07 luglio 2016

Serenata senza nome - Notturno per il commissario Ricciardi, di Maurizio De Giovanni

Prologo
"Non c'è abbastanza luce. Il ragazzo lo ha pensato sempre, fin dalla prima volta: in quella stanza non c'è abbastanza luce. All'inizio credeva fosse perché il vecchio è quasi cieco, con quegli occhi velati di bianco. Adesso, però, non ne è più tanto sicuro. Certo, quelli che vedono poco si orientano senza problemi negli ambienti a loro familiari, sembra quasi ci si muovano meglio di chi invece ci vede benissimo. Ma quel vecchio, il ragazzo ormai lo sa, è speciale".

Prosegue l'incontro tra il vecchio suonatore e il giovane talento, già incontrati in "Anime di vetro" e che qui apre e chiude il racconto, una storia di amore e di passione, ma anche di dolore e di morte.
Un racconto autunnale, con un cielo coperto e una pioggia fastidiosa che bagna i vestiti, la cui colonna sonora non può essere che "Voce 'e notte"
Si 'sta voce te sceta 'int' 'a nuttata,Mentre t'astrigne 'o sposo tujo vicino,Statte scetata, si vuò stà scetata,Ma fa' vedè ca duorme a suonno chino!
Nun ghì vicino ê llastre pe' ffà 'a spia,Pecché nun può sbaglià: 'sta voce è 'a mia!È 'a stessa voce 'e quanno tutt' 'e dduje,Scurnuse, nce parlavamo c' 'o "vvuje".

Una canzone che parla di una perdita, di un inizio ma anche di una fine. Come è l'autunno. Una canzone che parla di una perdita perché c'è un innamorato che a cantare sotto la finestra dell'amata e sa che l'ha persa per sempre.
Lui, l'uomo che canta, sa del dolore di lei a fianco del suo uomo: non vuole farle del male ma nemmeno può tacere e tenersi tutto dentro.

Lo stesso dolore, la stessa passione ritroviamo nel racconto di De Giovanni che però parte quindici anni prima del tempo presenti dei romanzi col commissario Ricciardi (attorno ai primi anni 30, nel pieno degli anni ruggenti del fascismo).
Parte dal giuramento fatto da due ragazzi, di quindici e diciassette anni, Cettina e Vincenzo, innamorati come sanno esserlo i giovani, in modo assoluto: lui che vuole partire per l'America e le chiede di aspettarlo:
- Io torno a prenderti, Cettì. Io torno a prenderti. Ti conviene aspettarmi.La prese alle spalle e la baciò, con la furia disperata della perdita.Poi scappò via.

Vincenzo Sannino è uno dei tanti italiani partiti su un bastimento per l'America, la terra delle opportunità e delle promesse, dove a tutti viene data una chance per cambiare vita, basta aver voglia di lavorare.
E nei quindici anni passati a "Nuovaiorca", dopo essersi tuffato nelle fredde acque del porto per sfuggire ai controlli ad Ellis Island, è riuscito a diventare qualcuno, a sfuggire alla miseria, a mettere da parte abbastanza soldi per comprarsi il negozio del padre di Cettina.
Con la carriera del pugile, cominciata quasi per caso nella palestra di Jack Biasin.
Ma quindici anni sono tanti.
E Cettina, come la canzone di De curtis, ora è la signora Irace, moglie di Costantino Irace, un commerciante di tessuti, assai abile e spavaldo.

Una volta tornato in Italia per Vinnie Sannino, chiamato The snake nel mondo del pugilato per il suo gancio, il suo marchio di fabbrica, non rimane che cantare il suo dolore sotto la finestra di Cettina e poi sfogare la rabbia e il dolore in faccia all'uomo che si è portata via la sua donna, la donna che ha aspettato per anni.

Costantino Irace viene trovato morto una mattina, in un vicolo vicino al porto, ucciso a botte e lasciato lì sotto la pioggia.
I primo ad accorrere sul posto sono Maione e il commissario Ricciardi:
«Il cadavere era di un uomo grande e grosso, riverso di lato, le braccia strette al petto e le ginocchia contro il ventre. Il vestito che indossava era di buona fattura, e il soprabito, aperto, pareva nuovo e costoso, anche se sporco di fango. Poteva avere una cinquantina d'anni, forse meno. Il volto era tumefatto e la tempia sinistra recava una strana depressione».

Ucciso a poche ore dalle minacce di morte, sentite da tutti: è stato Vinnie “the snake” Sannino a uccidere Irace? Ucciso con un colpo alla tempia, il suo marchio di fabbrica?
Forse.
Ricciardi assiste al consueto rituale de Il fatto, le ultime parole del morto che ripete in continuazione “tu, di nuovo tu, tu, di nuovo tu, un’altra volta tu, di nuovo tu” ..

