18 febbraio 2020

Presa diretta – Il polmone blu

Prima dell'inchiesta sulla salute dei mari, un servizio sugli abusi di parti cesarei.

Il primo respiro

Da dieci anni c'è stato un abuso di questa pratica, il 32% dei parti del 2018 è stato fatto col cesareo.
È un intervento che serve, in taluni casi, per salvare la salute della madre e dei bambini: oggi la sua facilità di esecuzione porta ad un suo uso eccessivo, molti medici non sono più abituati a seguire un parto naturale.
Nel lungo termine i bambini nati in modo naturale stanno meglio: meno malattie e meno tumori, per esempio.
Il parto naturale è da preferire: ci sono sostanze che passano dalla madre al bambino, il bioma umano, che passano dal condotto vaginale in un contatto che avviene solo alla nascita, con cui si passano questi micro-organismi che costituiscono le prime difese immunitarie.

La Campania è una regione dove si praticano molti cesarei, circa il 75%, molti dei quali in strutture convenzionate come Villa Cinzia, dove si prendono più soldi dalla regione col parto cesareo.
C'è un motivo economico dietro la scelta del cesareo?
Dal 2015 c'è stato un richiamo dalla regione che ha portato ad un controllo maggiore sui parti: la regione di De Luca ha dato due anni di tempo per le strutture convenzionate di rientrare nella norma, riducendo i cesari.


Il mare assorbe il calore della terra, la co2, ma il riscaldamento della terra, l'inquinamento, rendono sempre più difficile questo compito.
Il mare ci dà da vivere, ci protegge: eppure abbiamo depredato i mari e li stiamo cambiamento per sempre. L'oceano vale di più di tutte le foreste del mondo, più dell'Amazzonia.

Presadiretta ha viaggiato sulla nave Tara, dove hanno condotto delle ricerche sugli oceani: hanno osservato il microplancton, che producono il 50% dell'ossigeno che respiriamo.
Alessandro Macina ha intervistato il biologo francese Eric Carcenti, ideatore della missione che ha spiegato l'importanza del plancton, che è alla base della catena alimentare, che cattura la co2 pulendo l'aria, ma l'inquinamento sta uccidendo il plancton, che si nutre delle microplastiche.

Al laboratorio europeo di biologia molecolare – EMBL, un'eccellenza della ricerca sostenuta da fondi comunicati, Alessandro Macina ha incontrato i ricercatori che analizzano i microorganismi nel mare in collaborazione con la missione Tara: sono loro che hanno lanciato l'allarme.
Per colpa del riscaldamento, il plancton sta perdendo la capacità di darci ossigeno: “una temperatura più alta” - racconta Bianca Silva una delle ricercatrici - “aumenta il metabolismo dei microorganismi che vivono nei mari, che quindi consumano più ossigeno, paradossalmente c'è meno ossigeno nel mare e questi organismi ne hanno bisogno di più, in un circolo che fa che ci sia sempre meno ossigeno a disposizione”.
Quanto sta diminuendo l'ossigeno in mare?
In media, negli ultimi 50 anni è diminuito del 2%, sembra poco ma in realtà è tantissimo, perché piccole diminuzioni di ossigeno hanno grandi effetti. Ma questa è una media, ci sono alcune zone dove è diminuito anche del 40%, ci sono anche zone dette “zone morte”, queste sono quadruplicate”.

In queste zone aumentano le specie marine che hanno bisogno di meno ossigeno, come le meduse: l'aumento di gas serra porta anche a queste conseguenza.
Una delle zone rosse in Italia si trova nel golfo davanti Venezia, le altre sono alle foci dei grandi fiumi.

Si stanno studiando anche gli effetti dell'innalzamento della temperatura del mare, come il Mediterraneo: la Nato sta studiando gli effetti dei cambiamenti climatici, che saranno sicuramente legati a cambiamenti geo-politici dei paesi che si affacciano sul nostro mare.
Aumenta la temperatura del mare, aumenta anche la Co2: fino a quando riusciranno a “sequestrare” l'anidride carbonica nell'atmosfera?
Come potrebbero peggiorare gli scenari sui cambiamenti del clima e dei suoi effetti sulle nostre coste?
Già quest'anno abbiamo visto uragani, cicloni nel nostro Mediterraneo che in questi 50 anni si è riscaldato di due gradi.

All'isola D'Elba Greenpeace ha installato una struttura marina per la misurazione della temperatura: in superficie, in inverno siamo già a 19 gravi, che rimangono a 18% anche fino a 35 metri.
Ci sono specie che sono sparite, come la “pinna mobilis”, uccisa da un batterio sviluppatosi col crescere della temperatura.

Tutte le aree marine protette dovrebbero avere strutture simili per il monitoraggio: attorno al fondale di Genova sono esplose le mucillagini che hanno distrutto i fondali.
Ad Ischia piante marine come la Gorgonia sono state eliminate da un fenomeno nuovo, le ondate di calore marino.
Lo ha spiegato la ricercatrice Maria Cristina Gambi: il calore accumulato in superficie, va in profondità e questo uccide gli organismi sui fondali, portando ad una progressiva estinzione delle specie marine.

