11 febbraio 2020

L'ultima canzone del Naviglio di Luca Crovi


Incipit

«Lassa sta la spiciula, slandrun.» 
Il ragazzo non sembrava sentire. 
L’uomo ribadì il concetto: «Uè, gandula, fa no el pirla e lassa sta la spiciula». 
Il giovane era già montato sul sellino della bici. 
«Ehi, che vuoi fare?» 
Il ciclista lasciò cadere la borraccia dalla quale stava sorseggiando l’acqua raccolta alla fontana proprio davanti al cimitero di Musocco. 
Il ragazzo si era messo a pedalare a tutta velocità. 
«Malnatt d’un malnatt, se ti prendo ti concio per le feste!» 

Luca Crovi prosegue il suo viaggio attraverso la Milano di fine anni 20, negli anni del regime fascista, attraverso i racconti, le indagini, del commissario Carlo de Vincenzi, investigatore ideato dallo scrittore Augusto De Angelis che Luca ha riportato in vita.
Ciascun racconto può essere letto come un pezzo a sé stante, e ci tramanda un pezzo di storia di quella Milano così distante da quella moderna: il Naviglio ancora scoperto attraverso cui viaggiavano le merci e anche certi traffici poco legali.
L'arrivo del generale inverno nel 1929, che seppellì Milano sotto un bello strato di neve.
La nascita dell'Autodromo di Monza, completato in cento giorni nell'estate autunno del 1922.
L'arrivo delle auto che rombavano nelle vie della città, rubando spazio alle carrozze e alle bici, anche quella del commissario. La bici era un mezzo importante, che consentiva spostamenti facili per la città: la spiciola (così si chiamava in dialetto milanese) faceva gola anche ai “malnatt”, i ladri che facevano la posta nei parcheggi, come davanti la Scala.
Per questo c'erano persone come il Franco Vanni, a fare da custode:
«Certo» rispose il Vanni dirigendosi verso la Scala. Era li che da qualche tempo aveva trovato impiego come custode. A lui toccava il compito di controllare che nessuno ciulasse le bici dei ricchi. Era un impiego ben pagato che il Vanni svolgeva con perizia evitando che qualche slandrun mettese le mani sulle spiciule del pubblico. Quella sera, fra le altre, ricevette in custodia la bici del sciur De Vincenzi. L'avrebbe difesa con i pugni e con i calci.

Mescolando qualche pizzico di invenzione con fatto storici reali, seguendo le indagini del poeta di San Fedele, attraversiamo la città in lungo e in largo, attraverso quartieri che non esistono più, come il Bottonuto, zona malfamata proprio dietro Palazzo Reale.
Leggiamo dei rapporti difficili tra il maestro Arturo Toscanini e il regime fascista: era stato candidato nelle liste dei Fasci Italiani di combattimento con Mussolini e Marinetti, ma poi se ne era distaccato, disgustato dall'atteggiamento delle squadracce, dal regime che pretendeva di mettere becco su tutto, dall'insegnamento alla musica.
Nel 1922, alla prima della Scala, si rifiutò di suonare Giovinezza, l'inno fascista, alla fine della prima.
Fu chiamato in prefettura dove si incontrò con Mussolini stesso: sappiamo tutto questo per i documenti che ci sono rimasti e così possiamo sapere che in quel faccia a faccia, il maestro non guardò mai il presidente del Consiglio, distratto da una macchia nera sul muro, metafora della trasformazione in cui stava sprofondando il paese.
Eppure, se avesse davvero guardato Toscanini, il duce avrebbe capito che non stava fissando lui. Per tutto il tempo, infatti, il maestro osservò una macchia nera sul muro che gli sembrava racchiudere in sé il senso di quello che stava succedendo.

I rapporti divennero sempre più tesi, prima con uno scontro ai funerali dell'amico Giuseppe Gallignani, a cui il regime aveva revocato il posto al Conservatorio di Milano perché non aveva la tessera del partito.
E, infine, lo scontro a Bologna, quando ancora una volta si rifiutò di suonare Giovinezza.

La Milano di quegli anni com'era, dunque?
C'erano poche auto, era molto più tranquilla, le strade venivano pulite dagli spazzini, che arrivavano dalla Brianza a raccogliere la “ruera”, tutti i rifiuti che venivano separati e, se possibile, anche riciclati.
Ma c'era uno sporco, nella città, che forse nemmeno l'occhio allenato del commissario sapeva vedere. A differenza di quanto ha tramandato la propaganda fascista, la corruzione in città aveva raggiunto livelli preoccupanti: non si trattava dei ladri di strada, che De Vincenzi conosceva bene, era la corruzione che viaggiava a braccetto coi vertici del partito fascista meneghino.
Il Negher riprese a parlare riducendo la voce a un sussurro: «Voi non ve ne siete accorto, perso come siete dietro ai crimini di strada, ma il fascismo è una grande organizzazione di affaristi. Tutti pensano a rimpinguare le proprie tasche svuotando quelle degli altri.»

Come per l'indagine sulla bomba alla fiera campionaria del 1928, anche questa indagine su traffici di denaro falso e di cocaina viene stoppata dall'alto, quando De Vincenzi si avvicina troppo a certe divise di nero vestite, a certi personaggi della milizia che in città facevano il bello e il cattivo tempo.
Arrivando perfino a minacciare, di persona, il commissario.
Tempi difficili per la città e tempi duri per il paese: tempi duri anche per poeti come il nostro De Vincenzi. Per bloccare certi traffici e anche strani suicidi erano avvenuti lungo le sponde del Naviglio, l'amministrazione comunale aveva deciso per l'interramento del Naviglio, la cui musica delle acque sarebbe stata soffocata dal cemento, sopra cui sarebbero state costruite nuove strade.
La chiusura del Naviglio e l'arrivo della metropolitana avrebbero rivoluzionato la vita in città. De Vincenzi si trovò a pensare che, in quel periodo, come in questura i poliziotti erano imbavagliati, così anche Milano con quel decreto era in qualche modo privata della sua anima. Quella era davvero l'ultima canzone del Naviglio. L'ultimo momento in cui si sarebbe potuta ascoltare la sua voce.

