Report domenica tornerà ad occuparsi del caso Regeni, lo studente italiano torturato e ucciso in Egitto dai servizi segreti di Al Sisi: il caso è ancora aperto grazie alla caparbietà della famiglia e dei magistrati che lavorate alle indagini contro gli 007. Le recenti affermazioni di esponenti del governo Meloni, sull’Egitto come paese sicuro, hanno riacceso il faro su questa brutta vicenda che mette il luce tante ipocrisie sui nostri rapporti con questo paese africano a cui siamo legati (nonostante le violazioni dei diritti civili) da importanti rapporti commerciali.
Poi un servizio sul famoso piano Mattei, che col fondatore delll’Eni non ha nulla a che fare, infine un servizio sulla peste suina: come mai il nostro paese è stato così colpito da questa malattia? Centreranno forse i tanti, troppi, allevamenti intensivi?
ReportLab – il seggio delle schede bianche
Nell’anteprima di Report Giulia Presutti racconterà la storia del seggio uninominale di Cosenza 2 alla Camera dei Deputati: lo sconfitto Andrea Gentile ha vinto il ricorso, facendo ricontare le schede, risultando poi al riconteggio come vincitore. Misteriosamente, alcune schede bianche sono diventate schede valide.
Il
mistero di questa storia ruota attorno al grande numero di schede
bianche nel colleggio conteso da Orrico e Gentile, al riconteggio
della Giunta per le elezioni, sono invece risultate valide,
presentavano infatti una X correttamente apposta.
Il padre di
Andrea Gentile è stato sottosegretario tra il 2016 e il 2018, parla
di un labirinto, “mica qualcuno trucca le schede”: eppure su 414
voti riassegnati, 320 sono andati proprio ad Andrea Gentile, una
circostanza definita di particolare rilievo dalla stedda giunta della
Camera che sottolinea come, nelle precedenti legislature, il tasso di
errore fosse del 3%, mentre in questo caso è stata riassegnata una
scheda su 10, per capire cosa sia successo ai seggi la giornalista è
andata a cercare i presidenti e i rappresentanti di lista in tutta la
provincia di Cosenza.
Uno
di questi ha dato appuntamento poco fuori la città: a Castiglione le
sei schede bianche sono state riassegnate, eppure, racconta la
presidente di seggio di Castiglione le schede erano bianche, senza
segni, le schede sono state controllate da tutti. Dare indicazioni
sbagliate sulle schede sarebbe come fare una dichiarazione falsa,
“sarebbe una follia, in un paese di tremila persone, parliamo
sempre di persone che hanno qualcosa da perdere.”
La
deputata 5 stelle Orrico, che aveva vinto il seggio, ha posto al
ministro degli Interni una informativa urgente, dopo aver visto
l’anticipazione del servizio che andrà in onda stasera in forma
integrale: nell’informativa ha chiesto al ministro una verifica
sulle anomalie che si sarebbero verificate in Calabria alle politiche
del 2022, nel seggio di Cosenza 2 dove la percentuale di schede
bianche risultate votate è stata anomala pari al 10% quando
normalmente si aggira in tutta Italia al 3%. Nella stessa inchiesta –
continua la deputata nella sua richiesta al ministro – i presidenti
dei seggi raggiunti dalla giornalista hanno confermato che quelle
schede in fase di scrutinio fossero bianche.
“A
ciò aggiungo quanto mi viene riportato in una lettera da alcuni
elettori – egregio onorevole ci preme informarla che il suo
competitor Gentile sta richiedendo presso tutti i comuni del
territorio i verbali relativi alle operazioni di scrutinio, inoltre
ha predisposto una richiesta per la quale ha voluto la firma di
almeno 400 elettori di diversi comuni. Nell’interesse di tutti i
calabresi vostri elettori la preghiamo vivamente di seguire con
attenzione l’evolversi della situazione [..] inutile dire che la
modalità di ricerca di qualche errore sono, come sempre, poco
trasparenti e chiare, facilmente potrebbero capolvogere un esiguo
risultato di voti ma di grande liberazione morale.”
