16 novembre 2024

Vuoti di memoria, di Valerio Varesi

 

Niente è mai passato in giudicato. Tutto è un mosto in fermento. Anche le sentenze emesse dai tribunali e consegnate al sonno perenne degli archivi della Cassazione, nella loro apparente solidità di cristallo, non sono altro che illusione.

Il commissario pensava a tutto ciò osservando la gramigna forare l'asfalto per riappropriarsi della sua parte di sole.

Appariva ammirevole la caparbietà con cui crivellava il sarcofago di bitume che la ricopriva crescendo a chiazze come la barba di un adolescente.

La memoria del passato: quella dei ricordi che crediamo di aver scolpito nelle nostre teste e che poi scopriamo essere pure ricordi sbagliati. La memoria del passato, di quello da cui veniamo, le nostre tradizioni, anche quelle culinarie (trattandosi del commissario Soneri, soprattutto quelle).

E, infine, la memoria che ci consente di definire chi noi siamo adesso, per orientare le nostre scelte sul domani.
Tutto questo sta al centro di questo romanzo, forse il più “filosofico” della serie dello scrittore Valerio Varesi, parmense di adozione come il suo Soneri: il giallo, l’indagine su un dato per morto che poi si scopre essere vivo e vegeto, è quasi un pretesto per le riflessioni, spesso pessimistiche del commissario, uomo del passato che si trova spaesato in questa società dove siamo bombardati dalle informazioni.

Tutto comincia da un ricordo: ma Boni, quel compagno di classe al liceo, non aveva le basette?
Per tutta una vita uno si porta dietro un ricordo di qualcosa per poi scoprire che non è vero niente: come possiamo fare affidamento sulla nostra memoria se poi questi ricordi sono sbagliati?

Come possiamo stabilire una verità assoluta se nemmeno possiamo fidarci di quello che abbiamo in testa?

Cos'era la memoria se si ostinava a pensare Boni con le basette benché forse le avesse solo immaginate?
E cos'altro aveva immaginato che adesso viaggiava nella sua mente come un passeggero abusivo? Un persistente sospetto si impadronì di lui: quanti passeggeri abusivi ospitava?

Forse la realtà è un enorme equivoco, un grande abbaglio, si ritrova a pensare Soneri: proprio come il caso Orsi, di cui si era occupato un collega mesi prima. Orsi, un piccolo imprenditore del ramo delle cerimonie funebri, era stato dato per morto mesi prima quando il suo socio, Romeo Calandri, venne ucciso, colpito a morte da più colpi di pistola, di cui uno all’inguine, come se l’assassino avesse voluto accanirsi contro di lui.

Invece ora si scopre che Orsi è vivo e vegeto, dopo essere stato ritrovato in uno stato di amnesia sulla sua barca in avaria al largo dell’Adriatico.

L’assassino, o presunto assassino, era stato individuato in un killer della ndrangheta, uno che aveva già sul groppone diverse condanne per omicidio.
E ora questo ritorno a casa: Orsi ha perso la memoria, si ricorda poco dei mesi passati in mare dove, come emerge pian piano dai suoi ricordi, sarebbe stato tenuto prigioniero da una banda di trafficanti.
Ma si può fare affidamento sulla memoria di uno smemorato? Ancora una volta Soneri si trova spaesato, non c’è più alcun punto solido a cui aggrapparsi, un punto chiaro da cui partire.
Perché, forse, questo Orsi non la sta raccontando giusta? È veramente sotto choc per la situazione in cui si è trovato dentro o sta fingendo?

Più si addentrava nell'inchiesta più la vicenda delle basette di boni diventava metafora degli accadimenti c'erano casi lineari dove procedere era una scoperta consequenziale come una successione numerica ma c'erano casi come quello su cui stava indagando che mutavano colore forma spiazzando chiunque tentasse di interpretarli.

