Stasera Report si occuperà della destra mondiale: quella di Israele, “come laboratorio della destra internazionale”, e di Gaza “usata come laboratorio per testare le armi”. Poi la destra di Trump e le elezioni americane, con un racconto dei rapporti inediti del candidato repubblicano con gli italo americani.
La guerra di Israele a Gaza
Per mesi abbiamo sentito dire, dai giornalisti, gli opinionisti, quelli che ne sanno insomma, che quella di Israele a Gaza era una guerra legittima, in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, con la morte di migliaia di persone e il rapimento di 250 ostaggi.
E le morti civili? Da imputare ad Hamas, questo dicevano nei talk, se liberasse gli ostaggi finirebbe tutto.
Poi,
di fronte alle immagini delle macerie, al numero di morti civili
crescente, donne e bambini, questa narrazione tossica è diventata
insostenibile.
A Gaza, se non è un genocidio, parola tabù fino
a poco tempo fa, sta accadendo qualcosa di grave.
“Ho ordinato
un assedio totale sulla striscia di Gaza, non ci sarà elettricità,
benzina, cibo, chiuderemo tutto, stiamo combattendo contro animali
umani e agiamo di conseguenza”: così parlava all’indomani della
strage il ministro Gallant con l’annuncio dell’operazione
Spada di ferro, l’operazione più sanguinosa messa in atto
dall’esercito israeliano, partita con bombardamenti indiscriminati
su Gaza e poi passata ad una invasione di terra che sembra non
arrestarsi mai. Come aveva detto il ministro, i bombardamenti non
stanno distinguendo civili e miliziani di Hamas. Siamo arrivati a
41mila vittime, secondo il ministero della salute di Gaza, la
stragrande maggioranza di questi è gente comune, quasi 17 mila sono
bambini e, tra questi, quasi duemila avevano meno di due anni.
La
parola genocidio è stato un tema divisivo nel dibattito politico dei
singoli paesi europei non solo in Italia: Giorgio Mottola ha
intervistato il professor Raz Seagal - professore di storia
dell’Olocausto, che racconta come gli attacchi contro di lui sono
arrivati dopo un articolo
sull’attacco di Israele a Gaza, definito un “caso da manuale di
genocidio”.
Dopo questo articolo è scoppiato uno scandalo
perché alcune associazioni ebraiche del Minnesota lo hanno attaccato
sostenendo che la sua posizione sull’attacco lo rendeva
incompatibile con l’incarico di direttore del centro studi per
l’Olocausto, così pochi giorni dopo il rettore dell’università
gli ha scritto ritirando l’offerta di lavoro.
Eppure le posizione di Raz Seagal, presentate nei suoi articoli scientifici sono condivise tra i sessanta più importanti studiosi di Olocausto. Lo scorso dicembre hanno pubblicato un documento in cui spiegano perché a Gaza si stia compiendo un genocidio.
La Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite definisce come autore di un genocidio chiunque compia almeno una di queste cinque azioni, con l’intento di distruggere nella sua interezza o in parte un gruppo etnico o religioso:
- se ne uccide i membri
- se li danneggia fisicamente o psicologicamente
- se infligge condizioni di vita tali da causarne la distruzione
- se ne limita la procreazione
- se ne deporta i figli
“A
Gaza si assiste alla dinamica della violenza genocida declinata
secondo queste cinque azioni : i massimi livelli militari e
istituzionali del paese lo hanno annunciato fin dall’inizio in modo
chiaro che il loro intento è distruggere Gaza. Sono partiti subito
bombardamenti indiscriminati, Israele ha usato le proprie bombe più
potenti nel sud di Gaza, nelle aree che aveva indicato come sicure.