La
deputata ha chiesto che si fermino i lavori della giunta per le
elezioni per indagare a fondo su quanto emerge dall’inchiesta e dal
lavoro stesso della giunta.
Le accuse della deputata sono
gravi, su cui chiede un intervento del ministro, della Camera e della
Giunta: “Esiste o no un sistema di controllo pseudo mafioso del
voto in Calabria? La sicurezza dei seggi elettorali e di chi presiede
le azioni di scrutinio è stata garantita? Il voto in Calabria è un
voto libero oppure è condizionato da fattori ambientali
riconducibili allo strapotere di alcune famiglie? [..] Vogliamo
continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto oppure vogliamo
restituire dignità e fiducia ai cittadini italiani?”.
La scheda del servizio: L’AGGIUNTA DELLE ELEZIONI di Giulia Presutti
Collaborazione Madi Ferrucci
In Parlamento da oltre un anno si sta giocando una partita silenziosa. La posta in gioco è un seggio della Camera, l'uninominale della provincia di Cosenza: alle scorse elezioni politiche era stato vinto dalla deputata Cinque Stelle Anna Laura Orrico, ma il secondo classificato ha fatto ricorso. Si tratta di Andrea Gentile, ex deputato di Forza Italia e rampollo di una famiglia cosentina da sempre in politica: per contestare il risultato elettorale si è rivolto alla stessa Camera dei Deputati, dove la Giunta delle Elezioni ha riaperto e contato tutte le schede nulle e bianche. Gentile è passato in vantaggio di 240 voti, ma c'è un mistero: perché 440 schede che i verbali di sezione hanno indicato come bianche, risultano ora contrassegnate da una x? I presidenti di seggio dicono che lo spoglio è stato svolto sotto il controllo di più occhi e che solo quando non era presente alcun segno, le schede venivano dichiarate bianche.
La peste suina e gli allevamenti intensivi
Sono bastate le immagini in anteprima del servizio di Giulia Innocenzi (autrice del documentario Food for Profit, che Report aveva trasmesso questa primavera) perché il presidente di Assosuini, Elio Martinelli, mandasse alla trasmissione la diffida a trasmetterlo: certe immagini non si devono far vedere al grande pubblico, come funzionano le cose dentro i grandi allevamenti.
Allevamenti proprio come quello dello stesso Martinelli in provincia di Mantova dove, come mostrerà il servizio che andrà regolarmente in onda, nelle stalle si vedono passeggiare topi, dove i maiali vivi passeggiano accanto alle carcasse degli animali vivi, in condizioni igieniche precarie, con feci strabordanti e animali sporchi, ragnatele incrostate e strutture abbandonate in condizioni di degrado da cui entrano anche altri animali dall’esterno. Fuori, sui muri dell’allevamento, resti di tetti in eternit danneggiati, ancor più pericolosi perché potrebbero rilasciare fibre di amianto nell’aria.
“Purtroppo nelle stalle vecchie ce ne sono ancora di tetti in eternit” risponde il proprietario, Elio Martinelli a cui la giornalista spiegava come questa sia una situazione pericolosa per chi ci lavora vicino “a noi ad esempio è successo che quando c’è stata una piccola tromba d’aria che ha fatto cadere delle lastre sicuramente per terra per qualche giorno c’è stato, ma niente di più.”
Non è solo l’eternit a preoccupare, anche le condizioni di salute degli animali lo sono – racconta nel servizio Giulia Innocenzi: si vedono maiali malati, con ernie, zoppicanti, orecchie morsicate, lasciati nei recinti assieme a quelli sani. E quelli che muoiono, se non vengono raccolti dagli operatori, vengono sbranati dagli altri maiali, perfino le viscere.
“Sicuramente
non do l’ordine di comportarsi così, però io non sono sempre lì”
si giustifica il proprietario “per cui non so se è successo.. noi
ci teniamo molto a poter tenere gli animali in salute, purtroppo non
riusciamo sempre. Però, insomma, non è che vogliamo avere il non
benessere degli animali.”
Come era stato raccontato nel
precedente servizio, Food for profit, negli allevamenti si usa ancora
l’elettrocuzione per uccidere gli animali ammalati della peste
suina: questa operazione, racconterà il servizio, viene fatta fare
ad operatori per la prima volta, senza alcuna formazione, come fosse
un addestramento o un gioco, visto che nel mentre si uccide il maiale
partono anche le batture su delle grigliate da fare.
