01 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – l’assalto alle banche, i conti della serie A, gli allevamenti ittici

Chi c’è dietro la scalata alle Generali, la cassaforte dei risparmi degli italiani?

Poi il tanto atteso servizio sui conti dell’Inter (doveva andare in onda domenica scorsa): aveva ragione Report o chi contestava il vecchio servizio?

Nell’anteprima di LAB Report si parlerà della situazione di Gaza: non chiamatela guerra, quello che sta succedendo è la soppressione di un popolo.

Il crimine sotto i nostri occhi

Per mesi in cui si è ripetuto che quello che succedeva a Gaza era solo colpa di Hamas, che chi criticava le scelte del governo di Israele era antisemita, che i numeri dei civili uccisi dall’esercito israeliano erano finti (dove sono le fonti? Come se non sapessero tutti che i giornalisti stranieri non sono stati ammessi a Gaza).


Finalmente l’occidente si è accorto di quello che sta succedendo in questa striscia di terra. O, meglio, ha smesso di far finta di niente.

Far finta che voler affamare un popolo, riducendo al limucino gli aiuti alimentari, distruggendo le infrastrutture, le scuole gli ospedali, prendendo di mira i civili anche nei luoghi dove dovrebbero essere al sicuro, non faccia parte di un disegno criminale per preciso.

Chi denuncia quanto è sotto gli occhi di tutti viene sistematicamente screditato, vedi gli attacchi alla relatrice Francesca Albanese accusata di aver ricevuto finanziamenti da gruppi vicini ad Hamas da un dossier di Un watch, dossier smentito dall’Onu.

Le ambasciate israeliane – spiega la stessa Albanese a Report – si muovono in prima persona per protestare quando “una certa persona fosse stata chiamata a parlare in una sede istituzionale”.

I civili, dal 7 ottobre 2023, in risposta all’attacco terroristico di Hamas, sono diventati bersagli, “come è possibile tutto ciò”? LE immagini nell’anteprima del servizio testimoniano a sufficienza quanto sta accadendo a Gaza. Bambini colpiti da proiettili e schegge, spesso colpi singoli alla testa, bambini a cui si devono amputare arti per i colpi ricevuti. Bambini che, una volta operati, non hanno nessuno da cui tornare perché le loro famiglie sono state sterminate.

Medici costretti ad operare con mezzi di fortuna nei pochi ospedali ancora attivi.: “ogni giorno mi ritrovo circondato da decine di persone che mi chiedono aiuto, mancano le attrezzature chirurgiche, tutto, non c’è materiale sterile monouso, rilaviamo tutto, anche i tubi con cui si intubano i pazienti ..” racconta uno di loro.

Report ha intervistato a Londra il dottor Abu Sittah, il primo ad essere entrato a Gaza dopo i primi attacchi agli ospedali, come quello ad Al Shifa: Israele aveva inizialmente dato la colpa alla Jihad per la morte dei 480 sfollati sotto le bombe.

L’ospedale di Al Shifa è stato bombardato dall’esercito di Israele ha bombardato l’ospedale, compreso il reparto maternità: IDF ha spiegato che è stata una operazione mirata contro Hamas che si era rifugiata dentro l’ospedale di Al Shifa

Tesi negata dal dottor Abu Sittah: “non ho mai visto alcun combattente nell’ospedale, altrimenti avrei chiesto loro di andare via, ho l’obbligo di chiedere ai combattenti armati di lasciare l’ospedale, dentro c’erano solo civili che avevano portato i loro figli al rifugio. Se avessero visto la presenza di Hamas, che è l’obiettivo di Israele, non avrebbero mai portato i loro figli a dormire la dentro.”

L’esercito di Israele, in quanto forza occupante, dovrebbe garantire la sicurezza della popolazione civile: questo è quanto stabilisce la Convenzione di Ginevra, ma a Gaza i diritti dei civili non sono mai stati garantiti già prima del 7 ottobre (la data dell’attacco terroristico di Hamas).

Già prima del 7 ottobre 2023 e dell’inizio di questa nuova guerra ” spiega Ajith Sunghay direttore dell’alto commissariato per i diritti umani “l’assistenza medica il sistema ospedaliero nella striscia di Gaza era un disastro per via dei 17 anni di blocco [quello l’esercito ai valichi della striscia]. La Corte di Giustizia internazionale ha chiesto esplicitamente di garantire la sicurezza dei civili nei territori palestinesi occupati compresa Gaza. Questo comprende anche la fornitura di acqua, cibo, la raccolta dei rifiuti, offrire rifugio e qualsiasi altra necessità per la sopravvivenza. Israele come forza occupante deve garantire questa protezione ai civili secondo la quarta Convenzione di Ginevra.”
Attaccare gli ospedali significa attaccare strutture civili e quindi il diritto dei civili alla protezione invocata dal diritto umanitario internazionale.

Francesca Albanese relatrice speciale per le Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi parla oramai dello smantellamento del sistema sanitario a Gaza: “l’attacco al sistema sanitario in quanto tale è stato sistematico , sono stati colpiti gli ospedali, le ambulanze, sono stati uccisi oltre mille medici. C’è stato quasi un attacco personalizzato, molto mirato al personale medico e questo si è visto anche attraverso quello che è accaduto con gli arresti e le detenzioni arbitrarie.”
Di fronte a tutto questo la risposta dell’esercito di Israele (e dei tanti gruppi di influenza sui social) rimane sempre la stessa: sotto gli ospedali c’erano i tunnel di Hamas, nelle strutture mediche c’erano armi di Hamas, questi sono dati di Hamas.. Come se non si sapesse che per una precisa volontà politica nella striscia non sono ammessi giornalisti stranieri. E i pochi giornalisti palestinesi sono stati bersaglio delle bombe e dei colpi di IDF.

La scheda del servizio: LAB REPORT: ANATOMIA DI UN CRIMINE

di Nancy Porsia

Report ricostruisce l’attacco sistematico agli ospedali di Gaza, documentando bombardamenti, evacuazioni forzate e medici uccisi o arrestati. Attraverso testimonianze dirette e immagini senza filtro, emerge il collasso del sistema sanitario e il dramma dei civili intrappolati. Una cronaca documentata sulla potenziale violazione del diritto umanitario internazionale e la crisi umanitaria in corso.

Dietro le scalate bancarie


Ci aveva messo perfino la faccia la presidente del Consiglio Meloni, in un video pubblicato sui suoi canali social: “abbiamo deciso di introdurre una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del margine di interesse, cioè la differenza tra quanto le banche ti applicano per prestarti i soldi e quanto ti riconoscono quando depositi i soldi. Una tassazione su quei margini extra che hanno registrato gli istituti bancari che è secondo noi non una tassa sui guadagni legittimi ma una tassa sul margine ingiusto. ”
Anche il vicepresidente Salvini era sulla stessa lunghezza d’onda: “la scelta della Lega e dell’intero governo è chiara, aiutare famiglie e impre, se e lavoratori che non ce la fanno chiedendo alle banche una parte degli incassi miliardari per i maxi profitti che hanno fatto in questi anni..”
Era agosto, gli italiani erano già al mare – racconta oggi il docente di economia della Cattolica Rony Hamaui – “e il governo esce con la prima tassa sugli extraprofitti, dopo di ché c’è tutta una discussione all’interno del governo, il parlamento, il provvedimento viene cambiato e viene lasciata alla banche l’opportunità di decidere se o pagare la tassa oppure accantonare, rafforzare il proprio patrimonio.”
Quindi la tassazione sugli extraprofitti dopo i roboanti annunci di Meloni e Salvini è durata solo il tempo dell’estate, riducendosi ad un ipotetico balzello, diventando una tassa facoltativa perché alle banche viene concessa la libertà di scegliere se pagarla oppure se tenere gli extraprofitti nelle loro casse.

La montagna ha partorito il topolino: oggi gli esponenti della maggioranza, come il sottosegretario Durigon, di fronte alle domande di Report svicolano, non rispondono, parlano d’altro (“abbiamo alzato gli stipendi .. abbiamo tantissime idee.. con le banche qualcosa abbiamo fatto..”).
Si dice che sia bastata una telefonata di Marina Berlusconi a far far marcia indietro al governo.

