10 novembre 2024

Le vie della Katana, di Piero Colaprico

 

Eccola, finalmente, raccolti tutti assieme i racconti scritti in questi anni da Piero Colaprico (con prefazione di Carlo Lucarelli), giornalista e scrittore milanese che in tanti romanzi ci ha mostrato il lato oscuro (e marcio) della città di M. (come il titolo di un suo bellissimo romanzo).

Come racconta Carlo Lucarelli nella prefazione (quasi un racconto a sé), in questa raccolta si smontano alcuni luoghi comuni o pregiudizi: primo pregiudizio, non si tratta di un’opera minore, anzi, ci sono racconti che sebbene abbiano la durata di “un soffio”, poche pagine di lettura, lasciano in bocca quel senso di dolce amaro, penso al ladro “acrobata” innamorato della figlia del capo di una banda criminale. O anche al racconto “Miele, cicoria e pizzini” che racconta un’altra versione della cattura del capomafia Bernardo Provenzano.

Non sono racconti tappabuco, ma storie (vere? Inventate? Chi lo sa..) che hanno un loro senso, una loro dignità, che lasciano qualcosa al lettore.

Secondo pregiudizio, sono racconti veloci: ce n’è uno, “L’uomo cannone” che era già uscito per la collana “Verde nero” qualche anno fa. È un racconto lungo, che inizia con una pattuglia che in piazza Selinunte si imbatte in un uomo tutto sporco di sangue, pensando di aver appena fermato un assassino. Uno strano assassino che non vuole parlare, come se volesse prendersi gioco dei poliziotti, la squadra degli agenti della Mobile, dove di turno è l’ispettore Bagni.

Piano piano questo racconto si allarga, dalla Questura in via Fatebenefratelli ci si sposta nella campagna milanese dove i ricchi imprenditori hanno le loro dimore, fino ad arrivare in Africa, per trasformarsi in una inchiesta sullo smaltimento illegale di rifiuti, al largo delle coste africane, tanto chi si preoccupa della salute di quelle popolazioni? Una storia che ha al centro questo “uomo cannone” attorno a cui ruotano imprenditori criminali, eco mafie e servizi puliti o deviati.

Questi non sono nemmeno racconti leggeri: incontreremo in queste 540 pagina (a proposito, mettetevi comodi e prendentevi tutto il tempo che serve) poliziotti sporchi nella loro “divisa stretta e poliziotti onesti come l’ispettore Bagni, uno che se avesse ceduto ai tanti compromessi chissà dove sarebbe arrivato con la sua intelligenza e sbirritudine.
Troviamo ex brigatisti non pentiti che ora, dopo che si sono rifatti una vita con tanto di famiglia borghese, si trovano a braccetto con ex fascisti (quelli a cui magari volevano spaccare la testa con la Hazet 36) per portare avanti una giustizia non più proletaria ma individuale (“Arrivano i NAM”).
Troviamo, in più racconti, l’ex carabiniere Corrado Genito, capo di una agenzia investigativa (chiamata con un pizzico di ironia Cia, “cotonifici italiani associati”) capace di muoversi in quel sottobosco tra faccendieri dalla faccia pulita e l’anima sporca, mafiosi e ndraghetisti, pezzi dei servizi, buoni e cattivi. E politici coinvolti in giochi di ricatto:

L'investigatore riguardò il sorriso lascivo del fotografo Billy Saracino splendere dalla doppia pagina del settimanale di pettegolezzi pilotati e censurati: “Hai proprio una faccia di m.,” gli disse e cominciò a riflettere. Secondo il generale a quella faccia di m. era riuscito in un'impresa impossibile. Aveva scattato otto immagini molto compromettenti dell'ex premier e con notevole spavalderia aveva rifiutato anche in transazione: “Ormai io sono intoccabile e sull'altro versante politico” aveva detto alla fedelissima segretaria del partito incaricata delle trattative segrete “c'è chi mi ha offerto già un milione..”.

Troviamo Genito anche in “Gli assassini del grammofono”, un racconto ambientato nei mesi del lockdown per il Covid in una Milano straordinariamente silenziosa, dove l'ex carabiniere è costretto a fare i conti con la sua coscienza

Evitabile? Inevitabile? Era una vita che gemito si chiedeva come far andare d'accordo ciò che sarebbe stato meglio non fare e ciò che, al contrario non si poteva non fare. Perché, una volta presa una decisione - evitare o non evitare di incastrare un sospettato; evitare o non evitare di cedere ad una tentazione; evitare o non evitare di ammazzare, di colpire di fuggire di nascondersi - bisognava percorrere andare fino in fondo. Come aveva detto Mario “possiamo scegliere quello che vogliamo seminare ma poi siamo obbligati a raccogliere quello che abbiamo piantato”.

In un altro romanzo incontriamo niente meno che Tremal-Naik, il cacciatore di tigri dei romanzi di Salgari, che ha bisogno di trovare la pace nel suo cuore e questa arriverà solo un’ultima vendetta e una reincarnazione in un uomo di pace (“Gli occhiali di Tremail-Naik”).
Ma a parte qualche escursione, il centro dei racconti rimane Milano, la città di M., la città dentro cui convivono tante city, come racconta la sbirra protagonista di “Bloody Mary”:

Pensavo che in questi ultimi tempi qui a Milano abbiamo visto al potere tanti croupier - penso solo a Craxi, Mani Pulite, Bossi, Berlusconi, Mario Monti, Ilda Bocassini - e spesso sono riusciti almeno per un po' a far girare anche le ruote, per non dire le palline, del resto d'Italia. Pensava il potere unico di questa città, per quanto ha fatto e per quello che è. All'improvviso visto le city.

Ferocity, la città feroce. Malacity, la città della criminalità organizzata. Morbocity, la città dei maniaci, dei porci. Infine Herocity, la città degli eroi che resistono.

Ma, forse, il vero protagonista è il male, non solo inteso come la criminalità, i picciotti e i boss, le ndrine: il male che è dentro di noi. Satana esiste, forse, e va estirpato, non solo con le preghiere, ma anche con la Katana, come si ritrova a pensare l’uomo dei servizi segreti del Vaticano:

Non so se esiste Satana, ma la bestia nascosta nell'essere umano c’è e non ho dubbi. C'è chi tra di noi chi pensa che il mondo abbia bisogno di esorcisti armati di acquasanta, viceversa penso che ci sia bisogno di chi, sotto il saio, nasconde una katana.

Le vie della Katana, come quelle del signore, sono infinite.

Ci sono cose che un giornalista bravo, come Piero Colaprico, cronista vero, uno che si legge le carte prima di scrivere un articolo, non può scrivere nei suoi articoli. Magari per non mettere in imbarazzo le forze dell'ordine da cui arrivano le dritte, per non toccare certi fili che possono essere pericolosi. Perché questo paese non è ancora pronto alla verità, che si parli di piazza Fontana, della mafia al nord, della tragedia di Bologna.

Ecco allora venire in soccorso la scrittura, dove queste storie ai margini tra legalità e crimine, possono travare spazio, quel famoso sottobosco dove criminalità e uomini delle istituzioni si incontrano, magari a braccetto con mafiosi e uomini dei servizi.

La prima volta che mi sono trovato in mano questo libro non ho potuto non pensare al grande Giorgio Scerbanenco, ai suoi romanzi della Milano di fine anni sessanta, dove la vecchia ligera aveva già lasciato il posto alla mafia: qui siamo ad un nuova generazione del crimine in una Milano sempre più globalizzata, dove tutto si incontra, le etnie, le facce, le povertà e pure la criminalità.

Non è un caso allora che Piero stesso, nella sua lunga dedica che mi ha lasciato quando l’ho incontrato alla Passione per il delitto, abbia scritto “Aldo, citi il grande Scerbanenco, qui c’è il passaggio da un crimine a un altro, da lettore trova la soluzione e alla prossima!”
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Feltrinelli
I link per acquistare il libro su Ibs e Amazon


Anteprima inchieste di Report - la servitù energetica, le riforme della giustizia e la terra dei fuochi

Chi sarà avvantaggiato dall’insieme delle norme varate con decretazione di urgenza dal governo Meloni? Poi, a seguire, unìinchiesta sul braccio di ferro tra la regione Campania e la Tunisia sui rifiuti smaltiti sul suo territorio.

Lab Report - L’eolico in Sardegna

Dopo le servitù militari i sardi saranno costretti a subire le servità energetiche?

