Prima dell'inchiesta sulla salute
dei mari, un servizio sugli abusi di parti cesarei.
Il primo respiro
Da dieci anni c'è stato un abuso di
questa pratica, il 32% dei parti del 2018 è stato fatto col cesareo.
È un intervento che serve, in taluni
casi, per salvare la salute della madre e dei bambini: oggi la sua
facilità di esecuzione porta ad un suo uso eccessivo, molti medici
non sono più abituati a seguire un parto naturale.
Nel lungo termine i bambini nati in
modo naturale stanno meglio: meno malattie e meno tumori, per
esempio.
Il parto naturale è da preferire: ci
sono sostanze che passano dalla madre al bambino, il bioma umano, che
passano dal condotto vaginale in un contatto che avviene solo alla
nascita, con cui si passano questi micro-organismi che costituiscono
le prime difese immunitarie.
La Campania è una regione dove si
praticano molti cesarei, circa il 75%, molti dei quali in strutture
convenzionate come Villa Cinzia, dove si prendono più soldi dalla
regione col parto cesareo.
C'è un motivo economico dietro la
scelta del cesareo?
Dal 2015 c'è stato un richiamo dalla
regione che ha portato ad un controllo maggiore sui parti: la regione
di De Luca ha dato due anni di tempo per le strutture convenzionate
di rientrare nella norma, riducendo i cesari.
Il mare assorbe il
calore della terra, la co2, ma il riscaldamento della terra,
l'inquinamento, rendono sempre più difficile questo compito.
Il mare ci dà da
vivere, ci protegge: eppure abbiamo depredato i mari e li stiamo
cambiamento per sempre. L'oceano vale di più di tutte le foreste del
mondo, più dell'Amazzonia.
Presadiretta ha
viaggiato sulla nave Tara, dove hanno condotto delle ricerche sugli
oceani: hanno osservato il microplancton, che producono il 50%
dell'ossigeno che respiriamo.
Alessandro
Macina ha intervistato il biologo francese Eric Carcenti,
ideatore della missione che ha spiegato l'importanza del plancton,
che è alla base della catena alimentare, che cattura la co2 pulendo
l'aria, ma l'inquinamento sta uccidendo il plancton, che si nutre
delle microplastiche.
Al laboratorio
europeo di biologia molecolare – EMBL, un'eccellenza della
ricerca sostenuta da fondi comunicati, Alessandro Macina ha
incontrato i ricercatori che analizzano i microorganismi nel mare in
collaborazione con la missione Tara: sono loro che hanno lanciato
l'allarme.
Per
colpa del riscaldamento, il plancton sta perdendo la capacità di
darci ossigeno: “una temperatura più alta” - racconta Bianca
Silva una delle ricercatrici - “aumenta il metabolismo dei
microorganismi che vivono nei mari, che quindi consumano più
ossigeno, paradossalmente c'è meno ossigeno nel mare e questi
organismi ne hanno bisogno di più, in un circolo che fa che ci sia
sempre meno ossigeno a disposizione”.
Quanto sta
diminuendo l'ossigeno in mare?
“In
media, negli ultimi 50 anni è diminuito del 2%, sembra poco ma in
realtà è tantissimo, perché piccole diminuzioni di ossigeno hanno
grandi effetti. Ma questa è una media, ci sono alcune zone dove è
diminuito anche del 40%, ci sono anche zone dette “zone morte”,
queste sono quadruplicate”.
In
queste zone aumentano le specie marine che hanno bisogno di meno
ossigeno, come le meduse: l'aumento di gas serra porta anche a queste
conseguenza.
Una
delle zone rosse in Italia si trova nel golfo davanti Venezia, le
altre sono alle foci dei grandi fiumi.
Si
stanno studiando anche gli effetti dell'innalzamento della
temperatura del mare, come il Mediterraneo: la Nato sta studiando gli
effetti dei cambiamenti climatici, che saranno sicuramente legati a
cambiamenti geo-politici dei paesi che si affacciano sul nostro mare.
Aumenta
la temperatura del mare, aumenta anche la Co2: fino a quando
riusciranno a “sequestrare” l'anidride carbonica nell'atmosfera?
Come
potrebbero peggiorare gli scenari sui cambiamenti del clima e dei
suoi effetti sulle nostre coste?
Già
quest'anno abbiamo visto uragani, cicloni nel nostro Mediterraneo che
in questi 50 anni si è riscaldato di due gradi.
All'isola
D'Elba Greenpeace ha installato una struttura marina per la
misurazione della temperatura: in superficie, in inverno siamo già a
19 gravi, che rimangono a 18% anche fino a 35 metri.
Ci
sono specie che sono sparite, come la “pinna mobilis”, uccisa da
un batterio sviluppatosi col crescere della temperatura.
Tutte
le aree marine protette dovrebbero avere strutture simili per il
monitoraggio: attorno al fondale di Genova sono esplose le
mucillagini che hanno distrutto i fondali.
Ad
Ischia piante marine come la Gorgonia sono state eliminate da un
fenomeno nuovo, le ondate di calore marino.
Lo ha
spiegato la ricercatrice Maria Cristina Gambi: il calore accumulato
in superficie, va in profondità e questo uccide gli organismi sui
fondali, portando ad una progressiva estinzione delle specie marine.
Nel
Mediterraneo iniziano ad arrivare specie aliene: sono specie
aggressive che arrivano dal mar Rosso, ad esempio, transizione
facilitata dall'allargamento del mar Rosso.