Così oggi le banche sono piene di liquidità, soldi pronta cassa che fanno gola a qualcuno nella maggioranza: e dunque sono partite le scalate bancarie, con l’assalto del Monte dei Paschi di Siena (la banca salvata coi soldi pubblici) al cuore della finanza milanese che ha scatenato una vera e propria guerra. In risposta all’annuncio dell’istituto di credito senese Mediobanca ha indossato l’elmetto ed eretto le barricate: la proposta del Monte è stata rispedita al mittente con un comunicato durissimo dal cda in cui si definisce l’offerta fortemente distruttiva di valore e priva di razionale finanziario e industriale.

Come si è comportato il governo fino a questo momento? Da arbitro o da parte in causa? Alberto Nagel, AD di Mediobanca ha risposto “qual è la prossima domanda”.

Gli elementi raccolti dal servizio di Report potrebbero dunque indurre a pensare che l’ultima asta delle azioni del ministero dell’Economia sia stata apparecchiata appositamente per far entrare nell’azionariato di MPS Francesco Gaetano Caltagirone e la finanziaria della famiglia Del Vecchio, BPM e Anima, ad un prezzo calmierato.

Il loro ingresso sarebbe stato funzionale a lanciare dopo solo un paio di mesi la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la famiglia Del Vecchio avevano grossi interessi.
MPS diventerebbe una sorta di cavallo di Troia per Caltagirone e Delfin per prendersi Mediobanca: “questa Opa mi sembra strumentale non tanto per fare una fusione tra due banche ” racconta Alessandro Penati docente di Finanza della Cattolica “ma a costituire un gruppo di influenza in cui i privati appoggiati dal governo avrebbero una influenza.”

E cosa dice il governo in proposito? Il sottosegretario Freni di fronte alla domanda di Mottola, se ci sia stata una regia del governo sulla scalata di MPS, si è messo a ridere “ma quale regia.. ma che ne so io.. io sono solo uno scrivano ..”
C’è stato o meno un incontro lo scorso settembre al MEF tra esponenti del governo e MPS per pianificare questa scalata? Chi lo sa. Di certo lo stato italiano attraverso il MEF detiene l’11% di MPS, ma freni si ostina a rispondere “io non conto nulla..”

Il servizio racconterà poi della scalata tentata da Unicredit alla Banca Popolare di Milano: veniva presentata come investimenti di Unicredit in Italia, ma Salvini l’aveva definita una banca straniera. “Diciamo che Unicredit ha le sue radici in Italia e il 45% del gruppo è in Italia, siamo presenti in 13 paesi e in questo contesto siamo paneuropei” ha risposto l’AD Andrea Orcel. Altre domande sul tema delle scalate e sulla posizione non neutra del governo non sono state ammesse.
In effetti Salvini non avrebbe torto: la proprietà di Unicredit è straniera per oltre il 70% del suo capitale, controllato soprattutto da fondi americani e inglesi. Tuttavia all’epoca degli attacchi di Salvini anche in BPM l’azionista di maggioranza non era italiano ma era la francese Credite Agricole e subito dopo veniva l’americana Black Rock. Forse, anche alla luce di ciò, non tutti i maggiorenti della Lega si sono lasciati arruolare nella crociata nazionalista di Salvini.

Massimiliano Romeo è il capogruppo al Senato: alla domanda se Unicredit è straniera non ha voluto rispondere “dovete mettervi d’accordo col nostro ufficio stampa”.

Calderoli, ministro dell’Autonomia non ha proprio risposto. Laura Ravetto, deputata della Lega ha glissato, “voglio andare a sentire Salvini..”

Almeno Fedriga, presidente della regione Friuli, almeno è stato netto: Unicredit non è straniera, “mi auguro che Unicredit possa contribuire a far crescere e collaborare all’interno di una maggior vicinanza al sistema produttivo”. Fedriga prende la distanze da Salvini anche perché la questione BPM non riguarda tutta la lega – spiega nel servizio di Mottola – ma quasi esclusivamente la Lega lombarda. Negli ultimi 15 anni infatti i vertici del partito in Lombardia hanno coltivato un rapporto molto stretto con la BPM da quando, nel 2009, ne è stato nominato presidente Massimo Ponzellini, vicinissimo a Giancarlo Giorgetti il quale oggi, da ministro dell’Economia, ha deciso di usare sulla scalata di Unicredit il golden powere quindi dare al governo l’ultima parola sulla scalata.

C’è un tifo di Salvini e Giorgetti per BPM? Il presidente di BPM Tononi commenta dicendo “mi sembra una espressione fuori luogo, non è questione di fare tifo, bisogna fare scelte giuste per l’economia italiana e certamente il venir meno del pluralismo potrebbe essere un elemento di fragilità in questa situazione.”

Insomma, un assalto alla cassaforte dei nostri risparmi da parte di questa destra sovranista ovvero, come dice il titolo del servizio, all’armi siam banchieri.
Si muove la politica e si muove quel pezzo di imprenditoria che fa riferimento a questa maggioranza: per esempio il costruttore Caltagirone, che ha costruito i palazzi dei quartieri di Roma. Roma non si può governare senza il suo consenso: l’ex sindaco Ignazio Marino racconta di come sia difficile, Caltagirone è sempre stato abituato ad avere figure nell’amministrazione della città che non si mettono in contrasto.

Il suo quartier generale è nel centro di Roma in via Barberini: qui amministra i suoi interessi nella capitale, da Acea la società di acqua ed elettricità di cui detiene una quota; è uno dei costruttori del prossimo termovalorizzatore ed è nel consorzio che sta realizzando la metro C, l’opera pubblica più costosa d’Europa.
Continua Marino: “Penso che in questa fase storica Caltagirone si sia abbastanza staccato da quel mondo che a Roma viene chiamato dei palazzinari.”
L’epopea imprenditoriale di Francesco Gaetano Caltagirone comincia negli anni ‘80 quando fa i primi miliardi con l’attività di palazzinaro: il suo rapporto con la politica, la Democrazia Cristiana, è strettissimo, ma gli costa caro. Finisce nelle principali inchieste di Tangentopoli, imputato per corruzione in vari processi, è stato sempre assolto.

In questi processi tra gli imputati era presente anche l’ex ministro Cirino Pomicino: entrambi, Pomicino e Caltagirone, furono assolti. Caltagirone passa poi dal finanziare la DC, la corrente andreottiana, a finanziare i “nuovi partiti” della seconda repubblica.
Inizia, anche su suggerimento di Pomicino, a comprare giornali, “devi essere un imprenditore con cui la politica deve fare i conti, in un momento in cui i partiti non sono più un punto di riferimento e c’è il rischio che il riferimento lo diventino le procure, il giornale è l’unico modo per garantire la propria resistenza.”

Così nasce l’impero editoriale di Caltagirone: nel 95 compra Il Tempo, poi rivenduto, poi Il Messaggero, il più importante giornale della capitale, subito dopo Il Mattino, il quotidiano più diffuso a Napoli e in Campania. Due anni dopo rileva Il quotidiano di Puglia, poi Il Corriere Adriatico diffuso nelle Marche, quindi Il Gazzettino il maggior quotidiano in Veneto e Friuli. La geografia delle acquisizioni editoriali di Caltagirone segue pedissequamente i suoi affari, perché compra i giornali in tutte le città e le regioni dove ha maggiori interessi finanziari e imprenditoriali.

Una genialità la sua – commenta così il mentore Pomicino – comprendere come i giornali potessero essere uno strumento di condizionamento della politica: “sapevi che se toccavi Caltagirone la tua vita sarebbe stata centellinata dai giornalisti ..”

