«Ma cosa credete di fare all'ufficio istruzione? La devi smettere Chinnici di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l'economia siciliana .. ».Ad usare queste parole contro l'allora capo dell'ufficio istruzione Rocco Chinnici era il procuratore generale di Palermo nel 1982, Giovanni Pizzillo, che così esprimeva il suo modo di vedere la giustizia e il contrasto alle mafie.
Cari giudici, tenetevi lontano dalle banche che riciclano le immense fortune dei boss.
Anzi, cari giudici, tenetevi proprio lontano dai "processoni" sui mafiosi, sui potenti, sui politici..
Nel suo diario il 18 maggio, Rocco Chinnici annotava:
"Ore 12 vado da Pizzillo … Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone, in maniera che cerchi di scoprire nulla perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla"
Questi sono i magistrati che piacciono ad una certa giustizia, quella che piange lacrime di coccodrillo ad ogni commemorazione importante, quella che i giudici è meglio che non scoprano niente.
Le vie del denaro mafioso.
I collegamenti con gli istituti finanziari.
I rapporti do ut des con la politica per quella "convergenza di interessi" poi illustrata nella sentenza di rinvio a giudizio del maxi processo.
Rocco Chinnini, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino erano il nucleo del pool antimafia poi guidato da Caponnetto quando un'autobomba piazzata davanti casa uccise Rocco Chinnici, il portiere del suo stabile oltre al maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta.
Perché nonostante gli avvertimenti dell'eccellenza pizzillo, il pool di Chinnici aveva continuato ad indagare sui livelli superiori della mafia, nella zona grigia dei professionisti che si mettevano a servizio dei boss.
Aveva portato avanti le indagini sui delitti politici, da Pio La Torre a Mattarella, dal giornalista Mauro Francese all’omicidio Dalla Chiesa con la convinzione che dietro ci fosse una comune regia
Il famoso terzo livello:
Certe cose a Palermo non bisogna dirle. Anzi è consigliabile, per essere «apprezzati», negarle smentirle. Invece Chinnici andava a ruota libera, pensava ad alta voce. E pensava anche – dimostrando in questo un'incoscienza senza pari – che il terzo livello esiste, e che senza il terzo livello la mafia che spara, che fa le stragi, che taglieggia popolazioni intere, non avrebbe motivo d'esistere. Spiegò pochi giorni prima della sua morte: «c'è la mafia che spara; la mafia che traffica in droga e ricicla soldi sporchi; e c'è l'alta finanza legata al potere politico (..) Stiamo lavorando per arrivare ai centri di potere più elevati». Se l'avessero lasciato fare avrebbe certamente raggiunto l'obiettivo.Tratto da Venticinque anni di mafia - Saverio Lodato: capitolo “Beirut? Belfast? No, Palermo”. Pagine 133-134
Il 29 luglio 1983, alcuni giornali titolavano "Palermo come Beirut": non eravamo in medio Oriente ma in una città europea di una nazione dentro il G7, anni in la mafia ammazzava magistrati, prefetti, uomini delle forze dell'ordine, eppure non era emergenza nazionale.
Chinnici comprese, ben prima di altri uomini dello Stato, dell'importanza di apristi alla società civile, ai giovani soprattutto, per far comprendere loro l'importanza della lotta alla mafia, che significava fare una lotta per la libertà.
"[...] sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c'è un fatturato di droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani.Il rifiuto della droga costituisce l'arma più potente dei giovani contro la mafia".La magistratura che dialoga con le persone (nel rispetto del segreto delle indagini, certo), che non ha timori di entrare nelle stanze del potere e dell'economia.
Quanto siamo distanti da quanti ancora oggi sostengono che la lotta alla mafia sia solo una questione di repressione, che i magistrati con la loro azione danneggiano l'economia.
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