23 settembre 2015

Qui non siamo a Fortapasc - Giancarlo Siani

Voto di scambio politico mafioso.
Mazzette in cambio di appalti pubblici, sulla ricostruzione post terremoto.
Appalti pilotati per far arrivare lavori ad aziende legate alla Camorra, intestate a prestanome.
E ancora, l'assenza di una risposta seria, significativa, da parte dello Stato che, a Torre Annunziata, era rappresentato dal pretore Rosone e dal capitano Sensales.
Che arrestavano i boss, come Valentino Gionta, per porto abusivo d'armi.

Di questo voleva scrivere e scriveva Giancarlo Siani, giornalista abusivo del Mattino di Napoli. Ucciso 30 anni fa in una notte di settembre dalla Camorra.
Abusivo in quanto precario, mal pagato, uno di quelli che doveva scrivere solo di cronaca nera: scippi, furti, rapine.
Ma Giancarlo lo voleva fare proprio quel lavoro: il giornalista giornalista, non il giornalista impiegato. Quello che se le cerca le notizie, gli scoop, le "rotture di cazzo".
Anche se era precario e abusivo.

Siani aveva metodo, sapeva dove cercare le notizie, sapeva come muoversi sul territorio, conosceva chi erano le famiglie dei clan, i loro appartenenti.
Dava fastidio, Siani: ai boss, quando scrisse dell'arresto di Gionta a seguito di una soffiata della famiglia Nuvoletta. Ma dava fastidio anche ai politici.
Dopo la strage di Torre Annunziata scrisse un articolo che dovrebbe essere fatto leggere a quanti vogliono fare il giornalista giornalista: iniziava così "mi sono sempre chiesto da dove vengono i lenzuoli bianchi che coprono i cadaveri ...".

Cosa c'era dietro quei lenzuoli?
Domande da giornalista giornalista.
Anche oggi, se fosse vivo, scriverebbe cose fastidiose, come tanti altri giornalisti e scrittori. Come Saviano, ad esempio, come Rosaria Capacchione. Giornalisti che, ancora oggi, vengono accusati di offendere la loro terra, di darne un'immagine sbagliata.
Perché ancora oggi, 30 anni dopo, non siamo a Fortapasc ..

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