Sul ruolo di Palazzo Chigi (arbitro e giocatore) in questo risiko bancario potete leggere l’anticipazione del servizio di Report data da Marco Palombi sul Fatto Quotidiano:

Il governo banchiere, il risiko e il conflitto di interessi di Caputi

di Marco Palombi

Il capo di gabinetto di Giorgia Meloni ha quote in due società che si occupano di Npl

Ogni giorno si scoprono nuovi particolari su quella che il Fatto, parafrasando una vecchia battuta, ha definito “l’unica merchant bank in cui si parla romano”: le intricate vicende del cosiddetto risiko bancario – in cui Palazzo Chigi fa contemporaneamente l’arbitro, il giocatore e il vigilante – sono descritte da una lunga inchiesta di Report, firmata da Giorgio Mottola e in onda stasera su Raitre, da cui si scopre, tra le altre cose, che il capo di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi, l’uomo che per conto della premier gestisce anche la partita bancaria, s’è dimenticato di dichiarare un potenziale conflitto d’interessi.

Nel servizio si racconterà infatti di come le azioni di MPS, detenute dal MEF, siano state vendute con procedura accelerata, per evitare che venissero vendute sul mercato. Lo scorso novembre quando il MEF ha venduto un altro 15% di MPS, Giorgetti non si è affidato alle solite banche d’affari ma ad un piccolo operatore, banca Akros del gruppo BPM: così ad aggiudicarsi le azioni non sono state, come nel passato, decine di svariati investitori ma solo 4 compratori, tra cui Caltagirone col 3,6%, Delfin del gruppo Del Vecchio il 3,5%, banco BPM col 5% e il 4% Anima il fondo di investimento partecipato da Caltagirone, BPM e MEF.

Come se questa cessione di azioni di MPS fosse stata concordata, come ammette Luca Enriques ex commissario Consob a Report . Da quanto risulta a Report, alla terza asta diversi fondi di investimento anche stranieri erano interessati ad acquistare azioni del ministero dell’Economia ma risulta che non abbiamo mai avuto risposta dalla banca Akros e secondo quanto scrive il Financial Times sarebbe stata bloccata anche una un’offerta avanzata da Uncredit.

Ora Caltagine e Del Vecchio attraverso Anima e BPM sono arrivati a controllare il 15% di MPS che una quota di controllo della banca. Durante questa asta i quattro gruppi non hanno comprato le azioni a sconto ma le hanno pagate il 2% del loro valore in borsa. Il MEF avrebbe incassato dunque più delle due aste precedenti ma alla fine il collocamento di banca Akros si è rivelato più vantaggioso per Caltagirone e gli altri compratori. Se infatti avessero voluto comprare le azioni sul mercato l’operazione sarebbe stata più complicata perché il mercato “capisce” che c’è dietro una mano a comprare le azioni e quindi ne fa salire il prezzo, così Caltagirone e Del Vecchio le avrebbero pagate di più.

Si potrebbe dunque pensare che l‘ultima asta del MEF sia stata apparecchiata per far entrare nell’azionariato di MPS proprio Anima e BPM ad un prezzo conveniente. Un ingresso funzionale a lanciare, dopo qualche mese, la scalata su Mediobanca in cui sia Caltagirone che la famiglia Del Vecchio hanno grossi interessi.

La scheda del servizio: ALL’ARMI, SIAM BANCHIERI!

di Giorgio Mottola

Collaborazione Greta Orsi

Nonostante l’economia non stia andando benissimo, le banche italiane sono riuscite a registrare ricavi miliardari grazie agli extraprofitti favoriti dall’aumento dei tassi di interesse. Il governo Meloni ha provato a introdurre una tassazione su questi guadagni miliardari, ma ha dovuto battere in ritirata. E così gli istituti di credito del nostro Paese si sono ritrovati con le casse piene di soldi. Grazie a questa situazione di favore, è partito il cosiddetto risiko bancario: Unicredit ha lanciato una scalata sulla Banca popolare di Milano e poco dopo Monte dei Paschi di Siena ha avviato l’assalto all’ex salotto buono della finanza italiana, Mediobanca. In questa partita però di finanziario c’è molto poco. Fratelli d’Italia e Lega hanno deciso di giocare un ruolo di primo piano e puntano alla nascita di un terzo polo bancario a trazione sovranista. L’obiettivo è la cassaforte dei risparmi privati degli italiani: le Assicurazioni Generali. Per raggiungere lo scopo, è nata un’inedita alleanza con potenti esponenti del capitalismo finanziario del nostro Paese.

I conti dell’Inter

Chi aveva ragione, sui conti dell’Inter? Report oppure quelli che hanno contestato il servizio?

E, poi, oltre all’Inter, ci sono altre società di calcio in serie A coi bilanci a rischio?

Il mondo del calcio è sempre stato un terreno particolare, dove le regole che valgono per tutte le altre imprese qui vengono interpretate a seconda del caso.
Nel mondo del calcio sono in tanti a lanciare l’allarme, perché l’Inter vince due scudetti con un debito monstre: l’ultimo è Claudio Lotito, presidente della Lazio e senatore di Forza Italia. Nel corso di un evento pubblico ha dichiarato: “il paradosso è che ci sono società con debiti da 600-700 ml di euro tecnicamente fallite ma che vincono il campionato.”
Come commenta questa uscita il ministro dello sport Abodi (membro della stessa maggioranza di Lotito)? “Questa è una opinione che deve essere verificata dai fatti, questa commissione [quella che il governo Meloni ha pensato per controllare i bilanci delle squadre] non deve essere severa, deve essere giusta e deve mettere in condizione anche voi di raccontare le cose come stanno.”
Ma nella riforma che il governo ha in mente sui bilanci delle squadre ci saranno interventi sull’equilibrio finanziario del sistema calcio?

Stiamo ragionando sulle figure che vogliamo siano molto qualificate, molto indipendenti che assumono il ruolo come missione..”
La commissione voluta da Abodi è quella che sostituirà la Covisoc, l’organismo oggi sotto il controllo della Federcalcio incaricato di verificare lo stato di salute finanziaria dei club .

Ma l’ultimo regalo al calcio italiano è arrivato proprio grazie al governo Meloni che, nel dicembre 2022, ha approvato il decreto salva calcio, che ha permesso di spalmare un debito fiscale complessivo di 889 ml di euro in sessanta comode rate.

LE squadre hanno avuto modo di ricorrere agli strumenti che la legge ha permesso di poter utilizzare – racconta il presidente di Federcalcio Gravina – però il debito si accumula e quindi questo genera degli alert ma sono alla parti di qualunque società di capitali.

Ma questo decreto alimenta una cultura del debito: lo spiega il consulente di Report Gian Gaetano Bellavia, esperto di bilanci e diritto penale dell’Economia “ma secondo lei il calcio è una roba normale, ma possiamo confrontarlo con una normale azienda, il lusso, lo spreco, di denaro, assurdo, non solo per i calciatori ma anche per gli allenatori, gli agenti, per le feste, le macchine, è tutto un lusso a debito. Il lusso non si fa a debito, il lusso si fa coi soldi, che qui non ci sono.”

Il cuore del servizio sarà dedicato ai conti dell’Inter: i suoi problemi finanziari erano legati alle holding cinesi del suo ex proprietario?

