Tutto quello che bisogna sapere sul
Referenzum d'autunno contro la schiforma Boschi-Verdini
Ad ottobre (ancora non sappiamo in che
data) il paese sarà chiamato ad esprimersi per il referendum
confermativo della riforma costituzionale, il DDL Boschi: su questa
riforma, sul sì, il governo ha messo la faccia ma ha pure legato la
sua permanenza al potere. Perché se perdo, dicono Renzi e il
ministro Boschi, con che faccia mi ripresento al paese?
Mettiamo da parte la questione, non
secondaria, che le Camere sono sciolte dal Presidente della
Repubblica e non dall'esecutivo.
Concentriamoci sul contenuto della
riforma: ogni giorno su buona parte dei TG è un continuo ripetersi
degli slogan delle regioni del Si. #Bastaunsì è l'hashtag
che gira sui social: metti un sì, sembra di capire, è tutti i
problemi della nostra Repubblica saranno risolti.
Non preoccuparti, elettore, c'abbiamo
pensato noi: taglio ai costi della politica, tempi certi per
l'approvazione delle leggi, fine del bicameralismo perfetto. Avremo
un sistema più snello, con meno costi, più agile.
Sui telegiornali le ragioni del no
hanno avuto e (presumibilmente) avranno poco spazio: altrimenti
sarebbe abbastanza facile smentire tutte questi mini spot per la
riforma. A quanti sostengono le ragioni del no (e magari non sono
comici, calciatori, ma costituzionalisti fuori dai giochi della
politica) ci sono solo pochi secondi per cercare di spiegare, di far
capire a chi ascolta dei rischi che questo sistema comporta. Il tante
volte ripetuto “combinato disposto” di una riforma che
accentra potere nell'esecutivo, toglie rappresentatività, elimina
pesi e contrappesi (check and balances dicono quelli bravi)
con una legge elettorale che mantiene di fatto tutti i difetti del
porcellum.
Per questo motivo i giornalisti del
Fatto Quotidiano, il direttore Travaglio e Silvia Truzzi hanno
deciso di pubblicare questo breve saggio, “Perché no”,
che raccoglie e spiega tutte le ragioni del no.
Non a caso il libro inizia col capitolo
“Passate parola”: è così semplice oggi, in un paese dove la
gente tende a delegare, a non interessarsi, a non appassionarsi più
alla politica, dire sì.
Non pensate, non ragionate, non
sforzatevi. Basta un sì.
Massì dai, aboliamo del tutto
questa Costituzione, che per molti (tipo JP Morgan, per
fare un nome) è come un vestito troppo stretto, scomodo, perché è
pensata per includere e non per escludere, per tutti senza
discriminare e non solo per le elìte.
La legge uguale per tutti, la sovranità
che appartiene al popolo, il diritto all'istruzione fino ai più alti
livelli per i meritevoli, il diritto alle cure, ad un salario
dignitoso.
Non capita tutti i giorni di riformare
la Costituzione e dunque quando la si modifica (cosa ragionevole, non
essendo un dogma scolpito nella pietra) si deve procedere allargando
il dibattito a tutti, non lavorare a colpi di maggioranza, a colpi di
canguro e di questioni di fiducia, per escludere le proposte delle
minoranze e con il ricatto o votate si o si va a casa.
Questa riforma, dicono quelli che pure
voteranno sì, è scritta male, raffazzonata, pasticciata (Scalfari,
Cacciari,Benigni ..): ma se non votiamo si, avremo perso tempo,
avremo perso un'occasione, daremo l'impressione di non essere capaci
di fare le riforme...
Falso: se passa il si ci troveremo
sulle spalle leggi costituzionali, da cui discenderanno le leggi
ordinarie, scritta male, che creeranno contenziosi tra regioni e
Stato centrale, che impatteranno sulla nostra vita.
È sbagliato riformare la legge delle
leggi considerando i problemi dell'oggi (le reazioni dei mercati,
degli altri paesi europei) e non l'effetto che avrà sull'Italia dei
prossimi decenni.
Per quanto detto sopra (e quanto dirò
in seguito) è importante votare no al referendum, per questo è
importante essere consapevoli di cosa comporterà il sì, per questo
è importante questo libro.
Libro che ha il pregio di smontare
tutte le ipocrisie, le bugie anche grossolane, la spudoratezza del
fronte del si.
Padri Costituenti e ricostituenti.