De Vincenzi si ritrova nuovamente nella stessa situazione dell'anno passato, quando l'inchiesta sulla bomba alla Fiera fu bloccata: lo stesso accade ora con la sua indagine sulle monete contraffatte, sui traffici di droga (il famoso Vino Mariani spacciato energizzante, una bevanda a base di foglie di coca che il regime aveva vietato) che dalla Ligera puntavano diritto fino ai vertici locali del partito fascista.
De Vincenzi non aveva dimenticato la strage. E non aveva dimenticato nemmeno le vittime che non avevano avuto giustizia. Aveva continuato a monitorare da lontano le indagini dei colleghi. Visto la polizia fascista sostenete la "pista rossa" e cercare responsabili dell'attentato tra i membri della cellula clandestina comunista che aveva base tra Parigi e Mosca.De Vincenzi, invece, sapeva benissimo che i responsabili erano altri.

De Vincenzi si trova solo a riflettere sotto la fontana delle Quattro Stagioni dove, un anno prima durante la Fiera Campionaria era esplosa una bomba che aveva causato diverse vittime: anche in questo caso a De Vincenzi era stato fatto capire che era bene che le indagine non toccassero certe persone (la strage alla Fiera Campionaria rimane uno dei misteri italiani).
Qui, presso la Fontana De Vincenzi incontra l'ex commissario Carmelo Camilleri, che gli confida la medesima amarezza per essere stato estromesso dalle indagini sulla strage
«Ci sono due sentimenti che un poliziotto non dovrebbe mai provare: rabbia e dolore.»

In questo romanzo assistiamo, impotenti, all'ultima canzone del Naviglio ma ci imbatteremo anche nella bella addormentata di Sant'Ambrogio
Dalla neve spuntava una mano il Martucci scaccia la paura e si fece coraggio, sperando di trovare qualcuno ancora vivo inizio a scavare in fretta sotto la prima neve soffice ce n'era una più dura. Qual è schiacciata di Ci vogliono 10 minuti per liberare il corpo di una bellissima donna, mi sembra addormentata e provo a scuoterla la sconosciuta rimase rigida immobile era morta.

E' il cadavere di una bella donna, moglie di un boss della Ligerà milanese, implicata in uno di quei traffici che, ufficialmente per la propaganda fascista, non esistevano.
Perché, quando c'era lui, nessuno rubava.

Ci sono altri due momenti del romanzo, tra i tanti, degni di essere citati: quando De Vincenzi, particolarmente ispirato, racconta al “Pinza”, ufficialmente uno a cui dovrebbe dare la caccia, la sua concezione di poliziotto
«Dicono che l'Italia sia un paese di Santi poeti navigatori e Briganti.» 
«In queste notti in cui Nulla viene tutta viene io mi sento vivo perché mentre la grande Milano dorme proprio come adesso che noi stiamo parlando i drammi sono infiniti, anche se non tutti sanguinosi. I più terribili non sono quelli che culmina in un colpo di Rivoltella di coltello.»

E i tumulti durante i funerali del maestro Giuseppe Gallignani, amico di Toscanini, suicidatosi dopo che il governo Mussolini lo aveva rimosso dal Conservatorio di Milano poiché non aveva mai preso la tessera del partito

.. così gli animi si erano riscaldati ancora quando un professore di musica, che era stato uno dei suggeritori dell'ingiusto decreto di Gentile, si era presentata al funerale nella speranza di tenere un discorso commemorativo. Toscanini non gli aveva dato occasione di parlare e Nel mezzo del cimitero aveva strappato gli appunti che il musicista teneva in mano. Li aveva stracciati, gettati a terra e calpestati. Poi gli aveva urlato in faccia: "Vergogna! Vergogna! Lei è un uomo senza alcuna dignità! Non ha diritto di aprire bocca, se ne vada!".

L'ultima canzone del Naviglio è un racconto di racconti, di storie criminali ma anche di storie di solidarietà e dolore, dove emerge sia l'anima nera di Milano, nera anche per le camicie dei fascisti che avevano mano libera per la città.
Ma c'è anche spazio per raccontare l'anima solidale, la Milano col cuore in mano, quella che accolse migliaia di senza tetto, di orfani, di sfollati dopo la prima guerra mondiale.
La stessa umanità che emerge dalla visione che De Vincenzi ha del mondo, per il suo sentirsi vicino agli ultimi, a coloro che hanno subito soprusi da parte dei prepotenti.

Come nel precedente romanzo, anche questo termina, ed è giusto così, con una bella mangiata del commissario con tutti i suoi amici, al termine di un'operazione di giustizia un po' fuori dai regolamenti.
Cena con al centro della tavola un bel piatto di Bruscitti, la carne vicina all'osso che deve essere cotta a lungo, mangiata con la polenta e innaffiata con un bel bicchiere di Barbera.

Altri post sul libro


Il precedente romanzo di Crovi con protagonista il commissario De Vincenzi: L'ombra del campione

La scheda sul sito di Rizzoli
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