Nel mondo della finanza le voci corrono con molta velocità – racconta Daniele Autieri – il 7 gennaio 2025 la famiglia Zhang, uno dei grandi conglomerati industriali cresciuti all’ombra del partito comunista dichiara bancarotta. In un attimo la notizia del fallimento del gruppo Suning viaggia da Bangkok a Manhattan: tra le società interessate dalla ristrutturazione del debito c’è anche la Suning holding group, la stessa con cui per anni gli imprenditori cinesi hanno controllato l’Inter.
Come spiega Gian Gaetano Bellavia, tutto questo ha avuto riflessi sulla squadra milanese: “se si parla di stato di insolvenza o fallimento è fatale che i cinesi non abbiamo più dato soldi all’Inter.”
Che il gruppo Suning fosse sull’orlo della bancarotta era noto agli addetti ai lavori già nel 2020, come aveva rivelato a Report l’analista finanziario che cinque anni fa, al termine di una accurata due diligence aveva per primo lanciato l’allarme sui conti del club milanese.
A Report aveva raccontato le voci che giravano “mi ricordo che dicevano che questi Zhang non potevano viaggiare per impegni e così via,ma questi erano sotto chiave, questi qui avevano fatto un casino che Parlamat al confronto era niente. La Cina gli aveva ritirato il passaporto. ”


Cinque anni dopo la profezia dell’analista si è avverata, il gruppo Suning dichiara bancarotta al termine di un decennio di strategie finanziarie fallimentari: tra il 2012 e il 2020 gli Zhang investono 10 miliardi di euro in operazioni a perdere, una di queste è proprio l’acquisto dell’Inter.
Report è andata fino a New York, alla borsa americana, per trovare conferme a questa storia: nella compagine accanto a Zhang c’è anche Lion Rock un private equity di Hong Kong. Nel 2019 il fondo rileva il 31,05 % delle partecipazioni dell’Inter e il suo presidente Daniel Tseung si presenta alla Pinetina con un piano preciso, vendere l’immagine del calcio italiano in Cina e lo fa con una intervista manifesto, l’unica concessa in Italia e rilasciata alla giornalista finanziaria Laura Morelli.
“Lion Rock è un fondo che investe in consumer, dunque beni di consumo, dal sito sono 9 le società dove dicono di aver investito dal 2011, Inter compres ” spiega oggi a Report la giornalista “il calcio non era mai stato un loro investimento, l’Inter è stato il primo e anche l’ultimo finora.”
Nell’Inter quanti soldi hanno messo? “Si parlava di circa 150-200 ml ”


La
scheda del servizio: LA RESA DEI CONTI

di Daniele Autieri

Collaborazione Alessandra Teichner, Andrea Tornago

L’Inter, il Club italiano che ha vinto di più negli ultimi anni, è stato davvero sull’orlo del fallimento? Dopo l’inchiesta del febbraio scorso che aveva ricostruito i guai finanziari della società, in molti hanno criticato Report accusando la trasmissione di aver addossato all’Inter i peccati dei suoi proprietari, ovvero del Gruppo Suning che fino al maggio del 2024 controllava il Club. Tre mesi dopo ecco la nuova inchiesta che approfondisce il filone finanziario del Club, prima e dopo l’ingresso del fondo americano Oaktree, e ricostruisce nel dettaglio quali fossero le reali condizioni del Club negli anni più difficili della proprietà Zhang, tra il 2021 e il 2023. Grazie a documenti inediti e a una testimonianza eccellente, l’inchiesta ricostruisce tutti i retroscena delle operazioni finanziarie che hanno evitato il fallimento dell’Inter. Una verità che testimonia ancora una volta la fragilità delle società sportive e l’inefficacia delle istituzioni nel costruire e far rispettare un sistema di regole condiviso, proprio adesso che il governo è al lavoro su una futura riforma del calcio.

Lo stato degli allevamenti ittici

Quante cose si scoprono seguendo i servizi di Report: il record di inquinamento da ammoniaca in pianura padana grazie agli allevamenti intensivi e ora scopro che siamo leader negli allevamenti di trote. Ma in che modo vengono allevati questi pesci?
Negli allevamenti visitati da Giulia Innocenzi si vedono tanti pesci agonizzanti, che boccheggiano in acqua o in superficie, che nuotano al contrario, sbattono contro le pareti del vascone. Insieme ai pesci agonizzanti si trovano anche animali morti che andrebbero rimossi il prima possibile per motivi igienico sanitari, perché potrebbero essere morti per malattie infettive e potrebbero mettere a rischio altri pesci.
Alcune trote sono morte impigliate nelle griglie dell’allevamento: sono animali curiosi – racconta a Report Simone Montuschi- presidente di Essere Animali – è normale che cerchino delle zone in cui non sono ancora stati, se ci sono delle reti dove loro entrano con la testa ma poi il corpo si allarga e non riescono più a uscire con le branchie non riescono ad indietreggiare, rimangono incastrati.

E incastrate nella rete muoiono. Incastrati si trovano anche animali vivi: nel video che potete vedere in anteprima, l’autore delle riprese ha cercato di liberare gli animali, cosa che dovrebbero fare le persone che gestiscono l’allevamento.

Nelle reti, oltre ai pesci si trovano anche gli uccelli, anche loro rimasti impigliati nelle reti: alcuni di questi sembrano essere presenti da diverso tempo.

La scheda del servizio: LAGUNA NERA

di Giulia Innocenzi

Collaborazione Greta Orsi

L'Italia è un paese leader nella produzione di trote. Quali sono le condizioni dei pesci nei vasconi e come vengono abbattuti? Grazie a immagini esclusive Report mostrerà la realtà degli allevamenti considerati di alta qualità. E a un anno di distanza dalla moria di pesci che ha colpito la laguna di Orbetello, famosa per la sua preziosa biodiversità, ma anche per le sue spigole e orate, cosa è stato fatto per evitare che succeda di nuovo?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

29 maggio 2025

Il canto degli innocenti di Piergiorgio Pulixi

Prologo

Ti ho vista questa mattina. Con lui. Nonostante ti avessi detto che dovevi lasciarlo perdere non mi hai dato retta. Non hai ascoltato una sola parola. Put***… Che credevi, che non me ne sarei accorta?

Chi era Vito Strega prima di diventare capo della della squadra speciale per i crimini violenti? Piergiorgio Pulixi ce lo racconta in questo primo capitolo della serie, dove lo come funzionario della squadra omicidi, un ottimo poliziotto ma pessima persona.

Perché Vito Strega è uno di quegli investigatori che prendono le storie delle vittime come una questione personale, da risolvere con ogni mezzo, anche andando fuori dalle regole.
Ma un investigatore è anche una persona che la sera avrebbe diritto a ritagliarsi un suo spazio, lontano dalla morte, dal dolore, dal male. Per Vito Strega non è così ed è per questo che il suo matrimonio con Cinzia è naufragato arrivando a quella separazione che lui non ha mai accettato.

«Voglio che sia ben chiaro che non è stata una mia decisione quella di venire qui» disse Vito Strega dopo i saluti di rito.

Ed ora lo incontriamo qui, nello studio di una psicologa che deve capire cosa sta succedendo nella testa di questo poliziotto: non per la separazione, ma per un’altra brutta storia. Nel corso di una operazione, ha ammazzato un collega. Sospeso dal servizio, ora i suoi superiori vogliono capire se può riprendere il servizio, se quel colpo di pistola (non chiarito del tutto) ha lasciato strascichi nella sua mente, più di quanto tutti i delitti che ha dovuto seguire abbiano già fatto.

L’uomo che aveva davanti non stava bene. Era il ritratto della salute, ma dietro quel fisico massiccio nascondeva qualcosa. E per il suo palato di psicologa Vito Strega, con le sue zone buie e i suoi mille spigoli, era un piatto sublime.

Il problema è che di una persona come lui ne avrebbero veramente bisogno alla squadra omicidi: all’improvviso la città è scossa da una serie di delitti, compiuto uno dopo l’altro: delitti dove non si deve nemmeno aprire un’indagine per capire chi sia l’assassino, perché questo è rimasto accanto alla vittima, come a voler rimarcare il gesto che ha fatto.

La trovarono col coltello ancora in pugno. Evidentemente ottantacinque pugnalate non erano abbastanza per la sua mente malata, perché stava continuando a infierire sul cadavere con rabbia animalesca.

Il problema è che si tratta di ragazzini hanno ucciso loro coetanei anche in modo particolarmente crudele, ragazzini che non possono aver veramente compreso il gesto che hanno fatto: la tredicenne che accoltella la coetanea colpevole di non voler ricambiare il sentimento, il ragazzo sovrappeso che uccide quanti lo deridevano, poi un insegnate ucciso perché colpevole di molestare una studentessa, un’altra ragazzina che decide di uccidere la rivale in amore perché si è messa di mezzo ..

Non può essere un caso, deve esserci qualcuno. Ne è convinto Vito Strega che cerca di aiutare la sua collega, nonché amica, Teresa Brusca. Vito è formalmente sospeso, nemmeno potrebbe consultare i fascicoli, figuriamoci fare delle indagini e sentire i genitori di questi assassini minorenni.

