L'anteprima della puntata è stata
dedicata alle sigarette elettroniche: sono meno pericolose di
quelle normali? Se uno le usa, poi smette di fumare ?
In America 25 persone (che usavano
queste sigarette) sono morte, ma non per le sigarette elettroniche in
sé, ma per il contenuto liquido che veniva inalato.
Sono presenti sul mercato da un
decennio e sono state pensate per distogliere dall'uso delle
sigarette normali: molti dei consumatori usano la versione con
nicotina, che dà dipendenza.
Oltre a questo, ci sono i metalli
pesanti che sono inalati dal fumatore e cambiano anche la qualità
dell'aria: tra questi anche le formaldeide, sostanze tossiche per
l'organismo.
I produttori sostengono che con le
sigarette elettroniche abbattono le sostanza tossiche del 90%, che è
un buon risultato.
Ma solo il 14% dei fumatori ha smesso
di fumare le sigarette normali, secondo i dati della sanità: c'è un
altro dato preoccupante e che riguarda l'uso che ne fanno i giovani.
Il mercato ha un giro d'affari da 600ml
di euro, con una tassazione più bassa rispetto alle sigarette
normali, questo le rende molto accattivanti, anche tra i ragazzi che
non hanno mai fumato.
Le sigarette col tabacco riscaldato
sono sigarette che fanno un aerosol col tabacco: nessuna combustione,
per le sigarette prodotte da Philip Morris, che le intende per far
smettere di fumare le persone.
Ci sono rischi inferiori, rispetto alle
sigarette a combustione, ma il rischio rimane: al momento sono
600mila gli italiani che le usano.
I ricercatori dell'istituto nazionale
dei tumori le hanno studiate e hanno scoperto che anche queste ultime
emettono formaldeide nell'atmosfera, ma meno rispetto alle sigarette.
In Italia le sigarette riscaldate hanno
una tassazione inferiore a quelle normali: dovremmo favorire chi
smette di fumare, sostiene il governo, che però ha lasciato la
tassazione così com'era.
Cambiamo la scuola di Sabrina Carreras
Della scuola si dovrebbe parlare tutto
l'anno, non solo ora che sono chiuse per il coronavirus: Presadiretta
stasera si dedicherà alla didattica, per capire se sono sempre
adeguate per formare studenti competenti.
La vecchia didattica è quella
dell'insegnante alla lavagna e gli alunni che prendono appunti.
Nozioni da studiare e ripetere e che poi si dimenticano.
E' questa la lezione corretta?
L'apprendimento profondo non si dovrebbe fare così ci dice la
scienza: gli studenti non possono essere tenuti inchiodati ai banchi,
senza partecipazione non si impara veramente.
Presadiretta è andata in Finlandia
per capire come si insegna: niente studi serrati, niente stress, ma
si mette al centro la partecipazione dei ragazzi, che sono stimolati
nel capire.
Ma ci sono tante Finlandia anche da
noi: scuole dove si fa una didattica in modo diverso che la
giornalista Sabrina Carresas ha visitato.
Alessio Pigali ricercatore, Francesca
Colavita la biologa, Samantha Cristoforetti l'astronautica: hanno in
comune aver studiato nella scuola pubblica che ha prodotto tante
eccellenze.
Ma oggi, secondo l'OCSE, solo un alunno
su 20 sa comprendere un testo.
Racconta Roberto Ricci, direttore delle
prove Invalsi: “oggi dalla scuola secondaria escono persone non
formate, la vera sfida è alzare l'asticella dell'apprendimento per
tutti in modo omogeneo”.
Eppure gli studenti italiani studiano
molto: la giornalista ha ascoltato alcuni studenti romani, che
raccontano di settimane di stress, di lezioni in cui si ascoltano
contenuti di continuo in modo filato, col rischio di distrarsi.
Gli studenti vorrebbero studiare
meglio, non meno: la scuola si è fermata alla riforma Gentile del
1923, racconta Daniele Grassucci di Skuola.net
Banchi allineati di fronte ad una
cattedra, una impostazione frontale, dove uno parla e gli altri
ascoltano.
Oggi le informazioni le hanno tutti, è
passato un secolo dal 1930, va sviluppato lo spirito critico, la
capacità di fare domande: i ragazzi hanno bisogno di innovazione,
non devono chiedersi perché andiamo a scuola.
Gli studenti non devono assimilare le
nozioni, come dei registratori, per poi buttarle fuori.
C'è bisogno di cambiare l'insegnamento
in modo radicale – raccontano i ragazzi della rivista Lo
scomodo: la lezione tradizionale non è il modo migliore per
imparare, ci dicono le neuroscienze.
