Chi c’è dietro la scalata alle Generali, la cassaforte dei risparmi degli italiani?
Poi il tanto atteso servizio sui conti dell’Inter (doveva andare in onda domenica scorsa): aveva ragione Report o chi contestava il vecchio servizio?
Nell’anteprima di LAB Report si parlerà della situazione di Gaza: non chiamatela guerra, quello che sta succedendo è la soppressione di un popolo.
Il crimine sotto i nostri occhi
Per mesi in cui si è ripetuto che quello che succedeva a Gaza era solo colpa di Hamas, che chi criticava le scelte del governo di Israele era antisemita, che i numeri dei civili uccisi dall’esercito israeliano erano finti (dove sono le fonti? Come se non sapessero tutti che i giornalisti stranieri non sono stati ammessi a Gaza).
Finalmente l’occidente si è accorto di quello che sta succedendo in questa striscia di terra. O, meglio, ha smesso di far finta di niente.
Far finta che voler affamare un popolo, riducendo al limucino gli aiuti alimentari, distruggendo le infrastrutture, le scuole gli ospedali, prendendo di mira i civili anche nei luoghi dove dovrebbero essere al sicuro, non faccia parte di un disegno criminale per preciso.
Chi denuncia quanto è sotto gli occhi di tutti viene sistematicamente screditato, vedi gli attacchi alla relatrice Francesca Albanese accusata di aver ricevuto finanziamenti da gruppi vicini ad Hamas da un dossier di Un watch, dossier smentito dall’Onu.
Le ambasciate israeliane – spiega la stessa Albanese a Report – si muovono in prima persona per protestare quando “una certa persona fosse stata chiamata a parlare in una sede istituzionale”.
I civili, dal 7 ottobre 2023, in risposta all’attacco terroristico di Hamas, sono diventati bersagli, “come è possibile tutto ciò”? LE immagini nell’anteprima del servizio testimoniano a sufficienza quanto sta accadendo a Gaza. Bambini colpiti da proiettili e schegge, spesso colpi singoli alla testa, bambini a cui si devono amputare arti per i colpi ricevuti. Bambini che, una volta operati, non hanno nessuno da cui tornare perché le loro famiglie sono state sterminate.
Medici costretti ad operare con mezzi di fortuna nei pochi ospedali ancora attivi.: “ogni giorno mi ritrovo circondato da decine di persone che mi chiedono aiuto, mancano le attrezzature chirurgiche, tutto, non c’è materiale sterile monouso, rilaviamo tutto, anche i tubi con cui si intubano i pazienti ..” racconta uno di loro.
Report ha intervistato a Londra il dottor Abu Sittah, il primo ad essere entrato a Gaza dopo i primi attacchi agli ospedali, come quello ad Al Shifa: Israele aveva inizialmente dato la colpa alla Jihad per la morte dei 480 sfollati sotto le bombe.
L’ospedale di Al Shifa è stato bombardato dall’esercito di Israele ha bombardato l’ospedale, compreso il reparto maternità: IDF ha spiegato che è stata una operazione mirata contro Hamas che si era rifugiata dentro l’ospedale di Al Shifa
Tesi negata dal dottor Abu Sittah: “non ho mai visto alcun combattente nell’ospedale, altrimenti avrei chiesto loro di andare via, ho l’obbligo di chiedere ai combattenti armati di lasciare l’ospedale, dentro c’erano solo civili che avevano portato i loro figli al rifugio. Se avessero visto la presenza di Hamas, che è l’obiettivo di Israele, non avrebbero mai portato i loro figli a dormire la dentro.”
L’esercito di Israele, in quanto forza occupante, dovrebbe garantire la sicurezza della popolazione civile: questo è quanto stabilisce la Convenzione di Ginevra, ma a Gaza i diritti dei civili non sono mai stati garantiti già prima del 7 ottobre (la data dell’attacco terroristico di Hamas).
