03 marzo 2014

Meschino il giudice, meschina quella terra

Sono curioso di vedere se e come la trasposizione televisiva del libro di Mimmo Gangemi, “Il giudice meschino”, riuscirà a mantenere il realismo narrativo, in terra calabrese, che è un punto di forza del libro.
La sua onestà.
E anche la sua capacità di decifrare per noi, il linguaggio e i codici della ndrangheta.
Che arriva ad un uccidere un giudice quando non può fermarne l'azione con altri mezzi: perché quel giudice, meschino anche lui, ha deciso di voler indagare fino in fondo sul traffico di rifiuti radioattivi da parte di un boss della cosca ionica.

Voglio immaginare, ma è una mia personale forzatura, che l'aggettivo “meschino” si possa leggere in più maniere:
meschino è il giudice Maremmi, ucciso sulla porta di casa, mentre stava conducendo l'indagine sui rifiuti.
E meschino è anche il procuratore Lenzi, “scioperato e donnaiolo”, che dopo la morte dell'amico, decide di darsi una nuova possibilità, riprendendo in mano il lavoro del collega.

Un lavoro che darà fastidio perché non coinvolge solo l'ala militare della ndrangheta, ma anche i suoi agganci politici e imprenditoriali.
Come dimostra la reazione del capo della procura, di fronte alla sua decisione di riprendere le indagini e alle sue parole: “mafia”, “scorie” e “traffico”:

Appena spuntarono le scorie radioattive e, sullo sfondo, la morte di Giorgio Maremmi, sentì risalire in bocca la zuppa di latte, con il biscotto croccante di pane, consumata quella mattina. E lo ebbe in odio come mai quella mattina.

Un tale scioperato, uno dedito solo alle femmine e a ogni sorta di vizio, non poteva uscirne così, senza avvisaglia alcuna, con novità capaci di guastargli l'obiettivo di chiedere la carriera con il botto, da Procuratore Generale nella sua Reggio. Argomento che disturbava i potenti, quello. Da scansare più del bacio di un capobastone. Come lo aveva scansato al tempo in cui Maremmi - altra cocuzza - vi si era lanciato, anni prima, togliendoglielo per affidarlo a un collega più saggio che s'era ustionato le dita al solo aprire il fascicolo e l'aveva subito risposto nell'archivio.

Con buona pace di tutti, dato che dall'alto del cielo glielo avevano spiattellato senza tanti giri di parole che non era il caso, per non causare panico nella popolazione, per non dare voce alle speculazioni dei verdi e perché i tempi non erano maturi per scoperchiare la pentola, essendoci implicati a livelli intoccabili - politici nazionali, servizi segreti e massoneria, sempre prezzemolo di ogni minestra, persino capi di Stato stranieri.

Immagino già domani le polemiche dei finti difensori delle regioni del sud, messe alla berlina, alla gogna da questa cattiva pubblicità di una fiction che rappresenta il sud come se fosse solo mafia, veleni e cemento.
Certo, la Calabria non è solo quello: ma non possiamo dimenticarci quello che la cronaca giudiziaria racconta tutti i giorni di quella terra "meschina".

Come la notizia di quel senatore che avrebbe fatto bloccare le rotative del giornale, per impedire che venisse pubblicata una notizia spiacevole per il figlio. Senatore subito ricompensato da Renzi con un posto da sottosegretario (ma non si doveva cambiare verso al paese?).
Così come non possiamo dimenticarci delle inchieste portate avanti da De Magistris sui depuratori mai realizzati (Poseidone), sul lavoro interinale (Why not) che arricchivano solo politici locali e romani. De Magistris è ancora vivo, ma le inchieste  gli sono state tolte.

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