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02 novembre 2021

Report – la terza dose

La terza dose di vaccino va fatta, ci dicono, ma come e quando e chi?

E' stato prorogato il green pass a 12 messi, in base a quali prove scientifiche?

E poi i viaggi di Renzi all'estero, come quello durante il voto in Senato per il DDL Zan.

Ma, nell'anteprima, un servizio su come le differenze di genere e le non pari opportunità esistano anche in medicina.

Curami di Antonella Cignarale

Le malattie, i sintomi e le cure sono state studiate sugli organi maschili, non su quelli delle donne, ma gli organi tra donne e uomini sono diversi, per esempio è diverso il sistema circolatorio così come sono diversi i sintomi dell'infarto per le donne.

Le donne devono pretendere una scienza per loro, non una scienza che sia il traslato di quanto si scopre per gli uomini: sono passati venti anni dalla scoperta del GAP (un organo di accountability in America) su diverse medicine che avevano reazioni avverse sulle donne i quali provocavano anche eventi gravi.

Per esempio la stessa dose di farmaco per l'insonnia comprometteva per le donne la capacità di guida: ci sono diversità nell'assorbimento, sulle donne, ma molti problemi nascono dal fatto che i farmaci non sono sperimentati sulle donne.

Il controllo dei farmaci avviene durante la sperimentazione farmacologica ma è qui che il sesso femminile è sotto rappresentato, la fase pre clinica viene condotta su animali maschi e anche nelle fasi successive il numero delle donne testate è spesso inferiore a quello degli uomini: i principali motivi sono la variabilità ormonale, la fasi del ciclo e il rischio gravidanza.

Se si fa una ricerca di genere si spende di più, per tener conto di queste variabili, non solo, la ricerca di genere è più lunga quindi questo non incentiva né le industria farmaceutica né quella dei device e nemmeno ricercatori.

Basterebbe bilanciare nei test donne e uomini e separare i risultati degli studi per i due sessi: l'associazione Women's Brain Project ha condotto un'analisi sugli studi su farmaci sperimentati per l'Alzhaimer per scoprire che solo 7 studi su 56 hanno riportato i dati separando quelli delle donne da quelli degli uomini.

Ad Aviano hanno studiato gli effetti dei vaccini dividendoli per sesso: hanno scoperto che la % di efficacia del vaccino è diversa tra uomo e donna, inferiore nella donna all'inizio mentre, col passare dei mesi l'efficacia nella donna aumenta.

E' importante disaggregare i risultati dei vaccini e dei farmaci per sesso: eppure gli enti regolatori ancora non ammettono queste differenze, sebbene le reazioni più importanti dei vaccini siano avvenute nelle donne. Perché le donne aggiunge la dottoressa Antonella Viola, specie in età fertile, sono le più reattive.

La scelta di non sperimentare in modo paritario anche sulle donne è lungimirante, perché quello che non spendi oggi lo farai spendere domani al sistema sanitario nazionale.

Renzi d'Arabia di Danilo Procaccianti

Renzi fa parte del comitato consultivo di un fondo sovrano dell'Arabia Saudita, in un incontro col principe Bin Salman ha definito la sua politica come un nuovo rinascimento.

Eppure il principe è considerato il mandato del giornalista Khashoggi, ucciso nel consolato di Istanbul, oltre al problema dei dissidenti, alla condizione delle donne in questo paese.

Oggi le donne in Arabia possono guidare – ha spiegato l'ex presidente, ma la strada verso la democrazia è ancora lunga.

Non c'è due senza tre di Manuele Bonaccorsi, Lorenzo Vendemiale

Non siamo ancora fuori dal virus nonostante l'alta percentuale dei vaccinati in Italia, sebbene la campagna non sia terminata: colpa dell'efficacia del vaccino in calo calato e all'arrivo della variante delta plus.

Stanno suonando dei campanelli di allarme, che riguardano i sanitari ovvero i primi ad essere vaccinati: oggi si sono ammalati dei sanitari i primi a ricevere la prima dose nel dicembre scorso.

Così si sta parlando della terza dose, senza capire a chi e come e quando: nel frattempo abbiamo dato l'ok alla terza dose ai più fragili e agli anziani, ma sbagliando la dose di Moderna..

Il servizio di Bonaccorsi e Vendemiale parte da Israele per le proteste contro il green pass, imposto ad ottobre a tutta la popolazione: per averlo si deve fare una vaccinazione ogni sei mesi. A questo si è arrivati dopo il picco degli infetti di questa estate: il governo ha deciso una vaccinazione ogni sei mesi, per poter lavorare e avere vita sociale, e si apprestano anche a fare la quarta e la quinta dose.

Questo potrebbe replicarsi anche qui, visto che Israele è davanti a noi di tre mesi: da luglio ad agosto sono cresciuti i casi degli operatori infetti (anche lì, i primi a vaccinarsi), il che ha portato a chiedersi se siamo sicuri che i vaccini coprano dal virus oltre i sei mesi, con l'efficacia dichiarata.

A Roma al Sant'Eugenio questo settembre è scoppiato un cluster di covid tra pazienti e medici: il covid si è diffuso nei reparti, tenendo presente che il personale sanitario non è sottoposto a dei controlli stringenti, la cosa è preoccupante (i tamponi, secondo il servizio di Report si fanno ogni qualche settimana oppure mai).

Anche a Monza all'ospedale sono testati solo un piccolo gruppo del personale, quello a contatto con le persone più fragili: in Lombardia, in generale, i controlli non sono fatti.

L'ospedale milanese Niguarda aveva deciso di monitorare l'andamento degli anticorpi nella popolazione ospedaliera: lo studio è stato realizzato dal professor Scaglione – direttore di microbiologia - nel suo laboratorio, uno dei più avanzati nel paese, dove tutto è automatizzato e dove si riescono a fare anche 5mila test sierologici al giorno. Dall'analisi del Niguarda emerge che dopo sei messi gli anticorpi sviluppati dal vaccino si dimezzano.

Gli studi proseguiranno nei prossimi mesi per capire se il livello degli anticorpi scende sotto il livello di guardia. Il problema è che questo è l'unico studio fatto in Italia di questo tipo, il professor Scaglione non lavora per fornire dati al ministero, è uno studio autofinanziato dall'ospedale ma fatto in autonomia.

“I dati scientifici per il 90% derivano dalla buona volontà di qualche ricercatore che si mette a farli, non c'è la ricerca di Stato” è l'amara conclusione del professore.

Il professore non lavora per il ministero, autofinanziadosi.

Eppure l'istituto superiore di Sanità aveva annunciato uno studio simile lo scorso dicembre, uno studio che avrebbe potuto chiarire o meno la necessità di una terza dose: siccome ora siamo nel momento in cui dobbiamo decidere se fare o meno la terza dose, a che punto è lo studio?

Silvio Brusaferro, del CTS, nella conferenza stampa del 21 ottobre passato ammette che i primi risultati di questo studio arriveranno prossimamente, senza specificare però una data: “quando usciremo, le daremo tutti i dettagli con materiali o metodi..” è la risposta, molto poco da scienziato a mio avviso, data al giornalista.

Lo studio in realtà è cominciato a febbraio e copre 3500 persone: l'Italia nel frattempo ha puntato sul green pass, senza prove scientifiche, come spiega Andrea Crisanti microbiologo a Padova.

“Abbiamo sentito dire da politici che col green pass si creano ambienti sicuri” commenta il professor Andrea Crisanti “ma non è assolutamente vero,hanno detto una serie di stupidaggini pazzesche perché guardando i dati di Israele, avrebbero dovuto stare zitti.”

L'estensione del green pass non si basa su alcuna base scientifica: “il vaccino sembra stia perdendo efficacia per quanto riguarda la capacità di bloccare la trasmissione.”