Migliaia di rifugiati erano adnati lì perché Israele aveva detto
‘andate lì’ e l’esercito poi li ha bombardati. E questo è
proprio uno dei casi descritti dalla Convenzione internazionale,
creare le condizioni per distruggere fisicamente un gruppo etnico,
nella sua totalità o in parte. Non dimentichiamo che il ministro
della difesa israeliano ha definito gli abitanti di Gaza come
animali, l’indicazione di una intera popolazione civile come nemica
è alla base di qualsiasi meccanismo genocidiario. ”
La
posizione del professor Seagal e degli altri accademici è stata
contestata da una larghissima parte del mondo ebraico e
dell’occidente filo-israeliano. L’accusa di genocidio contro
Israele viene infatti considerata come un pericoloso segnale di
recrudescenza dell’antisemitismo internazionale.
Per
mesi ci si è scontrati, anche qui in Italia sulla parola
“genocidio”: “certo che non è genocidio, perché chi lo dice
fa antisemitismo perché paragona Israele al nazismo” – queste le
parole di Fiamma
Neirenstein, per anni giornalista ma con anche un’esperienza
politica nel Popolo della Libertà, oggi consulente del governo di
Israele nella lotta contro l’antisemitismo.
Ci sono stati
altri genocidi nel mondo ma – spiega la giornalista – “se lo si
riferisce agli ebrei è chiaro che si tratta di criminalizzazione
dello stato di Israele e la criminalizzazione degli ebrei è
assimilabile all’antisemitismo”.
A spaventarla non sono solo
gli episodi di antisemitismo, aumentati del 400% dopo il 7 ottobre,
ma anche le manifestazioni in piazza a favore della Palestina.
In
queste manifestazioni, spiega al giornalista di Report, si esprime
anche odio verso gli ebrei: esprimere una critica allo stato e al
governo di Netanyahu è antisemitismo, “sono vent’anni che spiego
che l’antisemitismo che prima era religioso, poi è diventato
razzista e poi è diventato odio per lo stato di Israele.”
Il
servizio di Giorgio Mottola ha ricostruito l’attacco di Hamas del 7
ottobre, preparato con cura e che ha colto di sorpresa le forze
militare che presidiavano i varchi delle recinzioni erette nel 2007
che rinchiudono il territorio di Gaza: è stata molto più che una
azione terroristica – racconta il giornalista – alle 6 del
mattino un migliaio di miliziani iniziano ad attraversare il confine
occidentale della striscia, neutralizzano le difese israeliane, i
carri armati di giardia e le torrette di avvistamento. Altri
miliziani sono arrivati via mare, altri dal cielo con i deltaplani:
dapprima attaccano le basi militari, sparando per uccidere i militari
e prendendo i superstiti come ostaggi. Poi i miliziani si sono
diretti verso sei centri urbani, uccidendo chiunque incontrassero per
strada, una volta arrivati nei centri residenziali hanno iniziato a
sparare contro le case, senza risparmiare nessuno, donne e bambini.
L’obiettivo civile più importante è il Nova Fest, il rave party
dove si erano radunati migliaia di giovani. È la mattanza dei
ragazzi e delle ragazze, uccisi sul posto o rapiti. 1151 persone
uccise di cui 274 i soldati e 859 i civili, tra loro 2 neonati e 46
sotto i diciannove anni. Gli ostaggi catturati sono stati 251
nascosti nei bunker di Hamas a Gaza.
LA risposta di Israele è
arrivata subito, annunciata dalle parole del ministro Gallant, con
l’operazione Spade di ferro, con una delle operazioni più
sanguinose del paese. Coi bombardamenti, coi droni militari, con
l’invasione dell’esercito per cancellare Hamas ed eliminare tutti
i suoi miliziani. Ma al momento, ad essere cancellata, sembra essere
la Striscia di Gaza, con bombardamenti che non discriminano miliziani
e civili.
