capitano quando si imbarca in maggioranza (e nelle liste) i verdiniani e si abbandona al loro destino (e agli sfottò) due figure storiche dell'anti-camorra come Capacchione e Saviano.
Un altro spot che si aggiunge al cantico dell'ottimismo, dopo che anche Confindustria è salita sul carro del sì al referendum: in un discorso dove sono stati omessi mafia e corruzione, il presidente Boccia ha avanzato le sue richieste al governo, meno tasse e maggiore produttività (ora) per aumentare gli stipendi (poi).

Certo, la crescuta, come l'occupazione, avanza per decimali, c'è una leggera ripresa, che certo non nasce dal jobs act (togliere diritti non crea occupazione, punto e basta) ma da sgravi.
Certo, della flessibilità sui conti che ci è stata concessa ora, ci verrà chiesto conto poi, nel 2017.
Perché i conti bisognerà farli: perché il debito sale, perché la questione immigrazione è rimasta in carico a noi e i profughi continuamo a partire, ad arrivare sulle nostre coste e a morire in mezzo al mare.
Perché questa Europa dell'austerità sta spalancando le porte per andare al governo alle destre.
E dove pure le sinistre, per governare, possono solo scimiottare le politiche di destra, come in Francia, nell'assurdo scontro tra sindacato e governo per la riforma del lavoro.
Un braccio di ferro che non farà bene al paese.

Così anche in Francia, prima o poi, si dovranno fare i conti e contare i danni.

26 maggio 2016

#cosedapendolari (una mattinata iniziata male)

Lasciamo perdere per un momento referendum, inchieste, elezioni e varie ed eventuali. Per noi pendolari, i problemi cominciano subito di mattina, quando arriviamo in stazione per andare al lavoro o alla sera, per tornare a casa.
Ieri sera, per l'ennesimo sciopero indetto dai sindacati di base sul nuovo contratto messo sul tavolo da Ferrovie dello Stato (dove si contesta il maggior carico di lavoro), noi pendolari abbiamo avuto l'ennesima mezza giornata di passione: alle 18.00, il primo treno in partenza da Cadorna era stra-stipato.
Non solo è partito in una situazione ai limiti della decenza, ma ha avuto pure delle soste intermedia, per motivi non ben chiari, tra Cadorna e Affori. Morale della favora: 20 minuti di ritardo.
Per un viaggio che per molti avveniva in piedi.

Stamattina, il ritardo verso Milano è stato di circa 20 minuti, a causa di problemi con i passaggi a livello (sulla linea di Trenord ce ne sono troppi), con la sorpresina finale: ad Affori, i dipendenti Trenord avevano deciso di controllare le tessere ai tornelli, costringendo i pendolari a passare il badge.
Col risultato che, ai tornelli dell'ATM, per l'ingresso al metrò, si aveva il messaggio "validazione già avvenuta".
Altri sacramenti urbi ed orbi, per una mattinata che cominciava proprio male.
Tutto perché il personale ATM ai tornelli e quello di Trenord non si erano sincronizzati: così raccontava un inserviente di ATM spiegando che l'aveva già detto a Trenord ..

Ecco, il messaggio che vorrei dare ai signori candidati alle prossime elezioni, ai padri riformatori, agli industriali in Confindustria, non dimenticatevi dei piccoli problemi dei pendolari, le piccole cose.
Prima di pensare alle grandi riforme storiche, fate funzionare le cose sui mezzi pubblici.

La voragine sull'Arno - un caso politico

Immagino già come si difenderanno (in comune a Firenze, a Roma a Palazzo Chigi, nel giglio magico) dalle accuse di aver mal-gestito la sicurezza nei lavori lungo l'Arno: sono solo speculazioni politiche.
Ma non è colpa nostra se a Firenze, come a Roma, si sono colonizzati i posti pubblici e le poltrone, dando i posti agli amici.
Dalla Manzione che passa dai vigili all'ufficio legislativo nella Presidenza del Cosnsiglio.
Al ministro Boschi che passa da Publiacque al ministero per le riforme.