Ma è quello che Vito si trova a fare: perché quello del poliziotto è l’unico lavoro che è capace di fare e, soprattutto adesso che il suo matrimonio è finito (e la ex moglie ha una nuova relazione), è l’unica ancora per poter mantenersi a galla in questo mare in tempesta che è diventata la sua vita.

Sapevo che l’avresti fatto, sapevo che saresti venuto, che mi avresti seguita, che avresti trovato una scusa per venire in bagno…

Ma le indagini non portano a nulla: i colpevoli in erba non avevano nulla in comune, non si conoscevano e venivano da famiglie che non avevano relazioni tra loro. Anche l’analisi dei profili social non porta a nulla, nessun messaggio strano, nulla che possa far risalire a qualcuno che li abbia istigati a compiere quello che hanno fatto. Spaccare la testa con un martello, uccidere a coltellate, sfregiare con l’acido.

Eppure Vito ne è convinto: deve esserci un “burattinaio” sopra questi ragazzi, non possono aver agito in quel modo, con quella fredda convinzione.

Ma questa indagine rischia di naufragare anche per un altro motivo: tutta colpa di Vito, del suo non volersi rassegnare alla fine del suo matrimonio, nel voler rifiutare il supporto della psicologa che dovrebbe valutarlo per capire se può ancora farlo quel lavoro.

Quel lavoro che ha portato Vito Strega ad essere quello che è diventato: in questo romanzo ripercorreremo un pezzo della sua infanzia, del suo rapporto col padre, gli anni in cui indossava una divisa ed è stato in Kosovo, ufficialmente in missione di pace.

Quel lavoro che oggi per lui è tutto:

Nella testa gli sembrava di udire il canto straziante degli innocenti. Le vittime si alternavano in quel coro, dilaniandolo con accuse e recriminazioni.

Il canto delle vittime innocenti è quello che lo perseguita, che lo costringe a non fermarsi finché non è stato trovato il colpevole, spingendo il suo sguardo sempre più a fondo nel pozzo dell’orrore.

Il male si insinuava in ogni fibra del suo corpo, mischiandosi al suo sangue. Sentiva il dolore e la disperazione delle vittime, e il loro canto, nella sua mente, adesso era un coro assordante.

Trovare l’assassino, oltre che una promessa fatta alla madre di una di queste adolescenti manipolate da un burattinaio che si rivelerà solo alla fine, è anche l’unico modo per Vito Strega di placare questo “canto degli innocenti” nella sua testa.

Questo primo capitolo della serie “I canti del male”, questo libro (uscito originariamente per Edizioni E/O) ci fa conoscere l’investigatore-criminologo Vito Strega: una figura complessa da descrivere per le fragilità che si porta dentro, per le mille spigolature del carattere che la figura massiccia tende a nascondere.

Un uomo che qui vediamo muoversi attorno a diverse figure femminili: la sua collaboratrice Teresa Brusca, innamorata di lui che però Vito vede solo come un’amica. La ex moglie, di cui è ancora innamorato non accettando la fine della relazione. La psicologa che deve decidere della sua idoneità al lavoro e che si trova davanti questo enigma, questa persona sfuggente e insofferente alle sue domande sul passato. Infine una “dark lady” molto pericolosa, che non riesce a sfuggire dal fascino di quest’uomo dalla pelle scura e dagli occhi verdi.

Un personaggio, quest’ultimo, che abbiamo incontrato nuovamente nell’ultimo romanzo della serie “Per un’ora d’amore”.

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

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26 maggio 2025

Il pappagallo muto. Una storia di Sara, di Maurizio De Giovanni

Un raggio di sole si faceva strada attraverso il finestrone reso opaco dalla polvere. All’interno, un pulviscolo di misteriosa origine danzava a spirale. Un vago sentore di aglio: chissà dove, nei paraggi, si preparava il pranzo già alle nove di mattina. Silenzio, a parte l’eco di una radio che invitava ad andare a la playa, con un tono ritmato di imposizione. Nessuno dei due uomini seduti l’uno di fronte all’altro sembrava incline a eseguire l’ordine dei cantanti.

La sapete la barzelletta dell’uomo che va a scegliersi il pappagallo? Ne esistono di diverse versioni ma il succo rimane lo stesso, il pappagallo che vale di più è quello che parla meno, perché “gli altri lo chiamano il maestro..”
Una barzelletta istruttiva, significa che a volte il valore di una persona lo si giudica più da quello che non dice che da quello gli esce dalla bocca.

Un fattore che Sara Morozzi conosce molto bene: tanti anni fa, nella sua vita precedente, aveva fatto parte di una speciale unità dei servizi chiamata ad intervenire in particolari attività di dossieraggio e intercettazione. Situazioni dove era importante cogliere non solo le parole dette, ma anche le espressioni, le smorfie. Intuire dal non detto, dai messaggi non verbali quello che non era presente nelle intercettazioni. In questo lavoro lei, assieme alla sua collega Teresa Pandolfi, era eccezionale: la mora e la bionda le chiamavano, due gemelle, eterozigote.

Qui si era innamorata dell’uomo della sua vita, Massimiliano il suo capo, per cui aveva abbandonato un marito e un figlio. Ma questo succedeva una vita fa, prima della fine del suo lavoro in quell’unità speciale, la morte di Massimiliano, la scoperta di avere un nipote. E la scoperta di avere ancora una vita davanti, il tramonto della sua vita poteva aspettare. Una nuova vita e una nuova famiglia composta da quel nucleo così particolare: la nuora Viola, la compagna del figlio di Sara, poi il piccolo nipote che si chiama come il nonno, l’ispettore Pardo e l’ingombrante bovaro Boris.

Tutti assieme sono stati protagonisti, assieme ad Andrea Catapano, altro reduce di questa strana unità dei servizi, in indagini dove la memoria del passato veniva utile per mettere in luce segreti di oggi. E anche stavolta succederà lo stesso in questa storia dove si intrecciano passato e presente, uomini che dispongono di un potere che va oltre la loro immagine, uomini che si incontrano per stipulare affari che passano sopra le nazioni e su cui i servizi vogliono mettere luce.

Poi l’uomo in piedi si era voltato, e con aria seria aveva detto: «La conosci la barzelletta del pappagallo muto?».

Non è ancora tempo per rilassarsi nei giardinetti assieme al nipote Massimiliano: a Sara viene proposto di partecipare ad un’indagine particolare dei servizi. Tre uomini d’affari si incontreranno a Napoli, il porto sul Mediterraneo, per stipulare un accordo che potrebbe cambiare gli scenari della geopolitica dell’energia. Un incontro così riservato e così ben protetto da chi lo ha organizzato che, per cercare di carpire quello che verrà discusso, i servizi devono ricorrere nuovamente alle “abilità” di Sara e Andrea: “mora”, con la sua capacità di decifrare gli sguardi e le espressioni, e il “diversamente vedente” Andrea, che l’assenza della vista ha portato a sviluppare all’estremo gli altri sensi.

«Buonasera» disse il tipo tarchiato, sistemandosi in disparte. E fu l’unica parola che proferì. Quando udì il saluto, Andrea ebbe un sussulto; e anche Sara provò un lieve disagio

A questo incontro si presenta anche un personaggio all’apparenza estraneo al contesto: dall’aspetto si direbbe un contadino, per le rughe sul viso. Un uomo di poche parole, pochissime.

Ma un uomo che, per la deferenza che gli danno gli altri partecipanti all’incontro, sembra avere un ruolo e una importanza ben determinante.

Avrebbero potuto rifiutarsi di fronte all’invito dei nuovi capi dei servizi, gente che non è cresciuta sul campo, che non ha memoria di quello che è “stato”: persone come questa “Bianco”, un “Un animale d’allevamento, cresciuta all’interno di aule in cui si tenevano lezioni in altre lingue”.

E avrebbero fatto bene a rifiutare.

Dalla curva spuntò un’auto nera dai vetri oscurati. Ad altissima velocità, invase la corsia opposta a quella di marcia. Si scagliò su di loro come un toro in carica. Sara ebbe la consapevolezza di trovarsi alla fine della vita..