La scelta di prorogare il green pass è stata avallata dal CTS in una riunione del 27 agosto: Manuele Bonaccorsi ha intervistato una persona che ha partecipato alla riunione e che ha scelto di rimanere anonima, che era presente all'incontro: “il CTS riceve delle domande da parte del governo su cui si deve esprimere, in questo caso sul tavolo c'era una nota del capo di gabinetto del ministero della Salute che chiedeva di allungare la durata del green pass .. la richiesta era politica, il governo pone delle domande per capire se le sue scelte politiche sono compatibili con ciò che dice la scienza.”

Qual è stato il parere del CTS?

“Il CTS ha ritenuto all'unanimità che ci fossero le condizioni per estendere la durata della certificazione verde sino a 12 mesi.. ”

Anche se nessuno sa se il vaccino dura 9, 12 o anche sei mesi?

“Assolutamente, questa decisione non è supportata da evidenze scientifiche, oggi nessuno sa se una persona è effettivamente protetta e per quanto tempo.”

La richiesta del ministro della salute nasce da una esigenza pratica, se non ci fosse stato il prolungamento, tra ottobre e novembre sarebbe scaduto il green pass di 3 milioni di italiani, che si sarebbero trovati senza certificato e anche senza la possibilità di rinnovarlo, il caos.

Ora il problema è solo rinviato e cosa potrebbe succedere lo spiega un dirigente della sanità in forma anonima: quando ci renderemo conto che la protezione del vaccino è pari a zero renderanno obbligatorio il vaccino e cancelleranno il certificato verde.

La terza dose del vaccino è stata data a migliaia di persone anziane e ad immunodepressi a partire da settembre: Moderna dovrebbe essere dato in dose minore, la stessa casa farmaceutica propone la mezza dose a tutti, concedendo la dose intera solo agli immuno depressi.

Aifa ha autorizzata la dose intera, forse senza sapere quello che proponeva la stessa casa farmaceutica Moderna (cioè di usare la mezza dose): anche qui (come per la proroga del green pass) la scelta di Aifa è stata precipitosa, abbiamo dato una dose intera, sbagliata, che viene corretta solo il giorno 8 ottobre.

Che effetti collaterali ci sono con questa terza dose? Ancora non si conoscono, non esistono studi a sufficienza, il pericolo più grave è quello delle miocarditi (i rischi aumentano per le persone più giovani).

Il governo vorrebbe dare la terza dose a tutti, mentre Ema vorrebbe darla solo ai più anziani, ma ha scaricato la scelta per i giovani ai singoli governi, facendo cadere la possibilità di avere una strategia vaccinale comune.

Navighiamo a vista, dovremmo basarci su studi scientifici su anticorpi sul tracciamento degli effetti dei vaccini, ma siamo ancora indietro.

Al Niguarda potrebbero lavorare 5000 pezzi al giorno, ma si lavora a scartamento ridotto, in ogni caso sappiamo che passati sei mesi, gli anticorpi sviluppati si dimezzano.

Ma quanti anticorpi servono per proteggerci dal virus?

Report è volata sulla costa est, a Provincetown in una comunità che si basa sul turismo e dove la popolazione si è vaccinata alla faccia di Trump: pensavano di essersi liberati dal virus, invece si sono scambiati il virus durante una festa in discoteca questo luglio.

Le persone, una volta scoperti i sintomi, si riversano nell'ospedale cittadino dove, col tampone, le persone si scoprono tutte positive: uno choc per le persone che hanno deciso di farsi ascoltare.

Tre quarti dei positivi erano vaccinati, come è possibile? La CDC è scesa in campo analizzando i casi e scoprendo che il virus gira nonostante il vaccino, servono ancora mascherine e distanziamento nei locali chiusi (in America, in alcuni stati, le regole erano state tolte).

Ma questo caso ha fatto nascere la domanda: quanto dura l'efficacia del vaccino?

Gli stati più colpiti dall'ultima ondata del covid sono quelli con meno vaccinati: in Florida la % di vaccinati è alta ma nonostante questo il numero di casi è alto, questo è causato dai non vaccinati e dal non utilizzo delle mascherine.

Biden, ad agosto, per evitare altri problemi, annuncia che sarà fatta la terza dose a tutti gli americani adulti: questa scelta crea il caos dentro la FDA, portando alla dimissioni di due suoi membri.

Pfizer aveva ricevuto delle garanzie dall'FDA, racconta una fonte interna a Report: la scelta del presidente, scavalcando l'agenzia, è stata grave.

Perché FDA alla fine ha bocciato la scelta della terza dose per tutti, al momento questa sarà fatta solo per le persone anziane, oggi si parla dell'amministrazione a tutti gli over 40.

Un senior advisor di FDA ha raccontato a Report di non sentirsi a suo agio per le pressioni di Biden per la terza dose, mentre dentro la FDA ci sono ancora dei dubbi su questa scelta, non ci sono evidenze che la seconda dose stia perdendo efficacia.

Perché fare una terza dose quando ancora non si conoscono bene gli effetti negativi sulle persone?

Manuele Bonaccorsi ha intervistato Peter Doshi – professore all'università del Maryland, uno dei massimi esperti di trial clinici – sul vaccino Pfizer: questo è stato testato nei trial su 40mila persone, ma dopo che il vaccino è stato autorizzato, queste persone sono uscite dal programma per i test, finché a marzo di quest'anno ne rimaneva solo il 7%. Il trial di Pfizer sarebbe dovuto durare fino al 2022, come da richiesta delle agenzie regolatorie mondiali invece, appena è partita la campagna vaccinale lo scorso dicembre, i trial sono stati di fatto fermati.

“I dati dei trial sono più precisi di quelli del mondo reale perché sono verificati da un gruppo di controllo, confrontando chi prende il vaccino con chi prende il placebo” spiega Doshi, “fermando i trial è veramente difficile comprendere davvero l'efficacia a lungo termine.”

Pfizer ha avuto l'autorizzazione al vaccino, con dati sulla sua efficacia al 95%, ma validi solo su due mesi, poiché i trial si erano conclusi nell'autunno scorso. Ad aprile 2021 la casa farmaceutica conferma l'efficacia al 95% per i casi gravi, ma fino a sei mesi e da questo momento Pfizer smette di consegnare dati nuovi. Così quando FDA approva il vaccino lo fa sui dati di aprile, nonostante siano passati dieci mesi dalle prime somministrazioni e nulla viene detto sulla perdita di efficacia del vaccino nel tempo.

L'approvazione di agosto (per la terza dose) è stata fatta su dati vecchi, dunque, quando negli Stati Uniti la variante delta non era ancora arrivata: si tratta di una contraddizione, racconta il professor Doshi, si autorizza il vaccino (con efficacia al 95%) su dati vecchi e poi dopo pochi giorni si parla di una terza dose come se il vaccino avesse perso efficacia.

Ma a marzo i dirigenti della casa farmaceutica raccontavano altro ai loro investitori: Frank D'Amelio, vice presidente, spiegava come “fattori come l'efficacia o la terza dose diventeranno molto importanti e rappresentano una grossa opportunità per il nostro vaccini in termini di richiesta e di prezzo. Davvero, crediamo che per noi sia una grande opportunità.”

Sapevano dunque di una perdita di efficacia nel tempo questi manager, con la mente pronta al business della terza dose?

Prima incassano l'approvazione con una % di efficacia altissima, poi chiede l'autorizzazione della terza dose spiegando che la percentuale di efficacia è in calo senza dare i dati.

“Per loro è un business, quello che non capisco e perché le agenzie regolatorie glielo lascino fare” - è la conclusione di Doshi.

Pfizer nei primi sei mesi dell'anno ha incassato 14 miliardi di dollari dal vaccino, Moderna 6 miliardi, il 70% di queste entrate finisce in profitti.

Su quest'ultimo punto Manuele Bonaccorsi ha sentito anche il giornalista Fabio Pavesi: “ci aspettiamo che la terza dose replichi quanto accaduto, dunque potremmo anche raddoppiare questi ricavi che tendono ad allungare la vita utile del prodotto e potremmo ritrovarci nel futuro ad avere una vaccinazione come per l'influenza, annuale e questo consentirà alle case di avere una striscia continuativa di questa mole enorme di profitti.”