Davide Vecchi sul FQ del 26 maggio
LA RESPONSABILITÀ della re-te è di Publiacqua. Miriam Amato di Alternativa Libera, ie-ri ha diffuso una foto “da cui si intuisce che il tubo si sarebbe rotto in un punto in cui c'era da tempo una perdita, tanto chesulla spalletta era nata anchela vegetazione”, ha detto la consigliera comunale. Publiacqua fa pagare ai fiorentini una tra le bollette più care d'I-talia, ha rivelato Federconsumatori: 406 euro contro i 100 dei milanesi. Prezzi giustifica-ti con la qualità del servizio. Publiacqua è dal 2009 la “cul la”del renzismo. Presidente nominato dall'allora sindaco Renzi era Erasmo D'Angelis,poi messo a capo della struttura sul dissesto idrogeologico dal Renzi premier, prima diessere insediato come diretto-re dell'Unità dal Renzi segretario del Pd.A D'Angelis, nel 2009, venne affidata una giovane e inesperta Maria Elena Boschi, in-serita per volere del primo cittadino nel consiglio di amministrazione della partecipata.Giusto per citare i più noti passati per Publiacqua. Oggi è gui-data da Filippo Vannoni, altro petalo del Giglio magico. Van-noni è marito di Lucia De Siervo, figlia del presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo e sorella del direttore diRai Trade Luigi, è stata capo di gabinetti poi assessore nella giunta Renzi, direttore della cultura di Palazzo Vecchio etra i fondatori dell'associazione Noi Link creata nel 2007 per finanziare l'attività politi-ca dell'attuale premier su ideadi Marco Carrai. Nel Cda siede anche Carolina Massei, coordinatrice della Leopolda 2013. Chiaro, dunque, come il disastro del Lungarno sia un caso politico. L'opposizione, dal Movimento 5 Stelle a Sel a Fratelli d'Italia, parla di “una città che sprofonda”e chiede al sin-daco di riferire in aula consiliare. Renzi ha inviato Lotti a tentare di limitare i danni adappena due settimane dalle Amministrative, mentre il Pd chiede di “evitare le polemi-che”. Nei corridoi di PalazzoVecchio già gira il nome della vittima sacrificale: l'assessore all'Ambiente, Alessia Bettini, già invisa a Nardella. Ma basterà a camuffare quelle che sembrano soltanto le conseguenze della gestione renzia-na?

25 maggio 2016

Lo spione e il comunista

Un altro estratto dal libro "L'insolita morte di Erio Codecà", dove si parla di Federico Umberto D'Amato: il potente dirigente del Viminale, presso l'Ufficio Affari Riservati, e il comunista
"Circa tre anni fa, nel maggio del 1996, le sinistre vinsero le elezioni e al ministero dell'Interno giunse Giorgio Napolitano. Un ex comunsta a capo delle forze dell'ordine ... non mi ci far pensare! D'Amato attestò pubblicamente che il nuovo ministro era una persona pulita, avendolo spiato per oltre trent'anni. Un messaggio, diciamo. Napolitano ricambiò con una dichiarazione di pochi giorni dopo, nella quale assicurava di non essere arrivato al Viminale per 'cercare scheletri nell'armadio', ovvero: D'amato, stai tranquillo".