In questo capitolo si racconta di come
è nata la Costituzione attuale, approvata nel 1948 dopo due anni di
lavoro da parte dei costituenti, confrontando poi l'iter approvativo
dell'attuale riforma che toccherà 47 articoli del 136, alcuni
riscritti male (l'articolo 70 passa da 9 parole a 439, per dire della
complessità del linguaggio); non dovrebbe toccare i principi della
prima parte, ma non è detto che ciò accada nel futuro.
Si è arrivati alla sua approvazione
col canguro (del senatore Esposito) per abbattere gli emendamenti
della minoranza, con la sostituzione dei componenti della commissione
affari costituzionali contrari come Corradino Mineo.
Non solo: questa è la riforma di
Renzi, Boschi (e Verdini e Berlusconi, che nella prima parte die
lavori erano pure favorevoli). Ci si è dimenticato quindi di quanto
scriveva Calamandrei “quando si scrive la Costituzione i banchi del
governo dovrebbero essere vuoti”.
La controriforma.
Cosa c'è dentro Italicum e DDL
Boschi?
Non c'è maggiore semplificazione
dell'iter delle leggi, poiché per alcune si mantiene il passagio tra
Camera e Senato.
Non si è abolito il Senato che diventa
una camera di doppio lavoristi, già pagati dalle regioni (o dagli
enti locali) e che riceveranno probabilmente un rimborso per lo
spostamento nella capitale.
Noi cittadini non li voteremo più, ma
la riforma rimanda ad altra legge il modo in cui verranno scelti i
consiglieri regionali.
Si risparmieranno costi? Per gli
stipendi dei 215 senatori sì. Ma parliamo di un risparmio di 25
milioni per una macchina (il Senato) che costa circa 500 ml l'anno.
Tutto qua il risparmio, 215 senatori di
meno, quando attorno alla politica, nello stato centrale, nelle
amministrazioni e nelle partecipate lavorano 1,1 milione di persone?
Le leggi verranno approvate più
velocemente?
Dipende, per alcune l'iter di
approvazione rimane doppio. E poi c'è una questione dirimente: chi
controlla l'operato dell'esecutivo (che avrà un binario
preferenziale per i suoi decreti)?
Con una Camera di nominati, in maggior
parte, con la possibilità di eleggere i membri più malleabili al
CSM e dentro la Corte Costituzionale, mancano i contrappesi al potere
del Presidente del Consiglio.
Vogliamo tornare ai tempi in cui
Berlusconi si approvava lo scudo del lodo Alfano, ai tempi
della legge Ronchi che consegnava ai privati la gestione dell'acqua,
alle centrali nucleari che diventavano opere strategiche?
Le leggi dell'esecutivo già oggi sono
la stragrande maggioranza e passano tutte in meno di due mesi.
E senza bisogno del DDL Boschi.
Le leggi che non passano (o che fanno
fatica a passare, su tortura, autoriciclaggio, sulla prescrizione,
sulle unioni civili) è perché sono i partiti a non volerle.
L'Italicum: differisce dal
porcellum perché il premio di maggioranza viene dato se la lista
vincente passa il 40%. Ma rimangono i capilista bloccati, i collegi
multipli.
Il premio di maggioranza garantirà una
stabilità? Non è detto perché dà una maggioranza di soli 26
deputati.
E non è detto nemmeno che non ci
saranno più inciuci e ricatti delle minoranze: i gruppetti si
metteranno assieme al partitone (della nazione?) prima delle
elezioni, per poi sciogliersi nuovamente dopo il voto.
Come sta succedendo oggi con ALA di
Verdini e NCD di Alfano.
A proposito: la sovranità appartiene
al popolo sta scritto nell'articolo 1. Ma domani, questa apparterrà
ai partiti, che si sceglieranno i deputati e i senatori.
Saremo una Repubblica
semipresidenziale, con una Camera svuotata delle sue funzioni e con
un Senato che non rappresenterà né le regioni (non c'è vincolo di
mandato e né vincolo di votare come espressione del voto regionale)
né le autonomie e non avrà più funzione di controllo.
A quanti tirano fuori le proposte
dell'Ulivo dove già si parlava di riformare il Senato, o Berlinguer
quando proponeva di eliminare la doppia camera, si può rispondere
che erano proposte che si basavano su una diversa legge elettorale.
Ai tempi di Berlinguer c'era il
proporzionale puro (che garantisce rappresentatività) e la proposta
dell'Ulivo del 1996 era così poco importante che rimase lettera
morta.