Pfizer vende in media 16-17 dollari – prosegue il giornalista, con una grande variabilità tra paesi ricchi e all'organizzazione no profit Covax: di fatto conviene vendere la terza dose ai paesi ricchi, dove può ottenere profitti maggiori.

Siamo nelle mani di big pharma e sono molto avide, ammette lo scienziato Meissner, membro della FDA che ha contraddetto Biden.

Israele ha ceduto a Pfizer i dati sanitari dei propri cittadini, oltre ad aver pagato di più le dosi: come se avesse appaltato ad una azienda privata il suo sistema sanitario.

Come vanno le cose adesso in questo paese? Ora stanno somministrando la terza dose, all'inizio annunciata solo per i più fragili, ma il governo ha poi deciso di estenderla a tutti.

Questa estate Israele è stato colpito da una forte ondata di Covid nonostante la % della popolazione vaccinata fosse al 60%, pensavano di essere al sicuro e invece ad inizio luglio hanno assistito alla crescita dei contagi, fino ai 10mila casi al giorno, la maggior parte tra i già vaccinati. Sono cresciuti i ricoveri negli ospedali e anche sono cresciuti i posti occupati nelle terapie intensive.

Gli israeliani si sono interrogati sulle cause dell'emergenza e hanno individuato come causa il livello degli anticorpi che si era abbassato – lo spiega il direttore generale dell'ospedale di Tel Aviv Arnon Afek - “dobbiamo fare qualcosa e quello che si deve fare è prendere il booster, la terza vaccinazione.”

Questo nonostante non esistano evidenze sulla perdita di efficacia del vaccino: eppure in Israele l'ondata è andata in calo senza aver fatto alcun lockdown (il che non è proprio corretto avendo Israele messo in atto delle misure di contenimento a fine agosto per frenare i contagi).

Tanto è vero che sono ora pronti ad una quarta dose e anche ad una eventuale quinta e non è un problema perché, spiega il direttore, già ogni hanno si fanno le vaccinazioni contro l'influenza.

I contagi con la terza dose crollano, il booster ha aumentato la protezione di dieci volte: ma non tutti nel mondo sono d'accordo, come per esempio i rappresentanti della striscia di Gaza, che hanno remore sulla terza dose.

E poi ci sono anche questioni etiche: ci sono paesi come i territori della Palestina dove la vaccinazione non decolla (per non parlare poi del continente americano).

L'accordo tra Israele e Pfizer è segreto, non può essere rivelato al pubblico: Pfizer considera questo stato come un suo laboratorio privato, dove vedere gli effetti del loro vaccino.

Ma Israele non si considera un laboratorio: dopo la terza dose sono calate le misure di precauzione, il consiglio che arriva da questo paese è monitorare il virus, vaccinare le persone dopo sei mesi per una questione epidemiologica, arrivando ad una vaccinazione periodica come per l'influenza, senza contare il numero di dosi.

Ma la domanda etica rimane: come la mettiamo coi paesi poveri, che ancora devono avere la prima, di dose? Come la mettiamo con le promesse al G20?

12 ottobre 2021

Presadiretta – la fabbrica dei vaccini

Tutto sul mondo dei vaccini: come funziona la loro produzione, il ruolo della ricerca, a che punto è il vaccino italiano, chi ci ha guadagnato tanto dai vaccini e infine lo scandalo dei paesi poveri, lasciati soli con la pandemia.

I vaccini basati su mRNA sono nati grazie al lavoro di ricerca di scienziati incredibili: tra questi la biochimica ungherese Katalin Karikò, la pioniera dell'RNA messaggero, la prima ad averne intuito le capacità ben prima dell'arrivo del covid.

“Ero ossessionato da questa proteina” racconta a Presadiretta, partendo dalla sua infanzia, dalla scelta di diventare scienziata da grande, gli studi in Biologia. La scoperta del RNA messaggero fatta nel 1961 iniziò subito ad interessarla: ci si chiedeva chi trasporta le informazioni del DNA fuori dal nucleo alle cellule? E' proprio il mRNA che venne sintetizzato in laboratorio in Ungheria da Katalin Karikò.

Col crollo del muro di Berlino e la realizzazione che in Ungheria non avrebbe potuto proseguire le ricerche, Katalin mise da parte i soldi e riuscì ad andare in America per poter riprendere i suoi studi.

Ma anche in America i primi anni sono stati difficili, per lo scetticismo nei confronti dell'RNA, ma lei sapeva che poteva servire a qualcosa, Katalin.

Ci sono voluti tanti sforzi, tanti fallimenti, prima di poter iniettare un mRNA artificiale dentro un organismo senza che si scatenasse nessuna infiammazione: dal 2005 la svolta, la sua ricerca inizia ad interessare anche altre aziende, come Biontech che inizialmente usarono questa scoperta contro il cancro.

Ma poi, nel 2020, l'arrivo del Sars Cov2, gli studi di Biontech “mutano” verso la sperimentazione di un vaccino contro questo virus, per arrivare poi al vaccino Biontech, il primo vaccino mRNA della storia.

Ci sono effetti a lungo termine per questo vaccino? Nel corpo si inietta solo una piccola parte del virus, per scatenare una reazione immunitaria, il virus è molto più pericoloso – la risposta immediata della scienziata ungherese.

Viva la ricerca, dunque: la gara al vaccino l'hanno vinta i paesi che nella ricerca hanno creduto e investito, ma come mai l'Italia a questa gara non ha nemmeno partecipato?

In Italia si fa solo “infialamento”, la fase finale della produzione, quella a minor valore aggiunto, seppur importante: i siti di produzione esteri portano in Italia la materia prima, che viene custodita in caveau, tanto è importante.

I vaccini sono prodotti biologici, sviluppati attraverso cellule viventi, non sono prodotti di sintesi chimica come l'aspirina: per produrre vaccini servono competenze e investimenti, servono i bioreattori per realizzarli, diventati oggi quasi un bene introvabile.

Dietro ogni fiala c'è una lavorazione di cento giorni, con 5000 passaggi diversi: le aziende specializzate per la produzione di questi vaccini sono altamente specializzati, con reparti asettici, con controlli ossessivi, come nello stabilimento belga GSK che Presadiretta ha visitato.

GSK non è riuscita a produrre un suo vaccino, ma ha stretto accordi con altre aziende per la produzione: inizialmente fu scelta Sanofi, per un vaccino proteico, per poi tornare indietro da questa scelta dopo il fallimento di questa strada.

Altri vaccini non sono andati avanti, dopo le prime sperimentazioni: il vaccino tedesco di Kurevac è fallito, così come la procedura per autorizzare Sputnik è ferma, racconta Guido Rasi, ex direttore Ema.

La primavera scorsa, per rafforzare una campagna vaccinale a singhiozzo, tra ritardi di consegna dei vaccini autorizzati e incognite sugli altri candidati, il commissario all’industria europeo, Thierry Breton, chiama a raccolta le aziende di tutta Europa per chiedere rinforzi alla filiera e anche l’Italia si dice pronta.

E il 4 marzo 2021 il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti lancia il piano di produzione di vaccini made in Italy, da realizzarsi nel nostro Paese in tempi rapidi e con obiettivo ambizioso: indipendenza vaccinale entro l’anno.

Sul piatto si mettono anche i soldi: 200 milioni di euro sono sbloccati subito nel decreto sostegni “per interventi di ricerca e riconversione industriale nella produzione di vaccini”. Altri finanziamenti, fino a 400 milioni, arrivano nel decreto sostegni bis, ma il consorzio italiano ancora è fermo oggi.

Cosa resta dei proclami del governo? Dei quattro vaccini contro il Covid finora autorizzati in Europa, nessuno è fabbricato in Italia a partire dal principio attivo. Da noi, si fa l’ultima parte della filiera, quella che in gergo tecnico si chiama “fill and finish”, cioè la fase di infialamento e confezionamento.