Nel Mediterraneo iniziano ad arrivare specie aliene: sono specie aggressive che arrivano dal mar Rosso, ad esempio, transizione facilitata dall'allargamento del mar Rosso.
Le nuove specie sono monopolizzatrici che rischiano di stravolgere l'ecosistema attuale: è uno degli studi del ricercatore Dominici che ha spiegato come al crescere della temperatura, il metabolismo dei pesci ha un tracollo.
Un mare più caldo e anche più corrosivo, perché siamo riusciti pure a modificare il suo ph: stiamo parlando delle barriere coralline che oggi sono a rischio, per questa decalcificazione.

All'Enea hanno simulato cosa succederà ai nostri mari se non cambiamo le cose: nel 2079 arriveremo ad una temperatura cresciuta di 4 gradi, il mare non riuscirà più a “respirare”, come un essere umano che si trova in affanno.

Cosa stiamo facendo per affrontare questo problema?
Le grandi lobby del petrolio stanno facendo di tutto per rallentare la transizione dal fossile alle rinnovabili.

Nel frattempo nemmeno le aree protette sono del tutto sicure: Presadiretta è andata a Ventotene, dove è proibita la pesca e l'attraversamento con le barche.
Sono riusciti a salvare la foresta di Poseidonia: questa pianta produce ossigeno, rallenta il moto ondose riducendo l'erosione, fa da nursery per la crescita dei pesci.

Ma in Italia le aree marine protette non sono enti gestori, come i parchi nazionali: non c'è sorveglianza, non ci sono biologi.
Dovremmo tutelare 27 aree marine, ma solo sulla carta, perché ne proteggiamo solo una parte: il budget complessivo per queste è di 3 milioni di euro, mentre in Francia questa è la cifra che è destinata ad una sola delle aree.

Dobbiamo proteggere il mare, non basta mettere sulla carta il nome “area protetta”: proteggere il mare e i suoi abitanti, come i cetacei del santuario tra Italia a Francia, molto più utili degli alberi nel pulire la co2, se proteggiamo le balene, dunque, proteggiamo anche noi.

La prosperità della natura è anche la nostra prosperità.

C'è anche un altro problema: l'innalzamento del livello dell'acqua del mare.

Se l'acqua cresce come livello, non sparisce solo Venezia, ma spariranno anche tante altre località costiere in Italia.
Le immagini dell'acqua alta a Venezia, lo scorso anno, hanno fatto il giro del mondo: l'acqua alta c'è sempre stata, ma mai con questa frequenza e con questa crescita, esponenziale.
Eventi che hanno portato poi all'esplodere dello scandalo del Mose, 6 miliardi di euro spesi per una struttura che potrebbe non salvare Venezia.
Le zone più fragili sono quelle centrali, di piazza San Marco, che si allaga già quando l'acqua sale fino a 110 centimetri.

Il mare è salito di 26 cm ogni anno, anche perché sono sprofondati i sedimenti su cui si poggia la città: a fine secolo la città potrebbe sparire, già nel 2050 se volessimo salvare le tante opere d'arte dovremo spende 1 miliardo l'anno.

Venezia, Napoli, Cagliari, Brindisi, Palermo. E poi Taranto, La Spezia, la pianura Veneta e quella Pontina, quella del Sele in Campania.
Dobbiamo abituarci ad un futuro di eventi eccezionali?
Ai ghiacciai che si sciolgono, all'espansione (termica) degli oceani, a temperature sempre più alte?

Se non applichiamo gli accordi di Parigi, la rotta di non ritorno sarà prossima.
Possiamo solo agire sulla velocità di crescita dei mari, tornare indietro sarà impossibile.

Già oggi ci sono posti bellissimi che stanno sparendo o sono spariti.
Un terzo delle nostre coste è già esposto ad erosione, come l'ovest della Sardegna e la parte sud della Sicilia, ad Agrigento.

Fiumi cementificati, porti costruiti in zone sbagliate, significa meno sabbia che arriva al mare: mare che si mangia pezzo dopo pezzo la spiaggia, il bosco, la flora marina.
Un danno anche per le attività legate al turismo in queste zone del paese.

Come successo ad Agrigento, lungo la costa, dove il mare sta mettendo a rischio anche l'autostrada principale che collega la città col centro dell'isola, dove le spiagge sono a rischio balneazione per i crolli.

Come successo ad Oristano, dove a rischio c'è il sito archeologico di Tarros, la penisola di San Marco: luoghi vulnerabili per l'innalzamento del mare, che in questi venti anni è cresciuto di 2 centimetri almeno.

Oggi stiamo prendendo in considerazione questi cambiamenti climatici, che poi causano gli esodi di massa di popolazioni: “effetto serra uguale effetto guerra”.

Il servizio è andato poi a mostrare quello che sta succedendo nell'Artico, la regione del mondo che sta salendo in modo più veloce al mondo: i ghiacci si sciolgono e portano alla luce tanti tesori del sottosuolo, che oggi politici criminali vorrebbero estrarre, andando ad aggravare ancora di più la situazione dell'ambiente.

Oggi sull'Artico si sta combattendo una battaglia geopolitica: solo la ricerca scientifica salverà l'Artico e il mondo, non politici senza scrupoli.
Non abbiamo più tempo, non possiamo farci rubare il futuro dalle lobby del petrolio, da politici predatori, da finti scienziati negazionisti.

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