09 febbraio 2020

Fermate Camilleri! - da L'ultima canzone del Naviglio


L'anno scorso abbiamo ricordato i cinquant'anni della strage di Piazza Fontana, la bomba fascista, le morti innocenti, i depistaggi della polizia e dei servizi per coprire i responsabili e addossare le colpe sui “rossi”.
Quasi cinquant'anni prima, nell'aprile del 1928, sempre a Milano una bomba fatta esplodere di fronte alla fontana delle Stagioni in piazza Giulio Cesare causando 16 morti e diversi feriti, la strage alla Fiera Campionaria.
Fa impressione scoprire come le indagini sulle due stragi, abbiamo seguito lo stesso corso: la finta pista rossa, le retate fatte dalla polizia, le botte e i pestaggi agli arrestati.
Come per piazza Fontana, alla fine ci si rese conto che i responsabili di quella bomba andavano trovati altrove, negli ambienti fascisti, ma le indagini furono stoppate : della bomba, delle indagini depistate e bloccate ne ha parlato Luca Crovi in un suo romanzo, “L'ombra del campione”, con un commissario De Angelis (inventato dalla penna dello scrittore Augusto De Angelis) costretto ad accettare questa sconfitta.
Immagine presa dal sito dei caduti della Polizia di Stato

Un anno dopo, nel nuovo romanzo “L'ultima canzone del Naviglio” (Rizzoli Editore), lo ritroviamo silente e amareggiato, di fronte alla statua dell'estate, alla fontana delle Stagioni: siamo nel 1929 e il fascismo è già diventato regime fascista, con le veline ai giornali, la stretta alle notizie, il Parlamento chiuso.
De Vincenzi non aveva dimenticato la strage. E non aveva dimenticato nemmeno le vittime che non avevano avuto giustizia. Aveva continuato a monitorare da lontano le indagini dei colleghi. Visto la polizia fascista sostenete la "pista rossa" e cercare responsabili dell'attentato tra i membri della cellula clandestina comunista che aveva base tra Parigi e Mosca.De Vincenzi, invece, sapeva benissimo che i responsabili erano altri.

De Vincenzi, ancora una volta, si trova di fronte al vero volto del regime fascista, per una indagine che riguarda un traffico di droga che tocca i vertici milanesi del partito fascista.
Ancora una volta viene bloccato, viene perfino minacciato, sotto casa: c'è poco da scherzare, con le camicie nere, che non accettano che qualcuno si immischi nei loro affari.
Seduto di fronte alla fontana, Luca Crovi lo fa incontrare con l'ex commissario Carmelo Camilleri, un cugino (vero, non sulla carta) del padre del "maestro" Andrea Camilleri.

«Ci sono due sentimenti che un poliziotto non dovrebbe mai provare: rabbia e dolore.» 
De Vincenzi si girò e riconobbe l'ex commissario Carmelo Camilleri. Lo aveva incrociato qualche volta in questura. A quell'uomo era toccata in sorte l'indagine sui fatti di piazza Giulio Cesare dopo i rilievi preliminari della polizia ferroviaria. Quel poliziotto era giunto a Milano preceduto dalla fama di gran picchiatore. Questo aveva preoccupato De Vincenzi. Ma era bastato vederlo all'opera per cambiare idea su di lui. Carmelo era un mastino cocciuto e incorruttibile. 
«Se sei un commissario» continuò il siciliano, «la rabbia e il dolore non puoi gestirli. Sgretolano la tua integrità di pubblico ufficiale e ti colpiscono al cuore. Di solito o impazzisci o ti giri dall'altra parte per non guardare.» 
«Perché me lo sta dicendo Camilleri?» domandò De Vincenzi turbato. 
«Perchè lei vive in questo momento lo stesso tormento che ho vissuto io. Prova una rabbia immensa nei confronti dei colpevoli a cui ha dato un volto e che non può sbattere dentro. Prova rabbia nei confronti dei suoi superiori che le hanno chiesto di volgere lo sguardo altrove, e priva dolore indicibile nei confronti delle vittime che non avranno giustizia.» 
«Non pensavo che fosse uno psicologo.» 
«Una volta non lo ero. Non ragionavo, eseguivo gli ordini e basta. Dopo la morte di mia figlia in Sicilia ho dovuto fare i conti con il mio essere padre, e uomo. Quando mi sono trasferito a Milano ho capito qual era la mia vera essenza di poliziotto.» 
«Se ne è accorto mentre lei e i suoi uomini procedevano a quattrocento arresti forzati subito dopo la strage?» 
«Presi dalla fretta di individuare i colpevoli, abbiamo operato a caso, interrogato a caso, picchiato a caso. E devo confessarle che sento ancora addosso il sangue di quelli che abbiamo pestato.» 

«Finché respiro credo che non abbandonerò quegli innocenti e credo che anche lei, De vincenzi, si comporterà nello stesso modo. Bisogna solo aspettare il momento opportuno.»
 
«Spesso tocca attendere anni per avere giustizia.» 
«Un poliziotto non può aspettare, ma un uomo sì. Soprattutto, un uomo d'onore.» 
De Vincenzi rimase in silenzio. 
«L'ho seguita» continuò Carmelo «per dirle che capisco come si sente, conosco la rabbia e il dolore che prova. Tenga duro, però, non si pieghi, non si lasci confondere, e nemmeno corrompere. Hanno paura di lei così come adesso hanno paura di me. Non possono toccarla, e lei non può toccare loro.» 
«Non è facile trovare la forza di reagire.» 
«Prima che mi costringessero a dimettermi, mi è capitato di leggere per caso un telegramma indirizzato al prefetto. Quel messaggio mi ha trasmesso un ulteriore forza. Era un'informativa che arrivava dal capo del governo e che conteneva due sole parole: "Liquidate Camilleri!". In basso c'era una sola sigla chiara e inconfondibile: M.» 
«Che ingiustizia» sibilò il poeta del crimine a denti stretti. 
«Lei deve impedire che arrivi un altro telegramma con su scritto: "Liquidate De Vincenzi!".»

Sicuramente, le amarezze dello zio poliziotto che si scontrò col regime fascista, hanno ispirato il nipote scrittore nel modellare il suo commissario, quel Salvo Montalbano così “comunista arraggiato”.

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