“Già
prima del 7 ottobre 2023 e dell’inizio di questa nuova guerra ”
spiega Ajith Sunghay direttore dell’alto commissariato per i
diritti umani “l’assistenza medica il sistema ospedaliero nella
striscia di Gaza era un disastro per via dei 17 anni di blocco
[quello l’esercito ai valichi della striscia]. La Corte di
Giustizia internazionale ha chiesto esplicitamente di garantire la
sicurezza dei civili nei territori palestinesi occupati compresa
Gaza. Questo comprende anche la fornitura di acqua, cibo, la raccolta
dei rifiuti, offrire rifugio e qualsiasi altra necessità per la
sopravvivenza. Israele come forza occupante deve garantire questa
protezione ai civili secondo la quarta Convenzione di
Ginevra.”
Attaccare gli ospedali significa attaccare strutture
civili e quindi il diritto dei civili alla protezione invocata dal
diritto umanitario internazionale.
Francesca
Albanese relatrice speciale per le Nazioni Unite per i diritti umani
nei territori palestinesi parla oramai dello smantellamento del
sistema sanitario a Gaza: “l’attacco al sistema sanitario in
quanto tale è stato sistematico , sono stati colpiti gli ospedali,
le ambulanze, sono stati uccisi oltre mille medici. C’è stato
quasi un attacco personalizzato, molto mirato al personale medico e
questo si è visto anche attraverso quello che è accaduto con gli
arresti e le detenzioni arbitrarie.”
Di fronte a tutto questo
la risposta dell’esercito di Israele (e dei tanti gruppi di
influenza sui social) rimane sempre la stessa: sotto gli ospedali
c’erano i tunnel di Hamas, nelle strutture mediche c’erano armi
di Hamas, questi sono dati di Hamas.. Come se non si sapesse che per
una precisa volontà politica nella striscia non sono ammessi
giornalisti stranieri. E i pochi giornalisti palestinesi sono stati
bersaglio delle bombe e dei colpi di IDF.
La scheda del servizio: LAB REPORT: ANATOMIA DI UN CRIMINE
di Nancy Porsia
Report ricostruisce l’attacco sistematico agli ospedali di Gaza, documentando bombardamenti, evacuazioni forzate e medici uccisi o arrestati. Attraverso testimonianze dirette e immagini senza filtro, emerge il collasso del sistema sanitario e il dramma dei civili intrappolati. Una cronaca documentata sulla potenziale violazione del diritto umanitario internazionale e la crisi umanitaria in corso.
Dietro le scalate bancarie
Ci
aveva messo perfino la faccia la presidente del Consiglio Meloni, in
un video pubblicato sui suoi canali social: “abbiamo deciso di
introdurre una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del
margine di interesse, cioè la differenza tra quanto le banche ti
applicano per prestarti i soldi e quanto ti riconoscono quando
depositi i soldi. Una tassazione su quei margini extra che hanno
registrato gli istituti bancari che è secondo noi non una tassa sui
guadagni legittimi ma una tassa sul margine ingiusto. ”
Anche
il vicepresidente Salvini era sulla stessa lunghezza d’onda: “la
scelta della Lega e dell’intero governo è chiara, aiutare famiglie
e impre, se e lavoratori che non ce la fanno chiedendo alle banche
una parte degli incassi miliardari per i maxi profitti che hanno
fatto in questi anni..”
Era agosto, gli italiani erano già al
mare – racconta oggi il docente di economia della Cattolica Rony
Hamaui – “e il governo esce con la prima tassa sugli
extraprofitti, dopo di ché c’è tutta una discussione all’interno
del governo, il parlamento, il provvedimento viene cambiato e viene
lasciata alla banche l’opportunità di decidere se o pagare la
tassa oppure accantonare, rafforzare il proprio patrimonio.”
Quindi
la tassazione sugli extraprofitti dopo i roboanti annunci di Meloni e
Salvini è durata solo il tempo dell’estate, riducendosi ad un
ipotetico balzello, diventando una tassa facoltativa perché alle
banche viene concessa la libertà di scegliere se pagarla oppure se
tenere gli extraprofitti nelle loro casse.
La
montagna ha partorito il topolino: oggi gli esponenti della
maggioranza, come il sottosegretario Durigon, di fronte alle domande
di Report svicolano, non rispondono, parlano d’altro (“abbiamo
alzato gli stipendi .. abbiamo tantissime idee.. con le banche
qualcosa abbiamo fatto..”).
Si dice che sia bastata una
telefonata di Marina Berlusconi a far far marcia indietro al governo.