“Quella dell’infialamento non è alta tecnologia. Quindi l’Italia non ha voce in capitolo sulla parte produttiva. La parte produttiva rimane in capo al produttore”. Per Guido Rasi – microbiologo, ex direttore dell’EMA intervistato da Daniela Cipolloni – “la capacità produttiva dell’Italia è zero”.

In Puglia, alla Lachifarma si lavora per la produzione di un vaccino: qui hanno investito 20ml per fare produzione, non della materia prima, e stanno anche cercando un accordo col Mise.

Servono soldi per produrre vaccini e fare ricerca, come ha fatto l'America che nel marzo 2020 ha messo sul piatto 15 miliardi, mentre qui pur avendo un'industria farmaceutica, siamo rimasti indietro, e lo stesso è successo col vaccino italiano di ReiThera.

Presadiretta è entrata nei reparti di ricerca di ReiThera dove ha incontrato Stefano Colloca, responsabile della ricerca: qui hanno lavorato sul vaccino a partire dalla ricerca sul gorilla, si basa su un principio simile a quelli di Astra Zeneca, Johnson & Johnson o il vaccino russo Sputnik, si usa cioè un virus inattivo di scimmia che contiene le istruzioni genetiche per produrre la proteina spike del Sars-Cov2 e quindi generare gli anticorpi.

Qui sono pronti, con strutture nuove, enormi bioreattori, capaci di produrre fino a 100ml di dosi l'anno, partendo sin dalla materia prima del vaccino e diventando così la prima azienda italiana capace di produrre un vaccino anti-covid.

La sperimentazione del vaccino ReiThera si è fermata alla soglia della fase 3, quella che coinvolge migliaia di persone per verificare sicurezza ed efficacia: “stiamo aspettando di trovare il sostegno finanziario per passare alla fase 3, che è quella che costa di più e che noi non possiamo sostenere con le nostre risorse finanziarie, avremmo bisogno di circa 60ml” .

Fino a pochi mesi fa ReiThera aveva il vento il poppa, per il supporto della regione Lazio, dell'istituto Spallanzani, tutti facevano il tifo per il vaccino italiano.

La fase prima della sperimentazione fatta alla Spallanzani arrivano ad inizio 2021 ed erano incoraggianti: il governo Conte scommetteva su questo vaccino, lo Stato era entrato in ReiThera acquistandone delle quote tramite Invitalia.

Ma alla fine la Corte dei Conti ha bloccato tutto, bloccandone il finanziamento per la parte che riguardava il mutuo della sede di produzione.

Il blocco dei soldi sta fermando i lavori, poi è arrivato anche la questione Astra Zeneca, col rischio trombosi perché bisogna capire se tutti i vettori virali come quello ReiThera hanno questo rischio.

Anche il supporto dello Spallanzani cala, come anche quello della regione Lazio, la cui attenzione si è spostato sul russo Sputnik.

Ad aprile si è siglato un accordo con Mosca, per questo vaccino: un accordo di tre anni in cui si studierà la variazione dei virus, con uno scambio di dati e conoscenze tra Spallanzani e la Russia. Va ricordato che lo Spallanzani è stato il primo istituto ad isolare il virus.

Come mai lo Spallanzani ha abbandonato ReiThera? Come mai è la regione che sta seguendo gli accordi tra Spallanzani e la Russia, e non il ministero della Salute?

A rispondere alle domande di Presadiretta è stato il direttore scientifico Girardi che ha preso il posto del dottor Ippolito che spiega che hanno preferito seguire Sputnik dopo la pubblicazione dei risultati su Lancet della sua efficacia. Sputnik avrebbe una efficacia dell'81% mentre Pfizer è pari all'88%, non molto distante.

E il vaccino italiano ReiThera? Come spiega Stefano Colloca “non è vero che siamo fuori tempo massimo, ci sono le varianti che impazzano, c'è il mondo che ha bisogno di dosi di vaccino, c'è interesse in paesi esteri che hanno difficoltà ad approvvigionarsi del numero sufficiente di dosi e quindi riteniamo che un vaccino come il nostro che ha un costo decisamente più basso di quello dei vaccini RNA possa essere importante.”

Anche perché si conserva in condizioni più agevoli, a 4 gradi, in un normale frigorifero: anche se il vaccino ReiThera non ci avrebbe reso indipendenti, la nascita di un polo industriale avrebbe rappresentato un volano per la ricerca italiana: perché la ricerca è un'attività costosa e rischiosa – prosegue Stefano Colloca – perché non puoi sapere quando inizia a sviluppare un prodotto se avrà successo o no. Questa attività non può essere, specie nel caso di piccole biotech come ReiThera, finanziata a debito, devono essere finanziamenti a fondo perduto, ci deve essere una condivisione del rischio, in cambio si ha un ambiente favorevole alla ricerca sulle biotecnologie e che sarà utile sfruttare nel futuro.

In questo senso il confronto con paesi come Stati Uniti è impietoso: Moderna è stata finanziata in una fase molto precoce della pandemia con 1,2 miliardi dal governo americano, il finanziamento ricevuto da ReiThera, solo in parte a fondo perduto è di 60ml.

Il governo andrà avanti nella sperimentazione del vaccino italiano, assicurano Giorgetti e Speranza, il progetto ReiThera non verrà abbandonato.

Ma una cosa è certa, le aziende che hanno investito sui vaccini hanno ora il pallino in mano: possono imporre all'Europa e ai paesi nel mondo il prezzo per le fiale.

Nel 2022 a dominare la scena in Europa sui vaccini, dopo l'estromissione di Astra Zeneca, ci sono le multinazionali americane: Pfizer con la fornitura di 1 miliardo di dosi e Moderna per altre 150ml di dosi. Entrambe le compagnie con i contratti stipulati con la commissione europea hanno aumentato il prezzo del loro vaccino, come trapela da una rivelazione del Financial Times.

Una fiala di Pfizer ora ci costa 19,50 euro, contro i 15,50 di prima, mentre una fiala di Moderna 25,50 dollari rispetto ai 22,60 dollari precedenti (19 euro precedenti).

A giustificare i rincari sarebbe l'efficacia contro la variante delta.

Per capire se sono prezzi giusti i giornalisti di Presadiretta sono andati a Ginevra da una esperta di politica sanitaria globale a capo del Global Health Center, Suerie Moon: “non c'è una legge che regola i prezzi a livello internazionale, per questo quando i paesi hanno un disperato biisogno di vaccini, come è successo, il venditore ha un forte potere negoziale e può chiedere un prezzo più alto. Per me però idealmente le aziende dovrebbero vendere ad un prezzo vicino al prezzo di produzione, specie durante una pandemia, questa non è una situazione normale e a maggior ragione perché molte aziende non si sono assunte grandi rischi e non hanno messo molti investimenti di tasca propria. La maggior parte degli investimenti sono arrivati dal settore pubblico, dai governi. Ma davvero non credo ci sia alcuna giustificazione nel far pagare un prezzo alto.”

LE case farmaceutiche hanno ricevuti sussidi pubblici in tempi record, con ordini di pre-acquisti da parte degli Stati, anche se il vaccino non fosse stato efficace, altro che rischio di impresa. Ma le case farmaceutiche non la pensano così.

Secondo un rapporto pubblicato da Publiccitizen, organizzazione statunitense a tutela dei consumatori, produrre un vaccino mRNA costerebbe meno di tre euro a dose, mentre un vaccino a vettore virale, come quello di Astra Zeneca, poco più di 1 euro.

Ci sono vaccini economici come Astra Zeneca, venduto quasi a prezzo di produzione, al più caro, Moderna: per il 2021 Pfizer prevede un fatturato di 33 miliardi di dollari solo dalle vendite del suo vaccino. Moderna sfiora i 20 miliardi.

Pfizer racconta che sta offrendo questi vaccini al costo di un pasto completo, ma è una cosa giusta in un momento di pandemia?

