10 novembre 2005

La minaccia iraniana

Dopo le minacce del leader Iraniano Ahmadinejad "Chiunque riconoscerà Israele brucierà nel fuoco della collera della nazione musulmana" il mondo politico italiano ha saputo riunirsi compatto (a parte qualche distinguo) per manifestare il proprio appoggio ad Israele.
Due manifestazioni, a Roma organizzata dal Foglio di Giuliano Ferrara e una a Milano da Emanuele Fiano (ds).

Le minacce hanno provocato anche enormi agitazioni anche a livello internazionale: un'agitazione così inutile da sembrare quasi incredibile. Le dichiarazioni di Ahmadinejad non sono altro che un sintomo della sua debolezza e altrettanto inutile sembra la bellicosa reazione dell'Inghilterra e la velata minaccia del primo ministro di una risposta militare. Finchè Inghilterra e Stati Uniti saranno coinvolti nella guerra in Iraq, le possibilità di un intervento in Iran saranno minime.

Discorsi come quelli del presidente iraniano incoraggiano gli estremisti e avvantaggiano proprio israele, che può esercitare meglio il suo potere su Washington, afferma Peter Beaumont su The Observer.

Come si spiega allora la veemenza di Ahmadinejad? Molti paesi arabi hanno rapporti con Israele (Giordania, Egitto, Tunisia, Turchia, Oman, Arabia Saudita, Libia ...) e l'Iran mantiene rapporti con questi: Teheran sta riallaciando i rapporti con l'Egitto; ha concluso un rapporto di 4 miliardi di dollari con India e Pakistan per la costruzione di un gasdotto; ha appena firmato un patto di sicurezza con l'Arabia Saudita.

I dirigenti iraniani sanno che senza relazioni economiche il regime non può sopravvivere: se la disoccupazione (oggi il 60%) non scende, se non si esporta il gas, la repubblica non ha futuro.
Inoltre Ali Khamenei, la guida suprema, ha posto il governo sotto il controllo del consiglio di discernimento, diretto da Hashemi Rafsanjani, lo sconfitto delle presidenziali di giugno.
Anche altri paesi internazionali, che potrebbero esercitare pressioni su Teheran non protestano: la Russia ha ricavato un miliardo di dollari vendendo tecnologie per il reattore nucleare iraniano di Bushehr, la Cina ha bisogno del petrolio iraniano, così come il Giappone; i tedeschi, gli spagnoli, gli italiani traggono vantaggio dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti; e gli statunitensi temono l'intromissione dell'Iran in Iraq.
Zvi Barel, su Ha'Aretz parla di "equilibrio del terrore" imposto da un paese povero, grazie al quale Ahmadinejad può invocare le sue fiamme dell'inferno.
Tratto dagli articoli di Zvi Barel su Haretz e Peter Beaumont su The Observer, che potere leggere sulla rivista Internazionale del 4/10 novembre 2005.
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