L'insolita morte di Erio Codecà, di Aldo Giannuli e Ivan Brentari

Un estratto dal primo capitolo (lo potete leggere qui):
L’ingegner Codecà ascolta le parole di sua moglie inseguirsi lentamente. Non si è mai abituato a quel suo strano accento romeno, come una cantilena. Quella voce l’aveva colpito subito quando si erano conosciuti a Bucarest, all’inizio degli anni Trenta. Il vestito bianco, i polsi fini, il volo leggero dei capelli. Erano già passati vent’anni dal loro matrimonio.«…e poi nel pomeriggio siamo uscite per una passeggiata e Gabriella ha fatto qualche foto agli scogli.»Codecà vede il Golfo del Tigullio, blu profondo e bianco di schiuma. Sua figlia, sulle punte dei piedi, fotografa gli spruzzi contro le rocce con la Leica che le ha regalato a Natale. Sospira nel ricevitore.«Me la saluti tu, Gabriella?»«Sì, certo.»«Ciao, Elena. Ci sentiamo domani, stai bene.»«Ciao caro, a presto.»Sistema il ricevitore sull’apparecchio. In mezzo alla sala Cockie lo guarda impettito e gli abbaia.«Sì, va bene.»Esce di casa senza avvisare Rina. Si infila una sigaretta tra le labbra, alza il bavero dell’impermeabile e scioglie Cockie, che comincia a zampettare sul marciapiede. La strada è completamente buia.
Nonostante la guerra sia finita da sette anni, una parte dell’illuminazione pubblica non vuole ancora adeguarsi. Come il 26/bis, il palazzo a fianco della villetta, che dopo i bombardamenti è rimasto un rudere roso dalla gramigna.L’ingegner Codecà si ricorda del biglietto di Gabriella rimasto sul cruscotto. Apre la portiera della 1100 e si china all’interno dell’abitacolo.Una fiammata gli brucia il costato. Lo sparo lo sente immediatamente dopo. Crolla a terra su un fianco, gli occhiali tintinnano sull’asfalto. Sapore di ferro in bocca. Tossisce sangue e il cemento si macchia di una miriade di efelidi scarlatte. Cockie sta abbaiando.Passi ovattati fuggono mentre l’ingegner Codecà muore.

Un romanzo di industriali e di spie, di giornalisti e di investigatori privati, di servitori dello stato infedeli e di ricattatori, di doppiogiochisti e di trafficanti.
Un romanzo che parte da una storia realmente accaduta, l'omicidio di un dirigente di una società del gruppo Fiat, Erio Codecà, per raccontare in modo romanzato l'Italia della guerra fredda: “una guerra talmente fredda da diventare ustionante”, così dice uno dei protagonisti.
Lo storico Aldo Giannuli, assieme ad Ivan Brentari si sono documentati in modo esauriente su questo fatto di cronaca avvenuto a Torino il 16 aprile 1952: l'ingegnere Erio Codecà ucciso con un colpo di pistola, mentre portava a spasso il cane in una fresca serata. Omicidio per cui fu individuato un presunto colpevole, un partigiano poi condannato per alcuni fatti di sangue durante la guerra, ma che non riguardavano la lotta partigiana.
Ma la storia, e la Storia, sono narrate attraverso l'indagine di un gruppo di borghesi, dell'alta borghesia si sarebbe detto, accomunati dalla passione per i gialli: in questo caso, le carte scoperte dal figlio di un investigatore privato, assoldato dalla Fiat stessa per indagare sulla morte dell'ingegnere.
«Lei cosa vuole da me, signor Argenti?»Il feto storpio si schiarì la voce e spruzzò fuori dalla gola una fermezza e un orgoglio che l’avvocato Dalmasso non gli avrebbe mai sospettato. «Voglio che lei si occupi della vicenda. Bisogna fare delle indagini, controllare se ci sono connessioni tra la morte di mio padre e quella dell’ingegner Codecà. Devo sapere perché mio padre è morto. Sono passati tanti anni, lo so, però se dovessero esserci dei colpevoli dovranno rispondere di quello che hanno fatto… Mia moglie è contraria. Dice che è solo una mia fissazione e che esagero come sempre. Poi attacca con la questione dei soldi, che non possiamo permetterci la parcella di un avvocato, che non ce la potremmo permettere nemmeno se il negozio lo gestisse lei… però a me non interessa.»Scoprire com’è morto un padre. Strano modo per entrare nel mondo dei grandi, pensò l’avvocato Dalmasso.Qualcosa di quella storia lo chiamava. Non riusciva a capire bene cosa fosse, però l’omino sghembo che aveva di fronte era riuscito a toccare le corde della sua curiosità. E l’evento era piuttosto raro. Si volse verso Casa Galimberti, e Casa Galimberti, da dietro la finestra, gli disse di sì.«Va bene, parli con Matilde.»