Ogni volta che si impara qualcosa si
creano neuroni: la ripetizione va bene, ma serve anche l'esperienza,
ovvero la possibilità di ripetere una esperienza di persona.
Per esempio ripetere un test in modo
attivo e non solo vedere il tecnico di laboratorio che lo fa e
osservarlo.
A Parma, studiando il cervello
delle scimmie hanno scoperto che ci sono neuroni “specchio” che
si attivano quando si apprende per imitazione, vedendo qualcuno che
fa qualcosa e ripetendolo.
Esperienze pratiche, imparare dagli
altri, in gruppo: c'è poi da tener conto la capacità di
apprendimento dei ragazzi, il tempo di concentrazione oggi diminuisce
sempre di più.
Oggi i ragazzi sono bombardati da
stimoli e dunque non riescono a rimanere concentrati per troppi
minuti: devono essere motivati, costruendola con lo studente,
sfidandolo nel fare qualcosa.
LE scuole che sperimentano la
didattica: capovolgere la scuola!
A Bari, all'istituto Pietro Sette, la
giornalista ha intervistato i ragazzi che si sfidavano in forma di
dibattito: non sono interrogazioni ma sono più simili a delle
gare e i ragazzi si sentono stimolati in prima persona.
Durante le lezioni di Debate i
ragazzi sono divisi in due squadre: la prima deve portare avanti una
tesi e la seconda la deve confutare.
Il professore deve fare da arbitro: il
dibattito è una palestra di cittadinanza, dove si sta in gruppo, si
fa una analisi critica su un argomento, non si impara a pappagallo.
Il professor Leone, insegnate di
lettere, usa questo metodo da anni: questo apprendimento rimane nei
ragazzi per tutta la vita, stanno lavorando a questo progetto con
tanti altri insegnanti e sta appassionando sempre più i ragazzi.
Sono 60 le scuole che usano il metodo
Debate: ma al Pietro Sette si trova un'altra differenza rispetto alle
scuole tradizionali, ovvero la classe capovolta.
In classe i ragazzi fanno domande sui
contenuti, in gruppi, in modo creativo, su argomenti assegnati dal
docente.
Queste capacità si chiamano soft
skills e sono richieste anche nel mondo del lavoro oggi: empatia,
capacità relazionali, saper apprendere in modo continuo, saper
adattarsi ai cambiamenti, non bastano più le nozioni.
Nella pagella della scuola non si
valutano le soft skills: eppure è importante che i ragazzi sappiano
adattarsi ad un futuro che oggi non esiste e nemmeno sappiamo
immaginare.
È importante sviluppare le soft
skills, le competenze trasversali, per essere pronti ad un domani, al
lavoro di domani.
Oggi ci stiamo perdendo i ragazzi: il
28% dei ragazzi in Puglia abbandona la scuola oppure ottiene
risultati da terza media.
Il professor Manni dell'IISS Costa,
insegnante di informatica, insegna in gruppo: i ragazzi lavorano come
fossero delle startup, ciascuno con le sue idee, che i ragazzi
portano avanti.
Per interesse personale, per
soddisfazione personale, non perché te lo dice l'insegnante.
“Deve essere il docente che si adegua
ai ragazzi” racconta il professor Manni, “anche usando il loro
linguaggio”.
Al centro di Modena è un
funzione un centro di ricerca che insegna ai dicenti come usare la
tecnologia, che si chiama FEM.
Si sfruttano le tecnologie per
insegnare, cominciando anche dall'arredamento, con banchi mobili, con
poltrone comode, non più le vecchie sedie.
Anche ad Ancona si incontra
un'esperienza simile, all'istituto Savoia Benincasa: classi
“capovolte”, docenti che si sono messi in gioco (e docenti che si
sono trasferiti altrove), banchi con le ruote per spostarsi.
La scuola dà la possibilità di usare
macchinari moderni ai ragazzi, che non si annoiano, si sentono
coinvolti perché stimolati a pensare, ad agire.
L'innovazione funziona, perché questi
ragazzi prendono voti alti: perché queste esperienze non si
mettono a fattor comune e si espandono in tutto il paese?
Manca la formazione dei docenti, che
non sempre sono disposti a mettersi in gioco, spesso sono demotivati
(e come si può pretendere che poi gli studenti lo siano?) e mal
pagati.
Antonello Giannelli, presidente
dei presidi in Italia, ha scritto un libro: Rivoluzionare la scuola
con gentilezza, racconta che servirebbe una rivoluzione nella scuola.
Si prendono supplenti precari nella
scuola, mentre dovremmo reclutare i docenti direttamente da parte dei
dirigenti scolastici, previa poi una valutazione.
Per questa rivoluzione servirebbe anche
maggior coraggio da parte della politica.