Spiega Nicholas Lusiani di Oxfam America: “tutte le aziende comprese Johnson e Johnson e Astra Zeneca hanno dichiarato che quando la pandemia sarà finita non ci saranno più vincoli sul prezzo. Il direttore finanziario di Pfizer ha dichiarato che potrebbero alzare il prezzo a 150-175 dollari a dose, sarebbe un aumento di quasi il 900% sul costo dei richiami.”

Frank D'Amelio, CFO di Pfizer, ammette che a fine pandemia il vaccino sarà venduto a prezzo di mercato, perché è una importante occasione commerciale.

Ma come la mettiamo coi paesi poveri?

Non c'è niente di sbagliato nel profitto di per sé – continua Lusiani - ma ci sono due condizioni: se questi profitti vanno a discapito dell'accesso ai vaccini, allora è un problema. La maggior parte dei paesi poveri non avrà pieno accesso ai vaccini fino al 2024, e la massimizzazione dei profitti delle case farmaceutiche è uno dei responsabili. Il secondo aspetto riguarda ciò che fanno le aziende coi loro profitti, perché è logico pensare che se ci sono stati investimenti pubblici debba esserci anche un ritorno pubblico, un beneficio pubblico, ma non è stato così.


Ci sono esempi virtuosi, come Biontech, che ha investito tutti i profitti in ricerca, per le cure sul cancro ad esempio.

Ma altri colossi farmaceutici hanno pensato solo alla loro fortuna, pagando dividendi milionari che avrebbero potuto essere usati per vaccinare paesi africani. MA come hanno fatto ad ottenere questi prezzi alti?

Si torna alla Commissione Europea, agli accordi secretati, ai negoziatori degli accordi, alla scarsa trasparenza che purtroppo l'Europa ha mantenuto.

Certo c'era una grande pressione, sia da parte dei paesi europei, sia da parte delle aziende farmaceutiche, che hanno strappato quasi un accordo in bianco.

Nessun obbligo di consegna, nessun obbligo per gli indennizzi, a pagare in caso di problemi saranno gli stati, si sta creando un precedente per scaricare sul pubblico la parte negativa degli accordi.

Perché i verbali dei negoziati non sono pubblici? Il potere delle lobby in Europa è molto alto, come se la commissione avete più a cuore gli interessi commerciali che non la salute delle persone.

Nel mondo le dosi di vaccino non sono arrivate in modo equo: nei paesi poveri sono arrivate meno del 3% delle dosi, i paesi più ricchi si sono accaparrati le dosi per i loro cittadini (alle condizioni delle aziende, come si è visto) mentre in altri paesi le dosi sono un bene raro.

OMS sta criticando l'uso della terza dose da parte dei paesi europei: la questione cruciale è quella dei brevetti, grazie a cui le aziende possono dettare legge sulla produzione.

Alcuni paesi avevano proposto la sospensione dei brevetti, ma l'Unione Europea, Svizzera e Giappone si sono opposti alla votazione al WTO.

Altrimenti il rischio è far proliferare le varianti, che potrebbero bypassare questi vaccini.

Ma per big pharma il problema sono le materie prime, che iniziano ad essere scarse, citando il caso di Moderna che però non ha liberalizzato il suo brevetto, ha solo spiegato che non avrebbe fatto cause.

Ma oggi, con la pandemia in corso, con i governi che hanno pagato in anticipo la ricerca e la produzione dei vaccini ad aziende private, ha ancora senso parlare di brevetti e di tutela della proprietà intellettuale?

Suerie Moon è convinta che adesso si deve fare lo sforzo di andare oltre questo limite, per tutelare il mondo di domani.

Liberalizzare la produzione dei vaccini significa tutelare anche noi stessi: la variante delta è l'emblema di quello che può succedere in un ambiente con poca vaccinazione.

In India il virus ha trovato le condizioni migliori per mutare: terminata la prima fase sono cessate le restrizioni, niente mascherine né distanziamento e questa è stata la miccia della seconda ondata. In India sono arrivate a morire 4000 persone al giorno, ed era una stima in difetto: la variante delta, causata anche dalla scarsità di vaccini, ha poi attaccato l'Europa.

Eppure l'India è una potenza di fuoco in ambito farmaceutico: qui si producono i vaccini Astra Zeneca, ma ad un prezzo più altro del valore di produzione e così il paese è rimasto senza vaccini, causando anche situazioni di speculazione.

Non possiamo lasciare questa partita nelle mani del libero mercato: per capirlo, Presadiretta è andata assieme ad Amref per seguire la vaccinazione in Kenia.

Dove le persone vivono con pochi dollari al giorno, dove la salute delle comunità è in mano a pochi volontari scelti, dove l'acqua si paga, il governo non garantisce acqua o altri beni primari.

Sono operatori volontari come Patrick che si muovono nelle comunità locali, per spiegare come gestire il covid. Qui sentir parlare di no vax fa quasi rabbia.

Abbiamo fatto solo promesse ai paesi africani, arrivano poche dosi e pure in ritardo, altro che finta generosità da parte della ricca commissione europea.

Metà della popolazione del mondo è rimasta fuori dai vaccini, finché rimarrà questa situazione non potremmo pensare di eradicare il virus: a fine anno si deciderà della sospensione dei brevetti, nella speranza che questa volta il peso di miliardi di persone sia superiore a quello di poche migliaia di azionisti.

L'ultima parte del servizio è stata dedicata al centro oncologico di Nerviano, uno dei punti di ricerca sui tumori più importante in Italia, creato dalla ex Carlo Erba.

I suoi problemi sono nati col passaggio del centro al controllo dei frati dell'immacolata concezione che hanno indebitato il centro, nemmeno la regione Lombardia è riuscita a salvarlo.

Ora il centro di Nerviano è stato acquistato da un fondo cinese e non ci sono garanzie per il futuro.

Futuro che è nero in Italia, sia per il settore farmaceutico, da cui di fatto siamo stati tagliati fuori, sia in generale per la ricerca: dovremmo investire molto di più, come altri paesi europei, come Francia e Germania. Per non essere dipendenti da altri paesi, per vaccini e medicinali. Per la salute degli italiani. Ma evidentemente i governi, compreso quest'ultimo, hanno altre idee per la ricerca.

11 ottobre 2021

Anteprima di Presadiretta – la fabbrica dei vaccini

La storia del vaccino contro il covid è lunga 40 anni, la storia di una molecola RNA messaggero: una gara vinta dagli Stati Uniti e in Europa solo dalla Germania.

In Italia la nostra industria farmaceutica si limita solo a riempir le fiale, perché?

Intanto solo i paesi ricchi hanno il vaccino.

Nel 2022 a dominare la scena in Europa sui vaccini, dopo l'estromissione di Astra Zeneca, ci sono le multinazionali americane: Pfizer con la fornitura di 1 miliardo di dosi e Moderna per altre 150ml di dosi. Entrambe le compagnie con i contratti stipulati con la commissione europea hanno aumentato il prezzo del loro vaccino, come trapela da una rivelazione del Financial Times.

Una fiala di Pfizer ora ci costa 19,50 euro, contro i 15,50 di prima, mentre una fiala di Moderna 25,50 dollari rispetto ai 22,60 dollari precedenti (19 euro).



Per capire se sono prezzi giusti i giornalisti di Presadiretta sono andati a Ginevra da una esperta di politica sanitaria globale a capo del Global Health Center, Suerie Moon: “non c'è una legge che regola i prezzi a livello internazionale, per questo quando i paesi hanno un disperato biisogno di vaccini, come è successo, il venditore ha un forte potere negoziale e può chiedere un prezzo più alto. Per me però idealmente le aziende dovrebbero vendere ad un prezzo vicino al prezzo di produzione, specie durante una pandemia, questa non è una situazione normale e a maggior ragione pperché molte aziende non si sono assunte grandi rischi e non hanno messo molti investimenti di tasca propria. La maggior parte degli investimenti sono arrivati dal settore pubblico, dai governi. Ma davvero non credo ci sia alcuna giustificazione nel far pagare un prezzo alto.”

