21 novembre 2024

La velocità della tartaruga di Luca Crovi

 

Acqua alla gola

Parigi, 1804

Un centinaio di cavalieri, nel cuore della notte, guadava il fiume, con le torce accese, legate a lunghe pertiche utili a misurare la profondità dell’acqua. Il fiume era in piena e gli uomini avanzavano lentamente, anche per evitare buche profonde e pericolosi mulinelli.

Cosa c’entrano i soldati di Napoleone che attraversano la Senna, in una scena quasi surreale tanto da scoprire poi che si tratta di un incubo del poeta Gabriele D’Annunzio?

In quella tela pareva esserci qualcosa di malefico che turbava il suo sonno. Eppure era il più celebre dei capolavori firmati da Leonardo da Vinci.

Cosa sta turbando il sonno del “comandante”, come in tanti lo chiamavano dopo le sue imprese nella prima guerra mondiale? Cos’ha di speciale quel quadro che si è messo in camera per poterlo ammirare?

E cosa c’entrano allora il primo volo in aereo, il velivolo a motore, come era stato chiamato dallo stesso D’Annunzio (una delle sue tante invenzioni lessicali, come «tramezzino», «vigili del fuoco»), sopra le alpi?

Era il settembre del 1910, in quella competizione perse la vita al pilota Jorge ChávezDartnell, caduto a poche centinaia di km da Milano, la meta della competizione, mente sorvolava la Val D’Ossola. Il paesino dove un giovane Carlo De Vincenzi imparava una sana diffidenza dalla velocità, per meglio dire dall’ossessione della velocità, tanto amata da quei futuristi che guardavano invece con vivo interesse tutte le scoperte meccaniche del nuovo secolo.

La Gioconda di Leonardo da Vinci trafugata al Museo del Louvre (servizio particolare del «Corriere della Sera») Parigi 22 agosto, notte Una notizia alla quale nessuno oggi voleva credere si è sparsa per Parigi.

E che ruolo hanno in questa storia il misterioso furto della Gioconda, rubata dal Louvre nel 1911 da un ladro che con quel gesto intendeva ridare onore alla sua patria e agli italiani che di quel capolavoro erano stati defraudati?

Un furto per cui vennero accusati niente di meno che Apollinaire e Picasso, giovane artista appena arrivato a Parigi, proprio negli anni in cui D’Annunzio era andato a vivere in Francia a Arcachon.

Ecco, non disperate, se anche farete un pizzico di fatica a capire il nesso, sappiate che sono tutti pezzettini di un puzzle che poi si svilupperà nella seconda parte del libro in una vera e propria indagine del poeta di San Fedele, così come era chiamato il commissario De Vincenzi dai “ligera” de Milan e dai suoi amici, per la sua passione per la letteratura. Passione che si portava fin dentro il suo ufficio nella Questura che, allora, era in piazza San Fedele.

Tutti pezzetti di un enigma che ha come protagonisti il commissario De Vincenzi e la sua cerchia, fatta da amici (come la portinaia Gianna Ballerini) e anche da persone ai margini della legge, come il “pinza”, un ladro “rispettato dai malnatt della ligéra ed era esperto di crimini e criminali”.

E poi il pilota Tazio Nuvolari, amante della velocità come lo era Gabriele D’Annunzio. Proprio quest’ultimo chiamerà, qualche anno dopo i fatti raccontati nella prima parte, De Vincenzi sul lago di Garda ad indagare su un furto avvenuto nella sua villa, il Vittoriale.

Siamo nel 1934, la Gioconda è tornata in Francia, e D’Annunzio passa le sue giornate nella sua villa, sotto l’attenta osservazione del regime: gli occhi di Mussolini incombono su di lui, timorosi che qualche sua uscita contro il regime possa offuscarne l’immagine.

Proprio nel Vittoriale qualcuno ha rubato delle foto che potrebbero creare problemi a D’Annunzio: potrebbero essere usate contro di lui in un momento che, come si è detto, non era sotto una buona luce da parte del regime.

Questo furto potrebbe essere collegato ad un altro, avvenuto a Milano: alla gioielleria Bucellati erano stati portati via tre gioielli a forma di tartaruga. Erano piccoli capolavori che D’Annunzio aveva commissionato all’orafo milanese e che negli anni aveva donato al suo amico Tazio Nuvolari che li custodiva come preziosi portafortuna.

Per ricordo del nostro incontro, dopo colazione il poeta decise di regalarmi questa meravigliosa tartaruga d’oro, con una dedica speciale: “All’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento”.

D’altronde per vincere le gare di velocità in auto, in quegli anni, con quei mezzi, con quei circuiti, serviva molta fortuna, per non finire fuori strada e rompere la macchina. O perdere la vita.

De Vincenzi, dopo aver ascoltato il racconto del furto comprende che occorre agire in fretta ma senza usare le vie ufficiali: meglio non fidarsi della polizia e nemmeno del vicequestore Rizzo, assegnato da Mussolini proprio alla protezione del poeta. Un poliziotto famoso, questo Rizzo, troppo bravo per il sesto senso di De Vincenzi, verso cui nutriva una certa diffidenza, soprattutto per come era finita l’inchiesta sulla bomba scoppiata a Milano per la Fiera Campionaria, con l’insabbiamento delle responsabilità dei fascisti milanesi (inchiesta in cui De Vincenzi aveva incontrato lo zio di Andrea Camilleri, il commissario Carmelo Camilleri, poi allontanato dalla Questura).

In effetti, quello che apparentemente sembra un semplice furto, nasconde un piccolo intrigo internazionale di cui non voglio aggiungere altro.
Come finirà questa ennesima indagine per il poeta del San Fedele?

«Avete mai sentito parlare di Zenone di Elea?»

«No, chi era? Un corridore, un atleta dell’antica Grecia?»

«Un filosofo. Si dice che sia stato lui l’inventore della dialettica.»

Il paradosso di Zenone, col passo lento della tartaruga, sarà il passo giusto per arrivare alla verità.

Anche in questo libro Luca Crovi, partendo dal suo certosino lavoro di ricerca negli archivi, riporta in vita pezzi della nostra storia passata andando ad arricchirli con invenzioni letterarie che nulla tolgono alla verità storica.

Vero il furto della Gioconda, da cui parte tutto, come vera anche l’amicizia tra D’Annunzio e Tazio Nuvolari, come vera è stata la prigionia dorata nel Vittoriale, sotto il controllo vigile della polizia fascista. Come reale, purtroppo, fu la prigionia proprio a Milano di Antonio Gramsci, che anche in questa storia compare in un breve cameo.

Rispetto ai precedenti romanzi con De Vincenzi, qui l’azione si sposta anche fuori Milano, per arrivare a Gardone Riviera: non manca però lo spazio per quel dialetto oggi in parte perduto, per quelle espressioni di una Milano così diversa, anche quando si parlava di criminali e ladri, col loro linguaggio “furbesco”:

Le vittime ideali per la ligéra erano le sciancone (donne eleganti e ingioiellate) e gli ambroeus e i fasaan (i sempliciotti facili da derubare).

La scheda sul sito di Rizzoli
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