Il Mattarellum, vent'anni fa, non aveva
l'abnorme premio di maggioranza oggi previsto dall'Italicum.
Che, ricordo, è stato approvato usando
il meccanismo della fiducia. Come la legge Acerbo del 1924.
C'è la ciliegina sulla torta dei
referendum: si è abbassato il quorum per i referendum (50%
dei votanti alle ultime elezioni) ma servono 800 mila firme.
E sappiamo come poi i risultati dei
referendum siano stati disattesi (l'acqua, il finanziamento ai
partiti).
Le leggi di iniziativa popolare (per
cui serviranno 150mila firme) dovranno essere discusse dal
parlamento, ma questo è rimandato ad una futura legge e non è detto
che poi finiscano nel cassetto.
E vissero felici e impuniti.
Buona parte dei
neo senatori saranno i consiglieri regionali di cui oggi sentiamo
parlare per le inchieste come le spese pazze dei fondi regionali.
Dalla Val d'Aosta
alla Sicilia, una lunga carrellata di consiglieri con alle spalle
inchieste e condanne e che ora dovranno andare a Roma a rappresentare
le regioni d'appartenenza con tanto di immunità parlamentare.
Ne abuseranno,
usandola come scudo per proteggersi per inchieste di natura non
politica?
Vogliamo veramente
fidarci di queste persone che già prendono stipendi più che
onorevoli e che ora diventeranno pure senatori?
C'è chi diveva no.
Penso che questo
sia il capitolo più interessante.
Nel 2005 il
governo Berlusconi approvò la sua riforma costituzionale, la
devolution, toccando 53 articoli della Costituzione.
Si andava verso un
regime presidenziale chiaro: l'allora centro sinistra criticò la
riforma nei metodi (essere stata approvata dalla sola maggioranza) e
nella sostanza (il potere consegnato nelle mani dell'esecutivo e del
Presidente del Consiglio) senza contrappesi.
Il vicepresidente
della regione Emilia Romagna Gualmini, ad Otto e mezzo aveva
criticato il no di FI dicendo “[..] per non parlare di Brunetta
e Berlusconi che avevano fatto una riforma del tutto identica”.
Ohibò: il Pd ha
fatto una riforma identica che nel 2006 aveva criticato (e fatto
campagna elettorale per il no) e ora la ri propone pari pari?
Talvolta qualche
pezzo di verità esce dalla bocca di questi personaggi.
Tra quanti
dicevano no troviamo la senatrice Finocchiaro, il presidente
Mattarella, Napolitano, Fassino, Pier Luigi Bersani, Renzi stesso
(all'epoca presidente della provincia di FI).
Franceschini
scriveva “il PDC ha in mente un paese in cui il potere viene
sempre più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona”.
Quello che
succederà con la riforma Boschi.
Il
costituzionalista Ceccanti (oggi fautore del si alla riforma
Boschi) e l'economista Salvati avevano fatto un appello contro la
devolution “approvare unilateralmente un testo così è uno
strappo”.
Nel 2006 a
schierarsi per il no c'erano anche magistrati (come Spataro), cosa
che oggi d a fastidio all'esecutivo di centrosinistra (schierato per
il si).
Infine l'ex
presidente Napolitano che, intervistato da Myrta Merlino
diceva “non deve passare un'eccessiva amplificazione dei poteri
del capo del governo”.
Era il 2006 e
all'epoca non ci si poneva il problema per cui se si votava si si
sarebbero persi anni di lavoro e un'occasione per rinnovare la carta
etc etc …
Le alternative c'erano
Partiamo da un
principio semplice semplice: la carta costituzionale si può
cambiare, prescindendo dai principi della prima parte che dovrebbero
rimanere intoccabili e che ancora aspettiamo la loro attuazione.
Molti dei
costituzionalisti del no erano pure favorevoli a riformare gli
assetti del nostro paese e avevamo proposto al governo le loro idee.
Purtroppo inascoltati.
Così è successo
per le proposte di Zagrebelsky che proponeva un senato di
garanzia di eletti, non rieleggibili, con criteri di esperienza e di
non incompatibilità.
Una camera eletta
col criterio maggioritario, senza nominati e su collegi uninominali e
un Senato di garanzia che si attiva su alcune leggi per attivare la
procedura bicamerale paritaria.
Azzariti,
docente di Diritto Costituzionale a Roma, proponeva direttamente
l'abolizione del Senato e un'unica Camera eletta in modo
proporzionale (che era poi la proposta anche di Berlinguer e Ingrao,
oggi citati a sproposito).