Il
ministro dell’agricoltura che dice di questi abbattimenti per la
peste suina? “Noi non ci occupiamo degli abbattimenti” ha
risposto a Report, perché la competenza sarebbe del ministero della
salute. Ma Lollobrigida nel novembre dello scorso anno in Parlamento
si occupò proprio di abbattimenti e difese l’operato della ditta
incaricata.
Nella relazione al Parlamento il ministro aveva
spiegato come le operazioni di abbattimento degli animali fossero
state fatte da ditte specializzate sotto il controllo del personale
dell’agenzia della tutela di salute di Pavia, “secondo le buone
prassi del caso e in osservanza delle norme sia in termini di
biosicurezza che nel rispetto del benessere animale.”
Perché
Lollobrigida ha risposto al Question time in Parlamento se non ha la
competenza? Per tutelare gli imprenditori, quelli danneggiati dalla
peste, per cui il ministro sta cercando risorse per dargli una mano,
testuali parole, per sopravvivere e mantenere gli allevamenti in
Italia.
Dove gli animali vivono nelle condizioni che abbiamo visto.
Stefano Fanti, direttore del consorzio del prosciutto di Parma, dopo aver visto le immagini della passata di inchiesta di Giulia Innocenzi sugli allevamenti, aveva mandato un messaggio chiaro: “chiediamo a tutti di segnalarci i mascalzoni perché immediatamente provvederemo a segnalare i loro nomi alle autorità competenti, che è il ministero della salute, affinché questi mascalzoni non rovinino l’immagine delle persone serie e oneste”.
Come
mai allora nessun allevatore è stato radiato dal consorzio? Perché
tra il dire e il fare passa il rimpallo delle responsabilità: il
direttore del consorzio spiega ad un giornalista di non avere gli
strumenti per farlo, è una potestà in capo solo al ministero della
salute. In realtà, spiega il ministero della salute, che la potestà
è a capo del ministero dell’agricoltura che a sua volta smentisce
quanto detto dal direttore del consorzio affermando che la decisione
di escludere un consorziato è in capo al consiglio di
amministrazione del consorzio.
Nel frattempo la peste suina sta decimando gli allevamenti e gli allevatori hanno iniziato a chiedere gli aiuti allo stato (solo la regione Lombardia ha stanziato 4 ml di euro lo scorso anno per i focolai di peste): ma questa carne, come racconterà il servizio, potrebbe essere già arrivata nei supermercati. La catena Lidl ha mandato una lettera ai suoi clienti professionali per rintracciare e ritirare dei prodotti a base di maiale, come salsiccia e pancetta, perché potrebbero essere infetti dalla peste suina africana. La Lidl non mette cartelli nelle filiali perché non si tratta di un richiamo al consumatore finale, come confermato dall’ASL incaricata.
Per
la riduzione del contagio la catena dovrebbe mettere dei cartelli, a
scopo precauzionale – spiega il comandante del nucleo anti
sofisticazione dei carabinieri di Bologna Fabrizio Picciolo – “non
c’è un rischio per la salute però c’è un rischio di
epidemia.”
Tutto nasce da un episodio specifico: dopo aver
mandato i suoi maiali al macello, un allevatore piemontese scopre il
virus e l’ASL in via precauzionale fa partire l’attività di
rintraccio.
Anche il gruppo Aia Veronesi è stato colpito dalla
peste: ben sette allevamenti su 21 focolai scoppiati quest’anno in
Lombardia. Un allevatore racconta a Report di aver messo in atto
tutte le misure di biosicurezza, la doppia dogana: “i maiali sono
arrivati da Trovo, una località vicino Vernate (un comune nell’area
metropolitana di Milano), da un altro allevamento Veronesi che li ha
portati via da Trovo perché dopo il caso di Vernate cadeva nella
zona di restrizione. Dopo una settimana hanno trovato il positivo,
secondo me sono arrivati già malati.”