Cosa è successo? Qualcuno nei servizi ha tradito Sara? Oppure si sono fatti scoprire dai partecipanti a questo incontro?

Sara comprende di essere finita dentro un ingranaggio più grande e pericoloso di quanto immaginasse e, ancora una volta, dovrà rivolgersi alla sua “famiglia” allargata per salvare la sua vita e quella di Andrea.

Il racconto si muove su due livelli: c’è la storia ambientata ai tempi nostri, con l’indagine di Sara, assieme a Teresa, Davide Pardo e Viola. E questo strano personaggio che è rimasto zitto durante l’incontro, dall’aspetto che cozzava col rispetto che sembrava godere in quel gruppo di imprenditori e uomini di affari..

E poi c’è la storia ambientata anni prima, ai tempi dell’unità dei servizi di Massimiliano Tamburi che veniva chiamata ad “osservare”, non usando solo la tecnologia ma anche le capacità di Sara, di Andrea e di Teresa. Saper cogliere quelle sfumature nei discorsi, nel tono della voce, negli sguardi, che potevano colmare i dialoghi carpiti dalle intercettazioni.

Cos’hanno in comune queste due storie? Un uomo di potere, il potere vero, non quello ostentato, quello capace di sopravvivere ai governi, alle ere politiche, che non ha bisogno di minacciare. Un uomo che per consolidare la sua fama ha dovuto morire. Per risorgere.

Se volevi il potere, il potere vero, dovevi muovere i fili senza che le marionette sapessero di averli attaccati addosso. E quindi non dovevi esserci: dovevi sparire dall’orizzonte.

Ma in questo romanzo, al racconto sul presente, su servizi, sul lato oscuro della storia di questo paese, sui burattini che vengono mossi da abili burattinai, si affianca un racconto che va oltre la vita terrena.

Perché si parla dell’amore che sopravvive alla morte, come quello di Sara per Massimiliano. Si parla dell’amore come forza che ti tiene in vita, legandoti strettamente alle persone che hai a fianco, quelle a cui vuoi bene e per cui faresti qualunque cosa per proteggerle.

Hai ragione, Viola, disse fra sé: siamo una rete, intessuta di fili sdruciti e consunti; ma una rete che ha una sua forza, una sua tenerezza. Forse il termine famiglia non è poi sbagliato, nel nostro caso.

Ma ne “Il pappagallo muto” Maurizio De Giovanni va oltre, portandoci in quella terra di mezzo tra la vita e la morte, tra la luce del passato e quella del presente. La la razionalità e lo stupore dell'incredulità..

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

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25 maggio 2025

Anteprima inchieste di Report – l’evasione nella moda, il granchio blu e le mani delle cosche sulle curve di Milano

Questa sera si parlerà del mondo della moda e della più grande evasione fiscale della storia italiana, quella del gruppo Kering, in un servizio dove si parlerà anche della storia delle borse che la ministra Santanchè ha regalato alla compagna di Silvio Berlusconi che si sono poi rivelate per delle patacche.

Il granchio blu sul delta del Po

L’arrivo del granchio blu sul delta del Po ha creato grossi problemi agli allevatori di molluschi: le istituzioni hanno risposto con una caccia aperta al granchio, senza voler comprendere le cause dell’arrivo di questo predatore e senza cercare una soluzione al problema “naturale”. Lo aveva raccontato Sabrina Giannini in una puntata di Indovina chi viene a cena: uno dei predatori del granchio blu è il polpo, poi l’anguilla, ma ci sono anche altri pesci, come il branzino. Ma servirebbe una classe politica capace di gestire i problemi con la testa e non con la pancia: in Tunisia lo stesso problema è stato affrontato in modo strutturale creando una nuova filiera che ha trasformato un’emergenza in una nuova opportunità per i pescatori tunisini. Leggo da un articolo dell’Ansa del 2023

Di fronte all'esplosione del granchio blu i pescatori tunisini si sono ingegnati e hanno costruito nasse appositamente modificate per catturarlo. Si tratta di trappole, un sistema di pesca passivo che non viene trainato sul fondale e garantisce una cattura più selettiva delle reti. Se adeguatamente gestite, hanno un impatto ambientale ridotto. "Le nasse sono la soluzione più efficace: sono selettive e più sostenibili, pescano solo il granchio senza danneggiare il fondale marino o altre specie. E sono convenienti per i pescatori: una nassa dura almeno due anni, mentre una rete da pesca dura 6 mesi al massimo, perché il granchio blu la distrugge, oltre a mangiare tutto il resto del pesce catturato", spiega Alaya.

Anche le donne delle comunità locali, molte mogli di pescatori, sono state coinvolte: è stato insegnato loro a costruire le nasse apposite e a cucinare il granchio blu, organizzando diverse degustazioni per mostrare la varietà di piatti possibili. In parallelo, sono state coinvolte le aziende di trasformazione del pesce per testare il potenziale di valorizzazione del granchio blu. E questo è stato un vero boom, ad oggi in Tunisia si contano 48 aziende che lavorano ed esportano diversi prodotti finiti: granchio intero cotto, granchio decorticato, carne di granchio. Sassi ci racconta come ora stia iniziando anche la vendita di farina di granchio per la produzione di compost per piante e mangime per animali da allevamento, con una donazione della cooperazione Stati Uniti-Tunisia per l'acquisto di macchine per la produzione di compost.

In Tunisia non avranno un Lollobrigida?

LAB REPORT: ORO BLU O PESTE BLU?

di Alessandro Spinnato

Collaborazione Tiziana Battisti

Nel Delta del Po l’invasione del granchio blu ha messo in ginocchio l’intera filiera delle vongole, lasciando centinaia di famiglie senza lavoro e alimentando un senso di abbandono da parte delle istituzioni. Ma dall’altra sponda del Mediterraneo, la Tunisia racconta una storia diversa: quella di un Paese che ha saputo trasformare una crisi ecologica in un’opportunità economica.

Attraverso voci di pescatori, ricercatori, imprenditori e rappresentanti istituzionali, Report mette a confronto due modelli: quello italiano, ancora frammentario e segnato da ritardi, e quello tunisino, basato su una strategia integrata di filiera.

Il viaggio si conclude nella cucina della chef stellata Chiara Pavan, che con i suoi piatti mostra come anche in Italia sia possibile un futuro diverso — ma serve un cambiamento di passo da parte delle politiche pubbliche.

Un'inchiesta sul campo che mette al centro il mare, le persone che ci vivono e il difficile equilibrio tra ambiente, economia e adattamento.

Le borse della Santanché e la moda fuori legge

Nelle mie borse non c’è paura” la ministra ha usato queste parole per difendersi in aula durante la seduta per la sua sfiducia alla Camera: “lo denuncio qua in Parlamento , ho una collezione di borse ..”

In effetti Santanché ha dimostrato di non aver paura di quello che le potrebbe accadere per le inchieste che la vedono coinvolta. Lei, come racconta a Report la stessa Franesca Pascale, non ha paura di fare brutte figure “lei è soprannominata la pitonessa, lei è senza scrupoli.”

Tutto iniziò nel 2014 con un regalo: due borse del marchio di alta moda Hermes che Daniela Santanché regalò all’allora compagna di Silvio Berlusconi.

La birkin 30 è un modello che costa 9800 euro, il modello più grande costa 10600 euro, mentre la kelly, l’altro modello regalato alla Pascale, costa invece 9350 euro. Non proprio due regali qualunque.

L’ex compagna di Berlusconi si accorse che erano due borse contraffatte quando le portò a far aggiustare. Quando le chiese se si fosse accorta che le borse regalate fossero contraffatte, Santaché le rispose “dammi le borse che te le vado a cambiare..”

Berlusconi si era dimostrato molto critico nei confronti di questi regali di lusso, quando scoprì poi che erano pure borse false ci rimase male, ma non troppo, “conoscendo il soggetto” racconta sempre la Pascale.