Così oggi le banche sono piene di liquidità, soldi pronta cassa che fanno gola a qualcuno nella maggioranza: e dunque sono partite le scalate bancarie, con l’assalto del Monte dei Paschi di Siena (la banca salvata coi soldi pubblici) al cuore della finanza milanese che ha scatenato una vera e propria guerra. In risposta all’annuncio dell’istituto di credito senese Mediobanca ha indossato l’elmetto ed eretto le barricate: la proposta del Monte è stata rispedita al mittente con un comunicato durissimo dal cda in cui si definisce l’offerta fortemente distruttiva di valore e priva di razionale finanziario e industriale.
Come si è comportato il governo fino a questo momento? Da arbitro o da parte in causa? Alberto Nagel, AD di Mediobanca ha risposto “qual è la prossima domanda”.
Gli elementi raccolti dal servizio di Report potrebbero dunque indurre a pensare che l’ultima asta delle azioni del ministero dell’Economia sia stata apparecchiata appositamente per far entrare nell’azionariato di MPS Francesco Gaetano Caltagirone e la finanziaria della famiglia Del Vecchio, BPM e Anima, ad un prezzo calmierato.
Il
loro ingresso sarebbe stato funzionale a lanciare dopo solo un paio
di mesi la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la
famiglia Del Vecchio avevano grossi interessi.
MPS diventerebbe
una sorta di cavallo di Troia per Caltagirone e Delfin per prendersi
Mediobanca: “questa Opa mi sembra strumentale non tanto per fare
una fusione tra due banche ” racconta Alessandro Penati docente di
Finanza della Cattolica “ma a costituire un gruppo di influenza in
cui i privati appoggiati dal governo avrebbero una influenza.”
E
cosa dice il governo in proposito? Il sottosegretario Freni di fronte
alla domanda di Mottola, se ci sia stata una regia del governo sulla
scalata di MPS, si è messo a ridere “ma quale regia.. ma che ne
so io.. io sono solo uno scrivano ..”
C’è stato o meno un
incontro lo scorso settembre al MEF tra esponenti del governo e MPS
per pianificare questa scalata? Chi lo sa. Di certo lo stato italiano
attraverso il MEF detiene l’11% di MPS, ma freni si ostina a
rispondere “io non conto nulla..”
Il
servizio racconterà poi della scalata tentata da Unicredit alla
Banca Popolare di Milano: veniva presentata come investimenti di
Unicredit in Italia, ma Salvini l’aveva definita una banca
straniera. “Diciamo che Unicredit ha le sue radici in Italia e il
45% del gruppo è in Italia, siamo presenti in 13 paesi e in questo
contesto siamo paneuropei” ha risposto l’AD Andrea Orcel. Altre
domande sul tema delle scalate e sulla posizione non neutra del
governo non sono state ammesse.
In effetti Salvini non avrebbe
torto: la proprietà di Unicredit è straniera per oltre il 70% del
suo capitale, controllato soprattutto da fondi americani e inglesi.
Tuttavia all’epoca degli attacchi di Salvini anche in BPM
l’azionista di maggioranza non era italiano ma era la francese
Credite Agricole e subito dopo veniva l’americana Black Rock.
Forse, anche alla luce di ciò, non tutti i maggiorenti della Lega si
sono lasciati arruolare nella crociata nazionalista di Salvini.
Massimiliano Romeo è il capogruppo al Senato: alla domanda se Unicredit è straniera non ha voluto rispondere “dovete mettervi d’accordo col nostro ufficio stampa”.
Calderoli, ministro dell’Autonomia non ha proprio risposto. Laura Ravetto, deputata della Lega ha glissato, “voglio andare a sentire Salvini..”
Almeno Fedriga, presidente della regione Friuli, almeno è stato netto: Unicredit non è straniera, “mi auguro che Unicredit possa contribuire a far crescere e collaborare all’interno di una maggior vicinanza al sistema produttivo”. Fedriga prende la distanze da Salvini anche perché la questione BPM non riguarda tutta la lega – spiega nel servizio di Mottola – ma quasi esclusivamente la Lega lombarda. Negli ultimi 15 anni infatti i vertici del partito in Lombardia hanno coltivato un rapporto molto stretto con la BPM da quando, nel 2009, ne è stato nominato presidente Massimo Ponzellini, vicinissimo a Giancarlo Giorgetti il quale oggi, da ministro dell’Economia, ha deciso di usare sulla scalata di Unicredit il golden powere quindi dare al governo l’ultima parola sulla scalata.