Uno
dei passaggi più importanti del servizio riguarderà le armi che
Israele usa a Gaza diventata laboratorio bellico della difesa
israeliana: armi sperimentate sul campo, sulla pelle dei civili e che
poi vengono vendute ad altri paesi, come l’Italia. Ad esempio
l’intercettore mostrato nell’anteprima del servizio. Giorgio
Mottola ha incontrato ad una “fiera delle armi” un rappresentante
dell’ufficio stampa della Elbit
System che lodava questo sistema antimissile che consente di
localizzare da dove viene l’attacco e lanciare in risposta un
missile intercettatore, ora stanno provando a venderlo all’Italia,
caso mai anche noi venissimo attaccati, chessò, dalla Francia o
dall’Austria. Negli ultimi dieci anni l’industria bellica
israeliana ha aumentato del 100% le esportazioni, raggiungendo nel
2023 la cifra record di 12 miliardi di euro, quasi il doppio
dell’Italia che è però un paese dieci volte più grande. Israele
è il nono esportatore in armi nel mondo, ma in rapporto al numero di
abitanti risulta il paese che guadagna più al mondo dall’export di
armi (siamo a 1300 euro per abitante, mentre in Italia il rapporto è
a 100 euro pro capite).
Shir Hever – economista del movimento
BDS (il movimento europeo per il boicottaggio di Israele) racconta a
Report come in molti paesi europei il rapporto dell’import export
delle armi è 80-20, 80% per uso domestico e 20% per esportazione, in
Israele è l’opposto, il 20% delle armi prodotte è per uso
domestico, il resto è venduto all’estero.
“Secondo le
convenzioni internazionali è vietato vendere o acquistare armi da
paesi che sono sospettate di compiere crimini di guerra o peggio
ancora che sono accusate di genocidio. Perciò formalmente è
illegale comprare armi da Israele ”.
Nonostante questo alla
fiera d’armi più grande d’Europa sono esposti pronti per essere
venduti i prodotti delle principali aziende israeliane del settore
della difesa, come SmartShooter,
azienda che usa l’intelligenza artificale per potenziare le armi
usate in guerra. Come i fucili montati di telecamera per garantire la
massima precisione del tiro, per uccidere le persone. “Si può
centrare l’obiettivo al primo colpo” viene garantito: sono armi
vendute all’esercito di Israele che vengono usate a Gaza come a
dire, sono armi provate sul campo, nel corso di un esercizio bellico
reale. Sono armi vendute anche all’Italia: per i clienti è
importante sapere che queste armi sono state testate con successo su
un vero campo di battaglia: “se vai alla BMW e chiede se la loro
macchina è la migliore ti diranno ‘certo è la migliore’, qui in
questa fiera ognuno dira che il suo prodotto sia il migliore ma se un
esercito l’ha sperimentato sul campo è come avere una recensione
indipendente. Se l’esercito israeliano dice usiamo quest’arma sul
campo, è fondamentale. Il miglior spot commerciale”.
L’operazione
militare a Gaza costituisce il miglior spot commerciale possibile per
la maggior parte dei produttori israeliani che stanno rifornendo armi
all’esercito di Tel Aviv.
Non ho parole per commentare questa
deriva bellicista.
Un
altro passaggio del servizio riguarderà lo stretto rapporto tra la
destra italiana e i movimenti a supporto dell’attuale governo di
Tel Aviv come anche lo stretto rapporto tra la destra italiana con la
destra europea: Nazione futura, think tank d’area di Fratelli
d’Italia e dell’orbaniano Danube Institute sono, assieme alle
fondazioni americane e israeliane, i promotori degli eventi europei
dei movimento nazional conservatore che nel 2020 ha avuto il suo
battesimo in Italia quando a fare gli onori di casa c’era Giorgia
Meloni.
Nell’ultimo caso di “spionaggio”,
l’inchiesta su Equalize l’agenzia de security milanese con forti
agganci negli apparati di stato e con la politica, è emersa la
collaborazione dei servizi israeliani:
Report torna ai tempi del governo Renzi, quando l’ex presidente
aveva proposto la creazione del’agenzia si cybersecurity nazionale,
che doveva essere affidata a Carrai, amico e collaboratore di Renzi e
anche console onorazio di Israele, “perché Israele ha tante cose
sulla cybersecurity ha tante cose che potremmo copiare”.