Ogni regione deve decidere dove costruire gli impianti per le energie rinnovabili: in Sardegna la nuova giunta intenderebbe vietare nuovi impianti eolici anche quelli in esame al ministero.

In Sardegna, oltre agli impianti eolici a terra, sono stati presentati anche 27 progetti di impianti eolici da realizzare in mezzo al mare di fronte alla costa e li sta valutando il ministero dell’Ambiente. In Portogallo ne hanno realizzato uno, ha tre piattaforme galleggianti su cui si innalzano le turbine eoliche, il punto più alto di una pala è 200 metri.

E’ una tecnologia innovativa” racconta a Report Simone Togni, presidente Anev – associazione nazionale energia del vento - “se noi saremo i primi nel mondo a farla, potremmo avere un beneficio industriale.”
Nel mar Mediterraneo non esistono progetti simili a quelli presentati lungo le coste sarde, bisogna immaginare le tre turbine eoliche galleggianti in Portogallo moltiplicate almeno per dieci. I progetti che si contengono il mare di fronte alla Sardegna infatti, prevedono dai venti agli 80 eurogeneratori per impianto.
L’assessore all’urbanistica di Alghero ha mostrato a Report la mappa dell’impianto che si vorrebbe realizzare davanti alla loro costa: questo impianto ha l’estensione pari a tutto il comune di Alghero, oltre 300 km quadrati. Alghero è il comune che ha a che fare con tre progetti eolici a mare presentati di fronte la costa ovest dell’isola: il parco flottante Mistral con 32 aerogeneratori della spagnola Acciona energia global, un secondo progetto denominato Alg con 34 turbine eoliche e il terzo italo svedese , il Sardinian North West che si potrebbe scorgere dal belvedere di capo caccia, “con una modifica palese del panorama” spiega a Report il sindaco.
A che distanza sarebbero dalla costa? Sarebbero a circa 24 km di distanza, secondo il progetto, ma il litorale di Alghero è noto anche come la riviera del corallo, gran parte della costa è protetta dall’area marina di capo Caccia isola Piana. Le pale del progetto Mistral sarebbero alte 300 metri, dunque molto di più che di Capo Caccia.

Ma l’impatto non è solo sul paesaggio marino, l’energia prodotta da questi impianti flottanti deve essere traportata a terra tramite i cavi: uno dei tre progetti davanti Alghero prevede l’introduzione dei cavi dotti che atterra in prossimità del litorale sabbioso, per poi collegarsi alla centrale di Terna. Un altro progetto prevede l’arrivo dei cavi su un terreno agricolo di pregio per i suoi uliveti, un altro ancora prevede l’arrivo dei cavi in prossimità del porto turistico di Alghero, di fronte alle mura del centro storico.

Non possono progetti che hanno impatti di questo tipo essere calati dall’alto” commenta a Report l’assessore all’urbanistica Roberto Corbia.

Gli impianti eolici galleggianti che dovrebbero essere installati al largo della costa nord orientale della Sardegna sono quattro: c’è quello della società Sardegna North East, con 80 aerogeneratori da installare a 24 km dalla costa; il progetto Tibula Energia con 65 aerogeneratori a oltre 25 km; poi ci sono Nurax Wind Power con 33 pale eoliche aoltre 35 km e infine Poseidon Wind Power con 72 pale a oltre 42 km dalla costa. Questi ultimi due sono stati proposti da Eni Plenitude, Cassa Depositi e Prestiti assieme al fondo danese Chip.


Tutte queste torri sarebbero dunque visibili a occhio nudo” – spiega il sindaco di Arzachena Roberto Ragnedda – “e pertanto la provocazione è quella, se vogliono il nostro vento devono almeno rispettare la nostra identità e quindi questi interventi li possono fare ancora più a largo, in maniera da mantenere questo stato delle cose [riferendosi al paesaggio di fronte alla costa] intatto”.
Le società dei progetti assicurano che la percezione visiva delle turbine dalla spiaggia sia ridotta, anche per gli impianti più vicini che, per curvatura della terra, gli aerogeneratori non possono essere visibili. Ma dai calcoli del coordinamento Gallura, le pale eoliche alte fino a 300 metri sarebbero visibili da vari punti della costa, da Porto Cervo, Arzachena e anche dalla terrazza panoramica di capo Coda Cavallo.
“Sarebbe la contrapposizione di un paesaggio naturale con un paesaggio industriale” racconta a Report Agostino Conti del coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica.
Come tutte le regioni la Sardegna deve individuare le aree idonee per la realizzazione degli impianti in tempi più snelli e deve indicare le aree non idonee: in quest’ultime la regione ha previsto il divieto a costruire impianti di fonti rinnovabili, divieto che vale anche per quelli che sono già in fase di valutazione dal ministero dell’Ambiente.
Questa è la posizione della presidente Alessandra Todde: “siamo una regione a statuto autonomo e abbiamo una competenza primaria che è quella urbanistica, sicuramente il governo non può far finta di nulla.”
Dunque il ministero dell’Ambiente si fermerà con queste valutazioni (per progetti sulle aree indicate come non idonee)? “No, perché questa norma non da un ordine di fermarsi agli uffici statali, dice che le procedura di valutazione ambientale quando hanno terminato la fase statale, passano a quella regionale non vanno avanti, si fermano” risponde Massimiliano Atelli presidente della commissione valutazione impatto ambientale.
Dunque in un futuro le procedure adesso in valutazione al ministero si potranno fermare, vale anche per gli impianti eolici offshore.

La scheda del servizio: Dove girano le pale

Per chi vale la riforma della giustizia?

Abolizione dell’abuso d’ufficio, perché così i sindaci possono lavorare in pace. Separazione delle carriere, così i giudici non sono influenzati dai magistrati inquirenti. Divieto di pubblicazione degli ordinanze di custodia cautelare perché siamo garantisti. Stretta sulle intercettazioni, perché tanto i mafiosi non parlano al telefono e non vogliamo origliare nella vita delle persone.

L’insieme delle leggi approvate in tema di giustizia è ben composto: ma siamo sicuri che questi pacchetti renderanno la giustizia più celere e, soprattutto, garantiranno ai cittadini una giustizia che vale per tutti e non solo per qualcuno?

Con la stretta alle intercettazioni ad esempio c’è un limite di tempo di tre mesi per mettere sotto osservazione una persona sospettata di reati. Poi basta. Eppure, come spiega l’ex giudice Casson, anche ex senatore PD, il ministro Nordio è stato sia giudice che magistrato, sa che le intercettazioni sono fondamentali nella lotta contro qualsiasi forma di criminalità a partire da quella terroristica, eversiva, per finire alla criminalità organizzata: “lo sa benissimo perché ha usato per anni e anni, a piene mani, le intercettazioni”, per esempio nell’inchiesta sul Mose di Venezia, contro l’ex presidente Galan e i dirigenti del consorzio che doveva costruire la grande opera sulla laguna di Venezia. Galan, assusato di aver preso tangenti dal consorzio Venezia Nuova, dopo 78 giorni di custodia cautelare, ha patteggiato una pena di due anni e dieci mesi. Il procuratore aggiunto che ha coordinato l’inchiesta era proprio Carlo Nordio.
Galan, oggi ritiratosi nella sua casa in campagna ricorda quei giorni: di fronte alle telecamere di Report accusa l’attuale ministro di aver usato la carcerazione preventiva come strumento di tortura per arrivare al patteggiamento.

Ma è stato anche alle 300 mila ore di intercettazioni che Nordio è riuscito ad ottenere il sequestro di Villa Radella, dello stesso Galan, valutata 2,6 ml di euro all’asta, mentre l’ex presidente dovrà risarcire lo Stato con 5,8 ml di euro.
Perché Galan ha patteggiato la pena? Spiega Galan che è stato per la figlia di sette anni, “mi è stato detto che se non avessi patteggiato loro avrebbero chiesto per me il giudizio immediato e avrebbero potuto trattenermi in carcere e in galera per altri sei mesi, fino ad arrivare a sentenza”. Di fronte a questo, Galan ha firmato..



Report ha chiesto un’intervista al ministro, senza successo: “se fate una domanda su oggi va bene..” ha risposto a Bertazzoni che voleva porgli qualche domanda sulla limitazione delle intercettazioni, sul costo delle intercettazioni, che siamo tutti intercettati. Tutte questioni che altri eminenti magistrati hanno smentito numeri alla mano. Fare le intercettazioni conviene allo stato e, come dimostra l’inchiesta su Equalize, il governo dovrebbe occuparsi di queste agenzie di security, che accedono indisturbate a tutte le banche dati sensibili, per alimentare un mercato delle informazioni privato.
Che ne pensa il ministro? Inseguito ad un evento dove si parlava di violenza sulle donne, tema tra l’altro molto importante, il ministro ha parlato con tanti giornalisti tranne che Report.
Perché il ministro e il suo staf scelgono le domande su cui rispondere ai giornalisti e, a quanto pare, le domande sulle intercettazioni non rientrano tra i quesiti ammessi.