Secondo un rapporto pubblicato da Publiccitizen, organizzazione statunitense a tutela dei consumatori, produrre un vaccino mRNA costerebbe meno di tre euro a dose, mentre un vaccino a vettore virale, come quello di Astra Zeneca, poco più di 1 euro.

Tutte le case farmaceutiche dei vaccini vincenti hanno fatto affari d'oro: per il 2021 Pfizer prevede un fatturato di 33 miliardi di dollari solo dalle vendite del suo vaccino. Moderna sfiora i 20 miliardi, e sono solo i profitti durante la pandemia – spiega Nicholas Lusiani di Oxfam America: “tutte le aziende comprese Johnson e Johnson e Astra Zeneca hanno dichiarato che quando la pandemia sarà finita non ci saranno più vincoli sul prezzo. Il direttore finanziario di Pfizer ha dichiarato che potrebbero alzare il prezzo a 150-175 dollari a dose, sarebbe un aumento di quasi il 900% sul costo dei richiami.”

Non c'è niente di sbagliato nel profitto di per sé – continua Lusiani - ma ci sono due condizioni: se questi profitti vanno a discapito dell'accesso ai vaccini, allora è un problema. La maggior parte dei paesi poveri non avrà pieno accesso ai vaccini fino al 2024, e la massimizzazione dei profitti delle case farmaceutiche è uno dei responsabili. Il secondo aspetto riguarda ciò che fanno le aziende coi loro profitti, perché è logico pensare che se ci sono stati investimenti pubblici debba esserci anche un ritorno pubblico, un beneficio pubblico, ma non è stato così.

E' giusto trattare un vaccino come un qualsiasi prodotto commerciale, legato alla legge del mercato? E come faranno i paesi poveri?

In Africa al momento sono arrivate solo 67 ml di dosi, a fronte di 1,4 miliardi di abitanti, ma rimane fuori dalla vaccinazione più della metà della popolazione mondiale, altri 2,5 miliardi di persone.

Medici Senza Frontiere sta chiedendo di porre fine alla pandemia togliendo brevetti, per evitare altre morti: per capire l’impatto del covid in Africa, PresaDiretta, insieme ad @Amref_Worldwide , ha seguito sul campo la vaccinazione di massa in Kenya.

E il vaccino italiano, quello che avrebbe dovuto renderci indipendenti dalle multinazionali estere? E' ancora fermo e chissà se vedrà mai la luce: la Corte dei Conti ha bloccato il progetto a metà strada.

Presadiretta è entrata nei reparti di ricerca di ReiThera dove ha incontrato Stefano Colloca, responsabile della ricerca: qui hanno lavorato sul vaccino a partire dalla ricerca sul gorilla, si basa su un principio simile a quelli di Astra Zeneca, Johnson & Johnson o il vaccino russo Sputnik, si usa cioè un virus inattivo di scimmia che contiene le istruzioni genetiche per produrre la proteina spike del Sars-Cov2 e quindi generare gli anticorpi.

Qui sono pronti, con strutture nuove, a produrre fino a 100ml di dosi l'anno, partendo sin dalla materia prima del vaccino, diventando la prima azienda italiana capace di produrre un vaccino anti-covid.

La sperimentazione del vaccino ReiThera si è fermata alla soglia della fase 3, quella che coinvolge migliaia di persone per verificare sicurezza ed efficacia: “stiamo aspettando di trovare il sostegno finanziario per passare alla fase 3, che è quella che costa di più e che noi non possiamo sostenere con le nostre risorse finanziarie, avremmo bisogno di circa 60ml” racconta Colloca, che aggiunge “non è vero che siamo fuori tempo massimo, ci sono le varianti che impazzano, c'è il mondo che ha bisogno di dosi di vaccino, c'è interesse in paesi esteri che hanno difficoltà ad approvvigionarsi del numero sufficiente di dosi e quindi riteniamo che un vaccino come il nostro che ha un costo decisamente più basso di quello dei vaccini RNA possa essere importante.”

Anche perché si conserva in condizioni più agevoli, a 4 gradi, in un normale frigorifero: anche se il vaccino ReiThera non ci avrebbe reso indipendenti, la nascita di un polo industriale avrebbe rappresentato un volano per la ricerca italiana: perché la ricerca è un'attività costosa e rischiosa – prosegue Stefano Colloca – perché non puoi sapere quando inizia a sviluppare un prodotto se avrà successo o no. Questa attività non può essere, specie nel caso di piccole biotech come ReiThera, finanziata a debito, devono essere finanziamenti a fondo perduto, ci deve essere una condivisione del rischio, in cambio si ha un ambiente favorevole alla ricerca sulle biotecnologie e che sarà utile sfruttare nel futuro.

E in questo senso il confronto con paesi come Stati Uniti è impietoso: Moderna è stata finanziata in una fase molto precoce della pandemia con 1,2 miliardi dal governo americano, il finanziamento ricevuto da ReiThera, solo in parte a fondo perduto è di 60ml.

L'industria farmaceutica italiana nemmeno ha partecipato alla gara per arrivare al vaccino, negli stabilimenti presenti in Italia ci si limita a riempire le fiale, tutta la ricerca e la produzione dei principi attivi sono realizzati all'estero.

Lo spiega Guido Rasi, ex direttore dell'Ema, l'Italia ha capacità produttiva zero, ha sviluppato una capacità solo in una delle fase, quella dell'infialamento, ma non è alta tecnologia e dunque non ha voce sulla parte produttiva, che rimane in capo al produttore.

Per fare i vaccini che sono prodotti biologici servono i bioreattori e l'Italia ne ha pochissimi.

L'industria farmaceutica italiana risente della situazione italiana” commenta Silvio Garattini, direttore dell'istituto Negri - “un paese che ha la metà dei ricercatori della media europea, un paese che ha un bilancio per la ricerca che è un'inezia, non abbiamo sviluppato prodotti innovativi da parecchi anni.”

Riccardo Iacona ha intervistato Giorgio Parisi, il celebre fisico italiano che è stato recentemente premiato dal nobel: quest'anno ha lanciato una petizione sulla ricerca italiana, a cui hanno aderito 75mila tra ricercatori e scienziati italiani.

Al giornalista, Parisi spiega che il problema è l'avvenire dei giovani italiani: “ogni anno due o tremila ricercatori italiani di ottima qualità vanno all'estero. Per esempio nel campo dove lavoro io che è la meccanica statistica, dentro il CNRS in area francese gli italiani sono diventati maggioranza rispetto ai francesi, il 37% sono italiani rispetto al 35% di francesi e questo non sarebbe un male se fosse compensato da una equivalente entrata in Italia di ricercatori stranieri. Ma i ricercatori stranieri non ci pensano minimamente, perché l'Italia non è un paese accogliente per i ricercatori, sono meno pagati che all'estero, non ci sono i fondi per la ricerca. Stiamo distruggendo la ricerca di base e stiamo perdendo la quantità di giovani che poi vanno all'estero.”

Ma dopo anni, è stato finanziato il nuovo piano per la ricerca con 2 miliardi e mezzo: “le dichiarazioni che poi ha fatto la ministra Gelmini erano di 1,9 miliardi di fondi che esistevano già a cui sono stati aggiunti 500ml. Quindi tutta la grancassa di Renzi era solo un aumento di 500ml su fondi che erano abbastanza bassi, più della metà vanno in ricerca industriale e il resto sono fondi minuscoli che sono assolutamente insufficienti e ad un livello decisamente inferiore a quello degli altri paesi.”

Eppure è grazie alla ricerca se oggi siamo usciti dal lockdown, se la curva dei contagi è in discesa, se il numero dei morti è molto contenuto (ma sempre alto): ricerca che deve dire grazie anche al lavoro di Katalin Karikò, biologa ungherese, una delle prime a fare ricerche sull'RNA messaggero, la molecola che porta le informazioni del DNA alle cellule scoperta nel 1961. Katalin sin dai banchi di scuola voleva fare la scienziata e fu una delle prime donne ad essere ammesse all'università di biologia: “il DNA sta nel nucleo e contiene tutte le informazioni genetiche che definiscono chi siamo, poi ci sono le proteine fuori dal nucleo che svolgono tutte le funzioni della cellula. Chi chiedevamo chi c'è nel mezzo, chi è che porta le informazioni fuori dal nucleo, è poi lo abbiamo scoperto, l'RNA messaggero.”