La soluzione che porta al pugile e al delitto passionale sembra la più semplice ed è anche quella fortemente voluta, sia dai parenti del morto (la vedova, il cugino avvocato..) che dal regime fascista: per le sue vittorie sul ring, Sannino è stato osannato come un eroe.
La sua scelta di abbandonare il ring, a seguito della morte di un avversario (pure di colore), è stata vista dal regime come un tradimento, come un atto di vigliaccheria.

Ma forse ci sono altre piste: il mondo del commercio, specie quello dei tessuti che segue la moda, vive di lotte sotterranea per aggiudicarsi le stoffe migliori, alzando le offerte col rischio poi di ritrovarsi strozzati dai debiti, in mano agli usurai.
Per qualcuno meglio la morte.

Come in tutti i romanzi di De Giovanni con Ricciardi, attorno al delitto e ai suoi protagonisti, ci sono altri racconti con altri personaggi che vi ruotano attorno: Maione che deve salvare la pelle ad un amico di Bambinella, il femminiello che è anche il suo miglior confidente.
Livia, la vedova del tenore Lezzi, che qui deve assumere i panni di una Mata Hari per conto del regime.
La contessa Bianca di Roccaspina (conosciuta in Anime di vetro), tornata libera alla vita sociale e proprio a fianco di Ricciardi, per sfatare le voci su di lui che lo stavano portando al confino.
E poi c'è Enrica, la dolce Enrica, che deve decidere se seguire ancora il cuore (e aspettare quell'uomo da quegli occhi verdi come il mare) o rassegnarsi alla ragione, con quell'ufficiale tedesco in missione in Italia …
Nelide, sempre sorvegliata dallo spirito di Rosa, la vecchia tata del commissario, che si esprime coi proverbi cilentani per allontanare i ragazzi con strane intenzioni:
Senza cà truoni, cà nu lampa.Il fantasma di Rosa apprezzò ancora. E' inutile che tuoni, perché non ci sono lampi, aveva detto Nelide. In pratica: evita di sprecare parole, tanto non serve.”

In una lunga settima di pioggia, vivremo fino in fondo questa storie che si intrecciano e che parlano di passione, di promesse, di canzoni d'amore cantate su uno scoglio. Passione e amore che a volte si trasformano in un peso per il cuore (e Ricciardi sa cosa significhi) o, peggio, in sentimenti che uccidono.
C'è un passaggio importante nel libro, da leggere tutto d'un fiato, dove Vincenzo spiega del suo essere partire senza essersene mai andato, il perché di quella “serenata senza nome”:
Volevo spiegarvi la storia della serenata senza nome. Io sono partito commissà, ma non me ne sono andato mai. Partire e andarsene sono due cose distinte e separate, due idee diverse. Io ci ho messo un anno per capirlo, in quel luogo dove credevo di trovare certe cose e invece ne ho trovate altre, magari perché le cose che pensavo io non ho saputo cercarle bene, o perché non c'erano.Un giorno che stavo sulla pedana a dare pugni quando avrei dovuto riceverne come una specie di sacco con le gambe, come uno strumento per allenarsi, ho compreso che quello poteva essere il modo per abbreviare il tempo, per riavere in anticipo la mia vita: schivare e colpire. Perché un uomo solo una vita sola tiene, commissà, non due; e se la mia vita era qui, come faceva a essere anche là? Allora ha schivato e colpito, e non ho smesso più.[..]Sono stati così gli anni dall'altra parte. Anni di silenzio, di sorrisi e di parole senza significato . Anni a schivare e colpire. Anni senza essermene mai andato pur essendo partito. Anni trascorsi nella convinzione di essere in un intervallo della mia vita, un periodo sospeso in cui non avevo una vera esistenza. Ero come quei pezzi di carne, quei quarti di bue che si conservavano nelle ghiacciaie per mangiarli nei giorni di festa.
E non avete idea della forza che ti dà sapere che non sai vivendo, e che verrà il giorno che prenderai di nuovo la nave e tornerai la casa. [..]Cettina è questo per me commissà. Il respiro. Se mi togliete il respiro di Cettina, tanto vale che chiedete al brigadiere la pistola e mi tirate un colpo. Facciamo finta che volevo scappare e siamo tutti contenti: i capi vostri, lei, il fratello, il cugino e pure io. Mi fate una grazia, se mi dovete togliere il pensiero di Cettina. Perché io senza quel pensiero non posso campare, ormai. Nemmeno un minuto.Io sono partito è vero. Però non me ne sono mai andato. Sono rimasto vicino a lei.


La scheda del libro sul sito di Einaudi il primo capitolo in pdf.

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