C’è un tifo di Salvini e Giorgetti per BPM? Il presidente di BPM Tononi commenta dicendo “mi sembra una espressione fuori luogo, non è questione di fare tifo, bisogna fare scelte giuste per l’economia italiana e certamente il venir meno del pluralismo potrebbe essere un elemento di fragilità in questa situazione.”
Insomma,
un assalto alla cassaforte dei nostri risparmi da parte di questa
destra sovranista ovvero, come dice il titolo del servizio, all’armi
siam banchieri.
Si muove la politica e si muove quel pezzo di
imprenditoria che fa riferimento a questa maggioranza: per esempio il
costruttore Caltagirone, che ha costruito i palazzi dei quartieri di
Roma. Roma non si può governare senza il suo consenso: l’ex
sindaco Ignazio Marino racconta di come sia difficile, Caltagirone è
sempre stato abituato ad avere figure nell’amministrazione della
città che non si mettono in contrasto.
Il
suo quartier generale è nel centro di Roma in via Barberini: qui
amministra i suoi interessi nella capitale, da Acea la società di
acqua ed elettricità di cui detiene una quota; è uno dei
costruttori del prossimo termovalorizzatore ed è nel consorzio che
sta realizzando la metro C, l’opera pubblica più costosa
d’Europa.
Continua Marino: “Penso che in questa fase storica
Caltagirone si sia abbastanza staccato da quel mondo che a Roma viene
chiamato dei palazzinari.”
L’epopea imprenditoriale di
Francesco Gaetano Caltagirone comincia negli anni ‘80 quando fa i
primi miliardi con l’attività di palazzinaro: il suo rapporto con
la politica, la Democrazia Cristiana, è strettissimo, ma gli costa
caro. Finisce nelle principali inchieste di Tangentopoli, imputato per
corruzione in vari processi, è stato sempre assolto.
In
questi processi tra gli imputati era presente anche l’ex ministro
Cirino Pomicino: entrambi, Pomicino e Caltagirone, furono assolti.
Caltagirone passa poi dal finanziare la DC, la corrente andreottiana,
a finanziare i “nuovi partiti” della seconda repubblica.
Inizia,
anche su suggerimento di Pomicino, a comprare giornali, “devi
essere un imprenditore con cui la politica deve fare i conti, in un
momento in cui i partiti non sono più un punto di riferimento e c’è
il rischio che il riferimento lo diventino le procure, il giornale è
l’unico modo per garantire la propria resistenza.”
Così nasce l’impero editoriale di Caltagirone: nel 95 compra Il Tempo, poi rivenduto, poi Il Messaggero, il più importante giornale della capitale, subito dopo Il Mattino, il quotidiano più diffuso a Napoli e in Campania. Due anni dopo rileva Il quotidiano di Puglia, poi Il Corriere Adriatico diffuso nelle Marche, quindi Il Gazzettino il maggior quotidiano in Veneto e Friuli. La geografia delle acquisizioni editoriali di Caltagirone segue pedissequamente i suoi affari, perché compra i giornali in tutte le città e le regioni dove ha maggiori interessi finanziari e imprenditoriali.
Una genialità la sua – commenta così il mentore Pomicino – comprendere come i giornali potessero essere uno strumento di condizionamento della politica: “sapevi che se toccavi Caltagirone la tua vita sarebbe stata centellinata dai giornalisti ..”
Sul ruolo di Palazzo Chigi (arbitro e giocatore) in questo risiko bancario potete leggere l’anticipazione del servizio di Report data da Marco Palombi sul Fatto Quotidiano:
Il governo banchiere, il risiko e il conflitto di interessi di Caputi
di Marco Palombi
Il capo di gabinetto di Giorgia Meloni ha quote in due società che si occupano di Npl
Ogni giorno si scoprono nuovi particolari su quella che il Fatto, parafrasando una vecchia battuta, ha definito “l’unica merchant bank in cui si parla romano”: le intricate vicende del cosiddetto risiko bancario – in cui Palazzo Chigi fa contemporaneamente l’arbitro, il giocatore e il vigilante – sono descritte da una lunga inchiesta di Report, firmata da Giorgio Mottola e in onda stasera su Raitre, da cui si scopre, tra le altre cose, che il capo di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi, l’uomo che per conto della premier gestisce anche la partita bancaria, s’è dimenticato di dichiarare un potenziale conflitto d’interessi.