Sul Fatto Quotidiano potete leggere una anticipazione del servizio:
Peste suina, il virus è finito sui banchi degli alimentari
Raitre - Secondo “Report” la catena Lidl ha ritirato alcuni prodotti Nessun avviso al pubblico, il pericolo per l’uomo non è dimostrato
Di Luisiana Gaita 17 Novembre 2024
Dai cinghiali ai maiali negli allevamenti, la peste suina è arrivata non solo nella carne di suino, ma anche negli snack vegetali. Nella puntata di Report che andrà in onda stasera, la giornalista Giulia Innocenzi racconta come si è arrivati a questo punto, mostrando in esclusiva la lettera che la catena Lidl ha inviato ai suoi clienti professionali per rintracciare e ritirare dei prodotti a base di maiale, come salsiccia e pancetta. Potrebbero essere infetti da peste suina africana.
A settembre 2024, il virus è stato trovato sugli scaffali dei negozi di alimentari. Lo confermano i Nas di Bologna. I lotti coinvolti sono preparazioni di carni suine prodotte in uno degli allevamenti della filiera del gruppo Aia-Veronesi, particolarmente colpito dalla psa, con 7 dei 21 focolai scoppiati quest’anno in Lombardia. Lo conferma lo stesso gruppo. Il problema è sorto perché un allevatore piemontese ha scoperto il virus dopo aver spedito i maiali al macello.
La
scheda del servizio: MADE IN VIRUS di Giulia Innocenzi
Collaborazione Greta Orsi, Giulia Sabella
Perché l'Italia è uno dei paesi europei più colpiti dalla peste suina africana? La strategia del governo per frenare il virus ha fallito? Report può rivelare in esclusiva che l'Ausl di Modena ha fatto partire l'attività di ritiro e rintraccio di alcune partite di carne di maiale finite nei supermercati perché potenzialmente affette dal virus della peste suina. E perché, nonostante le criticità sollevate dagli esperti, anche quest'anno per gli abbattimenti è stato utilizzato il metodo dell'elettrocuzione? Report mostrerà in esclusiva le immagini di abbattimenti di cui ha chiesto conto al ministro Francesco Lollobrigida. La peste suina africana sta mettendo inoltre in difficoltà il comparto delle produzioni DOP. Il Prosciutto di Parma ha adottato un nuovo disciplinare, che prevede che i mangimi provengano almeno al 50% dalla zona di origine limitata. Gli enti controllori preposti verificano che questi criteri vengano rispettati? E qual è lo stato degli allevamenti italiani, dove l'igiene e la biosicurezza sono criteri essenziali per evitare la diffusione del virus?
Egitto, paese sicuro e il caso Mattei
Il
29 ottobre scorso le immagini del servizio di Report dedicato alle
ultime ore del ricercatore Giulio Regeni sono state proiettate
nell’aula di Corte d’Assise di Roma: la richiesta, accolta dalla
presidente Paola Roja, viene sollevata dai difensori dei 4 egiziani
accusati del rapimento, delle torture e dell’omicidio di Regeni,
avvenuto a fine gennaio 2016. In quegli stessi giorni sul banco dei
testimoni dell’aula Vittorio Occorsio di Roma siede lo Stato: ex
presidenti del Consiglio, ministri degli Esteri, direttori dei
servizi segreti e funzionari che hanno avuto il compito di
controllarli e gestirli. È l’espressione più alta e meno visibile
del potere chiamata per la prima volta a dare risposte.
Alberto
Manenti è stato direttore Aise dal 2014 al 2018: “Giulio Regeni
era oggetto di un fermo non ufficiale da parte degli organi di
sicurezza egiziani”, come ce ne sono a migliaia in Egitto e in
molti altri paesi della regione. Eppure il governo Meloni ha
inserito l’Egitto nella lista dei paesi sicuri, quelli dove non c’è
il rischio di tortura o di persecuzione politica.
Lo
ha ripetuto lo stesso ministro, non competente, Salvini: “Se
vogliamo dire che un paese dove vanno quasi 1 ml di italiani in
vacanza e altri ci andranno a capodanno, è un paese dove non
possiamo espellere un accoltellatore di un controllore allora
facciamo ridere .. perché a questo punto non possiamo più espellere
nessuno. Fra un po’ manco in Svizzera possiamo espellere”.