Carte che finiscono nelle mani di questa cerchia di personaggi: un avvocato esperto in cause finanziarie, un chirurgo estetico con la passione per le donne, un insegnante napoletano cresciuto con la passione per il comunismo, un magistrato figlio di magistrati che nella carriera ha saputo scansare i problemi. Infine una nobildonna napoletana, con alle spalle una bella storia d'amore e un museo archeologico da mandare avanti.
Leonora agganciò il ricevitore. Era soddisfatta della propria proposta; conoscendo gli altri tre amici, era certa che non si sarebbero tirati indietro. Il loro gruppo era formato da grandi amanti della letteratura, con l’eccezione forse di Fìlice, che era un appassionato un po’ sui generis. E non era il giallo una sfumatura importante della letteratura? Non erano forse le storie criminali a tratteggiare meglio il disegno dei tempi? Il cuore nero della modernità era sempre lì, davanti a tutti, e loro l’avrebbero osservato, aperto, sviscerato, percorso in tutti i suoi canali, le sue valvole, i suoi ventricoli, i suoi atri. Sì, l’idea avrebbe avuto un grande successo”.

Attraverso il meccanismo del flash back, passeremo dal tempo presente (alla fine dello scorso millennio) in cui il gruppo di investigatori per passione si tuffa nelle carte del caso, al tempo passato in cui i fatti avvennero: un arco temporale che abbraccia diversi anni della Storia, a cominciare dalla lotta partigiana. Partigiano era Folletto, il presunto assassino, con una condanna a morte sul groppone degli stessi comandi partigiani. Partigiani anche i suoi accusatori, che pure al processo non seppero portare prove significative.
Partigiano era anche Mercuri, altro capro espiatorio da dare in pasto all'opinione pubblica e per insabbiare la verità.

Perché dietro questa storia, si scorge un mondo: l'Italia della guerra fredda, del pericolo comunista e della cacciata dei sindacalisti dalle fabbriche della Fiat di Valletta.
L'Italia dove alla Camera si speculò sulla morte di Codecà, addossata alla sinistra per un puro discorso di speculazione da parte di quello che diventerà un ministro della repubblica con un nome da circo.
Dove però, come si è detto, di fronte al patto atlantico, alla fedeltà con l'alleato americano, convivevano strani traffici tra società legate in vario modo al partito comunista (tramite personaggi come Eugenio Reale ex senatore del pci) coi paesi dell'est, esportando materiale strategico che non avrebbe potuto attraversare la cortina di ferro …
Il professore scosse il capo. «Qui la mia pars non c’entra: fu proprio così. L’Italia era un punto cruciale, in mezzo alla battaglia. In fondo, se tu guardi l’Italia cosa vedi?» 
«In che senso?» domandò Villa, sapendo di dare all’amico la piacevole illusione di tornare indietro ai tempi dell’insegnamento. 
«Se la osservi bene ti accorgerai che l’Italia è la banchina di un porto, una lunga banchina che si spinge dentro al Mediterraneo. Ti lascio immaginare le implicazioni politiche e militari di questa nostra posizione. Affacciàti sul Nordafrica che scoppia di petrolio e al confine con il blocco dell’Est!» 
«E l’omicidio di Codecà come si inserisce in tutto questo marasma?»«Be’, per certi versi il centro più caldo dello scontro fu proprio Torino, e non solo perché lì c’era la FIAT. Tu sei di Milano. Ecco, vedi, Milano era una piazza tradizionalmente socialista, ma Torino era una piazza comunista, e una piazza importante. ‘Quando Torino ha il raffreddore, l’Italia ha la polmonite’, si diceva allora.» 
Cannavacciuolo fece una piccola pausa. «Mi ricordo che il delitto Codecà fu preso a pretesto per cacciare a pedate qualche comunista dalla FIAT. Tra questi c’era anche Battista Santhià, un operaio che era stato nella redazione di Ordine Nuovo con Gramsci: una bandiera per i comunisti torinesi. Se ci penso mi sale la bile… quanti compagni furono fatti fuori…»”