Nel servizio si racconterà infatti di come le azioni di MPS, detenute dal MEF, siano state vendute con procedura accelerata, per evitare che venissero vendute sul mercato. Lo scorso novembre quando il MEF ha venduto un altro 15% di MPS, Giorgetti non si è affidato alle solite banche d’affari ma ad un piccolo operatore, banca Akros del gruppo BPM: così ad aggiudicarsi le azioni non sono state, come nel passato, decine di svariati investitori ma solo 4 compratori, tra cui Caltagirone col 3,6%, Delfin del gruppo Del Vecchio il 3,5%, banco BPM col 5% e il 4% Anima il fondo di investimento partecipato da Caltagirone, BPM e MEF.
Come se questa cessione di azioni di MPS fosse stata concordata, come ammette Luca Enriques ex commissario Consob a Report . Da quanto risulta a Report, alla terza asta diversi fondi di investimento anche stranieri erano interessati ad acquistare azioni del ministero dell’Economia ma risulta che non abbiamo mai avuto risposta dalla banca Akros e secondo quanto scrive il Financial Times sarebbe stata bloccata anche una un’offerta avanzata da Uncredit.
Ora Caltagine e Del Vecchio attraverso Anima e BPM sono arrivati a controllare il 15% di MPS che una quota di controllo della banca. Durante questa asta i quattro gruppi non hanno comprato le azioni a sconto ma le hanno pagate il 2% del loro valore in borsa. Il MEF avrebbe incassato dunque più delle due aste precedenti ma alla fine il collocamento di banca Akros si è rivelato più vantaggioso per Caltagirone e gli altri compratori. Se infatti avessero voluto comprare le azioni sul mercato l’operazione sarebbe stata più complicata perché il mercato “capisce” che c’è dietro una mano a comprare le azioni e quindi ne fa salire il prezzo, così Caltagirone e Del Vecchio le avrebbero pagate di più.
Si potrebbe dunque pensare che l‘ultima asta del MEF sia stata apparecchiata per far entrare nell’azionariato di MPS proprio Anima e BPM ad un prezzo conveniente. Un ingresso funzionale a lanciare, dopo qualche mese, la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la famiglia Del Vecchio hanno grossi interessi.
La scheda del servizio: ALL’ARMI, SIAM BANCHIERI!
di Giorgio Mottola
Collaborazione Greta Orsi
Nonostante l’economia non stia andando benissimo, le banche italiane sono riuscite a registrare ricavi miliardari grazie agli extraprofitti favoriti dall’aumento dei tassi di interesse. Il governo Meloni ha provato a introdurre una tassazione su questi guadagni miliardari, ma ha dovuto battere in ritirata. E così gli istituti di credito del nostro Paese si sono ritrovati con le casse piene di soldi. Grazie a questa situazione di favore, è partito il cosiddetto risiko bancario: Unicredit ha lanciato una scalata sulla Banca popolare di Milano e poco dopo Monte dei Paschi di Siena ha avviato l’assalto all’ex salotto buono della finanza italiana, Mediobanca. In questa partita però di finanziario c’è molto poco. Fratelli d’Italia e Lega hanno deciso di giocare un ruolo di primo piano e puntano alla nascita di un terzo polo bancario a trazione sovranista. L’obiettivo è la cassaforte dei risparmi privati degli italiani: le Assicurazioni Generali. Per raggiungere lo scopo, è nata un’inedita alleanza con potenti esponenti del capitalismo finanziario del nostro Paese.
I conti dell’Inter
Chi aveva ragione, sui conti dell’Inter? Report oppure quelli che hanno contestato il servizio?
E, poi, oltre all’Inter, ci sono altre società di calcio in serie A coi bilanci a rischio?
Il
mondo del calcio è sempre stato un terreno particolare, dove le
regole che valgono per tutte le altre imprese qui vengono
interpretate a seconda del caso.