Nemmeno l’ex deputato di Azione oggi tornato a Forza Italia, Enrico Costa, ispiratore e ideatore della “legge bavaglio” ha voluto rispondere alle domande di Report: dall’opposizione ha ispirato la riforma poi attuata dal ministro Nordio, “perché dovrebbe essere compito dell’opposizione non dire sempre dei no” - spiega a Bertazzoni, come a dire che l’unica opposizione buona è quella che anticipa la maggioranza.
Comunque una settimana dopo il tentativo di intervista andato a male, Costa ha annunciato di voler tornare in Forza Italia. Chi invece per ora rimane all’opposizione è Matteo Renzi: anche Italia Viva ha votato la riforma Nordio, come Azione.

Da che parte sta Renzi? “Affermare che non si capisce da che parte sto lo possono dire gli amici di Report con la loro posizione ideologica, io sto sempre dallo stesso posto, sulla questione della giustizia ho sempre detto che sono garantista. Sa chi è che cambia idea una volta si e una volta no? Quelli della destra e quelli della sinistra.. Io da sempre dico che ci vogliono dei limiti alle intercettazioni perché è un diritto umano la privacy.”

Dopo di che se c’è una notizia di reato e servono le intercettazioni, che possono durare più di 45 giorni? “Il pm chiede la proroga e il Gup autorizza..”

Di fatto si rende più complicato l’iter delle indagini, con questi limiti.
A proposito, non mi ricordo un Renzi così garantista nella vicenda Idem, la ministra dello sport del governo Letta, o nella vicenda Marino, l’ex sindaco di Roma. E nemmeno nei confronti dell’insegnante di italiano, colpevole di aver apostrofato male degli agenti di polizia durante una manifestazione di Casa Pound. Quella insegnante andava licenziata.

La scheda del servizio: Oblio di Stato di Luca Bertazzoni

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Chiara D'Ambros, Cristiano Forti, Marco Ronca e Alessandro Sarno

Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Il 25 agosto scorso è entrata in vigore la riforma della giustizia.

Una riforma che ha decretato l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio e un depotenziamento del reato di traffico di influenze illecite. Una riforma che porta il nome del ministro che l’ha fortemente voluta, Carlo Nordio. Entrato in magistratura nel 1977, Nordio ha costruito la sua carriera in una sola Procura, quella di Venezia: l’inchiesta ricostruisce il passato di Nordio come pubblico ministero e analizza quali saranno i cambiamenti dopo le modifiche apportate dalla riforma sulla giustizia. L’inchiesta racconta anche il caso di Rosanna Natoli, ex consigliera laica del Csm in quota Fratelli d’Italia, sospesa dal Consiglio Superiore della Magistratura dopo la diffusione della registrazione di un incontro con la giudice Fascetto Sivillo. Infine, l’inchiesta si occupa della presunta indagine su Arianna Meloni sollevata quest’estate dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Che fine ha fatto il complotto?

A chi conviene la riforma della giustizia – la filiera del tartufo

A chi conviene questa riforma della giustizia?

Report ripercorre l’inchiesta che in Umbria ha portato all’accusa del reato di abuso d’ufficio per la presidente Donatella Tesei: l’inchiesta è stata poi archiviata quando il governo Meloni ha abrogato questo reato. Come racconterà Report, la regione Umbria ha stanziato dei fondi pubblici per la filiera del tartufo, una buona parte di questi sono finiti ad una azienda di proprietà del marito dell’assessora al bilancio, Paola Agabiti, che non si è nemmeno astenuta quando la giunta regionale ha approvato la delibera. In quella azienda era stato assunto il figlio della presidente Tesei che ora si ripresenta alle urne come candidata.
Erano solo delibere di carattere generale – si giustifica l’assessora Agabiti intervistata da Report – nessun atto assegnava le risorse all’azienda del marito, “le questioni morali o di opportunità le faccia ad alcuni esponenti del PD.”

La scheda del servizio: Il tartufo gate di Luca Bertazzoni

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Davide Fonda, Andrea Lilli

Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Nel 2021 la Regione Umbria ha deliberato uno stanziamento di fondi per la filiera del tartufo. ​​​​​​

Quasi la metà dei 10,7 milioni di euro è finita alla Urbani Tartufi, il cui amministratore delegato è Gianmarco Urbani, marito dell’Assessora al bilancio della Regione Umbria Paola Agabiti. Nel periodo in cui veniva predisposto il bando, il figlio della Presidente Donatella Tesei è stato assunto a tempo indeterminato dalla Urbani Tartufi. Per queste vicende la Procura di Perugia ha indagato per abuso d’ufficio Donatella Tesei e la sua Assessora Agabiti. L’inchiesta è stata poi archiviata per l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.

I rifiuti contesi della Campania, la terra dei fuochi e dei ciechi

Bernardo Iovene aveva già raccontato nel 2022 la vicenda dei rifiuti campani inviati in Tunisia per essere smaltiti e che invece hanno portato ad uno scontro diplomatico col governo tunisino

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
L’ambasciatore ha trattato sulla restituzione di 282 container contenenti i rifiuti, che dalla Campania erano stati spediti in Tunisia. Si tratta di rifiuti scarto della raccolta differenziata; devono essere smaltiti in discarica o bruciati nell’inceneritore. Solo che in Italia costerebbe smaltirli - all’epoca costava - 200 euro a tonnellata, in Tunisia te la cavavi con 48 euro. Così la società salernitana di smaltimento rifiuti, la SRA prende contatti con l’omologa tunisina, la Soreplast e, in base a questo accordo, avrebbe dovuto spedire 120 mila tonnellate nel paese nordafricano spendendo invece di 24 milioni, 5 milioni 760 mila euro, più il trasporto. Comunque un bel risparmio. Ma se devi spedire dei rifiuti all’estero, devi sottostare a determinate regole. In questo caso alla convenzione di Basilea che richiede che la Regione Campania contatti i così detti focal point. Si tratta di funzionari del ministero dell’Ambiente, quello italiano e l’omologo tunisino. La Regione Campania ha contattato quello italiano, non l’omologo tunisino. E così che cosa è successo? Che una volta che sono partiti dalla Campania i 282 container, appena sono sbarcati in Tunisia nel porto di Sousse, sono stati sequestrati. Sono stati arrestati il ministro dell’Ambiente, il responsabile, il direttore dell’agenzia dei rifiuti tunisina, sarebbe stato arrestato anche il proprietario dell’azienda tunisina di smaltimento rifiuti se non che è scappato ed è latitante. Ora, Huston, abbiamo un problema: chi paga le giornate di sequestro dei rifiuti al porto tunisino? Chi paga il viaggio in nave? Chi paga l’affitto dei container? Insomma, parliamo di una cifra oltre i 43 milioni di euro. E poi, una volta sbarcati in Italia, dove hanno portato i rifiuti?

Come è andata avanti la vicenda? Parte dei rifiuti parcheggiati nei locali della ditta Soreplast sono bruciati, altri sono tornati in Italia, rifiuti su cui poi è partita una inchiesta della DIA.


Questa storia è solo un pezzetto di una inchiesta più ampia di Report sulla mala gestione dei rifiuti in Campania, Campania Infelix era stata chiamato anche un vecchio servizio sempre del giornalista di Report: regione infelice per i roghi dei rifiuti, come quello
avvenuto a Serre, sulla piana del Sele, col fumo che ha riempito tutta la valle per sette giorni– racconta l’ex sindaco di Eboli, Rosania – colonna di fumo che si alzava dal rogo di una discarica con gomme, plastiche e rifiuti vari, una combustione che sprigiona veleni come la diossina, idrogeno solforato, pm10, pm25, ossido di carbonio.
In quella discarica non c’era un impianto antincendio funzionante – aggiunge al racconto il sindaco di Altavilla Silentina (SA) Francesco Cembalo, “abbiamo assistito all’ennesima sciagura per la valle del Sele”.
Quanto è successo è ancora inspiegabile – è il commento del sindaco di Serre (SA) Antonio Opramolla “come possono incendiarsi dei rifiuti in un comprensorio militare.”
L’area militare era nel comune di Serre ma a ridosso del paese di Altavilla Silentina, dopo l’incendio i sindaci hanno appreso con stupore che l’area dove c’erano i rifiuti non era affidata ai militari, ma data in affido alla regione Campania, una zona della regione dentro una zona militare, la sorveglianza toccava alla regione dunque.
Dunque funzionari della regione hanno fatto in modo che questi rifiuti andassero in Tunisia e tornassero, la regione in quanto istituzione ha deciso di metterli qua, prendendosi una responsabilità ben precisa. I sindaci della zona sono decisi ad andare avanti per tutelare i loro territori, il sindaco di Serre ha fatto già un esposto contro ignoti e chiunque abbia delle responsabilità.
Le interrogazioni all’assessore Bonavitacola sono state fatte anche dal consigliere di opposizione Tommasetti, della Lega: la regione non ha dato alcuna risposta al suo esposto (dove chiedeva conto del mancato controllo da parte della regione).