Soneri si deve immergere in questa inchiesta, dove nonostante tutto, c’è un morto su cui indagare, l socio di Orsi: emerge una brutta storia di interessi della ndrangheta, intenzionata ad entrare in questo business, quello dei funerali, prendendo controllo delle aziende per soffocarle e prenderne possesso.
Anche all’interno della famiglia di Orsi emergono dei particolari che mettono la vicenda secondo una prospettiva nuova: lui, imprenditore da diverse generazioni, non era in buoni rapporti con la moglie e ogni tanto si prendeva le sue “libertà” con delle gite in barca accompagnato da un amico e da altre donne. Allo stesso modo la moglie, una donna che sembra avere un atteggiamento molto distaccato, quasi freddo, per la scomparsa e poi riapparizione del marito, aveva una sua seconda vita.
Che fare allora per trovare un appiglio da cui partire? Ci penserà il suo assistente, l’ispettore Juvara, andando a prendere le informazioni da un’altra memoria, quella del computer in rete, dove il silicio ha preso il posto delle sinapsi e dei neuroni.
Qui dentro si trova tutto – spiega a Soneri Juvara, basta usare le giuste parole chiave: tutto questo contribuisce a peggiorare l’umore del commissario che si sente sempre più tagliato fuori.

Lui, uomo delle vecchie abitudini, anche nel mangiare, nelle sue passeggiate solitarie per le vie di Parma, si sente come uno straniero in questo modo dove tutto è omologato, a cominciare dal cibo.

Nel corso delle sue passeggiate incontra due personaggi con cui sfogare il suo malessere: l’archivista in pensione Zefirino, che non abbandona il suo lavoro per il terrore che i documenti storici spariscano e muoiano, per incuria, per un incidente, nel disinteresse generale, perché scartati da questa società:

«Muore anche ciò che scartiamo con le nostre interpretazioni errate con le selezioni più o meno inconsce da cui nascono idee fallaci» gli fece col commissario pensando di nuovo alle basette di Boni e alle mutazioni dell'inchiesta.

L’altro incontro notturno, che stimolerà le riflessioni filosofiche di Soneri su questi tempi moderni, è quello con un senzatetto, un uomo mite che si chiama Sbarazza e che vive consolandosi con gli avanzi di cibo lasciati nei ristoranti e anche dall’ammirazione del bello nella vita.

Chi ha ucciso Calandri? È stato il killer della ndrangheta o c’è dell’altro? E questo Orsi, il mistero Orsi, chi è veramente?
Se la memoria fallisce, rimane la scienza, ma anche la scienza, come gli spiega il collega Nanetti, non si basa solo su delle verità scolpite nella pietra, come invece vorrebbe un investigatore:

«La verità che si tratti di scienza o di giustizia e ammalata dal momento noi scienziati ne siamo consapevoli ma voi inquirenti siete convinti di poter mettere il punto definitivo».

Questo malumore, questo sentirsi all’improvviso perso, non potendo fare affidamento sui ricordi, sul passato che forse non è come ce lo ricordiamo noi, crea dei problemi anche nel suo rapporto con Angela, la compagna avvocato.

Che fare allora, se i ricordi sono un peso e non un arricchimento? L’unica e provare ad azzerare i ricordi

Soneri disse: «E se azzerassimo tutto?». «È lecito?» domandò Angela sorridendo.
«Ti lamenti con gli smemorati e adesso vorresti cancellare i ricordi?»
«Senza si vive meglio. Orsi mi appare felice. Credo che abbia cancellato tutto per non soffrire. Potremmo farlo anche noi.»
Lei sorrise di nuovo, questa volta con dolcezza.
«Lo sai che non è possibile. Noi siamo la nostra memoria» disse. E poi ridendo per l’apparente controsenso: «Anche se non ce lo ricordiamo».

Molto più che un giallo, molto più che una indagine con un morto e un investigatore che deve capire chi sia l’assassino: questo “Vuoti di memoria” è soprattutto uno stimolo per un riflessione su questa “società delle opinioni”, in cui tutti noi viviamo nella sfiducia e nella scomparsa del concetto di verità.

La scheda del libro sul sito di Mondadori e la presentazione dell’autore, Valerio Varesi.

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