Confesso di aver preso in mano questo
libro, scritto dal vicedirettore del Fatto Quotidiano Stefano Feltri,
con un certo scetticismo. Il titolo prima di tutto, che sembrava
preso da una delle tante discussioni da talk, dove vince chi grida
più forte. Mandiamoli a casa, sono tutti ladri ..
E poi il sottotitolo “perché non
sarà il palazzo a salvarci”: ricorda le parole del presidente
americano John Fitzgerald Kennedy.
E invece no.
In questo bel saggio, che si legge
molto facilmente nonostante si parli di politica, di economia e
anche di tecnologie dell'oggi e del domani (e saranno loro a
salvarci), c'è molta positività di fondo.
Non è un saggio catastrofista di
antipolitica un tanto al chilo: Stefano Feltri spiega
il perché è giunto a quella tesi, così netta. Non sarà questa
politica e questi partiti politici con questi leader a salvare il
paese. A far ripartire l'economia, a far crescere il PIL, a creare
quei posti di lavoro che ad ogni elezioni vengono promessi.
La politica non è più in grado di
fare molto a causa dei vincoli che essa stessa si è data. I
vincoli europei (sul pareggio di bilancio, sul fiscal compact), i
vincoli che derivano dalle sentenze della Corte Costituzionale che
oggi sembra più difendere i diritti acquisiti dell'oggi, che non
preoccuparsi dei diritti degli italiani di domani. Come le pensioni
garantite anche a chi non ha erogato contributi a sufficienza.
La politica non è in grado di dare
soluzioni nell'immediato per i suoi tempi lunghi, per le discussioni
del palazzo inutili, per la resistenza delle lobby (che non
sono elette ma che hanno influenza sugli eletti), per le burocrazie
nei palazzi.
La politica non è in grado anche
perché, più che indicare soluzioni, sembra voler assecondare le
grida manzoniane del popolo. Il popolo vuole l'uscita dall'Euro?
Diamogli l'uscita dall'euro.
Il popolo vuole un nemico esterno su
cui sfogarsi (e per non prendersela coi governanti di ieri e di
oggi)? E noi diamo la caccia agli immigrati.
E via discorrendo …
Abbiamo aspettative troppo altre nei
confronti dei leader dei partiti, deleghiamo a loro fin troppo delle
scelte che poi incidono sulla nostra vita.
Il giornalista spiega come nel corso di
questi anni si sia passati da un modello dalla democrazia dei diritti
alla democrazia del pubblico:
“nella democrazia del pubblico è l’offerta che determina la domanda. Sono cioè i leader politici che, cercando il consenso per essere eletti”.
Raccontano loro
quello che essi stessi vogliono sentirsi dire.
E' certamente una provocazione quella
di Feltri: ma che man mano che si scorrono le pagine, diventa
sempre più convincente.
Mentre nei palazzi si discute di
articolo 18, delle licenze dei taxi, della riforma della scuola,
delle trivelle con cui succhiare ancora un po' di petrolio, la fuori
c'è un mondo in cambiamento. Una nuova rivoluzione sta avvenendo
sotto i nostri occhi e forse noi non ce ne stiamo rendendo conto.
Dalla rivoluzione industriale non si assisteva ad un concentrato di
idee, tecnologie, strumenti tutti a portata di mano.
Per uscire dalla crisi, spiega
l'autore, l'Italia dovrebbe puntare all'istruzione di eccellenza,
dalle scuole primarie fino all'università.
Dovremmo investire in ricerca, nelle
aziende private e anche nelle aziende pubbliche.
E invece: investiamo nell'università un misero 0,8% del PIL (peggio di noi solo la Grecia).
E invece: investiamo nell'università un misero 0,8% del PIL (peggio di noi solo la Grecia).
Stesso discorso per la ricerca: “Nel
2012 l’Italia ha speso l’1,3 per cento del Pil in ricerca e
sviluppo a fronte del 2,4 della media dei Paesi Ocse, a sua volta
inferiore alla spesa di Paesi quali Stati Uniti (2,8 per cento),
Germania (2,9 per cento)”
Pensiamo ancora di competere puntando
sul manifatturiero, sull'ortofrutticolo, sulla produzione di bassa
qualità che richiede una bassa manovalanza dove ci si scanna solo
sul prezzo della manodopera.
“Da quando c’è Matteo Renzi presidente del Consiglio si è affermata una rassicurante idea di come uscire dalla crisi. «Bisogna che l’Italia torni a fare l’Italia» ripete il premier, per poi partire con l’elenco di tutto quello che abbiamo di «bello» da offrire al mondo, dal cibo – celebrato a Milano all’Expo 2015 e sugli scaffali dei negozi Eataly del renziano Oscar Farinetti – all’arte e alla cultura, che lui intende sempre come insieme di monumenti, quadri, strade, palazzi, chiese. I libri e le idee sono fuori dal suo orizzonte. Il futuro dell’Italia passa da lì, sembra intendere Renzi, dalla trasformazione dell’intero Paese in una specie di grande museo degli Uffizi, simbolo fiorentino della cultura italiana esposta al mondo”.
Chiaro che se
puntiamo al lardo di colonnata, mentre nel resto del mondo si fanno
ricerche sui Big data, sulle auto che si guidano da sole, sul
risparmio energetico, abbiamo ben poche speranze.
Il modello
fordista, dell'azienda che produce in catena l'auto per tutti è
fallito. Crollato il muro di Berlino non abbiamo più altre masse di
persone cui vendere i prodotti del capitalismo.