E' una sorta di stampino che contiene le informazioni del DNA e le consegna alla cellula affinché esegua gli ordini fabbrichi ciò che c'è scritto, per poi dissolversi (nelle cellule dei mammiferi si dissolve in poche ore).

L'idea della biologa era semplice ma rivoluzionaria: si potrebbe fabbricare dell'RNA sintetico affinché dia alle cellule le istruzioni opportune per fabbricare per esempio insulina in un paziente diabetico. E' da questi studi che si è aperta la strada ai vaccini contro il covid.

Sul Fatto Quotidiano potete leggere un'anticipazione del servizio

Dei quattro vaccini contro il Covid finora autorizzati in Europa, nessuno è fabbricato in Italia a partire dal principio attivo. Da noi, si fa l’ultima parte della filiera, quella che in gergo tecnico si chiama “fill and finish”, cioè la fase di infialamento e confezionamento.

“Quella dell’infialamento non è alta tecnologia. Quindi l’Italia non ha voce in capitolo sulla parte produttiva. La parte produttiva rimane in capo al produttore”. Per Guido Rasi – microbiologo, ex direttore dell’EMA intervistato da Daniela Cipolloni – “la capacità produttiva dell’Italia è zero”.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

26 gennaio 2021

Report – finale di stagione 2020

Ultima puntata per questa stagione invernale: prima di lasciare il passo a Presadiretta, i giornalisti di Report racconteranno degli scontri di questi mesi tra l'Unione Europea e le multinazionali farmaceutiche sui vaccini.

Poi si torna sul piano pandemico con nuove rivelazioni, sulla sottovalutazione del rischio.

Un servizio dedicato alle origini del re dei monopattini e, nell'anteprima, il patto della Lega.

Il patto segreto - L'accordo del 2012 tra Bossi e Salvini

Nel 2014 Bossi e Salvini hanno firmato un accordo, un patto tra vecchio e nuovo, per dare mano libera a Salvini in cambio dei 6 milioni di euro che la nuova Lega avrebbe pagato all'ex senatore Brigandì, avvocato di Bossi.

I patto consentiva a Bossi di continuare a fare politica ma era anche un accordo giudiziario, perché evitava alla Lega di Bossi problemi coi magistrati (visto che poi arrivò il sequestro dei 49 ml).

Luca Chianca è andato a trovare l'ex tesoriere Stefani, ex senatore della Lega ed ex sottosegretario: era anche nel cda della banca Credieuronord, indagato e anche archiviato.

Stefani è un leghista vecchia maniera, Roma ladrona va bene, ma perché Roma rappresentava il potere, poi il potere sono diventati loro.

Report ha trovato le carte dell'accordo privato, firmato anche da Stefani, l'altro firmatario del patto è Brigandì, la cui carriera nella Lega finisce con lo scandalo dei 49 ml.

Dei 49 ml quasi 13 sono stati incassati dalla Lega di Maroni e 800mila euro da quella di Salvini: ma a pagare sono stati Bossi e la sua Lega.

Nel corso di una cena nasce quell'accordo, tra Salvini e Brigandì, da una parte la Lega di Bossi rinunciava i 6 milioni, che l'avvocato reclamava per vecchie parcelle. Ma in cambio Bossi continuava ad avere un ruolo politico.

Ma le cose sono andate diversamente: i 49ml sono spariti, Bossi e Belsito sono indagati e il patto tra Brigandì e Salvini è stato disatteso.

C'era un altro accordo, in cui si garantiva a Bossi la copertura per le sue spese di segreteria (si parla di 400mila euro l'anno): ma il nuovo partito ha messo in cassa integrazione l'ex segretaria di Bossi Cantamessa e gli ha staccato il telefono.

Il nuovo tesoriere Centemero lasciò fuori dalla porta Bossi e la sua segretaria: “per me è stata un'ingiustizia, perché per me, per tutti, tutti dovevano qualcosa a Bossi..”

L'unico punto rispettato del patto è stata la rinuncia alla querela da parte di Salvini, segretario, nei confronti di Bossi. Mentre Belsito ha fatto il processo, lasciato solo dal suo partito, ha pagato lui per tutti.

Il mago di Holbiz (Il re dei monopattini)

Per usare i monopattini si deve scaricare un'app, ci si deve registrare, si inseriscono i dati della carta di credito, e così si può sbloccare il mezzo per iniziare il viaggio.

Il monopattino serviva per decongestionare il traffico e inquinare di meno, per questo le amministrazioni hanno puntato su di lui, senza regolamentarne (nemmeno a livello nazionale) in modo omogeneo il suo utilizzo.

Dietro il monopattino ci sono imprenditori che studiano per essere l'Elon Musk del futuro: uno di loro è sicuramente Salvatore Palella, fondatore della società Helbiz, che è stata uno degli sponsor della cerimonia di insediamento del nuovo presidente Biden.

Helbiz Italia è stata fondata nel 2018 e in pochi mesi diventa in Europa uno dei leader dei monopattini: il nome per questa società è arrivata dalle due parole “help business”, l'idea era trovare un aiuto, un idraulico, un'elettricista attorno a te, poi come tante idee della Silicon valley è cambiata.

Di origini italiane,Palella oggi vive a New York, il suo ufficio è al 32 esimo piano di un grattacielo di Wall Street, dove ha accolto il giornalista di Report in modo “poco amichevole”.

Che tu non sia il benvenuto questo te lo posso dire anche io”: nessuno accoglie Report a braccia aperte, ma in questo caso erano presenti, oltre a Palella, anche i suoi avvocati.

Quello dei monopattini ha un giro d'affari stimato in 30 miliardi nel mondo: dobbiamo essere pronti a monitorare a chi vanno quei soldi, Palella è un imprenditore in tanti settori, ha avuto amicizie sbagliate e amicizie giuste, nel suo cammino.

Dietro Helbiz cosa c'è?

Un broker finanziario ha raccontato le sue relazioni, cominciata al Club 10, una palestra esclusiva, dentro cui è entrato grazie all'amicizia con Ricucci (quello dei furbetti del quartierino), aveva relazioni con Ponzellini (ex presidente di BPM), con Emilio Fede e Lorenzo Pellegrino, AD di Skrill, sponsor del Milan.

Tra i finanziatori trova Riccardo Silva, che ha un fondo di investimento che spazia dal calcio all'immobiliare: Silva investe su Helbiz, ma chi sono gli altri?

La società italiana dipende da Helbiz Dublino che è controllata da una Holding con sede nel Delaware: una struttura offshore, che scherma i veri proprietari.

La società italiana ha i conti in perdita, ha raccontato il consulente Bellavia, la società irlandese è anch'essa in perdita, controlla altre società vuote in Inghilterra e in Serbia: se è in perdita, come si giustificano le fortune di Palella?

Milano è il primo comune che apre le porte a Helbiz: ma al comune conoscono Palella? Hanno fatto controlli sui suoi finanziatori?

Da Milano poi sono arrivati altri accordi con altri comuni in Italia: la legge italiana aveva un buco che di fatto escludeva controlli su queste società di Monopattini.

Palella ha incassato le concessioni dai comuni di Milano, Roma, Salerno .. nessuno gli ha chiesto dei soci, dei soldi: la legge non lo prevede e tutti sono felici e contenti, anche che i soldi finiscono in Delaware, anche se i bilanci non giustificano lo stile di vita in America di Palella.

Come è diventato imprenditore Palella?

Helbiz Inc è stata perfino sponsor della festa per Biden: la sua ascesa nasce ad Acireale, a 19 anni va a Milano, dove fonda la startup Witamine, azienda che vende succhi di frutta.