La Finlandia sforna gli studenti
più bravi nel mondo: sono studenti che escono dalle scuole pubbliche
e c'è poca differenza tra i più bravi e gli altri.
Obiettivo della scuola è creare
persone che sappiano ragionare, pensare, in modo indipendente: sono
scuole con aule pensate per gli studenti, ergonomiche, dove gli
studenti partecipano in gruppo, sono stimolati a fare domande, ad
aver un senso critico.
A casa si studia poco, il tempo libero
è dedicato al gioco o per stare con gli amici: si lavora
intensamente in classe, ma poi fuori dalla scuola si deve essere
liberi per i propri hobby.
E' meglio studiare con la mente aperta
e le labbra aperte, che con la mente chiusa – racconta un docente.
Gratitudine, comunità, prendersi cura:
sono queste le parole chiave della scuola, dove ciascun studente ha
un laptop, senza che le famiglie paghino una retta.
In Finlandia i voti li danno i docenti
ma anche gli studenti: i voti vanno da bravo a bravissimo, non ci
sono voti negativi, perché si tiene in considerazione anche lo
sforzo messo dai ragazzi.
Studiare tante ore per tanti giorni non
serve e non viene premiato: dobbiamo mangiare bene, divertirsi,
questo è importante, non si creano ragazzi stressati.
Il principio è che gli studenti
vogliono imparare: il 93% dei ragazzi si diploma e poi prosegue
all'università, ma chi rimane indietro non viene abbandonato, ma può
riprendere gli studi in qualsiasi momento.
Altra parola chiave, la fiducia: nei
docenti, negli alunni.
Qui gli insegnanti sono scelti dai
presidi e sono sottoposti ad un continuo aggiornamento: in Finlandia
è un lavoro molto popolare, a cui si accede selezionando i migliori.
La Finlandia investe nell'istruzione il
5% del PIL (il doppio dell'Italia), ma nel futuro investiranno ancora
di più, perché intendono alzare l'obbligo ai 18 anni.
La scuola pubblica ha un ruolo sociale,
costruisce una comunità per cambiare in meglio la faccia del paese.
Dalla Finlandia a Salerno: Presadiretta
è andata nel piccolo paese di Palomonte, dove hanno voluto
creare una nuova scuola.
Una scuola aperta di giorno per gli
alunni, la sera per gli adulti, una scuola sponsorizzata da Ficarra e
Picone.
Questo borgo del 1100 è stato
distrutto dalla ricostruzione post terremoto, una colata di cemento
lo ha cambiato in un non luogo.
La comunità di Palomonte si è
spostata a valle, in frazioni diverse: a Palomonte ci sono due
scuole, a valle c'è un plesso nuovo ma non è sufficiente per tutti.
Nella scuola media comunale non c'è un
cortile, se fa freddo si ghiaccia la scala che porta alla zona
palestra, mancano i proiettori per mostrare immagini agli studenti.
Tutto questo si traduce in mancanza di
opportunità per gli alunni – spiega il preside: i ragazzi, di
fronte a queste carenze di mezzi, si scoraggiano, rimangono indietro,
pensano che la scuola non offra opportunità, non offra nullo di
interessante.
La sfida di Palomonte è avere una
scuola unica: mancava il progetto da presentare a Roma così
hanno pensato ad un nuovo modello, progettato da uno studio di
architetti veneziani.
Pareti mobili, materiali eco
sostenibili, una scuola aperta ai cittadini, una piazza dove far
incontrare i cittadini.
Antonello Caporale, giornalista del
Fatto Quotidiano, è originario di Palomonte: si è innamorato
del progetto, di questa scuola che fa comunità, che si da linfa per
una nuova società.
Alla presentazione del progetto era
presente anche il ministro della coesione territoriale, Giuseppe
Provenzano: “Palomonte deve avere una scuola di qualità come una
qualsiasi scuola del nord”. Questo governo dovrebbe investire nelle
infrastrutture scolastiche, al ministero di Provenzano stanno
riprogrammando i fondi di investimento per trovare risorse da usare
nel territorio, nella scuola.
La scuola comunità di Palomonte
costerà 6 ml di euro: speriamo che faccia da battistrada per altri
istituti scolastici nei piccoli paesi che meritano le stesse chance
delle grandi città.
Presadiretta ha poi parlato del
percorso dell'Appia Antica, da ristrutturare, da salvare dal
cemento, dalle discariche, dagli ecomostri: un percorso dentro la
nostra storia.
La prossima puntata sarà dedicata al
terremoto in centro Italia, alla situazione dei comuni terremotati
dalle scosse del 2016, dove tutto è fermo.
2 miliardi di euro stanziati, sono
stati spesi solo 49ml: le persone sono ignorate da tutti, sono
fantasmi....
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