Nel 2008 Report si era occupato anche di un altro episodio di questa scia di reati contro l’ambiente in Campania: lo sversamento di rifiuti nel canale dei Regi Lagni, per cui vennero condannati per disastro ambientale i fratelli Pellini (titolari di una azienda di calcestruzzi).

Dalla loro azienda ad Acerra la guardia forestale aveva filmato nel 2008 lo sversamento di rifiuti liquidi nel canale, liquidi speciali ovvero scarti industriali: dopo sette anni di processi sono stati condannati a sette anni per disastro ambientale. Oggi, dopo il primo dissequestro dell’impianto seguita ad un nuovo sequestro dei loro beni, i fratelli Pellini hanno chiesto al giornalista un incontro. Questa volta a parlare è un altro fratello, Giovanni, che smentisce la versione data nel 2008 da Cuno Pellini (in una vecchia intervista aveva ammesso che lo sversamento era della loro azienda ma che l’acqua non era inquinata). Quel tubo filmato non è un tubo nostro – dicono oggi a Iovene: a Report i Pellini mostrano delle analisi sul cemento delle case costruite da loro, dove non sarebbe presente amianto, smentendo l’accusa che loro mescolavano al calcestruzzo prodotto l’amianto da smaltire.
Dunque non ci sarebbe mai stato alcun disastro ambientale – sostengono oggi di fronte a Report.

Disastro ambientale che ha un forte impatto sulla salute delle persone: Acerra è la zona dove stanno maggiormente aumentando i casi di tumore in percentuale, anche tra i giovani, rispetto al resto d’Italia.

La scheda del servizio: La Terra dei Fuochi

La Terra dei Fuochi, dei ciechi e dei muti di Bernardo Iovene

Collaborazione di Lidia Galeazzo

Immagini di Paco Sannino e Cristiano Forti

Ricerca immagini di Tiziana Battisti

Grafiche di Federico Ajello

I fratelli Pellini sono stati condannati per il disastro ambientale avvenuto nella zona di Acerra nei primi anni 2000.

Per un problema formale i loro beni sono stati dissequestrati ad aprile di quest’anno, ma grazie alle proteste dei cittadini e su indicazione della procura di Napoli è stato emesso un nuovo decreto di sequestro. Report ha intervistato i 3 fratelli che si difendono e negano tutte le accuse per le quali sono stati condannati a 7 anni, mai scontati, grazie ai benefici e all’indulto. A fine ottobre è iniziato il nuovo processo che potrebbe portare il sequestro di 200 milioni di euro del loro patrimonio alla definitiva confisca. Siamo stati nel territorio dove abbiamo cercato di ricostruire il disastro sia ambientale che quello legato alla salute, Acerra è al primo posto per incidenza delle malattie tumorali, un dato ormai dimostrato e legato all’inquinamento avvenuto negli ultimi trent’anni. Report tornerà a documentare poi la fine dei 212 containers di rifiuti italiani rientrati dalla Tunisia. Nel 2022, contro la volontà popolare, furono stoccati dalla Regione Campania nell'area militare di Persano nel comune di Serre, si temeva quello che poi è accaduto a luglio di quest’anno, sono stati incendiati, e secondo la procura di Salerno si tratterebbe di un incendio doloso.

Il sottosegretario perde il pelo

I giornalisti di Report tornano ad occuparsi dell’ex sottosegretario Sgarbi e su altri quadri finiti in mostre organizzate dal critico d’arte, che risulterebbero rubati. Chi ha dato queste opere a Sgarbi?

La scheda del servizio: Refurtiva in mostra di Manuele Bonaccorsi

Collaborazione di Thomas Mackinson e Madi Ferrucci

Immagini di Marco Ronca

Montaggio di Sonia Zarfati

Grafica di Michele Ventrone

Il 9 ottobre 2024 i Carabinieri hanno sequestrato a Ferrara una importante opera di proprietà di Vittorio Sgarbi.

Una copia seicentesca di Ortolano, dal titolo “Compianto sul Cristo Morto”. Il sequestro, secondo quanto ricostruito da Report e dal Fatto Quotidiano, è avvenuto a Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, tre giorni prima dell’inaugurazione dell’esposizione Il Cinquecento a Ferrara, curata da Vittorio Sgarbi. L’opera, annunciata nel catalogo dell’esposizione, non è attualmente presente in mostra. Ma un'immagine che abbiamo recuperato, dimostra che prima del sequestro si trovava nella sala 9 della prestigiosa sede espositiva. L’Ortolano risultava rubato nel 1984 in un palazzo nobiliare e Bevagna (Pg), ed era di proprietà del signor Paganello Spetia. L’ex sottosegretario alla Cultura, dopo le sue dimissioni dall’incarico di governo in seguito allo scandalo del Manetti rubato, ha mantenuto l’incarico di presidente della fondazione Ferrara Arte, controllata dal Comune di Ferrara.

L’indagine dei nostri inviati ha permesso di ricostruire la probabile presenza di un’altra opera rubata nella collezione privata di Sgarbi, anche questa apparsa nel 2022 in una esposizione.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

03 novembre 2024

Anteprima inchieste di Report - il laboratorio di Israele e le prossime elezioni americane

Stasera Report si occuperà della destra mondiale: quella di Israele, “come laboratorio della destra internazionale”, e di Gaza “usata come laboratorio per testare le armi”. Poi la destra di Trump e le elezioni americane, con un racconto dei rapporti inediti del candidato repubblicano con gli italo americani.

La guerra di Israele a Gaza

Per mesi abbiamo sentito dire, dai giornalisti, gli opinionisti, quelli che ne sanno insomma, che quella di Israele a Gaza era una guerra legittima, in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, con la morte di migliaia di persone e il rapimento di 250 ostaggi.

E le morti civili? Da imputare ad Hamas, questo dicevano nei talk, se liberasse gli ostaggi finirebbe tutto.

Poi, di fronte alle immagini delle macerie, al numero di morti civili crescente, donne e bambini, questa narrazione tossica è diventata insostenibile.
A Gaza, se non è un genocidio, parola tabù fino a poco tempo fa, sta accadendo qualcosa di grave.
“Ho ordinato un assedio totale sulla striscia di Gaza, non ci sarà elettricità, benzina, cibo, chiuderemo tutto, stiamo combattendo contro animali umani e agiamo di conseguenza”: così parlava all’indomani della strage il ministro Gallant con l’annuncio dell’operazione Spada di ferro, l’operazione più sanguinosa messa in atto dall’esercito israeliano, partita con bombardamenti indiscriminati su Gaza e poi passata ad una invasione di terra che sembra non arrestarsi mai. Come aveva detto il ministro, i bombardamenti non stanno distinguendo civili e miliziani di Hamas. Siamo arrivati a 41mila vittime, secondo il ministero della salute di Gaza, la stragrande maggioranza di questi è gente comune, quasi 17 mila sono bambini e, tra questi, quasi duemila avevano meno di due anni.

La parola genocidio è stato un tema divisivo nel dibattito politico dei singoli paesi europei non solo in Italia: Giorgio Mottola ha intervistato il professor Raz Seagal - professore di storia dell’Olocausto, che racconta come gli attacchi contro di lui sono arrivati dopo un articolo sull’attacco di Israele a Gaza, definito un “caso da manuale di genocidio”.
Dopo questo articolo è scoppiato uno scandalo perché alcune associazioni ebraiche del Minnesota lo hanno attaccato sostenendo che la sua posizione sull’attacco lo rendeva incompatibile con l’incarico di direttore del centro studi per l’Olocausto, così pochi giorni dopo il rettore dell’università gli ha scritto ritirando l’offerta di lavoro.



