30 dicembre 2014

Quando la Sicilia fece guerra all'Italia, di Alfio Caruso

In questo precedente post avevo cercato di parlare del libro sulla guerra in Sicilia tra il 1943 e il 1950 (tra lo sbarco in Sicilia e la morte di Salvatore Giuliano): la guerra poco (o mai) raccontata dai libri di storia che ha visto contrapposto un pezzo di Sicilia (indipendentisti, bande di criminali, mafiosi, neofascisti, massoni) contro lo Stato italiano.
A tirare le fila di questa guerra, che è costata quasi duemila morti, e altrettanti feriti, furono i gentiluomini del Partito Unico Siciliano che manovrarono i loro soldati: la banda Giuliano, i gruppuscoli della destra fascista, reduci della X Mas (sdoganati per la battaglia contro il comunismo), la banda dei niscemesi, la banda di Salvatore Ferreri.
Il partito unico siciliano: quei “cinquanta nomi e cento cognomi” che da sempre governano la Sicilia: massoni, latifondisti, l'alta borghesia isolana, nobili con tanto di stemma sul portone.
Un grumo di potere e interessi che hanno sempre soffocato le aspettative di crescita e di progresso dei siciliani, che hanno impedito che l'isola evolvesse in senso democratico.
Un grumo di potere che è stato capace di sopravvivere al fascismo (che nonostante la nomea di Mori non riuscì ad intaccare il vero potere della mafia e della sua borghesia), che blandì le mire degli indipendentisti come Finocchiaro Aprile (il fondatore del MIS) e che alla fine trovò nella Democrazia Cristiana il partito giusto per ottenere la conservazione dei suoi privilegi.
Il costo di questa guerra lo paghiamo ancora oggi, quando leggiamo degli sprechi del consiglio regionale siciliano, il parlamentino. Dei soldi pubblici che finiscono nelle tasche delle solite clientele vicino ai portatori di tessere e voti.
Se oggi un pezzo dello stato è nelle mani della mafia, è dovuto al patto scellerato di quegli anni. Quando la mafia riuscì a imporsi come interlocutore valido nei confronti dello Stato.
Per far cessare quelle stragi e quelle morti che colpivano carabinieri e poliziotti.
Per far cessare col sangue le rivendicazioni dei contadini dell'isola, dopo la riforma Gullo sull'agricoltura, che avrebbe dovuto mettere fine al latifondo. La mafia e la soldataglia del PUS fecero pulizia col piombo di contadini e sindacalisti come Nunzio Passafiume, Accursio Miraglia, Vito Pipitone, Giuseppe Maniaci, Epifanio Li Puma e Placido Rizzotto.
Nell'isola venne sperimentato per la prima volta quello che poi avvenne nel resto dell'Italia qualche decennio dopo: fa impressione dirlo ma quello che Alfio Caruso registra può essere chiamato solo come “strategia della tensione”. Soffocare nel terrore ogni tentativo di cambiamento, in senso progressista, che scombini gli equilibri di potere.
Non è un caso se la strage di Portella della Ginestra fu il primo segreto di stato della nostra repubblica: imputata alla banda di Salvatore Giuliano, vi presero sicuramente parte anche mafiosi e commandos della X Mas (armati di lanciagranate).
11 morti e 29 feriti: l'ultimo lavoro sporco che monarchici, indipendentisti e probabilmente anche esponenti del partito di governo chiesero al bandito più feroce d'Italia.
Ma dietro Giuliano, a suggerire obiettivi, a scrivere le lettere o articoli di giornali in un italiano impeccabile (lui che era un seconda elementare), non c'era solo il Partito unico.

Altri elementi avevano interesse affinché la Sicilia (e l'Italia) rimanesse ben salda dentro il fronte atlantico e che le sinistre fossero tenute ben lontane dal potere (se non messe fuorilegge).
Nelle sue memorie, l'ex ministro dell'Interno Scelba scrisse «Giuliano era la pistola puntata dagli Stati Uniti alla testa di De Gasperi.»
Ogni volta che Washington doveva far capire qualcosa al governo di Roma di De Gasperi (che da buon trentino nulla conosceva della Sicilia e della mafia e si doveva fidare dei suoi compagni di partito), Turiddu ammazzava a qualche carabiniere.

Finché fu comodo, Turiddu ebbe carta bianca. Imprendibile per le forze dell'ordine dell'ispettorato generale, affidato ai funzionari di Polizia Messana e Verdiani, tutti e due ex poliziotti fascisti (come la maggior parte di dirigenti e quadri) che tornarono comodo alla nuova repubblica.
Dopo la strage di Portella (il primo maggio del 1947), Giuliano sapeva troppe cose (i mandanti, i legami tra mafiosi e indipendentisti), ed era diventato incontrollabile: l'amnistia di Togliatti del 1946 non lo aveva toccato e per ottenere l'amnistia dai politici che credeva di aver servito aveva iniziato ad alzare la posta, a suon di omicidi per farsi ascoltare.
Scrive l'autore che “È l’identica strategia del terrore messa in atto dalle formazioni ebraiche per indurre la Gran Bretagna a concedere la Palestina allo stato ebraico”.
Accadde anche questo in Sicilia: fucina del terrorismo ebraico (che portò alla creazione di Israele nel 1948) formato guarda caso dall'OSS di Angleton, e fucina del terrorismo di estrema destra che sarebbe tornato utile negli anni di piombo.

