Eccola, finalmente, raccolti tutti assieme i racconti scritti in questi anni da Piero Colaprico (con prefazione di Carlo Lucarelli), giornalista e scrittore milanese che in tanti romanzi ci ha mostrato il lato oscuro (e marcio) della città di M. (come il titolo di un suo bellissimo romanzo).
Come racconta Carlo Lucarelli nella prefazione (quasi un racconto a sé), in questa raccolta si smontano alcuni luoghi comuni o pregiudizi: primo pregiudizio, non si tratta di un’opera minore, anzi, ci sono racconti che sebbene abbiano la durata di “un soffio”, poche pagine di lettura, lasciano in bocca quel senso di dolce amaro, penso al ladro “acrobata” innamorato della figlia del capo di una banda criminale. O anche al racconto “Miele, cicoria e pizzini” che racconta un’altra versione della cattura del capomafia Bernardo Provenzano.
Non sono racconti tappabuco, ma storie (vere? Inventate? Chi lo sa..) che hanno un loro senso, una loro dignità, che lasciano qualcosa al lettore.
Secondo pregiudizio, sono racconti veloci: ce n’è uno, “L’uomo cannone” che era già uscito per la collana “Verde nero” qualche anno fa. È un racconto lungo, che inizia con una pattuglia che in piazza Selinunte si imbatte in un uomo tutto sporco di sangue, pensando di aver appena fermato un assassino. Uno strano assassino che non vuole parlare, come se volesse prendersi gioco dei poliziotti, la squadra degli agenti della Mobile, dove di turno è l’ispettore Bagni.
Piano piano questo racconto si allarga, dalla Questura in via Fatebenefratelli ci si sposta nella campagna milanese dove i ricchi imprenditori hanno le loro dimore, fino ad arrivare in Africa, per trasformarsi in una inchiesta sullo smaltimento illegale di rifiuti, al largo delle coste africane, tanto chi si preoccupa della salute di quelle popolazioni? Una storia che ha al centro questo “uomo cannone” attorno a cui ruotano imprenditori criminali, eco mafie e servizi puliti o deviati.
Questi non sono
nemmeno racconti leggeri: incontreremo in queste 540 pagina (a
proposito, mettetevi comodi e prendentevi tutto il tempo che serve)
poliziotti sporchi nella loro “divisa stretta e poliziotti onesti
come l’ispettore Bagni, uno che se avesse ceduto ai tanti
compromessi chissà dove sarebbe arrivato con la sua intelligenza e
sbirritudine.
Troviamo ex brigatisti non pentiti che ora, dopo
che si sono rifatti una vita con tanto di famiglia borghese, si
trovano a braccetto con ex fascisti (quelli a cui magari volevano
spaccare la testa con la Hazet 36) per portare avanti una giustizia
non più proletaria ma individuale (“Arrivano i NAM”).
Troviamo,
in più racconti, l’ex carabiniere Corrado Genito, capo di una
agenzia investigativa (chiamata con un pizzico di ironia Cia,
“cotonifici italiani associati”) capace di muoversi in quel
sottobosco tra faccendieri dalla faccia pulita e l’anima sporca,
mafiosi e ndraghetisti, pezzi dei servizi, buoni e cattivi. E
politici coinvolti in giochi di ricatto:
L'investigatore riguardò il sorriso lascivo del fotografo Billy Saracino splendere dalla doppia pagina del settimanale di pettegolezzi pilotati e censurati: “Hai proprio una faccia di m.,” gli disse e cominciò a riflettere. Secondo il generale a quella faccia di m. era riuscito in un'impresa impossibile. Aveva scattato otto immagini molto compromettenti dell'ex premier e con notevole spavalderia aveva rifiutato anche in transazione: “Ormai io sono intoccabile e sull'altro versante politico” aveva detto alla fedelissima segretaria del partito incaricata delle trattative segrete “c'è chi mi ha offerto già un milione..”.