Eppure le posizione di Raz Seagal, presentate nei suoi articoli scientifici sono condivise tra i sessanta più importanti studiosi di Olocausto. Lo scorso dicembre hanno pubblicato un documento in cui spiegano perché a Gaza si stia compiendo un genocidio.
La Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite definisce come autore di un genocidio chiunque compia almeno una di queste cinque azioni, con l’intento di distruggere nella sua interezza o in parte un gruppo etnico o religioso:
- se ne uccide i membri

- se li danneggia fisicamente o psicologicamente

- se infligge condizioni di vita tali da causarne la distruzione

- se ne limita la procreazione

- se ne deporta i figli

A Gaza si assiste alla dinamica della violenza genocida declinata secondo queste cinque azioni : i massimi livelli militari e istituzionali del paese lo hanno annunciato fin dall’inizio in modo chiaro che il loro intento è distruggere Gaza. Sono partiti subito bombardamenti indiscriminati, Israele ha usato le proprie bombe più potenti nel sud di Gaza, nelle aree che aveva indicato come sicure. Migliaia di rifugiati erano adnati lì perché Israele aveva detto ‘andate lì’ e l’esercito poi li ha bombardati. E questo è proprio uno dei casi descritti dalla Convenzione internazionale, creare le condizioni per distruggere fisicamente un gruppo etnico, nella sua totalità o in parte. Non dimentichiamo che il ministro della difesa israeliano ha definito gli abitanti di Gaza come animali, l’indicazione di una intera popolazione civile come nemica è alla base di qualsiasi meccanismo genocidiario. ”
La posizione del professor Seagal e degli altri accademici è stata contestata da una larghissima parte del mondo ebraico e dell’occidente filo-israeliano. L’accusa di genocidio contro Israele viene infatti considerata come un pericoloso segnale di recrudescenza dell’antisemitismo internazionale.

Per mesi ci si è scontrati, anche qui in Italia sulla parola “genocidio”: “certo che non è genocidio, perché chi lo dice fa antisemitismo perché paragona Israele al nazismo” – queste le parole di Fiamma Neirenstein, per anni giornalista ma con anche un’esperienza politica nel Popolo della Libertà, oggi consulente del governo di Israele nella lotta contro l’antisemitismo.
Ci sono stati altri genocidi nel mondo ma – spiega la giornalista – “se lo si riferisce agli ebrei è chiaro che si tratta di criminalizzazione dello stato di Israele e la criminalizzazione degli ebrei è assimilabile all’antisemitismo”.
A spaventarla non sono solo gli episodi di antisemitismo, aumentati del 400% dopo il 7 ottobre, ma anche le manifestazioni in piazza a favore della Palestina.
In queste manifestazioni, spiega al giornalista di Report, si esprime anche odio verso gli ebrei: esprimere una critica allo stato e al governo di Netanyahu è antisemitismo, “sono vent’anni che spiego che l’antisemitismo che prima era religioso, poi è diventato razzista e poi è diventato odio per lo stato di Israele.”

Il servizio di Giorgio Mottola ha ricostruito l’attacco di Hamas del 7 ottobre, preparato con cura e che ha colto di sorpresa le forze militare che presidiavano i varchi delle recinzioni erette nel 2007 che rinchiudono il territorio di Gaza: è stata molto più che una azione terroristica – racconta il giornalista – alle 6 del mattino un migliaio di miliziani iniziano ad attraversare il confine occidentale della striscia, neutralizzano le difese israeliane, i carri armati di giardia e le torrette di avvistamento. Altri miliziani sono arrivati via mare, altri dal cielo con i deltaplani: dapprima attaccano le basi militari, sparando per uccidere i militari e prendendo i superstiti come ostaggi. Poi i miliziani si sono diretti verso sei centri urbani, uccidendo chiunque incontrassero per strada, una volta arrivati nei centri residenziali hanno iniziato a sparare contro le case, senza risparmiare nessuno, donne e bambini. L’obiettivo civile più importante è il Nova Fest, il rave party dove si erano radunati migliaia di giovani. È la mattanza dei ragazzi e delle ragazze, uccisi sul posto o rapiti. 1151 persone uccise di cui 274 i soldati e 859 i civili, tra loro 2 neonati e 46 sotto i diciannove anni. Gli ostaggi catturati sono stati 251 nascosti nei bunker di Hamas a Gaza.
LA risposta di Israele è arrivata subito, annunciata dalle parole del ministro Gallant, con l’operazione Spade di ferro, con una delle operazioni più sanguinose del paese. Coi bombardamenti, coi droni militari, con l’invasione dell’esercito per cancellare Hamas ed eliminare tutti i suoi miliziani. Ma al momento, ad essere cancellata, sembra essere la Striscia di Gaza, con bombardamenti che non discriminano miliziani e civili.


Uno dei passaggi più importanti del servizio riguarderà le armi che Israele usa a Gaza diventata laboratorio bellico della difesa israeliana: armi sperimentate sul campo, sulla pelle dei civili e che poi vengono vendute ad altri paesi, come l’Italia. Ad esempio l’intercettore mostrato nell’anteprima del servizio. Giorgio Mottola ha incontrato ad una “fiera delle armi” un rappresentante dell’ufficio stampa della Elbit System che lodava questo sistema antimissile che consente di localizzare da dove viene l’attacco e lanciare in risposta un missile intercettatore, ora stanno provando a venderlo all’Italia, caso mai anche noi venissimo attaccati, chessò, dalla Francia o dall’Austria. Negli ultimi dieci anni l’industria bellica israeliana ha aumentato del 100% le esportazioni, raggiungendo nel 2023 la cifra record di 12 miliardi di euro, quasi il doppio dell’Italia che è però un paese dieci volte più grande. Israele è il nono esportatore in armi nel mondo, ma in rapporto al numero di abitanti risulta il paese che guadagna più al mondo dall’export di armi (siamo a 1300 euro per abitante, mentre in Italia il rapporto è a 100 euro pro capite).
Shir Hever – economista del movimento BDS (il movimento europeo per il boicottaggio di Israele) racconta a Report come in molti paesi europei il rapporto dell’import export delle armi è 80-20, 80% per uso domestico e 20% per esportazione, in Israele è l’opposto, il 20% delle armi prodotte è per uso domestico, il resto è venduto all’estero.
“Secondo le convenzioni internazionali è vietato vendere o acquistare armi da paesi che sono sospettate di compiere crimini di guerra o peggio ancora che sono accusate di genocidio. Perciò formalmente è illegale comprare armi da Israele ”.
Nonostante questo alla fiera d’armi più grande d’Europa sono esposti pronti per essere venduti i prodotti delle principali aziende israeliane del settore della difesa, come SmartShooter, azienda che usa l’intelligenza artificale per potenziare le armi usate in guerra. Come i fucili montati di telecamera per garantire la massima precisione del tiro, per uccidere le persone. “Si può centrare l’obiettivo al primo colpo” viene garantito: sono armi vendute all’esercito di Israele che vengono usate a Gaza come a dire, sono armi provate sul campo, nel corso di un esercizio bellico reale. Sono armi vendute anche all’Italia: per i clienti è importante sapere che queste armi sono state testate con successo su un vero campo di battaglia: “se vai alla BMW e chiede se la loro macchina è la migliore ti diranno ‘certo è la migliore’, qui in questa fiera ognuno dira che il suo prodotto sia il migliore ma se un esercito l’ha sperimentato sul campo è come avere una recensione indipendente. Se l’esercito israeliano dice usiamo quest’arma sul campo, è fondamentale. Il miglior spot commerciale”.
L’operazione militare a Gaza costituisce il miglior spot commerciale possibile per la maggior parte dei produttori israeliani che stanno rifornendo armi all’esercito di Tel Aviv.
Non ho parole per commentare questa deriva bellicista.

Un altro passaggio del servizio riguarderà lo stretto rapporto tra la destra italiana e i movimenti a supporto dell’attuale governo di Tel Aviv come anche lo stretto rapporto tra la destra italiana con la destra europea: Nazione futura, think tank d’area di Fratelli d’Italia e dell’orbaniano Danube Institute sono, assieme alle fondazioni americane e israeliane, i promotori degli eventi europei dei movimento nazional conservatore che nel 2020 ha avuto il suo battesimo in Italia quando a fare gli onori di casa c’era Giorgia Meloni.