La mafia e gli indipendentisti non hanno più bisogno di Giuliano, dopo averlo trasformato nel nemico numero uno: nel 1947 la Sicilia aveva ottenuto la sua autonomia (e la DC poteva elargire appalti, pensioni, lavori, consulenze agli amici), la politica italiana era ben salda nelle mani delle forze di centro (destra), i comunisti fuori dal governo. Rimaneva da silenziare Giuliano, la sua banda, evitando che le sue memorie uscissero fuori, per mettere in imbarazzo il governo italiano.
Quelli che avevano chiesto alla sua banda di sparare alla gente sulla piana di Portella, ai sindacalisti...
Ecco, qui entra in gioco direttamente la mafia che, consegnando ai carabinieri del colonnello Luca, compie il suo salto di qualità: ha tappato la bocca a Giuliano con la sua morte (e la messinscena del capitano Perenze subito smascherata dai giornalisti) e ha nascosto i suoi documenti
Cosa Nostra si è legata, come mai era accaduto in passato, a pezzi importanti delle Istituzioni. Condivide segreti, che non dovranno essere rivelati”.
Il salto di qualità della mafia, avvenne in quegli anni: da criminalità rurale, usata come longa manus dei baroni, entrò nei palazzi della politica, riuscì ad imporsi da pari a pari con le istituzioni, grazie a quel potere di ricatto che ora aveva:

In Sicilia in quegli anni si gioca la storia d'Italia, l'Italia che avrebbe potuto essere e l'Italia che è diventata.
Vi viene in mente un qualcosa di già sentito?
Ci sono tante similitudini con la storia d'Italia degli anni successivi: le bombe e le stragi per terrorizzare e spostare l'asse politico negli anni '70, fermare la crescita delle sinistre, stabilizzare in senso conservatore la situazione politica.
La strategia di sangue dei corleonesi, per costringere lo stato a trattare, dopo la sentenza della Cassazione sul maxi processo: il capo dei capo, il sanguinario Totò Riina, imprendibile (ma che fa nascere i figli in una clinica importante a Palermo), che viene consegnato dalla mafia stessa allo stato, per siglare nuovi accordi, il silenzio che ha circondato la strage e i suoi protagonisti negli anni successivi.
Turiddu ucciso da Pisciotta (o forse da Luciano Leggio stesso), Pisciotta liquidato in carcere prima che parlasse dei mandanti politici (il sottosegretario Mattarella, gli onorevoli monarchici Cucumano Geloso, Marchesano, il principe Alliata). Il mafioso Minasola che aveva consegnato la banda Giuliano ai carabinieri ucciso pochi anni dopo (senza alcuna protezione da parte dello Stato) ..
Grazie a Turiddu, Cosa Nostra compie il salto di qualità: gli ha tappato la bocca e ha fatto sparire ogni documento compromettente per i suoi nuovi alleati. In cambio tutti gli atti pubblici la ignoreranno fino alla strage di Ciaculli, i sette militari disintegrati il 30 giugno '63 dalla giulietta imbottita di esplosivo.Cosa Nostra si è legata, come mai era accaduto in passato, a pezzi importanti delle Istituzioni. Condivide segreti, che non dovranno essere rivelati,pena la bancarotta morale della nascente Repubblica. Ha intrecciato rapporti fondamentali, che sfrutterà per oltre mezzo secolo. Certi canali mai più verranno chiusi, certi indirizzi resteranno conosciuti e praticati da ambo i lati, certi accordi inconfessabili diverranno la base di accordi inconfessabili. La mafia è sempre stata identica a se stessa: corruttrice, sanguinaria, avida. In difesa del proprio utile mai si è fatta scrupolo di ammazzare donne e bambini. L'onorata società e gli uomini d'onore sono un'invenzione dei complici d'alto bordo. Ai tempi di Vizzini le bastava amministrare il potere all'ombra dello Stato; ai tempi dei corleonesi vorrà sostituirsi allo Stato. Lo spartiacque sono gli anni di Giuliano con il patrimonio di ricatti, minacce, conoscenze, che unito alla protezione statunitense le consentirà il controllo dell'isola e di una parte dell'Italia prima della sua estensione all'intera Europa.
A sua insaputa Turiddu è stato lo strumento per consentire alla «disonorata società» di uscire dalla dimensione regionale e assurgere a interlocutore privilegiato delle istituzioni.”.

Questo governo aveva dichiarato di voler aprire gli armadi e gli archivi segreti, per rendere pubblici i documenti dei servizi sulle stragi degli anni 70. Chissà se avrà il coraggio di riaprire gli archivi relativamente a questi episodi: l'amministrazione Clinton lo ha fatto, ed è grazie alla lettura delle carte dell'OSS che storici come Cereghino e Casarrubea sono riusciti a rileggere la nostra storia.
Avrà mai la nostra repubblica il coraggio di fare i conti con la propria coscienza?

Sullo stesso argomento, la strage di Portella, il banditismo in Sicilia, la genesi della Repubblica vi consiglio le seguenti letture:
- Facciamoci uno staterello – primo capitolo del libro di Alfio Caruso
- La guerra in Sicilia – 1943-1950
-Lupara Nera di Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino
-La santissima Trinità: Mafia, Vaticano e servizi segreti all'assalto dell'Italia nel 1943-1947. Nicola Tranfaglia, Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino

Sul sito di Alfio Caruso potete leggervi anche il primo capitolo.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

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