Troviamo Genito anche in “Gli assassini del grammofono”, un racconto ambientato nei mesi del lockdown per il Covid in una Milano straordinariamente silenziosa, dove l'ex carabiniere è costretto a fare i conti con la sua coscienza
Evitabile? Inevitabile? Era una vita che gemito si chiedeva come far andare d'accordo ciò che sarebbe stato meglio non fare e ciò che, al contrario non si poteva non fare. Perché, una volta presa una decisione - evitare o non evitare di incastrare un sospettato; evitare o non evitare di cedere ad una tentazione; evitare o non evitare di ammazzare, di colpire di fuggire di nascondersi - bisognava percorrere andare fino in fondo. Come aveva detto Mario “possiamo scegliere quello che vogliamo seminare ma poi siamo obbligati a raccogliere quello che abbiamo piantato”.
In un altro romanzo
incontriamo niente meno che Tremal-Naik, il cacciatore di tigri dei
romanzi di Salgari, che ha bisogno di trovare la pace nel suo cuore e
questa arriverà solo un’ultima vendetta e una reincarnazione in un
uomo di pace (“Gli occhiali di Tremail-Naik”).
Ma a parte
qualche escursione, il centro dei racconti rimane Milano, la città
di M., la città dentro cui convivono tante city, come racconta la
sbirra protagonista di “Bloody Mary”:
Pensavo che in questi ultimi tempi qui a Milano abbiamo visto al potere tanti croupier - penso solo a Craxi, Mani Pulite, Bossi, Berlusconi, Mario Monti, Ilda Bocassini - e spesso sono riusciti almeno per un po' a far girare anche le ruote, per non dire le palline, del resto d'Italia. Pensava il potere unico di questa città, per quanto ha fatto e per quello che è. All'improvviso visto le city.
Ferocity, la città feroce. Malacity, la città della criminalità organizzata. Morbocity, la città dei maniaci, dei porci. Infine Herocity, la città degli eroi che resistono.
Ma, forse, il vero protagonista è il male, non solo inteso come la criminalità, i picciotti e i boss, le ndrine: il male che è dentro di noi. Satana esiste, forse, e va estirpato, non solo con le preghiere, ma anche con la Katana, come si ritrova a pensare l’uomo dei servizi segreti del Vaticano:
Non so se esiste Satana, ma la bestia nascosta nell'essere umano c’è e non ho dubbi. C'è chi tra di noi chi pensa che il mondo abbia bisogno di esorcisti armati di acquasanta, viceversa penso che ci sia bisogno di chi, sotto il saio, nasconde una katana.
Le vie della Katana, come quelle del signore, sono infinite.
Ci sono cose che un giornalista bravo, come Piero Colaprico, cronista vero, uno che si legge le carte prima di scrivere un articolo, non può scrivere nei suoi articoli. Magari per non mettere in imbarazzo le forze dell'ordine da cui arrivano le dritte, per non toccare certi fili che possono essere pericolosi. Perché questo paese non è ancora pronto alla verità, che si parli di piazza Fontana, della mafia al nord, della tragedia di Bologna.
Ecco allora venire
in soccorso la scrittura, dove queste storie ai margini tra legalità
e crimine, possono travare spazio, quel famoso sottobosco dove
criminalità e uomini delle istituzioni si incontrano, magari a
braccetto con mafiosi e uomini dei servizi.
La prima volta
che mi sono trovato in mano questo libro non ho potuto non pensare al
grande Giorgio Scerbanenco, ai suoi romanzi della Milano di
fine anni sessanta, dove la vecchia ligera aveva già lasciato il
posto alla mafia: qui siamo ad un nuova generazione del crimine in
una Milano sempre più globalizzata, dove tutto si incontra, le
etnie, le facce, le povertà e pure la criminalità.
Non è un caso
allora che Piero stesso, nella sua lunga dedica che mi ha lasciato
quando l’ho incontrato alla Passione per il delitto, abbia scritto
“Aldo, citi il grande Scerbanenco, qui c’è il passaggio da un
crimine a un altro, da lettore trova la soluzione e alla
prossima!”
Buona lettura!
La scheda del libro
sul sito di Feltrinelli
I
link per acquistare il libro su Ibs
e Amazon
Nessun commento:
Posta un commento