Nell’ultimo caso di “spionaggio”, l’inchiesta su Equalize l’agenzia de security milanese con forti agganci negli apparati di stato e con la politica, è emersa la collaborazione dei servizi israeliani: Report torna ai tempi del governo Renzi, quando l’ex presidente aveva proposto la creazione del’agenzia si cybersecurity nazionale, che doveva essere affidata a Carrai, amico e collaboratore di Renzi e anche console onorazio di Israele, “perché Israele ha tante cose sulla cybersecurity ha tante cose che potremmo copiare”.


Renzi aveva chiesto esplicitamente a Carrai come avrebbe gestito lui questa agenzia, dove avrebbe speso i primi fondi: quest’ultimo replica che la prima cosa da fare è l’adozione di software israeliani per il riconoscimento facciale che analizzando i dati delle telecamere riescono a capire se una persona sta per compiere un reato. Come quelli usati in Cisgiordania. Non è una richiesta casuale, all’epoca il cuore delle aziende di sicurezza di Carrai era in Israele, come israeliani erano i suoi soci, molti dei quali arrivavano dagli apparati di sicurezza.
“Marco Carrai, prima che diventassi presidente, collaborava coi servizi segreti italiani [non israeliani]” ha risposto l’ex presidente Renzi: è una notizia quella che da a Report, ma agli atti (delle inchieste su Renzi) risultano solo i rapporti tra l’imprenditore e dirigenti di Aisi e Aise, come il generale Luciano Carta e il dirigente Beniamino Nierenstain, figlio di Fiamma Nierenstain (nel corso del 2015).
Ma in base ai documenti di cui Report è in possesso, Carrai aveva rapporti stretti anche con Yossi Cohen, una delle figure apicali dei servizi segreti di Israele.
No – spiega Renzi – Cohen era nello staff di Netanyahu non era ancora capo del Mossad e l’ho incontrato io: quando nel 2016-17 è diventato capo del Mossad ha collaborato coi governi Gentiloni, Conte e Draghi.
Cohen, come riporta Il Guardian, avrebbe fatto delle pressioni e rivolto minacce contro un giudice della Corte Penale Internazionale che stava per chiedere l’arresto del premier israeliano per crimini di guerra.

Diversamente da come ricorda Renzi, Cohen era già direttore del Mossad quando Carrai va ad incontrarlo nel periodo della trattativa per diventare capo dell’agenzia di cybersecurity in Italia e il rapporto con Cohen va avanti anche negli anni successivi.
Nel 2019 Carrai scrive a Renzi una mail in cui Cohen, mentre ricopriva l’incarico di direttore del Mossad, si proponeva come intermediario con l’India per le aziende italiane.

La scheda del servizio: Il laboratorio di Giorgio Mottola

Collaborazione di Silvia Scognamiglio e Greta Orsi

Immagini di Omar Awwad, Chiara D’Ambros, Carlos Dias e Alfredo Farina

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Report ricostruisce come Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale

Dopo l'attacco terroristico di Hamas contro postazioni militari e insediamenti civili israeliani il 7 ottobre dello scorso anno, in cui sono morte circa 2000 persone, il governo di Benjamin Netanyahu ha lanciato una campagna a tappeto per colpire Hamas nella Striscia di Gaza. A pagare sono stati soprattutto i civili: secondo le fonti sanitarie di Gaza i morti al momento sono oltre 43.000, almeno 17.000 sarebbero minori. La Corte internazionale di giustizia ha avviato un procedimento in cui lo Stato di Israele è accusato di genocidio. Report ha ricostruito come negli ultimi vent'anni Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale mentre a Gaza le industrie belliche e della cybersecurity israeliane testano le loro armi e i loro prodotti, che vengono poi rivenduti all'estero e anche in Italia.

I sostenitori italiani di Trump

Martedì si vota e mercoledì in Italia sapremo il nome del prossimo presidente americano: potrebbe esserci, nonostante i processi, nonostante le accuse sulle responsabilità per l’assalto al Campidoglio il giorno dell’insediamento di Biden, il ritorno di Donald Trump. Tra l’altro, l’ideologo della sua passata campagna elettorale e anche l’ideologo della nuova destra mondiale, Steve Bannon è stato rilasciato e ora potrà riprendere la sua campagna elettorale per i repubblicani. Potrebbero vincere loro, prendendo voti perfino dalla comunità afroamericana, sicuramente i voti arriveranno dagli italo americani: una volta erano il serbatoio di voti dei democratici, oggi, come racconterà il servizio di Report, in tanti nella comunità italiana votano per Trump (almeno ad ascoltare gli umori della piazza dove si festeggiava il Columbus Day). Un paradosso se si pensa che sono i figli e i nipoti di quanti, tanti anni fa, sono emigrati dal nostro paese per cercare fortuna “all’America”. Un po’ come oggi succede agli emigrati che dal sud del continente vogliono arrivare negli Stati Uniti dovendo affrontare il muro e le tante milizie sovraniste, pronte anche a sparare.
“Trump fa avere rispetto all’America, agli italiani a tutto”, dicono: ma il legame con la comunità degli italiani nasce molto prima di quanto l’ex presidente si buttasse in politica. Risale ai tempi in cui The Donald era un giovane palazzinaro e le famiglie mafiose italiane controllavano il business delle costruzioni.
Lo racconta a Report il giornalista investigativo David Cay Johnston: le relazioni con la mafia iniziano con sui padre, Fred Trump, che dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York City. “All’epoca aveva bisogno di molto aiuto da parte dei mafiosi” continua il racconto “perché l’industria delle costruzioni era, e in una certa misura lo è ancora, controllata dalla mafia. Stringendo un’alleanza con Willie Tomasello, associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, i Genovese e i Gambino, Fred Trump riuscì a garantire che i suoi progetti fossero realizzati senza problemi coi sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. E in cambio Fred Trump li pagava.”
A fare da ponte con la mafia sarebbe stato il suo avvocato Roy Cohn, all’epoca difensore di fiducia dei più grandi boss di N.Y. tra cui Antony Salerno.

A raccontare dei rapporti tra Trump e la mafia di N.Y è anche Murray Richman l’avvocato che per sessant’anni ha difeso tutte le famiglie mafiose della città e ha avuto a che fare coi principali boss della grande mela, proprio come Salerno, boss della famiglia Genovese in passato guidata da Lucky Luciano.
Trump era solito andarlo a trovare – racconta a Report Richman – Trump e Tony Salerno si conoscevano, l’avvocato Roy Cohn li ha messi in contatto.

Nel servizio verrà intervistato John Alite “ex killer della più potente famiglia mafiosa di New York, i Gambino di John Gotti, con alle spalle almeno 7 omicidi e un centinaio di pestaggi ”: anche lui è uno dei supporter dell’ex presidente Trump, aveva anche preso parte all’assalto di Capitol Hill.
Sta con Trump perché sa di avere una sua influenza politica, per quel milione di visualizzazione dei suoi video su Tik Tok.
Lo ammette candidamente, i pestaggi, l’aver sparate a delle persone poi dalla vocazione per i pestaggi è passato alla vocazione politica, con l’assalto al congresso nel 2020 dopo la vittoria di Biden. Cosa succederà se Trump non dovesse vincere? “Vedrai proteste in tutte le strade, come protesteranno queste persone? Alcune in modo violento, altre semplicemente protesteranno per strada, ma non sarà tutto a posto perché sarà la fine della libertà”.
Gira una foto di Alite con Trump che ha causato qualche imbarazzo a Trump, che si è difeso dicendo di non conoscere l’ex killer, ma non è vero. Alite ha incontrato Trump la prima volta negli anni 90, nei suoi casinò, si sono incontrati decine di volte, è stato persino nella villa di Mar-A-Lago.

Un altro sostenitore di Trump è Joe Merlino ex boss della mafia di Philadelphia, oggi influencer e podcaster. La gente lo ama, si fa fotografare con lui, è uno capace di influenza le scelte delle altre persone, per esempio a votare Trump “a tutti i costi”, “il più grande presidente degli Stati Uniti”, se dovesse perdere potrebbe tornare in Italia.
Nei suoi podcast parla di politica, di cibo e di “rats”: chi sono queste persone? Sono quelli che parlano e che lui cerca di smascherare. Si ritiene in ex mafioso? Assolutamente no, “non so niente della mafia, fbi è la mafia..”
Alla domanda del giornalista sugli affari di Trump nelle costruzioni e dei rapporti con le famiglie mafiose l’influencer inizia a cambiare tono, “ti ho detto che non volevo parlare di questa roba”.
Lasciate stare in pace Trump, ripete al giornalista di Report che, come si capisce dal video, non è persona gradita da questo gruppo di sostenitori del candidato repubblicano (con tanto di insulti..).
Un mafioso non perde il vizio di fare intimidazioni, una volta mafioso, sei sempre mafioso, a meno che diventi un pentito: “devo dirtelo, quello che hai fatto è molto poco professionale.. perché parlavi della mafia, cosa c’entra la mafia con tutto questo .. scopriremo chi sei e cosa stai facendo .. se c’è un modo per rovinarti lo faremo. Che ne dici?”.
Insomma, parlare di certi argomenti è tabù, tra i supporter di Trump: le minacce sono il prezzo per aver posto domande scomode agli influencer come Merlino.