La soluzione dell'omicidio Codecà e la scoperta del vero responsabile, avrebbe potuto svelare trame che era meglio tenere segrete, perché questo personaggio all'apparenza “normale” era invece uno di quelli che starebbe bene in un libro di spie: una moglie rumena, un fratello dirigente di una banca italo romena, tanti anni in Romania e poi nella Germania di Hitler, prima della guerra. E un'amica in Svizzera con un lavoro da istitutrice ma che in realtà ha un passato da spia..

Questo spiega i tanti ricatti nei confronti della Fiat e, dall'altra parte l'interesse della Fiat a tenere tutto nascosto. Anche il rapporto dei due investigatori Argenti e Gandini.
Non a caso si cita un altro giallo, Traditori di tutti di Giorgio Scerbanenco: “in quel libro tutti tradiscono tutti, tutti sono pronti a pugnalare alle spalle, nessuno è pulito”.

Non è pulito il partito comunista, con questi strani traffici che sarebbero serviti per trovare finanziamenti esterni, per rimanere indipendente dall'influenza russa.
Non è pulita nemmeno la Democrazia cristiana e gli altri partiti dell'ala governativa, che pure prendevano soldi dagli industriali (come la Fiat) e dall'ambasciata americana.
Da personaggi, altrettanto interessanti come Clare Boothe Luce, una donna avvenente che si era sposata la carriera politica dove portava avanti la sua crociata anticomunista in un'Italia però troppo bizantina per essere compresa dagli americani.
Alleata con gli Stati Uniti e in affari con la Russia.

Si viene catturati dal racconto, man mano che si entra dentro la storia, questo “insolito” caso, che appassiona come un buona spy story, anche se gli investigatori sono un avvocato, una nobildonna, un medico, un professore e un magistrato (di quelli però poco avvezzi alle indagini).
Si tufferanno, per passione, nelle carte processuali, nella lettura del dossier di Argenti e Gandini (quello commissionato dalla Fiat e che fu usato anche da Edgardo Sogno per fare pressioni), in vecchi articoli di stampa.

Racconto dove, lo dico subito a scanso di equivoci, non importa tanto la soluzione del caso e nemmeno la verità giudiziaria, a quarant'anni di distanza molti dei protagonisti erano già morti: “Quando gli individui escono di scena, esce di scena anche la giustizia penale ed entra un'altra corte: quella della Storia”.

Sul sito di Aldo Giannuli trovate tutto il materiale alla base del libro e vi assicuro che è vasto e molto interessante: qui scoprirete quanto la storia pur romanzata non sia poi così distante della Storia vera del nostro paese. 
Dove l'arte del governare e l'arte del doppio-gioco e della menzogna sono sempre andate a braccetto.
“Incontrerete molti personaggi noti: come Vittorio Valletta, Palmiro Togliatti, Eugenio Reale, Federico Umberto D’Amato, Mario Scelba, l’ambasciatrice Usa Clara Booth Luce, Pablo Picasso (che c’entra? C’entra, c’entra), Edgardo Sono, il Principe Lanza di Trabia e persino Domenico Modugno. Ma incontrerete anche figure sin qui assai poco note ma molto interessanti, come una istitutrice svizzera piuttosto inquietante che fu arrestata dai sovietici per spionaggio e poi rilasciata a seguito di uno scambio di prigionieri, tale Negri, come Jacon Magura, un agente dei servizi segreti rumeni, una misteriosa principessa sloveno-ungherese, futura gallerista di fama internazionale, di nome Zorana Romana Gaberscik Fejerdi Budai de Kide, un vecchio arnese del servizio segreto militare processato (ed assolto) per l’assassinio dei fratelli Rosselli in Francia, il fratello di un noto senatore comunista ed anche un investigatore privato che si fregia del nome di Filippo Argenti. Leggerete di uno strano episodio come l’assalto all’ambasciata rumena in Svizzera da parte dei fascisti della guardia di ferro… Insomma non vi annoierete, possiamo assicurarlo”.