Sono
dichiarazioni che fanno male – racconta a Report la legale della
famiglia Regeni – come altre che abbiamo sentito in questi anni,
“poi dal punto di vista giuridico, particolarmente inquietante il
fatto che si cerchi sempre di aggirare gli ostacoli sulla pelle delle
persone. Perché se tante persone scappano dall’Egitto è perché
l’Egitto non è un paese sicuro e, per esperienza, sul corpo di
queste persone ci sono sempre segni di torture.”
Dalle
ricostruzioni della procura di Roma i luoghi dove Giulio Regeni viene
torturato sarebbero più di uno, tra questi un edificio nelle
disponibilità della National Security, lo stesso luogo dove viene
portato Abbas, un giovane che per la prima volta fa luce sui metodi
di tortura degli apparati di sicurezza egiziana.
Il ragazzo è molto sicuro che il luogo dove è stato detenuto fosse lo stesso dove è stato torturato Regeni, “un agente mi ha detto le persone che sono sopra rispettano la legge e le regole, ma tu sei qui sottoterra e qui non ci sono né leggi né regole. Ci sono stati tanti eroi che sono morti proprio in questo posto.. Allora, vuoi andare a casa? Mi devi rispondere e mi devi dire cosa c’è scritto in questo fascicolo sulla mia scrivania, mi devi dire cosa c’è nelle carte sulla mia scrivania. Allora ho detto di nuovo la verità, sono qui per comprare una macchina e a quel punto l’uomo dietro di me ha detto ‘credo che tu abbia bisogno di questo’ e ha cominciato a darmi la scossa in testa e sui genitali a ripetizione, e io ho cominciato a tremare e a urlare, e ho sentito ridere mentre lo faceva.”
Il servizio di Daniele Autieri si occuperà di un testimone chiave dell’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, “gamma”: avrebbe ascoltato un dialogo tra due ufficiali dei servizi egiziani a Nairobi (dove si parlava dell’omicidio di Regeni facendo riferimento al maggiore Ibrahim MagdiSharif, ) e ne avrebbe parlato ad un sacerdote, padre Giulio, insegnate all’università cattolica di Nairobi. Il giornalista è riuscito a mettersi in contatto con questa persona che, al telefono, nega di aver mai sentito parlare della storia del ricercatore italiano. Forse è un altro il “padre Giulio” da sentire: Giulio Albanese, ex direttore del media center di Nairobi: a Report racconta di essere già stato sentito dal Ros, ma non è lui quel padre Giulio di cui parlava “gamma”. Il Ros aveva scritto che questo testimone era un venditore di libri ambulante, una professione non proprio comune a Nairobi: purtroppo anche questa ricerca è stata infruttuosa, “gamma” sarebbe morto in un incidente d’auto.
E veniamo al piano Mattei: dopo anni di dittatori sanguinari che hanno affamato i popoli il futuro dell’Africa è roseo, almeno per l’Italia – racconta Daniele Autieri nell’anteprima del servizio. I rapporti tra le grandi aziende italiane e i governi africani vengono riscritti col nome di “piano Mattei”, in onore del fondatore dell’Eni. Un piano voluto dalla presidente Meloni per inaugurare una nuova stagione nei rapporti di cooperazione dell’Italia con gli stati africani.
“Ciò
che contraddistingue il piano Mattei da quelli passati è la sua
concretezza, noi non abbiamo scritto un elenco di buoni propositi,
abbiamo scritto un piano di obiettivi fattibili, realizzabili,
accompagnato da un cronoprogramma ben delineato.”
Il piano
viene lanciato nel corso del vertice Italia Africa nel gennaio 2024,
è un piano che non riguarda solo Eni, ma tutte le grandi aziende
italiane interessate a fare business nel continente.
Cosa significa nel concreto? “L’Italia ha incanalato nel piano Mattei una parte esistente delle risorse della cooperazione italiana e una parte importante di quello che era il fondo per il clima” racconta l’analista di ReCommon Antonio Tricarico “parliamo di 5,5 miliardi di euro”.