Dobbiamo
rassegnarci al declino, allora – si chiede retoricamente l'autore.
No.
Perché ormai agli
stati nazionali si sono sostituiti gli stati virtuali,
transnazionali. La repubblica di Facebook e il regno di Google.
Che si stanno
sostituendo agli stati nazionali nell'erogazione di servizi che
sarebbero loro prerogative: Feltri ricorda le campagne per
l'alfabetizzazione nei paesi africani di Facebook, perché FB ha
bisogno di un pubblico istruito, cui dare la porta di accesso ad
internet.
Non solo:
“Facebook sta provando a entrare anche nel campo della salute. Nel 2012, Facebook ha ottenuto una risposta imprevista dagli utenti quando ha reso possibile modificare i loro status inserendo la qualifica di «donatore di organi»”[..]“Ci guadagnano tutti: gli utenti che hanno un servizio migliore, i gruppi farmaceutici che possono concentrare gli investimenti pubblicitari direttamente sui potenziali clienti e Facebook che aumenta il traffico”.
C'è il settore
delle rimesse degli immigrati, i loro soldi viaggeranno un giorno via
FB rompendo il monopolio dei due big MoneyGram e Western Union.
Uno dei fondatori
di Google si è dedicato invece alla raccolta fondi, come i 7
milioni al Parkinson’s Institute, per creare il più grande
database delle malattie genetiche.
Attraverso il fondo
Google Ventures, i fondatori Brin e Page intendono finanziare
la ricerca per affrontare tutti i problemi risolvibili con la
tecnologia.
Bill Gates
invece che distribuire soldi sulla ricerca, ha iniziato a finanziare
lo sviluppo di prodotti, come “Reinvent the toilet”: un
bagno pensato per quanti ogni giorno fanno i loro bisogni all'aperto,
con tutti i rischi per la salute.
Spiega l'autore:
“la tecnologia permette qualcosa che fino a qualche anno fa era impensabile, rende molto più interessante vendere qualcosa con margini bassissimi a centinaia di milioni di persone piuttosto che costringere una ristretta minoranza”.
Non è solo
filantropia fine a se stessa: come la raccolta di fondi per mandare
cibo ai paesi poveri. È l'applicazione del principio per cui è
meglio insegnare al povero a come si pesca. Per sfamarlo per sempre.
Solo che queste
cose le fanno i privati, mentre la politica sta ad osservare, a
cercare di regolare, condannata ad un ruolo di spettatrice. Anche
perché quando si muove, rischia di fare più danni che altro. È il
caso di Uber e delle altre piattaforme di sharing economy, bloccate
da sentenze di giudici e da politici che più che al futuro, si
preoccupano dei gruppi attrezzati a difendere i loro privilegi.
“Uber
liberalizza il trasporto pubblico locale, Spotify supera il concetto
di copyright nella musica”. E ancora, Airbnb vanifica il
tentativo degli albergatori di fare cartello, CoContest consente a
una platea vasta di poter avere un progetto per ristrutturare casa.
Ci sono poi i
cuochi a domicilio, il carpentiere che arriva con un click su una app
di uno smarphone.
Ma così si uccide
l'economia tradizionale, si distruggono posti di lavoro, si mettono
in crisi interi settori.
Alcune di queste
obiezioni sono vere: non abbiamo garanzie che i posti di lavoro
creati con le nuove tecnologie compenseranno quelli persi. Ma è
altrettanto vero che queste offrono prodotti e servizi a prezzi più
bassi, per una platea di clienti molti più vasta. Nota l'autore che
questo permette di “ottenere risultati analoghi o forse migliori
di quelli raggiungibili perseguendo un modello di crescita fondato
sull’aumento costante di consumi”.
Nemmeno possiamo
stare a guardare, non cogliere queste opportunità, non sfruttarne le
potenzialità pensando che dalla crisi, prima o poi, passerà con le
ricette che abbiamo già applicato. Destra e sinistra nella stessa
maniera.
Lo stato latita
negli investimenti, taglia le spese sanitarie, la spesa per
l'università?
Bene, piattaforme
di crowdfunding sono in grado di sostituire i finanziamenti
bancari (che in questi anni di crisi sono mancati) per quelle imprese
che hanno le idee e le potenzialità per lavorare ma mancano di
credito.
Oggi milioni di
cittadini del mondo possono seguire delle lezioni di matematica su
youtube della Khan Academy (un'università virtuale finanziata
all'inizio proprio da Gates).
Ci sono le elezioni
di fisica disponibili sulla piattaforma Oilproject.
Facebook sta
iniziando a sviluppare un servizio sanitario universale.
E la politica?
Se ancora vuole
mantenere un ruolo e non lasciarsi marginalizzare per sempre (col
risultato che sempre meno gente parteciperà alla vita politica,
andrà a votare, si iscriverà ad un partito), deve permettere ai
propri cittadini di cogliere queste opportunità che si aprono,
“limitando il numero delle vittime” conclude Feltri.
Vedi anche: Effetto dirompente - il servizio di Report sulla sharing economy
Vedi anche: Effetto dirompente - il servizio di Report sulla sharing economy
Un estratto dal libro: la
visione dell'Italia di Renzi
La scheda del libro sul sito di Rizzoli
2 commenti:
Ciao posso chiederti se questo libro parla anche di CoContest?
Si, Feltri cita anche il caso di Cocontest, bloccata dagli architetti in Parlamento (non sono riuscito a citare tutto ;-) )
http://blog.startupitalia.eu/cocontest-architetti-interrogazione-parlamentare/
Aldo
Posta un commento