Nel mondo del calcio sono in
tanti a lanciare l’allarme, perché l’Inter vince due scudetti
con un debito monstre: l’ultimo è Claudio Lotito, presidente della
Lazio e senatore di Forza Italia. Nel corso di un evento pubblico ha
dichiarato: “il paradosso è che ci sono società con debiti da
600-700 ml di euro tecnicamente fallite ma che vincono il
campionato.”
Come commenta questa uscita il ministro dello
sport Abodi (membro della stessa maggioranza di Lotito)? “Questa è
una opinione che deve essere verificata dai fatti, questa commissione
[quella che
il governo Meloni ha pensato per controllare i bilanci delle
squadre] non deve essere severa, deve essere giusta e deve mettere in
condizione anche voi di raccontare le cose come stanno.”
Ma
nella riforma che il governo ha in mente sui bilanci delle squadre ci
saranno interventi sull’equilibrio finanziario del sistema calcio?
“Stiamo
ragionando sulle figure che vogliamo siano molto qualificate, molto
indipendenti che assumono il ruolo come missione..”
La
commissione voluta da Abodi è quella che sostituirà la Covisoc,
l’organismo oggi sotto il controllo della Federcalcio incaricato di
verificare lo stato di salute finanziaria dei club .
Ma l’ultimo regalo al calcio italiano è arrivato proprio grazie al governo Meloni che, nel dicembre 2022, ha approvato il decreto salva calcio, che ha permesso di spalmare un debito fiscale complessivo di 889 ml di euro in sessanta comode rate.
LE squadre hanno avuto modo di ricorrere agli strumenti che la legge ha permesso di poter utilizzare – racconta il presidente di Federcalcio Gravina – però il debito si accumula e quindi questo genera degli alert ma sono alla parti di qualunque società di capitali.
Ma questo decreto alimenta una cultura del debito: lo spiega il consulente di Report Gian Gaetano Bellavia, esperto di bilanci e diritto penale dell’Economia “ma secondo lei il calcio è una roba normale, ma possiamo confrontarlo con una normale azienda, il lusso, lo spreco, di denaro, assurdo, non solo per i calciatori ma anche per gli allenatori, gli agenti, per le feste, le macchine, è tutto un lusso a debito. Il lusso non si fa a debito, il lusso si fa coi soldi, che qui non ci sono.”
Il cuore del servizio sarà dedicato ai conti dell’Inter: i suoi problemi finanziari erano legati alle holding cinesi del suo ex proprietario?
Nel
mondo della finanza le voci corrono con molta velocità – racconta
Daniele Autieri – il 7 gennaio 2025 la famiglia Zhang, uno dei
grandi conglomerati industriali cresciuti all’ombra del partito
comunista dichiara bancarotta. In un attimo la notizia del fallimento
del gruppo Suning viaggia da Bangkok a Manhattan: tra le società
interessate dalla ristrutturazione del debito c’è anche la Suning
holding group, la stessa con cui per anni gli imprenditori cinesi
hanno controllato l’Inter.
Come spiega Gian Gaetano Bellavia,
tutto questo ha avuto riflessi sulla squadra milanese: “se si parla
di stato di insolvenza o fallimento è fatale che i cinesi non
abbiamo più dato soldi all’Inter.”
Che il gruppo Suning
fosse sull’orlo della bancarotta era noto agli addetti ai lavori
già nel 2020, come aveva rivelato a Report l’analista finanziario
che cinque anni fa, al termine di una accurata due diligence aveva
per primo lanciato l’allarme sui conti del club milanese.
A
Report aveva raccontato le voci che giravano “mi ricordo che
dicevano che questi Zhang non potevano viaggiare per impegni e così
via,ma questi erano sotto chiave, questi qui avevano fatto un casino
che Parlamat al confronto era niente. La Cina gli aveva ritirato il
passaporto. ”
Cinque anni dopo la profezia dell’analista si è avverata, il gruppo Suning dichiara bancarotta al termine di un decennio di strategie finanziarie fallimentari: tra il 2012 e il 2020 gli Zhang investono 10 miliardi di euro in operazioni a perdere, una di queste è proprio l’acquisto dell’Inter.