Anche Massimo
Villone, professore di Diritto Costituzionale a Napoli, proponeva
l'abolizione del Senato o, in alternativa, la trasformazione verso
una repubblica presidenziale vera. Ma con un meccanismo di controlli
per avere “un governo forte, ma anche un popolo non di sudditi
ma di cittadini”.
Alessandro Pace,
professore emerito della Sapienza a Roma, era dell'idea di
trasformare il Senato in organo solo consultivo, poiché non eletto.
Insomma c'erano
diverse alternative al “pastrocchio” del Senato non
eletto, con poteri legislativi, composto anche da persone scelte dal
presidente della Repubblica (perché?), con tanto di immunità ma che
non rappresenterà i territori.
Il rammarico di
questa occasione persa è nelle parole di Lorenza Carlassare,
professore emerito a Padova: “nessuno difendeva il bicameralismo
paritario, l'accordo sulla sua modifica era pressoché unanime.
Bastava procedere sulle vie indicate dalla Costituzione [..] Le
Costituzioni sono fatte per durare, non le si può cambiare secondo
gli umori della maggioranza del momento”.
Niente da fare:
professoroni, gufi, archeologi della Costituzione.
Anche la proposta
del Fatto Quotidiano stesso, lettera morta: non è vero che chi è
per il no sia contrario ai cambiamenti in sé, dunque. La domanda da
porsi è perché sono stati bloccati i tentativi di mediazione, di
dialogo, a suon di ghigliottine o canguri.
Fino ad arrivare
alla situazione ridicola di oggi dove, dopo la batosta alle elezioni
amministrative (la sconfitta a Roma, Napoli e Torino), si torna a
parlare di modifiche all'Italicum e a considerare l'ipotesi di
spacchettare i quesiti.
Come funziona negli altri paesi
Interessante è
vedere come stanno le cose in altri paesi dove, è vero, non esiste
un sistema bicamerale perfettamente paritario come in Italia, ma dove
esiste piena rappresentatività e dove esistono sistemi di controllo
al potere dell'esecutivo.
In Germania,
dove nel Bundesrat si trovano persone scelte (non elette) dai Lander
stessi col vincolo del mandato, ovvero dovranno votare compatti, pena
il voto nullo.
Il Bundestag è
eletto con quote di proporzionale e maggioritario.
Negli Stati
Uniti sono eletti in modo diretto i membri di Camera dei
rappresentanti e del Senato: c'è un bicameralismo perfetto per il
sistema legislativo e per la revisione delle leggi costituzionali.
Il Senato ha
poteri di vaglio e ratifica sulle nomine presidenziali, fa da giudice
per i procedimenti di impeachment nei confronti del Presidente.
La Francia
è un sistema semi presidenziale dove l'esecutivo ha due teste:
Presidente del Consiglio e della Repubblica che possono avere colori
politici diversi.
Mentre negli Stati
Uniti il Congresso ha potere di controllo sul Presidente, in Francia
il potere è sbilanciato verso quest'ultimo.
Il Senato è
eletto da un collegio di grandi elettori (162mila tra deputati,
senatori, consiglieri regionali): l'iter delle leggi è bicamerale ma
solo la l'Assemblea nazionale dà la fiducia al governo.
Nel Regno Unito
esistono due Camere, la prima House of Commons eletta in modo
maggioritario uninominale e la seconda da nominati (Lords ereditati o
nominati, 26 vescovi).
Il sistema è
bicamerale ma non paritario: la prima Camera dà la fiducia, la
seconda è di controllo, “camera di riflessione” sulle leggi del
governo.
Infine la Spagna:
è un modello regionale asimmetrico, non essendo indicato in
Costituzione né quante siano le regioni né le loro competenze.
Il Parlamento è
bicamerale: il Congresso eletto in modo proporzionale dà la fiducia,
il Senato ha funzione di veto e può proporre emendamenti.
Le ragioni del no
Le ragioni per cuivotare no sono riassunte in questo articolo
uscito sul FQ: sono 35 punti, il primo dei quali dovrebbe
tagliare la testa ad ogni discussione. Una maggioranza che è tale
perché drogata da un premio giudicato incostituzionale, sta
cambiando a colpi di minoranza relativa la Costituzione.
In Appendice
trovate il testo della riforma costituzionale con a fianco, i testi
della costituzione vigente.
Così potete farvi
un'idea.
Prima di decidere.
Per ordinare il
libro sul
sito del Fatto Quotidiano.
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