Sono risorse che finiranno per finanziare progetti ai quali dovrebbero partecipare aziende italiane con l’obiettivo finale di convincere gli africani a rimanere nei paesi d’origine, invece che emigrare in Italia.
“Ad oggi abbiamo solo progetti pilota, abbiamo sei settori strategici di intervento, se andiamo a vedere dove sono questi progetti e cosa sono abbiamo una indicazione molto chiara” continua Tricarico “su nove progetti pilota, sette sono su settore strategici per Eni in Africa ..”
La presidente, presentando questo piano, ha ricordato l’ottimo rapporto con gli Stati Uniti in Kenya, “nazione dove stanno prendendo corpo due progetti pilota nel settore delle energie rinnovabili del piano Mattei, per la filiera dei biocarburanti per coinvolgere gli agricoltori, il secondo per la produzione di energia geotermica”.
Per molti, racconta il servizio di Report, il piano Mattei non è altro che il piano Descalzi, l’AD di Eni che ha benedetto il progetto e presenziato a molti degli incontri di Giorgia Meloni e i leader africani.
Lo stesso Descalzi ha parlato di questo piano alla convention di Fratelli d’Italia: i progetti già avviati da diversi anni sull’olio vegetale per i biocarburanti, per abbattere del 90% le emissioni. E poi il Kenya dove 40mila ettari [di terreno agricolo] hanno prodotto più di 85mila posti di lavoro nell’agricoltura.
Report è andata allora in Kenya, in uno dei piccoli villaggi di agricoltori nella contea di Nakuru: qui si trova una comunità di agricoltori impegnati nella coltivazione del ricino, il primo progetto pilota di Eni e del piano Mattei. Con l’olio di ricino.
La scheda del servizio: OLIO DI RICINO di Daniele Autieri
Collaborazione Andrea Tornago
Dal caso Regeni al Piano Mattei, quali sono i rapporti dei nostri governi con i presidenti e i dittatori degli Stati africani? Nell’ultimo mese sul banco dei testimoni del processo contro i quattro egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni si è seduto lo Stato: l’ex-presidente del Consiglio Matteo Renzi, l’ex-ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, e i vertici dei servizi segreti italiani.
Le rivelazioni delle massime cariche dello Stato sulla chiusura del governo egiziano nei confronti delle richieste di trasparenza e verità sul caso Regeni raccontano un’altra storia che si collega al tema della ragion di stato e coinvolge anche l’Eni, la più grande e strategica delle aziende controllate dal governo italiano. Secondo queste testimonianze, nei giorni del sequestro, l’Eni non ha interloquito con il governo egiziano. Ma Report svelerà documenti riservati che dimostrerebbero il contrario.
Perché alle spalle della ricerca di verità sulla morte del ricercatore italiano si è innescato uno scontro geopolitico che ha coinvolto non solo l’Italia e l’Egitto ma anche il Kenya, dove si trova il testimone eccellente del processo Regeni, l’uomo che può inchiodare alle sue responsabilità il Maggiore Magdi Sharif, uno dei quattro egiziani accusati dell’omicidio. Report è riuscito a scoprire l’identità di questo testimone e ha raccolto la sua storia. Ma i rapporti di forza sbilanciati tra il nostro governo e gli autocrati africani promettono adesso di essere riscritti dal Piano Mattei, il maxi stanziamento da 5,5 miliardi di euro lanciato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per sostenere lo sviluppo di alcuni paesi africani con il sostegno delle aziende italiane. Il primo e più importante progetto del Piano parte proprio dal Kenya.
Gli uomini di Vannacci
La storia dell’ascesa politica del generale Vannacci è emblematica di come funzioni, male, la politica italiana (ma non vale solo per noi) oggi: si parte da un libro, scritto e poi corretto, dove venivano sdoganate tutte le peggiori posizioni sui “diversi”, che siano gay o persone di colore.
Tutti
i giornali si sono contese le sue interviste, improvvisamente questa
persona e il suo libro sono stati messi al centro della scena
politica italiana. Si è costruito un personaggio a cui lo sbocco
politico sembrava l’inevitabile conseguenza.