Quanto potevano costare quelle borse? Il giornalista Luca Bertazzoni è andato in Versilia, dove si trova il Twiga, l’ex locale della ministra, ad incontrare Mauro, la persona che rifornisce i rivenditori ambulanti che vendono borse sulle spiagge e nei mercati di Forte dei Marmi.

La Birkin costa 1200 euro, se presa dagli ambulanti, forse non originale ma comunque una borsa fatta bene, in tutti i particolari.

Al centro del servizio però c’è l’inchiesta sul colosso della moda Kering, proprietario dei marchi Gucci e Bottega Veneta: nel passato l’agenzia delle entrate ha contestato al marchio il mancato pagamento di tasse.

Grandi marchi che danno lustro anche all’immagine del made in Italy ma che poi nascondono anche storie di evasione e di sfruttamento di manodopera a basso costo.

Marco Grasso sul Fatto Quotidiano di oggi fa una anticipazione del servizio:

Kering, ora l’ex manager racconta per la prima volta la maxi evasione da 3 mld

di Marco Grasso

Il colosso del lusso e la triangolazione Svizzera. L’ad: “Paghiamo la protezione?”

La più grande evasione fiscale scoperta nella storia d’Italia: 3 miliardi di euro, che hanno portato lo Stato italiano a recuperare, attraverso una transazione con il gruppo Kering, 1 miliardo e 250 milioni di euro per il marchio Gucci e 186 milioni per Bottega Veneta. A raccontare quel sistema, per la prima volta, è Carmine Rotondaro, ex direttore finanziario del gruppo dell’alta moda, intervistato nella puntata di Report in onda stasera su Rai Tre. Rotondaro è l’uomo che si presentò alla Procura di Milano con la contabilità del gruppo, svelando l’architettura societaria attraverso cui la multinazionale della moda sottraeva al Fisco i guadagni prodotti in Italia.

La scheda del servizio: FUORI MODA

di Luca Bertazzoni

Collaborazione Marzia Amico

Report racconta la più grande evasione fiscale della storia del nostro Paese, quella del colosso Kering che ha transato con l’Agenzia delle Entrate 1 miliardo e mezzo di euro per aver fittiziamente spostato in Svizzera il centro di produzione dei marchi Gucci e Bottega Veneta. In un’intervista esclusiva, l’ex responsabile fiscale del gruppo Carmine Rotondaro racconta i meccanismi con cui si è generata l'evasione fiscale. L’inchiesta tratta anche le vicende che hanno portato all’amministrazione giudiziaria, poi revocata, di Armani e Dior: la produzione delle borse di questi grandi marchi avveniva spesso in opifici cinesi dove venivano sfruttati i lavoratori. Infine, il mistero delle borse Hermès che la Ministra del Turismo Daniela Santanchè regalò a Francesca Pascale, allora compagna di Silvio Berlusconi.

I bilanci dell’Inter (e il controllo dello stadio da parte delle cosche)

Si ritorna a parlare dei bilanci dell’Inter, del controllo sullo stadio e del tifo organizzato, della vendita dei biglietti.

Lo stadio dell’Inter era territorio gestito dalle cosche – racconta nell’anteprima Report - territorio controllato grazie a squadre di picchiatori che mettono in riga i ribelli e vendicano i torti subiti.


Come l’aggressione subita da Cristiano Iovina nel marzo 2024, il personal trainer che ha dichiarato di aver avuto una relazione con Ilary Blasi. Secondo la procura di Milano tra gli autori del pestaggio ci sarebbe anche Cristian Rosiello, body guard di Fedez, braccio destro dell’ultras Luca Lucci (arrestato lo scorso anno e oggi a processo per l’inchiesta “Doppia curva”). Tutto sarebbe nato per uno scontro avvenuto all’interno della discoteca The Club, come documentano le immagini trasmesse nell’anteprima del servizio. Le telecamere di sorveglianza inquadrano Iovino seguito da due donne, poco dopo si vede lo scontro accendersi, e poi Rosiello e Fedez vengono trascinati via dai buttafuori del locale.

Da qui Rosiello e altri, secondo la Procura, avrebbero deciso di andare a prendere Iovino fuori casa per dare una lezione.

Il Tribunale di Milano ha archiviato il procedimento contro Fedez e Rosiello anche perché Iovino non ha denunciato né presentato un certificato medico. Ma le parole del cantante Emis killa confermerebbero una diversa verità, dove parla di una spedizione.

Secondo la Procura della cricca farebbe parte anche Emis Killa indagato per associazione a delinquere assieme agli ultras e presente al pestaggio di uno stuart che tentava di far rispettare le regole all’ingresso di San Siro. Nel corso della perquisizione a casa del cantante gli uomini della Mobile hanno trovato 35 mila euro in contanti all’interno di una scatola di scarpe. Oltre ad una collezione di coltelli e tirapugni.


Ma attorno allo stadio ruotano anche affari che mettono in secondo piano il tifo calcistico: come racconta Daniele Autieri, sono l’anima del patto siglato tra il leader della curva del Milan Luca Lucci (fotografato una volta assieme al ministro Salvini) e quello della curva dell’Inter Andrea Beretta oggi sotto processo per l’omicidio del suo sodale Antonio Bellocco, esponente dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta.

Sta a noi un po’ più maturi dettare dei paletti e cercare di vedere prima che un problema sorga” spiegava Luca Lucci a Beretta in una intercettazione.

Quest’ultimo rispondeva “Stiamo vedendo dove possiamo arrivare .. magari io e lui sappiamo, magari gli ultimi giovani.,”
“Lo vediamo assieme e decidiamo assieme dove possiamo arrivare e dove non possiamo arrivare ..”

Un patto di non belligeranza tra Lucci e Beretta: dietro c’era la ndrangheta? Klaus Davi ne è convinto, “la ndrangheta è stata il regista in tutti questi anni di tutte queste operazioni, è stato un regista occulto, ma anche palese. Consideriamo che la ndrangheta, le singole famiglie criminali, Lucci da una parte e Beretta dall’altra, le chiamavano a sé per rafforzare la loro reputazione all’interno delle curve.”

Anche il fratello di Antonio Bellocco, Umberto, rimane coinvolto nell’indagine di Milano: sempre Klaus Davi “Certo, rimane l’architrave di questa storia di estorsioni, lui, suo cognato, suo cugino secondo le intercettazioni viene demandato il compito della vendetta. In una intercettazione la suocera gli dice ‘devi fare una strage, la famiglia si appoggia a te’.. ”
Proprio Klaus Davi ha incontrato Berto Bellocco, oggi indagato dalla procura di Milano per aver tentato di costringere Beretta a cedere ad esponenti della famiglia Bellocco le attività della società di merchandising della curva.

Per la ndrangheta il dolore, per la morte di Antonio, si cura col tempo ma anche con la vendetta, quella annunciata nei confronti di Andrea Beretta anche secondo un altro affiliato illustre delle cosche.

Questo, in forma anonima, racconta a Report che Andrea Beretta è già morto, “è morto pure sotto protezione, te lo posso assicurare io. Questi fanno una strage sulla parola. Questi a livello di sangue non guardano in faccia a nessuno, sono pericolosissimi. Beretta è stato preso per il collo, è stato messo giù e gli hanno detto: ‘se tu non collabori ti fanno la famiglia a pezzettini’, ma gliela mandavano veramente a pezzettini. A Beretta e ai suoi familiari fino alla settima generazione gliela faranno pagare.”

La scheda del servizio: I PADRONI DI SAN SIRO

di Daniele Autieri

Collaborazione Alessandra Teichner, Andrea Tornago

Il ruolo della ‘ndrangheta negli affari di San Siro, una storia che inizia nel 2021 quando l’Inter combatteva per non fallire e le cosche infiltravano le curve, spedendo dalla Calabria a Milano i sicari incaricati degli omicidi e delle gambizzazioni eccellenti.