Renzi
aveva chiesto esplicitamente a Carrai come avrebbe gestito lui questa
agenzia, dove avrebbe speso i primi fondi: quest’ultimo replica che
la prima cosa da fare è l’adozione di software israeliani per il
riconoscimento facciale che analizzando i dati delle telecamere
riescono a capire se una persona sta per compiere un reato. Come
quelli usati in Cisgiordania. Non è una richiesta casuale, all’epoca
il cuore delle aziende di sicurezza di Carrai era in Israele, come
israeliani erano i suoi soci, molti dei quali arrivavano dagli
apparati di sicurezza.
“Marco Carrai, prima che diventassi
presidente, collaborava coi servizi segreti italiani [non
israeliani]” ha risposto l’ex presidente Renzi: è una notizia
quella che da a Report, ma agli atti (delle inchieste su Renzi)
risultano solo i rapporti tra l’imprenditore e dirigenti di Aisi e
Aise, come il generale Luciano Carta e il dirigente Beniamino
Nierenstain, figlio di Fiamma Nierenstain (nel corso del 2015).
Ma
in base ai documenti di cui Report è in possesso, Carrai aveva
rapporti stretti anche con Yossi Cohen, una delle figure apicali dei
servizi segreti di Israele.
No – spiega Renzi – Cohen era
nello staff di Netanyahu non era ancora capo del Mossad e l’ho
incontrato io: quando nel 2016-17 è diventato capo del Mossad ha
collaborato coi governi Gentiloni, Conte e Draghi.
Cohen, come
riporta
Il Guardian, avrebbe fatto delle pressioni e rivolto minacce
contro un giudice della Corte Penale Internazionale che stava per
chiedere l’arresto del premier israeliano per crimini di guerra.
Diversamente
da come ricorda Renzi, Cohen era già direttore del Mossad quando
Carrai va ad incontrarlo nel periodo della trattativa per diventare
capo dell’agenzia di cybersecurity in Italia e il rapporto con
Cohen va avanti anche negli anni successivi.
Nel 2019 Carrai
scrive a Renzi una mail in cui Cohen, mentre ricopriva l’incarico
di direttore del Mossad, si proponeva come intermediario con l’India
per le aziende italiane.
La scheda del servizio: Il laboratorio di Giorgio Mottola
Collaborazione di Silvia Scognamiglio e Greta Orsi
Immagini di Omar Awwad, Chiara D’Ambros, Carlos Dias e Alfredo Farina
Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati
Report ricostruisce come Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale
Dopo l'attacco terroristico di Hamas contro postazioni militari e insediamenti civili israeliani il 7 ottobre dello scorso anno, in cui sono morte circa 2000 persone, il governo di Benjamin Netanyahu ha lanciato una campagna a tappeto per colpire Hamas nella Striscia di Gaza. A pagare sono stati soprattutto i civili: secondo le fonti sanitarie di Gaza i morti al momento sono oltre 43.000, almeno 17.000 sarebbero minori. La Corte internazionale di giustizia ha avviato un procedimento in cui lo Stato di Israele è accusato di genocidio. Report ha ricostruito come negli ultimi vent'anni Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale mentre a Gaza le industrie belliche e della cybersecurity israeliane testano le loro armi e i loro prodotti, che vengono poi rivenduti all'estero e anche in Italia.
I sostenitori italiani di Trump
Martedì
si vota e mercoledì in Italia sapremo il nome del prossimo
presidente americano: potrebbe esserci, nonostante i processi,
nonostante le accuse sulle responsabilità per l’assalto al
Campidoglio il giorno dell’insediamento di Biden, il ritorno di
Donald Trump. Tra l’altro, l’ideologo della sua passata campagna
elettorale e anche l’ideologo della nuova destra mondiale, Steve
Bannon è stato rilasciato e ora potrà riprendere la sua campagna
elettorale per i repubblicani. Potrebbero vincere loro, prendendo
voti perfino dalla comunità afroamericana, sicuramente i voti
arriveranno dagli italo americani: una volta erano il serbatoio di
voti dei democratici, oggi, come racconterà il servizio di Report,
in tanti nella comunità italiana votano per Trump (almeno ad
ascoltare gli umori della piazza dove si festeggiava il Columbus
Day). Un paradosso se si pensa che sono i figli e i nipoti di quanti,
tanti anni fa, sono emigrati dal nostro paese per cercare fortuna
“all’America”. Un po’ come oggi succede agli emigrati che dal
sud del continente vogliono arrivare negli Stati Uniti dovendo
affrontare il muro e le tante milizie sovraniste, pronte anche a
sparare.