Finisce coinvolta in una indagine della DDA, ritenuta società di un braccio destro di un boss della mafia: la procura alla fine delle indagini sequestra proprietà e locali per 16 ml, riconducibili al boss Fidanzati.

Il braccio destra era Michele Cilla, legato ai giri della Milano da bere, oggi ai domiciliari: “l'ho creato io [Palella], l'ho messo sotto la mia ala ..”

L'aiuto di Cilla non basta, la Witamine viene messa in liquidazione e così Palella torna in Sicilia e compra l'Acireale calcio, ma anche qui il sogno finisce presto: i giocatori non ricevevano lo stipendio, aspettando il bonifico dal proprietario.

Ad Acireale non ha lasciato un buon ricordo: il giornalista ha raccontato di crediti reclamati da vecchi amici dell'imprenditore, come l'ex autista Rocco Muscolino.

Qual è la verità? Palella ha saldato tutti i debiti, come afferma (ma solo dopo di aver saputo che Report era andata ad Acireale), oppure ha lasciato indietro delle cambiali, dei debiti?

Fatto sta che in pochi anni passa dall'Acireale calcio alle copertine sui giornali.

Ci sono poi le amicizie, alcune imbarazzanti: come Enzo Ercolano, erede della famiglia Ercolano Santapaola, che lo accompagnava quando andò ad incontrare un altro imprenditore, Massimino, da cui voleva comprare il marchio della squadra.

C'è perfino un audio tra Ercolano e Palella, in cui il boss lo insulta per non aver rispettato il patto con Massimino.

Palella non conosceva la parte “dark” di Ercolano, inglesismo per non usare la parola mafia. Ma allora perché si accompagnava con questa persona?

La passione per i bitcoin.

Palella nel 2018 si prende una copertina su Forbes, presso cui Helbiz compra molta pubblicità: presso la rivista spiegano che ci sono stati progetti per 10-12 mila euro al mese, con Forbes e con queste cifre, a quanto pare, si diventa imprenditore di successo.

A Londra Palella presenta una società (ICO) che vendeva servizi, pagati con Bitcoin a chi investiva: anche qui il progetto non va come doveva andare, i token quotati in borsa vengono delistati e gli investitori si ritrovano ad aver perso il capitale.

In America inizia una class action, 20000 persone sarebbero state truffate: Palella ha risposto che le persone dietro la class action sono molte meno e che la società di Singapore avrebbe ridato i soldi a tutti.

La class action non è un problema, anche Facebook ne ha subite molte, e forse si aprirà una class action anche in Italia.

Coi monopattini, Helbiz raccoglie i nostri dati, compreso i dati delle nostre carte di credito: anche questo è un punto che andrà regolamentato, come la questione dei monopattini abbandonati in modo scriteriato sui marciapiedi, un ostacolo per gli ipovedenti.

Il braccio di ferro tra governi e le case farmaceutiche – nelle mani del vaccino

I vaccini attualmente disponibili bloccheranno la malattia o anche il contagio? E quanto dureranno?

In Belgio stanno lavorando ad un vaccino nuovo, sulle basi di quello contro la febbre gialla: “noi invece puntiamo sull'immunità permanente e a bloccare la trasmissione” spiega Johan Neyts, professore dell'università di Leuven in Belgio.

A Leuven non stanno lavorando solo al vaccino ma anche alla ricerca di un farmaco anti-covid: “pensate a quanto successo a Bergamo ad inizio pandemia, a quanto avrebbe fatto la differenza avere un farmaco a disposizione. Abbiamo bisogno di un farmaco specifico contro la famiglia del corona virus, che è molto ampia, potrebbe esserci una mutazione immune al vaccino, o magari la prossima volta emergerà un virus più letale o che colpirà i bambini e noi non possiamo farci trovare impreparati.”

Ma forse per le multinazionali del farmaco conviene più un vaccino che debba essere rinnovato ogni anno, un problema per i paesi del terzo mondo: “i big pharma vogliono fare soldi, ma il problema è più grande che contenere il covid nel mondo occidentale, ci vuole un vaccino che sia utilizzabile in tutto il pianeta, altrimenti il virus potrebbe ritornarci come un boomerang”.

Stiamo pagando il ritardo e l'abbandono degli studi sul coronavirus, osserviamo con preoccupazione le sue varianti: dai documenti di Emaleaks, mail e documenti usciti dall'Ema, Report racconterà del braccio di ferro tra i governi, l'Ema e le case farmaceutiche per l'approvazione dei vaccini. E anche del tentativo di Pfizer che avrebbe riservato al mercato dosi di vaccino di qualità inferiore.

Non è detto che il vaccino sia capace di prevenire il virus, che prevenga anche i casi di asintomatici: per capirlo servirebbe uno studio di farmacovigilanza (e non si capisce se verrà fatto o meno).

Non solo, ci sono dubbi anche sulla percentuale di efficacia dichiarata dalle aziende (e che hanno portato al boom dei titoli in borsa). Se nei Trial avessero cercato anche gli asintomatici, la sua % di efficacia sarebbe inferiore, per capirlo sarebbe bastato fare un tampone ogni settimana a chi si sottoponeva ai trial, ma sarebbe costato troppo a Pfizer e Moderna e così, le aziende han preferito fare in fretta e arrivare subito alla certificazione.

Però le aziende farmaceutiche hanno preso soldi pubblici dai governi, ma senza la dovuta trasparenza: così oggi ti vaccini e non sai nemmeno se riuscirai a proteggere gli altri, dunque è probabile che continueremo ad usare le mascherine.

Gli Emaleaks

C'erano due esigenze quasi contrapposte, dietro l'approvazione dei nuovi vaccini: la necessità di fare test sicuri e dare una approvazione in fretta, per salvare vite umane.

Ci sono state pressioni sugli enti certificatori: sia in Europa e anche nell'America di Trump (contro la FDA).

Ci sono mail, arrivate ad un dirigente di Ema (e di cui Report è venuta in possesso), dove si parla di queste pressioni da parte della Commissione ue, dove si racconta che gli stati membri minacciavano di autorizzare in autonomia i vaccini, scavalcando l'agenzia. C' stata anche la presidente Von der Leyen che a novembre aveva fatto una dichiarazione secondo cui Ema avrebbe approvato i due vaccini di Moderna e Biontech entro il mese prossimo.

Ma Ema ha mantenuto la schiena dritta e Pfizer assicura che non ci sono problemi col suo vaccino.

Ora dobbiamo aspettare i vaccini di Astra Zeneca, su cui noi avevamo puntato: costa meno rispetto a quello di Pfizer ma è ancora in attesa di approvazione.

Quello che si capisce è che tutti hanno venduto la pelle dell'orso prima di averlo cacciato: oggi commissione e governo italiano minacciano azioni legali, ma bisognerebbe vedere cosa c'è dentro i contratti, ma sono tutti ancora secretati.

E se ci sono reazioni avverse, pagano gli stati.

E' un'influenza - Il piano pandemico

L'Oms lo scorso gennaio chiede ai paesi di mettere in piedi tutte le azioni per contrastare questa strana influenza e controllare l'influenza.

Report è entrata in possesso dei verbali delle riunioni del CTS: la task force sceglie di non far scattare il piano pandemico perché doveva decidere la politica.

Poteva scattare l'applicazione del piano pandemico ma invece si scelse di fare uno studio su questa pandemia, sul covid.

Ma noi il piano pandemico non era aggiornato dal 2006, lo dice l'ex direttore generale D'Amario per la prevenzione, dal 2018 al 2020 che, aggiunge, il piano di prevenzione non era una priorità per il governo.

Leggendo i verbali della task force, si comprende anche una certa sottovalutazione del rischio: il Covid era solo un'influenza, dicono Ippolito e Brusaferro.

Avremmo potuto avere un'altra storia con un piano pandemico vero, con una maggiore presa di coscienza del rischio, se il governo e il ministro avessero fatto altre scelte?