Giampiero Calapà sul Fatto Quotidiano ha pubblicato una anticipazione del servizio

Report: l’impero di Trump costruito coi soldi della mafia

alle 20.30 in tv - “Incontrò il boss Tony Salerno”

Di Giampiero Calapà

Donald Trump ha sempre negato di aver incontrato e intrattenuto rapporti con le famiglie mafiose italo-americane di New York City. È una storia di cemento, acciaio, grattaceli, casinò, gangster e soldi, molti soldi, quella che racconta Report – stasera alle 20.30 su Rai3 – riscrivendo parte dell’epopea di The Donald proprio nell’imminenza del voto americano per la presidenza degli Stati Uniti.

Sarebbe già diventato presidente sconfiggendo Hillary Clinton, Trump, se non avesse avuto alle spalle un impero immobiliare da 3,9 miliardi di dollari? domanda Report, fornendo qualche risposta: “Una fortuna che nasce con il padre Fred che ha fondato la Trump Organization, maturata grazie anche ai proventi dei tre casinò costruiti negli anni Ottanta: Harrah’s at Trump Plaza; il casinò di Hilton; l’ultimo nel 1990, il Trump Taj Mahal, il casinò più grande al mondo realizzato con un investimento di un miliardo di dollari. Oggi tutti falliti, ma all’epoca furono la chiave delle fortune di Trump. Con il contributo di chi?”.

Il servizio di Sacha Biazzo fornisce alcune risposte. Al microfono della Rai parla il giornalista investigativo David Cay Johnston, già premio Pulitzer: “La relazione con la mafia italiana a New York iniziò con suo padre, Fred Trump. Dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York. All’epoca aveva bisogno di un grande aiuto da parte dei mafiosi, perché l’industria delle costruzioni a New York era, e lo è ancora, controllata dalla mafia. Fred Trump strinse un’alleanza con Willy Tomasello, un associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, Genovese e Gambino. E così riuscì a garantire che i suoi progetti venissero realizzati senza problemi con i sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. In cambio Fred Trump pagava la mafia”.

La scheda del servizio: Make America Italian Again di Sacha Biazzo

Montaggio e grafica di Monica Cesarani

I collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana

Report ha rintracciato una serie di possibili e mai esplorati collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana, attraverso nuove testimonianze di ex boss della mafia, investigatori, legali, e alcuni strettissimi collaboratori che in passato lavoravano con l'attuale candidato alla Casa Bianca. L'inchiesta svela come, dai tempi della costruzione della Trump Tower ad oggi, Trump non avrebbe mai smesso di dialogare, direttamente o indirettamente, con boss ed ex killer della mafia italo americana. Sarà proposta una prospettiva senza precedenti su come Trump, dai suoi primi affari a Manhattan fino all’attuale corsa elettorale, possa essere rimasto legato a figure di spicco delle famiglie mafiose. Un'inchiesta che porterà a interrogarsi sulla possibile influenza della mafia italo-americana nel determinare il futuro presidente degli Stati Uniti.

L’influenza dei social media sulla democrazia

I social in queste elezioni hanno un ruolo importante: Report racconterà del lavoro di Tanisha Long e della sua associazione, “Abolition Law Center” che si occupa di dare supporto alle persone che escono dal carcere, a Pittsburgh. Qui le persone finiscono direttamente dal Tribunale al carcere, senza vedere la luce. Il suo gruppo si batte da anni contro le terribili condizioni di vita dei detenuti del carcere di Allegheny, offrendo supporto e assistenza a chi non può permettersi la tutela legale e a chi, dietro le sbarre, ha subito abusi e violenze e cerca di ricostruirsi una vita una volta fuori.
“Questo carcere ha il più alto tasso di morti in carcere del paese, nella nostra contea i neri sono il 13% della popolazione, ma rappresentano il 60% dei detenuti”.
È fondamentale sensibilizzare i giovani su questi temi e per questo usano i social network, come Facebook: i contenuti postati prendono pochi like, da pochi mesi – racconta Tanisha – Meta filtra i contenuti con l’intelligenza artificiale tramite immagine e parole. Anche nelle foto, dove lei indossa la Kefiaf riceve meno like del solito, è una sorta di censura.
La nuova policy di Meta che limita la diffusione di contenuti politici penalizza gli attivisti social come Tanisha: su Facebook e Instagram ha portato avanti per anni le raccolte fondi per aiutare chi usciva di prigione.
Un giorno, mentre cercava di raccogliere tremila dollari per un suo assistito, il figlio era morto in prigione e volevano procurargli una lapide. Quando ha pubblicato un post dove spiegava che ra stata la polizia ad ucciderlo, nessuno donava. Allora ha cambiato strategia, creando un post dove invitata i follower a leggere un libro nella didascalia successiva c’era la raccolta fondi e ha funzionato: “i social media ci hanno aiutato ad aumentare il coinvolgimento delle persone anche fuori dalla nostra città”, come successo anche col video della morte di George Floyd.

La scheda del servizio: Meta-Politica di Lucina Paternesi

Collaborazione di Roberto Persia

Immagini di Alessandro Spinnato

Ricerca immagini di Tiziana Battisti

Montaggio di Francesca Pasqua e Michele Ventrone

Grafiche di Michele Ventrone

Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network.

Da febbraio di quest’anno Meta ha deciso di implementare una nuova limitazione sui contenuti di tipo politico su Instagram e Threads, l’ultimo social nato in casa Zuckerberg. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica e l’assalto a Capitol Hill fomentato dalle fake news che circolavano su Facebook, Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network. Ma chi decide cosa è politica? E quali sono le voci che rischiano di sparire dal dibattito pubblico? Viaggio in un’America spaccata in due che si appresta a scegliere il nuovo Presidente tra attivisti, influencer e giovani che reclamano spazi fisici e digitali per esprimere il proprio dissenso.

Fratelli, sorelle e parenti vari d’Italia

Report tornerà ad occuparsi della gestione del ministero della cultura col ministro Giuli: nei giorni passati il ministro ha nominato il suo nuovo capo di Gabinetto, sarà Valentina Gemignani a prendere il posto di Francesco Spano. Moglie del deputato catanese Basilio Catanoso con precedenti incarichi alle spalle nella pubblica amministrazione nel ministero delle Finanze.
Nel servizio si parlerà anche dell'incarico affidato ad Antonella Giuli, che per anni si è occupata della comunicazione del partito e a gennaio è stata assunto all'ufficio stampa della Camera. 

La scheda del servizio: La Sorella d'Italia di Giorgio Mottola

Collaborazione di Greta Orsi

Immagini di Fabio Martinelli

Montaggio e grafiche Giorgio Vallati

Report torna con novità importanti sulle vicende che hanno coinvolto la recente gestione del Ministero della Cultura.


Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

01 novembre 2024

Il passato è un morto senza cadavere di Antonio Manzini

 

Incipit (grazie a incipitmania)

«Rocco? Sali che è pronto».

«Mo vengo, ma’».

«Mo vengo è adesso! No fra due ore».

«Sto a aggiusta’ la bici».

«Quale bici? Tu non ce l’hai ’na bici!».

«Quella de Furio. Ha bucato».

«E se è de Furio, falla aggiusta’ a lui e vieni su che la pasta se scoce!».

«A ma’?».

«Che c’è?».

«Pò magna’ pure Furio da noi?».

«Pò magna’ sì. A Patrizia dopo la chiamo io».

«Signo’, so’ Furio. Mamma a casa non c’è. È annata al San Gallicano, dice che prima delle tre nun rientra».

«E allora vie’ su co’ Rocco, fijo, che magnamo subito. Lasciate giù la bicicletta, forza un po’!».

«A ma’, se lasciamo giù la bici nun ce ritrovamo manco la gomma bucata».

«E allora portatela su, che ve devo di’? Sul pianerottolo però, sinnò se entra la bici uscimo noi».

«Va bene, ma’… salimo».