“Trump fa avere rispetto all’America, agli italiani
a tutto”, dicono: ma il legame con la comunità degli italiani
nasce molto prima di quanto l’ex presidente si buttasse in
politica. Risale ai tempi in cui The Donald era un giovane
palazzinaro e le famiglie mafiose italiane controllavano il business
delle costruzioni.
Lo racconta a Report il giornalista
investigativo David Cay Johnston: le relazioni con la mafia iniziano
con sui padre, Fred Trump, che dopo la guerra ottenne enormi prestiti
governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri
periferici di New York City. “All’epoca aveva bisogno di molto
aiuto da parte dei mafiosi” continua il racconto “perché
l’industria delle costruzioni era, e in una certa misura lo è
ancora, controllata dalla mafia. Stringendo un’alleanza con Willie
Tomasello, associato delle due più grandi famiglie mafiose di New
York, i Genovese e i Gambino, Fred Trump riuscì a garantire che i
suoi progetti fossero realizzati senza problemi coi sindacati delle
costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. E in cambio
Fred Trump li pagava.”
A fare da ponte con la mafia sarebbe
stato il suo avvocato Roy Cohn, all’epoca difensore di fiducia dei
più grandi boss di N.Y. tra cui Antony Salerno.
A
raccontare dei rapporti tra Trump e la mafia di N.Y è anche Murray
Richman l’avvocato che per sessant’anni ha difeso tutte le
famiglie mafiose della città e ha avuto a che fare coi principali
boss della grande mela, proprio come Salerno, boss della famiglia
Genovese in passato guidata da Lucky Luciano.
Trump
era solito andarlo a trovare – racconta a Report Richman
–
Trump e Tony Salerno si conoscevano, l’avvocato Roy Cohn li ha
messi in contatto.
Nel
servizio verrà intervistato John
Alite “ex killer della più potente
famiglia mafiosa di New York, i Gambino di John Gotti, con alle
spalle almeno 7 omicidi e un centinaio di pestaggi ”:
anche lui è uno dei
supporter dell’ex presidente Trump, aveva anche preso parte
all’assalto di Capitol Hill.
Sta con Trump perché sa di avere
una sua influenza politica, per quel milione di visualizzazione dei
suoi video su Tik Tok.
Lo ammette candidamente, i pestaggi,
l’aver sparate a delle persone poi dalla vocazione per i pestaggi è
passato alla vocazione politica, con l’assalto al congresso nel
2020 dopo la vittoria di Biden. Cosa succederà se Trump non dovesse
vincere? “Vedrai proteste in tutte le strade, come protesteranno
queste persone? Alcune in modo violento, altre semplicemente
protesteranno per strada, ma non sarà tutto a posto perché sarà la
fine della libertà”.
Gira una foto di Alite con Trump che ha
causato qualche imbarazzo a Trump, che si è difeso dicendo di non
conoscere l’ex killer, ma non è vero. Alite ha incontrato Trump la
prima volta negli anni 90, nei suoi casinò, si sono incontrati
decine di volte, è stato persino nella villa di Mar-A-Lago.
Un
altro sostenitore di Trump è Joe
Merlino ex boss della mafia di Philadelphia, oggi
influencer e podcaster. La gente lo ama, si fa fotografare con lui, è
uno capace di influenza le scelte delle altre persone, per esempio a
votare Trump “a tutti i costi”, “il più grande presidente
degli Stati Uniti”, se dovesse perdere potrebbe tornare in
Italia.
Nei suoi podcast parla di politica, di cibo e di “rats”:
chi sono queste persone? Sono quelli che parlano e che lui cerca di
smascherare. Si ritiene in ex mafioso? Assolutamente no, “non so
niente della mafia, fbi è la mafia..”