Una serie di link interessanti:

Buona lettura!!

La scheda del libro sul sito di Sperling & Kupfer.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

Riavvolgere il nastro – le lettere di Montanelli all'ambasciatore Boothe Luce

Nel romanzo scritto da Aldo Giannuli assieme a Ivan Brentati si parte da un fatto storico realmente avvenuto (la morte di un ingegnere della Fiat) per raccontare la Storia mai raccontata sino in fondo del nostro paese, durante i primi anni della guerra fredda.
Tra i documenti su cui si sono basati i due storici nella ricerca, anche le lettere di Indro Montanelli all'ambasciatrice Clare Boothe Luce:
In caso di fallimento [del colpo di stato americano in Italia] o sembra che l'America dovrebbe almeno approntare una Formosa per concentrarvi le forze destinate a una riscossa che in Italia sarebbe più facile, o meno difficile, che in Cina. Parlo della Sicilia naturalmente. In quest'isola che, comunque, non avrà mai una maggioranza comunista, c'è un governo regionale in mano ad anticomunisti , sia pure deboli e irresoluti. Ho pregato il principe Raimondo Lanza di Trabia di porre il quesito all'on. Restivo e ai suoi colleghi: cosa farebbe questo governo di fronte ad una vittoria comunista nel resto del paese: accetterebbe il fatto compiuto, proclamerebbe l'indipendenza? Il principe Lanza di Trabia è un giovane coraggiosissimo avventuriero che, se invece che principe, fosse nato proletario, si sarebbe chiamato Salvatore Giuliano e come lui sarebbe finito. Ma appunto per questo gode di grande prestigio nell'isola e soprattutto è in eccellenti rapporti con la mafia, che laggiù ha un potere decisivo, molto più grande di quello del governo.Lanza di Trabia mi ha risposto giustamente: «Se Restivo, o di sua spontanea volontà, o per nostra imposizione, proclama l'indipendenza e chiede la protezione della flotta americana, la flotta americana è disposta a proteggerla?».

Erano gli anni '50, la minaccia dell'invasione sovietica doveva sembrare più reale di come la percepiamo oggi e in certi settori dello stato, nella DC, nei grandi gruppi industriali, il sorpasso del PCI era visto come un pericolo.
Per questo serviva prepararsi per tempo, con l'appoggio militare dell'America ma anche con l'aiuto di amici come Lanza di Trabia, nobile siciliano, amico dei mafiosi:
«Pazzesco: fare della Sicilia la base d'appoggio della revanche restauratrice con l'aiuto della mafia e di Franco Restivo, il democristiano, il democristiano presidente della Regione ... ».[..]Il gigante americano e il gigante sovietico battagliavano sopra l'Europa, e la loro ombra oscurava tutto il continente. Aveva detto bene Villa: una guerra per procura. Una una guerra talmente fredda da diventare ustionante, come il ghiaccio sulla pelle.Riavvolgere il nastro.Ripensò alle decine di compagni allontanati dalle fabbriche. L'onorevole Togni che sbraita in Parlamento. Grida, strilli. «Assassini!» Gli anni che aveva vissuto, i suoi anni. Gli anni che avevano deciso la sua vita. Gli anni di Clare Boothe Luce, Eisenhower e Scelba. Gli anni in cui Montanelli aveva potuto concepire la follia di quelle lettere. Gli anni in cui era stato assassinato l'ingegner Codecà.Riavvolgere il nastro”.


Lettura interessante, questo libro L'insolita morte di Erio Codecà di Aldo Gianunli e Ivan Brentati (sperling & Kupfer), sulla nostra Storia, sulla nostra democrazia.