Così, mentre la Società era impegnata a far tornare i conti dopo una crisi dovuta anche all’impatto del Covid-19, l’anima criminale della Curva prendeva il controllo degli affari dello Stadio grazie a un patto di non belligeranza siglato con il direttivo della Curva del Milan guidato dal boss dei tifosi rossoneri Luca Lucci. Le intercettazioni inedite di Luca Lucci e Andrea Beretta, unite alle testimonianze esclusive delle vittime dei pestaggi degli Ultras, concorrono a tratteggiare un’immagine di San Siro come di un luogo dove la legge non esiste e il territorio viene controllato da bande criminali quando non dalle mafie stesse.

Report manderà in onda un audio messaggio esclusivo di Antonio Bellocco, il rampollo della ‘ndrangheta ucciso da Andrea Beretta nel settembre scorso, come prova delle attività delle consorterie criminali che per anni hanno gestito i lucrosi business intorno allo Stadio.

Nella melma della laguna – come funzionano i trasporti a Venezia

Report torna ad occuparsi del sindaco di Venezia e della sua gestione "personale" della cosa pubblica, dove si fa fatica a comprendere dove finisce il Brugnaro sindaco e il Brugnaro imprenditore.

La scheda del servizio: LE ALI SULLA LAGUNA

di Walter Molino e Andrea Tornago

Chi è il più importante imprenditore dei trasporti a Venezia? E che cosa c'entra con il patriarcato di una delle città più antiche e belle del mondo?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

22 maggio 2025

Delitto di benvenuto: Un'indagine di Scipione Macchiavelli, di Cristina Cassar Scalia

 

Il vento pungente dei Balcani, che già da qualche giorno sferzava il resto dello stivale, nottetempo aveva raggiunto la Sicilia orientale spazzando via le piogge africane che imperversavano sulla costa. Un cambio talmente repentino e inaspettato che nessuno aveva ancora avuto il tempo di accorgersene.

Il maresciallo Calogero Catalano si strinse addosso il cappotto d’ordinanza, alzò il bavero, calcò meglio il cappello e affrettò il passo.

Ci sono commissari (o, meglio, vicequestori) che, per motivi disciplinari, vengono trasferiti da Roma ad Aosta, in mezzo alle montagne e alla neve, ve ne sono altri che, sempre per punizione, vengono mandati a Noto, la capitale del barocco in Sicilia, ma pur sempre una piccola città rispetto alla capitale. È quello che succede al commissario Scipione Macchiavelli che si ritrova, a pochi giorni dal Natale del 1964, su un treno che lo sta portando al sud.
Dietro si lascia la sua città, il commissariato di via Veneto, la “dolce vita” che aveva frequentato e che erano stata causa del trasferimento.

Mentre la costa dello Ionio gli scorre davanti, la mente del commissario è piena delle tante domande per quel futuro pieno di incognite: riuscirà a tirare avanti in quella nuova città, così distante (non solo come chilometri) da quel mondo da cui proviene?

.. ma viri tu se è normale mandare un cristiano in una città sconosciuta proprio a Natale

A Noto nel frattempo la sua squadra lo sta aspettando in stazione: il maresciallo Catalano e il brigadiere Mantuso in primis e anche il giudice Giuseppe Santamaria, compagno di studi a Roma di Scipione, una faccia amica in quel nuovo mondo.

Ma a Noto lo aspetta anche un altro benvenuto: in commissariato, poco prima che partisse per la stazione, davanti al maresciallo Catalano si è presentata una donna, Maria Luisa Brancaforte, che denuncia la scomparsa del marito.

Mi chiamo Vizzini Maria Laura, coniugata Brancaforte. Debbo… sporgere una denuncia, [..]
Tutto avrebbe immaginato il maresciallo tranne quello che sentí. – Mio marito è scomparso.

Gerardo Brancaforte è il direttore della banca di Trinacria: è uscito di casa il sabato precedente per dei suoi giri, anche in farmacia, per non tornare più a casa.

Sarà questo il primo caso su cui si troverà ad indagare Scipione: un uomo ben conosciuto in città, attorno a cui giravano tante voci, non proprio uno stinco di santo, in un nuovo contesto, con a fianco nuovi collaboratori che si aspettano proprio da lui che dia una direzione alle indagini, prorio lui, il poliziotto venuto da Roma. Peccato che a Roma a Scipione fosse stato affibbiato come soprannome “paparazzo”, per il suo essere incline alla bella vita. Fino a quell’episodio spiacevole che gli era costato l’allontanamento dalla capitale.

Nel mentre Scipione si adegua alla nuova vita, con una alloggio in pensione (lui che era abituato a stare da solo) e a dover lavorare a fianco del maresciallo Catalano, in città le voci iniziano a girare: il povero Brancaforte? È stato rapito

Tutti sanno che è stato rapito… E chi gliel’ha detto? – La mia commare Paolina Scimemi

Macché rapimento, come nei classici cliché siciliani, se ne è scappato con una bella donna:

Un amico disse alla moglie che potrebbe esserci pure una terza ipotesi… – Abbassò la voce, circospetta. – Potrebbe essersi allontanato… in buona compagnia, – ammiccò.

Un contesto difficile quello in cui si deve muovere il commissario Macchiavelli: scansare le voci, che potrebbero pure portarli a perdere tempo su piste improbabili e scansare pure le occhiate e le domande dei “notini”, tutti incuriositi da questo commissario romano.

L’approdo dentro il commissariato di Noto sarà però meno drammatico di quanto temeva il commissario: prima di tutto perché i suoi collaboratori si dimostreranno validi segugi, a cominciare dal maresciallo Catalano, fino ai brigadieri Mantuso e Giordano.

Poi nella procura di Siracura, da cui dipende Noto, Scipione può contare sull’amico Santamaria, giudice istruttore.

Infine un’ottima aiutante, nel raccogliere e filtrare le “voci” del popolo, si dimostrerà la farmacista Giulia Mirimeo, un bella e indipendente ragazza di fronte a cui lo “sciupafemmine” Macchiavelli si trova intimidito.

Le cose si complicheranno ulteriormente quando la scomparsa di Branciaforte si trasformerà in un caso di omicidio: il suo corpo verrà trovato vicino ad un monastero, abbandonato vicino ad un sentiero poco frequentato.

Chi potrebbe averlo ucciso? Si tratta di un delitto nato all’interno degli affari “poco puliti” di Branciaforte, oppure è un delitto passionale, il famoso delitto d’onore per una delle tante amanti che si portava a letto?

Eravamo ancora in quell’Italia in cui, grazie all’articolo 587 del c.p., il coniuge maschio che uccideva la moglie o la sorella in un momento di impeto per difendere il suo onore, rischiava solo pochi anni di carcere.

Pirchí un marito cornuto, in Sicilia quantomeno, all’amante della moglie lo va ad ammazzare personalmente, se no non vendica l’onore. – Già. E al massimo se fa ’n paio d’anni. Tre, se non ha altre attenuanti. Articolo 587, – concluse Scipione.

Scipione sarà destreggiarsi tra false piste e facili colpevoli che colpevoli non lo sono: scoprirà di avere delle doti da vero investigatore in questo suo primo caso di omicidio che servirà a stabilire un primo rapporto fruttuoso coi suoi uomini. Forse questa punizione in Sicilia non sarà vissuta come un dramma.

L’intreccio della storia funziona bene, come in tutti i gialli di Cristina Cassar Scalia ma quello che più si apprezza è la capacità nel saper riprodurre su pagina l’ambientazione nel pieno degli anni sessanta, in un paese ben lontano da quello di oggi.

Era l’Italia del delitto d’onore come si è detto, dei pregiudizi contro le donne che volevano emanciparsi, dei lunghi spostamenti in treno e delle telefonate in interurbana passando per il centralino. Degli sceneggiati sui canali Rai, che c’erano solo quelli in televisione e rigorosamente in bianco e nero.

E, infine, sullo sfondo questa città siciliana, Noto la capitale del barocco , ben diversa dall’affollatissima città di oggi: una città che è stata ricostruita, scrive l’autrice, anche grazie al ricordo dei suoi tanti amici notini.

PS ma che avrà combinato Scipione Macchiavelli per essere cacciato da Roma?

La scheda del libro sul sito di Einaudi
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