Le
nuove specie sono monopolizzatrici che rischiano di stravolgere
l'ecosistema attuale: è uno degli studi del ricercatore Dominici che
ha spiegato come al crescere della temperatura, il metabolismo dei
pesci ha un tracollo.
Un
mare più caldo e anche più corrosivo, perché siamo riusciti pure a
modificare il suo ph: stiamo parlando delle barriere coralline che
oggi sono a rischio, per questa decalcificazione.
All'Enea
hanno simulato cosa succederà ai nostri mari se non cambiamo le
cose: nel 2079 arriveremo ad una temperatura cresciuta di 4 gradi, il
mare non riuscirà più a “respirare”, come un essere umano che
si trova in affanno.
Cosa stiamo facendo per affrontare
questo problema?
Le
grandi lobby del petrolio stanno facendo di tutto per rallentare la
transizione dal fossile alle rinnovabili.
Nel
frattempo nemmeno le aree protette sono del tutto sicure:
Presadiretta è andata a Ventotene, dove è proibita la pesca e
l'attraversamento con le barche.
Sono
riusciti a salvare la foresta di Poseidonia: questa pianta produce
ossigeno, rallenta il moto ondose riducendo l'erosione, fa da nursery
per la crescita dei pesci.
Ma in
Italia le aree marine protette non sono enti gestori, come i parchi
nazionali: non c'è sorveglianza, non ci sono biologi.
Dovremmo
tutelare 27 aree marine, ma solo sulla carta, perché ne proteggiamo
solo una parte: il budget complessivo per queste è di 3 milioni di
euro, mentre in Francia questa è la cifra che è destinata ad una
sola delle aree.
Dobbiamo
proteggere il mare, non basta mettere sulla carta il nome “area
protetta”: proteggere il mare e i suoi abitanti, come i cetacei del
santuario tra Italia a Francia, molto più utili degli alberi nel
pulire la co2, se proteggiamo le balene, dunque, proteggiamo anche
noi.
La
prosperità della natura è anche la nostra prosperità.
C'è anche un altro problema:
l'innalzamento del livello dell'acqua del mare.
Se
l'acqua cresce come livello, non sparisce solo Venezia, ma spariranno
anche tante altre località costiere in Italia.
Le
immagini dell'acqua alta a Venezia, lo scorso anno, hanno fatto il
giro del mondo: l'acqua alta c'è sempre stata, ma mai con questa
frequenza e con questa crescita, esponenziale.
Eventi
che hanno portato poi all'esplodere dello scandalo del Mose, 6
miliardi di euro spesi per una struttura che potrebbe non salvare
Venezia.
Le
zone più fragili sono quelle centrali, di piazza San Marco, che si
allaga già quando l'acqua sale fino a 110 centimetri.
Il
mare è salito di 26 cm ogni anno, anche perché sono sprofondati i
sedimenti su cui si poggia la città: a fine secolo la città
potrebbe sparire, già nel 2050 se volessimo salvare le tante opere
d'arte dovremo spende 1 miliardo l'anno.
Venezia,
Napoli, Cagliari, Brindisi, Palermo. E poi Taranto, La Spezia, la
pianura Veneta e quella Pontina, quella del Sele in Campania.
Dobbiamo
abituarci ad un futuro di eventi eccezionali?
Ai
ghiacciai che si sciolgono, all'espansione (termica) degli oceani, a
temperature sempre più alte?
Se non applichiamo gli accordi di
Parigi, la rotta di non ritorno sarà prossima.
Possiamo
solo agire sulla velocità di crescita dei mari, tornare indietro
sarà impossibile.
Già
oggi ci sono posti bellissimi che stanno sparendo o sono spariti.
Un
terzo delle nostre coste è già esposto ad erosione, come l'ovest
della Sardegna e la parte sud della Sicilia, ad Agrigento.
Fiumi
cementificati, porti costruiti in zone sbagliate, significa meno
sabbia che arriva al mare: mare che si mangia pezzo dopo pezzo la
spiaggia, il bosco, la flora marina.
Un
danno anche per le attività legate al turismo in queste zone del
paese.
Come
successo ad Agrigento, lungo la costa, dove il mare sta mettendo a
rischio anche l'autostrada principale che collega la città col
centro dell'isola, dove le spiagge sono a rischio balneazione per i
crolli.
Come
successo ad Oristano, dove a rischio c'è il sito archeologico di
Tarros, la penisola di San Marco: luoghi vulnerabili per
l'innalzamento del mare, che in questi venti anni è cresciuto di 2
centimetri almeno.
Oggi
stiamo prendendo in considerazione questi cambiamenti climatici, che
poi causano gli esodi di massa di popolazioni: “effetto serra
uguale effetto guerra”.
Il
servizio è andato poi a mostrare quello che sta succedendo
nell'Artico, la regione del mondo che sta salendo in modo più veloce
al mondo: i ghiacci si sciolgono e portano alla luce tanti tesori del
sottosuolo, che oggi politici criminali vorrebbero estrarre, andando
ad aggravare ancora di più la situazione dell'ambiente.
Oggi sull'Artico si sta combattendo
una battaglia geopolitica: solo
la ricerca scientifica salverà l'Artico e il mondo, non politici
senza scrupoli.
Non abbiamo più tempo, non possiamo farci rubare il futuro dalle lobby del petrolio, da politici predatori, da finti scienziati negazionisti.
Non abbiamo più tempo, non possiamo farci rubare il futuro dalle lobby del petrolio, da politici predatori, da finti scienziati negazionisti.
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