«Va bene signo’. Grazie».

«E de che, Furio? Addo’ nun se magna in tre, nun se magna manco in quattro».

Onestamente, non mi ricordo più a che numero siamo nella serie di Antonio Manzini con Rocco Schiavone, ma poco importa: quest'ultimo conferma la direzione che l'autore ha voluto dare alla sua creatura, un uomo che vive col ricordo del suo passato che riesce ad abbandonarsi alle spalle e con un futuro davanti che non vuole vedere.

Sin dall'inizio si viene proiettati in questa dimensione dei ricordi della sua gioventù romana, altri ricordi faranno capolino qua è la nelle pagine di questa nuova indagine che, da lettore, sembra non finire mai, quanto è intensa è lunga.

Un'altra giornata ad Aosta stava per cominciare e Rocco aveva solo voglia di spararsi un colpo alla tempia per non vedere più albe così belle.

Ecco, questo è il sentimento in questo novembre per il nostro Rocco: i ricordi, Marina che viene a trovarlo ogni tanto, ricordandogli che deve vivere, non cullarsi nel passato. "Nazireo" è la parola che gli lascia, in quel loro gioco privato sulle parole sconosciute.

Ma non è facile lasciarsi tutto alle spalle: la fine di Marina, la fine del rapporto con Sebastiano, tutto quel fango dentro cui è costretto a sguazzare. E anche il presente non invoglia a sentirsi leggeri: l'ultima indagine in cui si era imbattuto in questi attivisti dell'ambiente, ELP, aveva acuito quel velo pessimismo sul suo futuro e, in generale, su quello di questo mondo.

La fine del pianeta lo amareggiava più dell'idea della sua morte. Non si era mai sentito necessario, ma un ospite di passaggio il cui unico compito era lasciare tutto in ordine pulito come l'aveva trovato, il leitmotiv dei cartelli appesi nei cessi degli autogrill.

A peggiorare le cose sarà l’arrivo dell'ennesima "rottura" del decimo livello - secondo quella che la sua personale classificazione degli eventi peggiori che possono capitargli, ovvero un omicidio da risolvere.

Si tratta di un ciclista che viene trovato in fondo ad una scarpata, investito da un'auto pirata che non si è fermata a soccorrerlo.

No, non è un incidente come tanti altri (sempre troppi): non ci sono tracce di frenate, non c'erano problemi di visibilità in quel tratto di strada e, come gli conferma Michela Gambino, la responsabile della scientifica, l'auto ha cambiato corsia per impttare la bici. Si tratta di omicidio.

E non sarà un caso semplice: il morto si chiamava Paolo Sanna, non si capisce che lavoro faceva per vivere, aveva dei parenti, ma lontano da Aosta, una fidanzata a Mestre da cui si era lasciato. Aveva girato diverse città, negli anni.

E, cosa che colpisce Rocco, la sua casa sembra quella di un residence: impersonale, vuota, fredda.

Cosa aveva davanti? Un uomo che sembrava non abitare la sua casa, non avere un lavoro, che cambiava spesso residenza, città, a volte paese. Sportivo, ma neanche troppo. Una specie di ectoplasma che viveva ai margini della società, slegato da rapporti sociali o amorosi, e al contrario degli altri esseri umani, non aveva voglia di lasciare traccia del suo passaggio.

Tocca iniziare un'indagine partendo dalle poche tracce lasciate: i parenti, la fidanzata, quegli strani (perché particolari e fatti tanti anni prima) tatuaggi sul corpo, un pugnale e una scritta in latino che recita più o meno "su ciò che è stato fatto non puoi tornare indietro".

A cosa si riferiva questo Paolo Sanna? A quale "fatto" del suo passato?

A questa indagine parteciperà tutta la squadra, perfino Caterina Rispoli dal ritorno dal matrimonio con quello che Rocco ha definito come lo “gnu” (Rocco deve trovare per ogni persona l’equivalente animale). E poi tutti gli altri, Scipioni, Deruta, Casella (e il figlio di Eugenia abile coi commputer e nelle ricerche ai limiti della legalità). E poi D'Intino, bruciato dall'esperienza con Pupa e che ora, per trovare una compagna, si decide ad iscriversi ad un sito di incontri.

Ma serve una scheda con cui presentarsi, con tanto di hobby:

«Hobby?» chiese spiazzato D’Intino.

«Sì, che ti piace fare?»

«L'amore!» e preso un altro calzoncello.
«Madò… Sei fesso? Se a una le scrivi così pari un maniaco sessuale. No, che ti piace, tipo lo sport? Il cinema? I libri?»

«Mettici ferramenta» rispose a bocca piena.

Casella storse un poco il capo. «Un negozio?».

«Mi piace andare a guardare gli attrezzi nei ferramenta, senza accattà niente, però.»

Partendo dai numeri di telefono lasciati sulla sua rubrica e su altri “strani” numeri, l'indagine su questo fantasma porterà Rocco in giro per il nord Italia, Udine, Ancora, Vercelli. Fino a l’Aquila, la città del terremoto del 2009, la città dove le persone non si sono dimenticate di quello che è successo nella notte del 6 aprile. La gente qui ha la testa dura, ancora ha voglia di ricordare:

«Ricordare che cosa?»

«Chi ci ha lasciato la buccia, chi ha costruito con la sabbia del mare, eppure a ricordasse che il settimo paese più industrializzato del mondo in tanti anni ancora non è riuscito a ricostruire una delle più belle città d'Italia. Fanno bene alla memoria cose così.»

Questo fantasma era un uomo che aveva paura, si stava nascondendo da qualcuno che aveva a a che fare col suo passato (ancora una volta viene fuori questo tema) e con quello delle altre vittime di una mano omicida che sembra seguire un filo comune. Un filo che lega queste morti e che porta ad un cimitero in un paesino sperduto nel Friuli, Erbacore, sopra Cividale.

La veda come una collana o tutte le pietre che sono i sei cadaveri mi manca il filo di collegamento che le tiene unite.

Ma c’è un’altra indagine che Rocco è costretto a seguire, anche facendosi aiutare dai suoi due amici, gli ultimi fratelli che gli sono rimasti, Furio e Brizio: riguarda la sparizione della giornalista Sandra Buccellato. Cosa è stato quello con Sandra, un rapporto finito troppo presto, una storia che non è mai sbocciata per colpa della paura di lanciarsi nel vuoto da parte sua?
Di certo Sandra non è stata solo una delle tante, altrimenti vederla assieme a quello strano personaggio nel ristorante di Ettore l’avrebbe lasciato indifferente. Invece no: è un campanello d’allarme quello che inizia a suonare nel suo cervello, quell’uomo – con la faccia da rana, sempre per il suo gioco di paragonare le persone ad animali – ha qualcosa che lo inquieta.

Campanello d’allarme che, quando Sandra sparisce per diversi giorni, diventa quasi una questione personale.

Tocca muoversi, per salvare Sandra, la principessa che col bacio avrebbe potuto salvare Rocco, nelle vesti del bello addormentato e in questa ricerca frenetica e feroce, non c’è tempo per rispettare le leggi e nemmeno per perdersi dietro i discorsi filosofeggianti di un amico della famiglia Bucellato che sembra sapere tante cose della sparizione della giornalista.

Come finirà la caccia al fantasma Paolo Sanna? E come finirà la ricerca di Sandra Bucellato? Riuscirà Rocco a liberarsi da quel fardello pesante, quel passato che lo costringe a vivere con la testa perennemente voltata indietro?

Sto dicendo che la tua paura di vivere ammazza anche gli altri. Facci i conti, una volta per tutte. Io, francamente, sono stanca di ripetertelo?

Lascia stare i morti – gli dice Marina in quell’ultimo incontro – parla coi vivi che stanno accanto a te e richiedono il tuo amore.

C’è il peso del passato in questo romanzo, ma anche lo sguardo duro e disincantato di Rocco sul presente: un paese che non sa pensare al domani, che non ha mai avuto una vera rivoluzione e dove, anzi, a parlare di rivoluzione è stato il fascismo ma in modo reazionario e il terrorismo rosso, coi suoi cattivi maestri

Un paese che sembra non volersi interessare alle cose importanti, un po’ come Rocco che, in un finale molto dolce e molto malinconico, si trova a camminare solitario per le strade deserte di Aosta.

La poesia di D'Intino

A Natale so' vinte tutte le tombole e tu sì cchiu bona della pasta 'nghe le vongole”

Domenico D’Intino, agente di polizia e poeta

La scheda del libro sul sito di Sellerio

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