Report è andata fino a New York, alla borsa americana, per trovare conferme a questa storia: nella compagine accanto a Zhang c’è anche Lion Rock un private equity di Hong Kong. Nel 2019 il fondo rileva il 31,05 % delle partecipazioni dell’Inter e il suo presidente Daniel Tseung si presenta alla Pinetina con un piano preciso, vendere l’immagine del calcio italiano in Cina e lo fa con una intervista manifesto, l’unica concessa in Italia e rilasciata alla giornalista finanziaria Laura Morelli.
“Lion Rock è un fondo che investe in consumer, dunque beni di consumo, dal sito sono 9 le società dove dicono di aver investito dal 2011, Inter compres ” spiega oggi a Report la giornalista “il calcio non era mai stato un loro investimento, l’Inter è stato il primo e anche l’ultimo finora.”
Nell’Inter quanti soldi hanno messo? “Si parlava di circa 150-200 ml ”
La
scheda del servizio: LA
RESA DEI CONTI
di Daniele Autieri
Collaborazione Alessandra Teichner, Andrea Tornago
L’Inter, il Club italiano che ha vinto di più negli ultimi anni, è stato davvero sull’orlo del fallimento? Dopo l’inchiesta del febbraio scorso che aveva ricostruito i guai finanziari della società, in molti hanno criticato Report accusando la trasmissione di aver addossato all’Inter i peccati dei suoi proprietari, ovvero del Gruppo Suning che fino al maggio del 2024 controllava il Club. Tre mesi dopo ecco la nuova inchiesta che approfondisce il filone finanziario del Club, prima e dopo l’ingresso del fondo americano Oaktree, e ricostruisce nel dettaglio quali fossero le reali condizioni del Club negli anni più difficili della proprietà Zhang, tra il 2021 e il 2023. Grazie a documenti inediti e a una testimonianza eccellente, l’inchiesta ricostruisce tutti i retroscena delle operazioni finanziarie che hanno evitato il fallimento dell’Inter. Una verità che testimonia ancora una volta la fragilità delle società sportive e l’inefficacia delle istituzioni nel costruire e far rispettare un sistema di regole condiviso, proprio adesso che il governo è al lavoro su una futura riforma del calcio.
Lo stato degli allevamenti ittici
Quante
cose si scoprono seguendo i servizi di Report: il record di
inquinamento da ammoniaca in pianura padana grazie agli allevamenti
intensivi e ora scopro che siamo leader negli allevamenti di trote.
Ma in che modo vengono allevati questi pesci?
Negli allevamenti
visitati da Giulia Innocenzi si vedono tanti pesci agonizzanti, che
boccheggiano in acqua o in superficie, che nuotano al contrario,
sbattono contro le pareti del vascone. Insieme ai pesci agonizzanti
si trovano anche animali morti che andrebbero rimossi il prima
possibile per motivi igienico sanitari, perché potrebbero essere
morti per malattie infettive e potrebbero mettere a rischio altri
pesci.
Alcune trote sono morte impigliate nelle griglie
dell’allevamento: sono animali curiosi – racconta a Report Simone
Montuschi- presidente di Essere Animali – è normale che cerchino
delle zone in cui non sono ancora stati, se ci sono delle reti dove
loro entrano con la testa ma poi il corpo si allarga e non riescono
più a uscire con le branchie non riescono ad indietreggiare,
rimangono incastrati.
E incastrate nella rete muoiono. Incastrati si trovano anche animali vivi: nel video che potete vedere in anteprima, l’autore delle riprese ha cercato di liberare gli animali, cosa che dovrebbero fare le persone che gestiscono l’allevamento.
Nelle reti, oltre ai pesci si trovano anche gli uccelli, anche loro rimasti impigliati nelle reti: alcuni di questi sembrano essere presenti da diverso tempo.
La scheda del servizio: LAGUNA NERA
di Giulia Innocenzi
Collaborazione Greta Orsi
L'Italia è un paese leader nella produzione di trote. Quali sono le condizioni dei pesci nei vasconi e come vengono abbattuti? Grazie a immagini esclusive Report mostrerà la realtà degli allevamenti considerati di alta qualità. E a un anno di distanza dalla moria di pesci che ha colpito la laguna di Orbetello, famosa per la sua preziosa biodiversità, ma anche per le sue spigole e orate, cosa è stato fatto per evitare che succeda di nuovo?
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.