Candidato con la
Lega alle europee, è stato eletto con 500000 preferenze, ma il ruolo
nel partito di Salvini gli sta stretto: ha fondato un movimento a suo
nome, gira l’Italia a presentare il suo libro, continuano le
interviste (l’Europa può aspettare). A cosa punta Vannacci? Al
primo raduno del movimento era presente anche un senatore della Lega,
Umberto Fusco. In questi raduni l’europarlamentare cita spesso il
giornalista Mattteo
Pucciarelli, che considera ironicamente come colui che l’ha
lanciato. Dopo i suoi articoli – racconta Vannacci – è stato
contattato da una casa editrice che gli ha pubblicato il libro (“noi
un fenomeno così non l’abbiamo mai visto”, riferendosi alle
centomila copie in una settimana).
Ma non è un ringraziamento
sincero: “è un modo per mettere nel mirino un giornalista, quella
cosa la potevi dire una volta, e poteva essere divertente, ma se la
ripeti in maniera ossessiva, continuativa, significa voler mettere
nel mirino un giornalista ..”
Pucciarelli è stato il
giornalista che ha scoperto per primo il libro di Vannacci,
autopubblicato su Amazon: dopo averne dato notizia le vendite di
questo sono decollate.
“E’ un libro di retorica di estrema
destra, non nuova, ma questo libro entra nel dibattito pubblico con
la destra al governo che non poteva più dire quelle cose con quella
forza come nel passato” spiega il giornalista a Report.
Chi
sta dietro il movimento del generale? Lo racconta il blogger Marco
Belviso che è stato coordinatore del movimento nel nordest prima di
andarsene per problemi con i fondatori del movimento, tutti ex
ufficiali, Filomeni, Priolo e Spatara. I tre ex ufficiali gli mandano
un messaggio su whatsapp chiedendo un incontro e, dopo esserci
presentati a casa, gli comunicano la volontà di espellerlo dal
comitato per aver rilasciato una intervista a Il Tempo.
“Tu sei un giornalista, vuol dire che sei un infame” gli dicono i tre “quindi non ci possiamo fidare di te”. Alla fine dell’incontro, Belviso avvisa il generale Vannacci dell’accaduto: quando viene a sapere che Belviso è disposto a fare una denuncia ai carabinieri di Udine, il generale gli dice che i panni sporchi si lavano in famiglia, non si lavano sulla stampa.
Luca Chianca ha chiesto ai tre ex ufficiali una spiegazione di quanto accaduto, come mai avessero deciso di cacciare Belviso: “queste sono questioni interne” la risposta che ha avuto, ma hanno tenuto a smentire la ricostruzione del giornalista, perché sarebbe tutto registrato.
La scheda del servizio: TUTTI GLI UOMINI DEL GENERALE di Luca Chianca
Collaborazione Alessia Marzi
Dopo aver scritto "Il Mondo al Contrario" il Generale Roberto Vannacci è stato eletto al parlamento europeo con oltre 500mila voti. In poco tempo è diventato la star del raduno di Pontida, grazie al successo di un libro che in pochi mesi ha venduto oltre 250mila copie fruttando al Generale, per il solo 2023, ben 800mila euro. Ma visto che a distribuirlo è Amazon quante tasse ha pagato Roberto Vannacci? Tra una settimana, il comitato culturale che si è ispirato al suo libro diventerà un movimento politico e le preoccupazioni tra i militanti e i dirigenti della Lega già si fanno sentire perché nel comitato, con la sede a Lamezia Terme e ramificazioni in tutta Italia, troviamo ex militari paracadutisti della Folgore e incursori del “Col Moschin”. Ma chi ruota intorno al Generale da spingerlo così in alto nei sondaggi? Per capirlo Report è volato fino a Bucarest per incontrare il Gran Maestro della Grande Loggia Massonica Nazionale Romena, il generale Savoiu, che si considera l'erede spirituale di Licio Gelli. In Italia, invece, c'è il faccendiere Gianmario Ferramonti che con Savoiu ha fondato la P3. Entrambi, come ha scoperto Report, nelle passate elezioni europee, si sono messi a disposizione per dare una mano al Generale per la sua campagna elettorale.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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