Alla domanda del
giornalista sugli affari di Trump nelle costruzioni e dei rapporti
con le famiglie mafiose l’influencer inizia a cambiare tono, “ti
ho detto che non volevo parlare di questa roba”.
Lasciate
stare in pace Trump, ripete al giornalista di Report che, come si
capisce dal video, non è persona gradita da questo gruppo di
sostenitori del candidato repubblicano (con tanto di insulti..).
Un
mafioso non perde il vizio di fare intimidazioni, una volta mafioso,
sei sempre mafioso, a meno che diventi un pentito: “devo dirtelo,
quello che hai fatto è molto poco professionale.. perché parlavi
della mafia, cosa c’entra la mafia con tutto questo .. scopriremo
chi sei e cosa stai facendo .. se c’è un modo per rovinarti lo
faremo. Che ne dici?”.
Insomma, parlare di certi argomenti è
tabù, tra i supporter di Trump: le minacce sono il prezzo per aver
posto domande scomode agli influencer come Merlino.
Giampiero Calapà sul Fatto Quotidiano ha pubblicato una anticipazione del servizio
Report: l’impero di Trump costruito coi soldi della mafia
alle 20.30 in tv - “Incontrò il boss Tony Salerno”
Di Giampiero Calapà
Donald Trump ha sempre negato di aver incontrato e intrattenuto rapporti con le famiglie mafiose italo-americane di New York City. È una storia di cemento, acciaio, grattaceli, casinò, gangster e soldi, molti soldi, quella che racconta Report – stasera alle 20.30 su Rai3 – riscrivendo parte dell’epopea di The Donald proprio nell’imminenza del voto americano per la presidenza degli Stati Uniti.
Sarebbe già diventato presidente sconfiggendo Hillary Clinton, Trump, se non avesse avuto alle spalle un impero immobiliare da 3,9 miliardi di dollari? domanda Report, fornendo qualche risposta: “Una fortuna che nasce con il padre Fred che ha fondato la Trump Organization, maturata grazie anche ai proventi dei tre casinò costruiti negli anni Ottanta: Harrah’s at Trump Plaza; il casinò di Hilton; l’ultimo nel 1990, il Trump Taj Mahal, il casinò più grande al mondo realizzato con un investimento di un miliardo di dollari. Oggi tutti falliti, ma all’epoca furono la chiave delle fortune di Trump. Con il contributo di chi?”.
Il servizio di Sacha Biazzo fornisce alcune risposte. Al microfono della Rai parla il giornalista investigativo David Cay Johnston, già premio Pulitzer: “La relazione con la mafia italiana a New York iniziò con suo padre, Fred Trump. Dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York. All’epoca aveva bisogno di un grande aiuto da parte dei mafiosi, perché l’industria delle costruzioni a New York era, e lo è ancora, controllata dalla mafia. Fred Trump strinse un’alleanza con Willy Tomasello, un associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, Genovese e Gambino. E così riuscì a garantire che i suoi progetti venissero realizzati senza problemi con i sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. In cambio Fred Trump pagava la mafia”.
La scheda del
servizio: Make
America Italian Again di Sacha Biazzo
Montaggio e grafica di Monica Cesarani
I collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana
Report ha rintracciato una serie di possibili e mai esplorati collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana, attraverso nuove testimonianze di ex boss della mafia, investigatori, legali, e alcuni strettissimi collaboratori che in passato lavoravano con l'attuale candidato alla Casa Bianca. L'inchiesta svela come, dai tempi della costruzione della Trump Tower ad oggi, Trump non avrebbe mai smesso di dialogare, direttamente o indirettamente, con boss ed ex killer della mafia italo americana. Sarà proposta una prospettiva senza precedenti su come Trump, dai suoi primi affari a Manhattan fino all’attuale corsa elettorale, possa essere rimasto legato a figure di spicco delle famiglie mafiose. Un'inchiesta che porterà a interrogarsi sulla possibile influenza della mafia italo-americana nel determinare il futuro presidente degli Stati Uniti.
L’influenza
dei social media sulla democrazia
I social in queste
elezioni hanno un ruolo importante: Report racconterà del lavoro di
Tanisha Long e della sua associazione,
“Abolition Law Center” che si occupa di dare supporto alle
persone che escono dal carcere, a Pittsburgh. Qui le persone
finiscono direttamente dal Tribunale al carcere, senza vedere la
luce. Il suo gruppo si batte da anni contro le terribili condizioni
di vita dei detenuti del carcere di Allegheny, offrendo supporto e
assistenza a chi non può permettersi la tutela legale e a chi,
dietro le sbarre, ha subito abusi e violenze e cerca di ricostruirsi
una vita una volta fuori.
“Questo carcere ha il più alto
tasso di morti in carcere del paese, nella nostra contea i neri sono
il 13% della popolazione, ma rappresentano il 60% dei detenuti”.
È
fondamentale sensibilizzare i giovani su questi temi e per questo
usano i social network, come Facebook:
i contenuti postati prendono pochi like, da pochi mesi – racconta
Tanisha – Meta filtra i contenuti con l’intelligenza artificiale
tramite immagine e parole. Anche nelle foto, dove lei indossa la
Kefiaf riceve meno like del solito, è una sorta di censura.
La
nuova policy di Meta che limita la diffusione di contenuti politici
penalizza gli attivisti social come Tanisha: su Facebook e Instagram
ha portato avanti per anni le raccolte fondi per aiutare chi usciva
di prigione.
Un giorno, mentre cercava di raccogliere tremila
dollari per un suo assistito, il figlio era morto in prigione e
volevano procurargli una lapide. Quando ha pubblicato un post dove
spiegava che ra stata la polizia ad ucciderlo, nessuno donava. Allora
ha cambiato strategia, creando un post dove invitata i follower a
leggere un libro nella didascalia successiva c’era la raccolta
fondi e ha funzionato: “i social media ci hanno aiutato ad
aumentare il coinvolgimento delle persone anche fuori dalla nostra
città”, come successo anche col video della morte di George Floyd.
La scheda del servizio: Meta-Politica di Lucina Paternesi
Collaborazione di Roberto Persia
Immagini di Alessandro Spinnato
Ricerca immagini di Tiziana Battisti
Montaggio di Francesca Pasqua e Michele Ventrone
Grafiche di Michele Ventrone
Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network.
Da febbraio di quest’anno Meta ha deciso di implementare una nuova limitazione sui contenuti di tipo politico su Instagram e Threads, l’ultimo social nato in casa Zuckerberg. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica e l’assalto a Capitol Hill fomentato dalle fake news che circolavano su Facebook, Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network. Ma chi decide cosa è politica? E quali sono le voci che rischiano di sparire dal dibattito pubblico? Viaggio in un’America spaccata in due che si appresta a scegliere il nuovo Presidente tra attivisti, influencer e giovani che reclamano spazi fisici e digitali per esprimere il proprio dissenso.
Fratelli, sorelle e parenti vari d’Italia
Report
tornerà ad occuparsi della gestione del ministero della cultura col
ministro Giuli: nei giorni passati il ministro ha nominato il suo
nuovo capo di Gabinetto, sarà Valentina
Gemignani a prendere il posto di Francesco Spano. Moglie del
deputato catanese Basilio Catanoso con precedenti
incarichi alle spalle nella pubblica amministrazione nel
ministero delle Finanze.
Nel servizio si parlerà anche dell'incarico affidato ad Antonella Giuli, che per anni si è occupata della comunicazione del partito e a gennaio è stata assunto all'ufficio stampa della Camera.
La scheda del servizio: La
Sorella d'Italia di Giorgio Mottola
Collaborazione di Greta Orsi
Immagini di Fabio Martinelli
Montaggio e grafiche Giorgio Vallati
Report torna con novità importanti sulle vicende che hanno coinvolto la recente gestione del Ministero della Cultura.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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